lunedì 17 ottobre 2011

Educare soprattutto alla trascendenza – don Tonino Bello -

Ma il pericolo esiste. E non è neppure dei più irrilevanti. Quello, cioè, di fare di Dio una specie di superlativo asso­luto di tutte le connotazioni positive che si riscontrano nel­le creature.
Un fiore è bello? Dio è bellissimo. Un uomo è buono? Dio è ottimo. Un maestro è saggio? Una madre ama appassionatamen­te il frutto del suo grembo? Dio supera e il maestro e la madre: egli è, per dirla con Dante, «la somma sapienza e primo amore».
Con questo procedimento rischioso, anche se gli facciamo occupare la prima posizione nelle graduatorie dei valori universali, non rendiamo a Dio un buon servizio. Perché tutto sommato, lo confiniamo all'interno del nostro mondo. Lo circoscriviamo nei nostri moduli. Mentre gli si offre, quasi per buona educazione, la piaz­za d'onore, in ultima analisi lo riduciamo ai nostri schemi. Lo si riconosce come testa di serie di tutte le classifiche della terrena bontà, ma poi gli si impedisce di sfondare il tetto e di entrare, per così dire, in un altro girone. E chi sa che, sotto questa assolutizzazione «controllata», non si na­sconda il desiderio, se non proprio di insidiargli il primo posto, almeno di imporgli un certo rispetto!
Sì, il pericolo esiste. Perché così riduciamo Dio a semplice fenomeno intramondano, perfetto quanto si vuole, ma spogliato di ciò che gli appartiene come tipicamente suo: la trascendenza.
Trascendenza è una parola un po' difficile, ma vuol significare che Dio è “totalmente altro”  dalle nostre povere, sia pur nobili, cose di quaggiù…
Viene in mente la battuta di quel missionario il quale mentre parlava ai negretti seduti sotto un albero della foresta, essendogli capitato di usare nel discorso la parola computer, si sentì chiedere da un bambino che cosa fosse i computer. E lui, imbarazzato, gli rispose mostrandogli la matita che aveva in mano: «Te lo spiego subito: vedi questa matita? Il computer è tutta un'altra cosa! ».
Appunto, Dio è tutta un'altra cosa.
Non possiamo rivestirlo sul modello dei nostri abiti, si pure di stoffa pregiata, dandogli magari la taglia più alta.
Non è comprimibile sotto l'arco del nostro cielo. Dobbiamo ripeterlo chiaro: «Sopra i cieli s'innalza la sua magnificenza».
Solo così saremo afferrati dalla imprevedibilità di Dio. Solo così capiremo le sue inedite trovate. Solo così ci se­durranno le sue sorprese, e ci accorgeremo che sono vera­mente inesauribili le risorse della sua novità.
Diversamente, correremo il rischio di proiettare in Dio le nostre mediocrità. La sua eccellenza la scambieremo per strapotere. Lo renderemo complice di ogni progetto mal ri­uscito. E perfino l'effetto speranza, su cui poggia tutto l'annuncio cristiano, si ridurrebbe alla semplice amplifica­zione delle nostre attese che, per quanto dilatate, finirebbe­ro col deluderci.
«Sopra i cieli s'innalza la tua magnificenza». Sopra i cieli. Non sotto. Un Dio che sta sotto i cieli, anche se tanto alto da toccarli con un dito, è un Dio lon­tanissimo: forse anche un po' responsabile delle nostre frustrazioni e dei nostri insuccessi. È un Dio rivale, in­somma, quasi un antagonista con cui misurarsi. E’  un primo della classe col quale fare i conti, rimediando ine­sorabilmente complessi di inferiorità e amarissime sensa­zioni di colpa.
Un Dio, invece, la cui magnificenza s'innalza sopra i cieli ci è molto più vicino. Perché scombina le nostre misu­re, ma senza indispettirci. Perché gioca con noi, ma senza divertirsi a nostre spese. Perché provoca desideri struggenti della patria lontana, ma senza crearci tristezze. Perché è sempre in agguato, ma senza irridere alla nostra libertà. Perché ci tende mille trappole di tenerezza, ma non si stan­ca dei nostri rifiuti. Perché ci tiene alle risposte d'amore, ma è sempre pronto a perdonare il nostro peccato.
Solo un Dio che sta sopra i cieli può diventarci coinqui­lino. Perché solo lui sa scavare negli abissi delle nostre no­stalgie, e ci fa capire che «egli ci ha fatti per lui, e che il nostro cuore è inquieto finché non riposa in lui».
«Sopra i cieli s'innalza la sua magnificenza».
Sotto i cieli s'incurva solo la nostra povertà. Ma s'incur­va a tal punto, da diventare il ricettacolo della sua miseri­cordia.

(fine)
  (don Tonino Bello)
Fonte: "Dire Dio oggi. Dallo stupore alla trascendenza"
Scrigni, collana diretta da don Ciccio Savino, Ed. Insieme, pagg. 13,14,15

Don Tonino Bello nasce ad Alessano (Lecce) il 18 marzo 1935, rimarrà sempre “don Tonino” anche quando sarà nominato vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi nel 1982. Comunione, evangelizzazione e scelta degli ultimi sono i perni su cui svilupperà la sua idea di Chiesa (la “Chiesa del Grembiule”). Parteciperà alle lotte per il lavoro insieme agli operai delle acciaierie di Giovinazzo,  si dichiarerà contrario all’installazione dei missili a Comiso e sarà insieme ai pacifisti nelle proteste. Ospiterà di sfrattati in episcopio (“Io non risolvo il problema degli sfrattati ospitando famiglie in vescovado. Non spetta a me farlo, spetta alle istituzioni: però io ho posto un segno di condivisione che alla gente deve indicare traiettorie nuove(…),insinuare qualche scrupolo come un sassolino nella scarpa”). Già ammalato di cancro partecipa alla marcia pacifica a Sarajevo, di cui fu ispiratore e guida: 500 persone, credenti e non partirono da Ancona il 7 Dicembre 1992. Erano persone di nazionalità diverse uniti dall’unico desiderio di sperimentare “un’altra ONU”, quella dei popoli, della base. Nel discorso pronunciato ai 500 nel cinema di Sarajevo dirà: ”Vedete, noi siamo qui , Probabilmente allineati su questa grande idea, quella della nonviolenza attiva (…).Noi qui siamo venuti a portare un germe: un giorno fiorirà(…).Gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati”. Morirà il 20 aprile 1993.

Buona giornata a tutti :-)


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