domenica 1 luglio 2012

I piedi di Giuda – don Tonino Bello


Carissimi,

è più facile parlare delle labbra di Giuda che dei suoi piedi.
Tutto a causa di quel bacio naturalmente. Dagli affreschi di Giotto alle tele di Salvatore Fiume, gli artisti hanno adoperato quelle labbra come simbolo del tradimento.
Un tradimento che suscita reazioni emotive. Che allude.
Una vigliaccata insomma che non lascia estraneo nessuno. Un mistero d’iniquità che provoca processi di identificazione e che comunque induce a riflettere. Non c’è che dire: quelle di Giuda sono labbra scomode per tutti. Se non altro perché stanno a ricordarci che anche noi ci portiamo sulla bocca la possibilità di darlo ogni giorno, un bacio infame del genere.

I suoi piedi invece benché sospesi sul vuoto di un crepaccio non destano emozioni. Provocano solo ribrezzo. Gonfi nella tragedia del suicida, sembrano il punto fermo di un discorso che ha finito di coinvolgere l’interlocutore. Più che l’ultima propaggine di un corpo ancora caldo di vita, sono l’epilogo di una esistenza sbagliata. Il fotogramma finale di una storia infelice, l’estremo dettaglio di una prova fallita. Eppure quei piedi sono stati lavati da Gesù. Con la stessa tenerezza usata per Pietro, Giovanni, Giacomo. Sono stati asciugati  dalle sue mani col medesimo trasporto d’amore espresso per tutti. Senza neppure l’ombra di pose scenografiche che accentuassero i contrasti a beneficio dei posteri.

I piedi di Giuda come i piedi degli altri. Anche se più degli altri per paura o per imbarazzo hanno vibrato sotto lo scroscio dell’acqua. Gesù se n’è dovuto accorgere.
Tant’è che qualche istante più tardi ha fatto riferimento a quei piedi: “colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno”.
Ebbene, quel calcagno già levato nell’atteggiamento del calcio e ciononostante investito dell’acqua ristoratrice del maestro, rimane per tutti un emblema di angoscioso bisogno di redenzione che chiede il nostro servizio e non il rigore della nostra condanna. Non importa quale sia l’esito della lavanda. Così come non importa sapere se il destino finale di Giuda sia stato di salvezza o di perdizione.
Sono affari del Signore: l’unico capace di accogliere fino in fondo il mistero della libertà umana e di comporne le scelte, anche le più assurde, nell’oceano della sua misericordia.
A noi tocca solo entrare nella logica del servizio, di fronte alla quale non esiste ambiguità di calcagni che possa legittimare il rifiuto o la discriminazione.

Carissimi fratelli se Giuda è il simbolo di chi nella vita ha sbagliato in modo pesante, il gesto di Cristo curvo sui suoi piedi ci richiama a rivedere giudizi e comportamenti nei riguardi di coloro che secondo gli schemi mentali in commercio sono andati a finire sui binari morti di una esistenza fallimentare.

Di chi è finito fuori strada per colpa propria o per malizia altrui.
Di chi ha calpestato i sentimenti più puri.
Di chi ha ripagato la tenerezza con l’ingratitudine più nera.
Di chi ha deviato dalle rotte della fedeltà promessa.
Di chi ha infranto le regole di una amicizia giurata.
Di chi ha spezzato i legami di una comunione antica.
Di chi non ce l’ha fatta a seguire Gesù fino al calvario.
Di chi dai chiarori del cenacolo è precipitato nella notte della strada.
Di chi non ha avuto fortuna ed ha abdicato per debolezza o per ingenuità ai progetti della gioventù.

Sui piedi di questi fratelli col divieto assoluto di sollevare lo sguardo al di sopra dei loro polpacci, noi, i protagonisti di tradimento al dettaglio e all’ingrosso, abbiamo l’obbligo di versare l’acqua tiepida della preghiera, dell’accoglienza e dell’accredito generoso di mille possibilità di ravvedimento.

Lavare e asciugare i piedi di Andrea che se n’è andato con un’altra donna, lasciando moglie e figli senza far sapere più nulla e ora è disperato.
Lavare e asciugare i piedi di Marisa che ha smesso di studiare, è scappata di casa, si buca sistematicamente, si è ammalata di AIDS ed ha prostrato la famiglia nella vergogna.
Lavare e asciugare i piedi  di Mario che ha fatto il bidone agli amici e ora che si è pentito non gli crede più nessuno perché bollato come infame per tuta l’eternità.
Lavare e asciugare i piedi di Damiano anzi il piede di Damiano perché uno glielo hanno amputato per cancrena: rubava , si ubriacava, colpiva alle spalle e ora tutti dicono che ben gli sta.

Purificati da un lavacro di amore quei piedi sia pur per carreggiate sconosciute non potranno fare a meno di orientarsi verso la casa del Padre.

Ringraziamo il Signore perché al cappio della disperazione che stringe la gola ci fa sostituire il cappio di un asciugamano che stringe i fianchi col nodo scorsoio della speranza.
(don Tonino Bello)


 
Il Bacio di Giuda (o Cattura di Cristo) è un affresco (200x185 cm) di Giotto, databile al 1303-1305 circa e facente parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova. È compresa nelle Storie della Passione di Gesù del registro centrale inferiore, nella parete destra guardando verso l'altare.
Voglio mettermi alla prova, pronto a ogni conseguenza, incurante delle conseguenze, perché tu mi hai insegnato ad affrontare ogni cosa. Se mi ordini di dirigere i miei passi coraggiosi verso la croce, io mi lascio crocifiggere. Se mi ordini di entrare nel silenzio del tuo tabernacolo fino alla fine dei tempi, me ne avvolgerò, con passi avventurosi. Perderò tutto: ma mi resterai tu. Il tuo amore sarà là ad inondare il mio cuore d’amore per tutti. La mia felicità sarà totale. È per questo che io ripeto: Ti ho scelto. Non voglio che te e la tua gloria. (Cardinale F.X.N. Van Thuan)




Lasciarci lavare i piedi
Più vado avanti negli anni, più capisco che anche questo è un grande atto di carità: accogliere con benevolenza e serenità il servizio che altri ci offrono. Frequento le famiglie dove vi sono ammalati, infermi, anziani; vado negli ospedali, nelle case di riposo. E mi convinco sempre di più che occorre umiltà non solo per “servire”, ma anche per lasciarsi servire. È davvero umiliante aver bisogno di tutti per tutto! Ne ho fatto esperienza più volte. Ma dobbiamo prepararci ad accogliere questo servizio con carità riconoscente, senza amareggiare o creare difficoltà a chi si prende cura di noi. (don Ferdinando)