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sabato 22 settembre 2018

Verginità, Pudore, Esempi - tre splendide poesie di Antonia Pozzi


Verginità

Vele solari
col tuo piede scarno
tentavi dal pontile,
raccoglievi
chiare sillabe d'acqua
nella scia delle barche.
Poi un profilo d'alte pietre
franava in lago:
ridendo
offrivi alghe al mio nudo
corpo serale.

- Antonia Pozzi -

Art by Milo Manara


Pudore

Se qualcuna delle mie povere parole
ti piace
e tu me lo dici
sia pur solo con gli occhi
io mi spalanco
in un riso beato
ma tremo
come una mamma piccola giovane
che perfino arrossisce
se un passante le dice
che il suo bambino è bello.

- Antonia Pozzi -

Toshiyuki Enoki, Thorn and Silk


Esempi

Anima, sii come il pino:
che tutto l'inverno distende
nella bianca aria vuota
le sue braccia fiorenti
e non cede, non cede,
nemmeno se il vento,
recandogli da tutti i boschi
il suono di tutte le foglie cadute,
gli sussurra parole d'abbandono;
nemmeno se la neve,
gravandolo con tutto il peso
del suo freddo candore,
immolla le fronde e le trae
violentemente
verso il nero suolo.

Anima, sii come il pino:
e poi arriverà la primavera
e tu la sentirai venire da lontano,
col gemito di tutti i rami nudi
che soffriranno, per rinverdire.
Ma nei tuoi rami vivi
la divina primavera avrà la voce
di tutti i più canori uccelli
ed ai tuoi piedi fiorirà di primule
e di giacinti azzurri
la zolla a cui t'aggrappi
nei giorni della pace
come nei giorni del pianto.

Anima, sii come la montagna:
che quando tutta la valle
è un grande lago di viola
e i tocchi delle campane vi affiorano
come bianche ninfee di suono,
lei sola, in alto, si tende
ad un muto colloquio col sole.
La fascia l'ombra
sempre più da presso
e pare, intorno alla nivea fronte,
una capigliatura greve
che la rovesci,
che la trattenga
dal balzare aerea
verso il suo amore.
Ma l'amore del sole
appassionatamente la cinge
d'uno splendore supremo,
appassionatamente bacia
con i suoi raggi le nubi
che salgono da lei.
Salgono libere, lente
svincolate dall'ombra,
sovrane
al di là d'ogni tenebra,
come pensieri dell'anima eterna
verso l'eterna luce.

- Antonia Pozzi -

Giovanni Boldini (1842 – 1931), Nude with black stockings


buona giornata a tutti 😄



lunedì 17 settembre 2018

Il disco si posò - Dino Buzzati


Il disco si posò.
Era sera e la campagna già mezza addormentata, dalle vallette levandosi lanugini di nebbia e il richiamo della rana solitaria che però subito taceva (l'ora che sconfigge anche i cuori di ghiaccio, col cielo limpido, l'inspiegabile serenità del mondo, l'odor di fumo, i pipistrelli e nelle antiche case i passi felpati degli spiriti), quand'ecco il disco volante si posò sul tetto della chiesa parrocchiale, la quale sorge al sommo del paese. 
All'insaputa degli uomini che erano già rientrati nelle case, l'ordigno si calò verticalmente giù dagli spazi, esitò qualche istante, mandando una specie di ronzio, poi toccò il tetto senza strepito, come colomba. 

Era grande, lucido, compatto, simile a una lenticchia mastodontica; e da certi sfiatatoi continuò a uscire zufolando un soffio. Poi tacque e restò fermo, come morto. 
Lassù nella sua camera che dà sul tetto della chiesa, il parroco, don Pietro, stava leggendo, col suo toscano in bocca. All'udire l'insolito ronzio, si alzò dalla poltrona e andò ad affacciarsi al davanzale. Vide allora quel coso straordinario, colore azzurro chiaro, diametro circa dieci metri. Non gli venne paura, né gridò, neppure rimase sbalordito. 
Si è mai meravigliato di qualcosa il fragoroso e imperterrito don Pietro? Rimase là, col toscano, ad osservare. E quando vide aprirsi uno sportello, gli bastò allungare un braccio: là al muro c'era appesa la doppietta. 
Ora sui connotati dei due strani esseri che uscirono dal disco non si ha nessun affidamento. È un tale confusionario, don Pietro. Nei successivi suoi racconti ha continuato a contraddirsi. Di sicuro si sa solo questo: ch'erano smilzi e di statura piccola, un metro un metro e dieci. Però lui dice anche che si allungavano e accorciavano come fossero di elastico. Circa la forma, non si è capito molto: «Sembravano due zampilli di fontana, più grossi in cima e stretti in basso» così don Pietro «sembravano due spiritelli, sembravano due insetti, sembravano scopette, sembravano due grandi fiammiferi.» «E avevano due occhi come noi?» «Certo, uno per parte, però piccoli.» E la bocca? e le braccia? e le gambe? Don pietro non sapeva decidersi: «In certi momenti vedevo due gambette e un secondo dopo non le vedevo più... Insomma, che ne so io? Lasciatemi una buona volta in pace!»
Zitto, il prete li lasciò armeggiare col disco. Parlottavano tra loro a bassa voce, un dialogo che assomigliava a un cigolio. 
Poi si arrampicarono sul tetto, che ha una moderatissima pendenza, e raggiunsero la croce, quella che è in cima alla facciata. Ci girarono intorno, la toccarono, sembrava prendessero misure. Per un pezzo don Pietro lasciò fare, sempre imbracciando la doppietta. 
Ma all'improvviso cambiò idea. «Ehi!» gridò con la sua voce rimbombante. «Giù di là, giovanotti. Chi siete?» I due si voltarono a guardarlo e sembravano poco emozionati. Però scesero subito, avvicinandosi alla finestra del prevosto. Poi il più alto cominciò a parlare. Don Pietro - ce lo ha lui stesso confessato - rimase male: il marziano (perché fin dal primo istante, chissà perché, il prete si era convinto che il disco venisse da Marte; né pensò di chiedere conferma), il marziano parlava una lingua sconosciuta. Ma era poi una vera lingua? 
Dei suoni, erano, per la verità non sgradevoli, tutti attaccati senza mai una pausa. Eppure il parroco capì subito tutto, come se fosse stato il suo dialetto. Trasmissione del pensiero? Oppure una specie di lingua universale automaticamente comprensibile? 
«Calmo, calmo» lo straniero disse «tra poco ce n'andiamo. Sai? Da molto tempo noi vi giriamo intorno, e vi osserviamo, ascoltiamo le vostre radio, abbiamo imparato quasi tutto. Tu parli, per esempio, e io capisco. Solo una cosa non abbiamo decifrato. E proprio per questo siamo scesi. Che cosa sono queste antenne? (e faceva segno alla croce). Ne avete dappertutto, in cima alle torri e ai campanili, in vetta alle montagne, e poi ne tenete degli eserciti qua e là, chiusi da muri come se fossero vivai. Puoi dirmi, uomo, a cosa servono?» «Ma sono croci!» fece don Pietro. E allora si accorse che quei due portavano sulla testa un ciuffo, come una tenue spazzola, alta una ventina di centimetri. No, non erano capelli, piuttosto assomigliavano a sottili steli vegetali, tremuli , estremamente vivi, che continuavano a vibrare. O invece erano dei piccoli raggi, o una corona di emanazioni elettriche? 
«Croci» ripeté, compitando il forestiero. «E a che cosa servono?» 
Don Pietro posò il calcio della doppietta a terra, che gli restasse però sempre a portata di mano. Si drizzò quindi in tutta la statura, cercò di essere solenne: «Servono alle nostre anime» rispose. «Sono il simbolo di Nostro Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, che per noi è morto in croce.» 
Sul capo dei marziani all'improvviso gli evanescenti ciuffi vibrarono. Era un segno di interesse o di emozione? O era quello il loro modo di ridere? «E dove, dove questo sarebbe successo?» chiese sempre il più grandetto, con quel suo squittio che ricordava le trasmissioni Morse; e c'era dentro un vago accento di ironia. «Dio, vuoi dire, sarebbe venuto qui, tra voi?» «Qui, sulla Terra, in Palestina.» 
Il tono incredulo irritò don Pietro. «Sarebbe una storia lunga» disse «una storia forse troppo lunga per dei sapienti come voi.» In capo allo straniero la leggiadra indefinibile corona oscillò due tre volte. Pareva che la muovesse il vento. «Oh, dev'essere una storia magnifica» fece con condiscendenza. «Uomo, vorrei proprio sentirla.» Balenò nel cuore di don Pietro la speranza di convertire l'abitatore di un altro pianeta? Sarebbe stato un fatto storico, lui ne avrebbe avuto gloria eterna. 
«Se non vuol altro» disse, rude. «Ma fatevi vicini, venite pure qui nella mia stanza.» Fu certo una scena straordinaria, nella camera del parroco, lui seduto allo scrittoio alla luce di una vecchia lampada, con la Bibbia tra le mani, e i due marziani in piedi sul letto perché don Pietro li aveva invitati a accomodarsi, che si sedessero sul materasso, e insisteva, ma quelli a sedere non riuscivano, si vede che non ne erano capaci e tanto per non dir di no alla fine vi erano saliti, standovi ritti, il ciuffo più che mai irto e ondeggiante. «Ascoltate, spazzolini!» disse il prete, brusco, aprendo il libro, e lesse: "... l'Eterno Iddio prese dunque l'uomo e lo pose nel giardino d'Eden... e diede questo comandamento: Mangia pure liberamente del frutto di ogni albero del giardino, ma del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare: perché nel giorno che tu ne mangerai, per certo sarà la tua morte. Poi l'Eterno Iddio... "» 
Levò gli sguardi dalla pagina e vide che i due ciuffi erano in estrema agitazione. «C'è qualcosa che non va?» Chiese il marziano: «E, dimmi, l'avete mangiato, invece? Non avete saputo resistere? E andata così, vero?» «Già. Ne mangiarono» ammise il pretese la voce gli si riempì di collera. «Avrei voluto veder voi! È forse cresciuto in casa vostra l'albero del bene e del male?» «Certo. È cresciuto anche da noi. Milioni e milioni di anni fa. Adesso è ancora verde...» «E voi?... I frutti, dico, non li avete mai assaggiati?» 
«Mai» disse lo straniero. «La legge lo proibisce.» Don Pietro ansimò, umiliato. Allora quei due erano puri, simili agli angeli del cielo, non conoscevano peccato, non sapevano che cosa fosse cattiveria, odio, menzogna? Si guardò intorno come cercando aiuto, finché scorse nella penombra, sopra il letto, il crocefisso nero. 
Si rianimò: «Sì, per quel frutto ci siamo rovinati... Ma il figlio di Dio» tuonò, e sentiva un groppo in gola «il figlio di Dio si è fatto uomo. Ed è sceso qui tra noi!» 
L'altro stava impassibile. Solo il suo ciuffo dondolava da una parte e dall'altra, simile a una beffarda fiamma. «E' venuto qui in Terra, dici? E voi, che ne avete fatto? Lo avete proclamato vostro re?... Se non sbaglio, tu dicevi ch'era morto in croce... Lo avete ucciso, dunque?» 
Don Pietro lottava fieramente: «Da allora sono passati quasi duemila anni! Proprio per noi è morto, per la nostra vita eterna!» Tacque, non sapeva più che dire. E nell'angolo scuro le misteriose capigliature dei due ardevano, veramente ardevano di una straordinaria luce. Ci fu silenzio e allora di fuori si udì il canto dei grilli. 
«E tutto questo» domandò ancora il marziano con la pazienza di un maestro «tutto questo è poi servito?» Don Pietro non parlò. Si limitò a fare un gesto con la destra, sconsolato, come per dire: che vuoi? Siamo fatti così, peccatori siamo, poveri vermi peccatori che hanno bisogno della pietà di Dio. 
E qui cadde in ginocchio, coprendosi la faccia con le mani. Quanto tempo passò? Ore, minuti? Don Pietro fu riscosso dalla voce degli ospiti. Alzò gli occhi e li scorse già sul davanzale, in procinto, si sarebbe detto, di partire. Contro il cielo della notte i due ciuffi tremolavano con affascinante grazia. «Uomo» domandò il solito dei due. «Che stai facendo?» «Che sto facendo? Prego!... Voi no? Voi non pregate?» «Pregare, noi? E perché pregare?» «Neanche Dio non lo pregate mai?» «Ma no!» disse la strana creatura e, chissà come, la sua corona vivida cessò all'improvviso di tremare, facendosi floscia e scolorita. «Oh, poveretti» mormorò don Pietro, ma in maniera che i due non lo udissero, come si fa con i malati gravi. 
Si levò in piedi, il sangue riprese a correre con forza su e giù per le sue vene. Si era sentito un bruco, poco fa. E adesso era felice. "Eh, eh" ridacchiava dentro di sé "voi non avete il peccato originale con tutte le sue complicazioni. Galantuomini, sapienti, incensurati. Il demonio non lo avete mai incontrato. Quando però scende la sera, vorrei sapere come vi sentite! Maledettamente soli, presumo, morti di inutilità e di tedio." 
(I due intanto si erano già infilati dentro allo sportello, lo avevano chiuso, e il motore già girava con un sordo e armoniosissimo ronzio. Piano piano, quasi per miracolo, il disco si staccò dal tetto, alzandosi come fosse un palloncino: poi prese a girare su se stesso, partì a velocità incredibile, su, su in direzione dei Gemelli.) 
«Oh» continuava a brontolare il prete «Dio preferisce noi di certo! Meglio dei porci come noi, dopo tutto, avidi, turpi, mentitori, piuttosto che quei primi della classe che mai gli rivolgono la parola. Che soddisfazione può avere Dio da gente simile? E che significa la vita se non c'è il male, e il rimorso, e il pianto?» 
Per la gioia, imbracciò lo schioppo, mirò al disco volante che era ormai un puntolino pallido in mezzo al firmamento, lasciò partire un colpo. 
E dai remoti colli rispose l'ululio dei cani. 

- Dino Buzzati -
da: "La boutique del mistero",Ed. Oscar Mondadori,  pagg. 107-111

Dino Buzzati
16 ottobre 1906 - 28 gennaio 1972






sabato 15 settembre 2018

Tu non sei responsabile della felicità degli altri - Jeff Foster

La lezione più liberatoria che imparerai mai è che: nessuno può farti sentire felice.
E tu non sei responsabile della felicità degli altri. 
Sei libero.
La felicità è la tua natura, e sempre lo è stata. 
Perciò sii come il Sole, splendi. 
Non attendere gli altri per splendere, non ti serve una scusa per risplendere, è la tua natura. 
Non sentirti responsabile per tutti i soli che non hanno mai scoperto il loro scintillio. 
Splendi per te. Insegna con il tuo esempio. 
Cammina il tuo sentiero con coraggio. 
E se gli altri sono tristi o invidiano il tuo scintillio, se ti giudicano, ti attaccano perché non li metti più al centro del tuo universo, è okay. 
E’ il loro lavoro accettarlo, il loro cammino. 
Auguragli il meglio e vai.
E quando smetti di provare a salvare gli altri, quando smetti di essere la madre o il padre che non hanno mai avuto, puoi veramente amarli. 
Puoi essere davvero presente, inamovibile.
Puoi amarli abbastanza da lasciarli andare. 
Perché l’amore ha la fragranza della libertà.


- Jeff Foster -


“Il paradosso del nostro tempo è che abbiamo edifici sempre più alti, ma una moralità sempre più bassa.
Autostrade sempre più larghe, ma orizzonti più ristretti.
Spendiamo di più, ma abbiamo meno.
Comperiamo di più, ma godiamo di meno.
Abbiamo case più grandi, ma famiglie più piccole.
Più comodità, ma meno tempo.
Abbiamo più istruzione, ma meno buon senso.
Più conoscenza, ma meno giudizio.
Più esperti e ancor più problemi.
Più medicine, ma meno salute.
Beviamo troppo, fumiamo troppo.
Spendiamo senza ritegno e ridiamo troppo poco.
Guidiamo troppo veloci, ci arrabbiamo troppo.
Facciamo le ore piccole e ci alziamo stanchi.
Vediamo troppa TV e preghiamo di rado.
Abbiamo moltiplicato le proprietà, ma ridotti i nostri valori.
Parliamo troppo, amiamo troppo poco e odiamo spesso.
Abbiamo imparato come guadagnarci da vivere, non come vivere.
Abbiamo aggiunto anni alla vita, ma non vita agli anni.
Siamo andati e tornati dalla luna, ma non riusciamo ad attraversare la strada per incontrare il vicino di casa.
Abbiamo conquistato lo spazio esterno, ma non lo spazio interno.
Abbiamo creato cose più grandi, ma non migliori.
Abbiamo pulito l’aria, ma inquinato l’anima.
Abbiamo dominato l’atomo, ma non i pregiudizi.
Scriviamo di più, ma impariamo di meno.
Abbiamo imparato a sbrigarci, non ad aspettare.
Costruiamo computer più grandi per contenere più informazioni, per produrre più copie che mai, ma comunichiamo sempre meno.
Questi sono i tempi di fast food e digestioni lente.
Grandi uomini, piccoli caratteri.
Ricchi profitti, povere relazioni.
Questi sono i tempi di due redditi e più divorzi, case più belle, ma famiglie distrutte.
Questi sono i tempi dei viaggi veloci.
È un tempo in cui c’è troppo in vetrina ma niente in magazzino.
    
Ricordati di spender il tuo tempo con i tuoi cari ora.
Essi non saranno con te per sempre.
Ricordati di dire una parola gentile a qualcuno che ti guarda dal basso con soggezione, perché questa piccola persona presto crescerà e lascerà il tuo fianco.
Ricordati di dare un caloroso abbraccio alla persona che ti sta a fianco perché è l’unico tesoro che puoi dare col cuore e non costa nulla.
Ricordati di tenerle le mani e godi di questi momenti perché un giorno quella persona non sarà più lì.
Ricordati di dire “vi amo” ai tuoi cari, ma soprattutto pensalo: un bacio, un abbraccio possono curare ferite che vengono dal profondo dell’anima.
Dedica tempo all’amore, dedica tempo alla conversazione, dedica tempo per condividere i pensieri preziosi della tua mente.
  

E ricorda sempre:

La vita non si misura da quanti respiri facciamo, ma dai momenti che ci tolgono il respiro.”

- George Carlin -



Buona giornata a tutti. :-)






mercoledì 12 settembre 2018

A Juliette Drouet - Victor Hugo

Faccio tutto ciò che posso
perché il mio amore
non ti disturbi,
ti guardo di nascosto,
ti sorrido quando non mi vedi.
Poso il mio sguardo
e la mia anima ovunque
vorrei posare i miei baci:
sui tuoi capelli,
sulla tua fronte,
sui tuoi occhi,
sulle tue labbra,
ovunque le carezze
abbiano libero accesso.

- Victor Hugo - 



"Siate come l’uccello posato per un attimo su rami troppo fragili, che sente la fronda piegarsi e canta, tuttavia, sapendo di avere le ali.

- Victor Hugo -


"Se Dio non avesse creato la donna, non avrebbe creato neppure il fiore."

 - Victor Hugo -



Buona giornata a tutti. :-)



lunedì 10 settembre 2018

Il valore... – don Bruno Ferrero

"Non stia lì a perdere tempo con me. Sono una poco di buono, faccio schifo a tutti, e faccio schifo anche a me!".

Era una giovane arrabbiata. Incrociò il parroco che l'aveva invitata a frequentare il gruppo dei giovani e con astio e amarezza snocciolò tutte le cose che non le piacevano di se stessa: "Sono piatta e insignificante, ho un carattere insopportabile, ci provo con tutti, ma... nessuno mi vuole veramente, sono invidiosa delle mie amiche e in famiglia do' sui nervi a tutti. Che ci sto a fare in questo mondo?".

Il parroco la guardò e, dopo un momento di silenzio, le disse: "Lo sai che hai due stupendi occhi verdi?".
... La ragazza tacque interdetta.

Il primo passo era fatto.

Era una signora che aveva comprato un copriletto orribile. L'aveva comprato per disperazione, pagandolo cinque euro, a una vendita di articoli di seconda mano. Ogni volta che rifaceva il letto, distendeva il copriletto con una smorfia di disgusto.
Poi, un giorno, sfogliando un catalogo di vendita per corrispondenza trovato per caso, vide lo stesso copriletto firmato da un notissimo stilista. Costava trecento euro!
Non appena scoprì il prezzo del copriletto, esso acquistò tutta un'altra bellezza al suoi occhi.

Qualunque cosa pensi di te stesso, agli occhi di Dio tu hai un prezzo altissimo. 
Alcuni uomini non sanno quant'è importante che essi ci siano.
Alcuni uomini non sanno quanto faccia bene, anche solo vederli.
Alcuni uomini non sanno quanto sia di conforto il loro benevolo sorriso.
Alcuni uomini non sanno quanto sia benefica la loro vicinanza.
Alcuni uomini non sanno quanto saremmo più poveri senza di loro.
Alcuni uomini non sanno di essere un dono del cielo.
Lo saprebbero se noi glielo dicessimo. 


- don Bruno Ferrero - 
da: "La Vita è tutto ciò che abbiamo" Casa editrice ElleDiCi




«Il nostro cambiamento avverrà non appena saremo capaci di dirci: Il mio stare bene, o male, dipenderà solo da come indirizzerò il mio pensiero.
Non dalle avversità o dai successi.»

- R. Santandreu -



Non insistere, il fiore non sboccia
prima del giusto tempo.
Neanche se lo implori,
neanche se provi ad aprire i suoi petali,
neanche se lo inondi di sole.

La tua impazienza ti spinge a cercare la primavera;
quando avresti solo bisogno
di abbracciare il tuo inverno.


- Ada Luz Màrquez - 




CORAGGIO!! CE LA POSSIAMO FARE!!

Buona giornata a tutti. :-)



venerdì 7 settembre 2018

Non vi dareste pace, perché la scuola che perde Gianni non è degna d'essere chiamata scuola…da "Lettera a una professoressa" - Don Lorenzo Milani

"…Se ognuno di voi (insegnanti) sapesse che ha da portare innanzi a ogni costo tutti i ragazzi e in tutte le materie, aguzzerebbe l'ingegno per farli funzionare.
Io vi pagherei a cottimo.
Un tanto per ragazzo che impara tutte le materie. O meglio multa per ogni ragazzo che non ne impara una.
Allora l'occhio vi correrebbe sempre su Gianni.
Cerchereste nel suo sguardo distratto l'intelligenza che Dio ci ha messa certo uguale agli altri.
Lottereste per il bambino che ha più bisogno, trascurando il più fortunato, come si fa in tutte le famiglie.
Vi svegliereste la notte con il pensiero fisso su lui a cercar un modo nuovo di fare scuola, tagliato su misura sua.
Andreste a cercarlo a casa sua se non torna.
Non vi dareste pace, perché la scuola che perde Gianni non è degna d'essere chiamata scuola…


- Don Lorenzo Milani -
 da: "Lettera a una professoressa"





"Dopo l'istituzione della scuola media a Vicchio arrivarono a Barbiana anche i ragazzi di paese. Tutti bocciati naturalmente.
Apparentemente il problema della timidezza per loro non esisteva. Ma erano contorti in altre cose.
Per esempio consideravano il gioco e le vacanze un diritto, la scuola un sacrificio. Non avevano mai sentito dire che a scuola si va per imparare e che andarci è un privilegio. 
Il maestro per loro era dall'altra parte della barricata e conveniva ingannarlo.
Cercavano perfino di copiare. Gli ci volle del tempo per capire che non c'era registro.
Anche sul sesso gli stessi sotterfugi. Credevano che bisognasse parlarne di nascosto. Se vedevano un galletto su una gallina si davano le gomitate come se avessero visto un adulterio. 
Comunque sul principio era l'unica materia scolastica che li svegliasse.
Avevamo un libro di anatomia. Si chiudevano a guardarlo in un cantuccio.
Due pagine erano tutte consumate. 
Più tardi scoprirono che son belline anche le altre. Poi si accorsero che è bella anche la storia.
Qualcuno non s'è più fermato. Ora gli interessa tutto. Fa scuola ai più piccini, è diventato come noi.
Qualcuno invece siete riusciti a ghiacciarlo un'altra volta. 
Delle bambine di paese non ne venne neanche una. Forse era la difficoltà della strada. Forse la mentalità dei genitori. 
Credono che una donna possa vivere anche con un cervello di gallina. I maschi non le chiedono di essere intelligente. 
E' razzismo anche questo. Ma su questo punto non abbiamo nulla da rimproverarvi. Le bambine le stimate più voi che i loro genitori. 
Sandro aveva 15 anni. Alto un metro e settanta, umiliato, adulto. I professori l'avevano giudicato un cretino.
Volevano che ripetesse la prima per la terza volta. 
Gianni aveva 14 anni. Svagato, allergico di natura. I professori l'avevano sentenziato un delinquente. E non avevano tutti i torti, ma non è un motivo per levarselo di torno. 
Né l'uno né l'altro avevano intenzione di ripetere. Erano ridotti a desiderare l'officina. Sono venuti da noi solo perché noi ignoriamo le vostre bocciature e mettiamo ogni ragazzo nella classe giusta per la sua età. 
Si mise Sandro in terza e Gianni in seconda. E' stata la prima soddisfazione scolastica della loro povera vita. 
Sandro se ne ricorderà per sempre. 
Gianni se ne ricorda un giorno sì e uno no. 
La seconda soddisfazione fu di cambiare finalmente programma. 
Voi li volevate tenere fermi alla ricerca della perfezione. Una perfezione che è assurda perché il ragazzo sente le stesse cose fino alla noia e intanto cresce. Le cose restano le stesse, ma cambia lui. Gli diventano puerili tra le mani. 
Per esempio in prima gli avreste detto riletto per la seconda o terza volta la Piccola Fiammiferaia e la neve che fiocca fiocca fiocca. Invece in seconda ed in terza leggete roba scritta per adulti.
Gianni non sapeva mettere l'acca al verbo avere. Ma del mondo dei grandi sapeva tante cose. Del lavoro, delle famiglie, della vita del paese. 
Qualche sera andava col babbo alla sezione comunista o alle sedute del Consiglio Comunale.
Voi coi greci e coi romani gli avete fatto odiare tutta la storia. Noi sull'ultima guerra si teneva quattro ore senza respirare. 
A geografia gli avreste fatto l'Italia per la seconda volta. Avrebbe lasciato la scuola senza aver sentito rammentare tutto il resto del mondo. 
Gli avreste fatto un danno grave. Anche solo per leggere il giornale.
Sandro in poco tempo s'appassionò a tutto. La mattina seguiva il programma di terza. Intanto prendeva nota delle cose che non sapeva e la sera frugava nei libri di seconda e di prima. A giugno il “cretino”; si presentò alla licenza e vi toccò passarlo. 
Gianni fu più difficile. Dalla vostra scuola era uscito analfabeta e con l'odio per i libri.
Noi per lui si fecero acrobazie. Si riuscì a fargli amare non dico tutto, ma almeno qualche materia. Ci occorreva solo che lo riempiste di lodi e lo passaste in terza. Ci avremmo pensato noi a fargli amare anche il resto. 
Ma agli esami una professoressa gli disse: - perché vai a scuola privata? Lo vedi che non ti sai esprimere? -
Lo so anch'io che il Gianni non si sa esprimere. 
Battiamoci il petto tutti quanti. Ma prima voi che l'avete buttato fuori di scuola l'anno prima.
Bella cura la vostra. 
Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle  all'infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo. 
Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. 
Appartiene alla ditta. 
Invece la lingua che parla e scrive Gianni è quella del suo babbo. Quando Gianni era piccino chiamava la radio lalla.  E il babbo serio: - Non si dice lalla, si dice aradio -
Ora, se è possibile, è bene che Gianni impari a dire anche radio. La vostra lingua potrebbe fargli comodo. Ma intanto non potete cacciarlo dalla scuola.  
"Tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di lingua." 
L'ha detto la Costituzione pensando a lui."


(da Lorenzo Milani, Lettera ad una professoressa, Libreria ed. fiorentine, Firenze, pp 16-19)