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lunedì 5 agosto 2019

Preghiera per la comunità parrocchiale

Lettera alla Parrocchia

Cara parrocchia,
sappiamo che più o meno consapevolmente molti, anche tra i cristiani, non ti ritengono oggi un riferimento necessario per la loro vita e che in certe zone d'Italia non sei più il centro dell'esperienza di un popolo.
Sappiamo che, per molti, rischi di essere soltanto una stazione di servizio distributrice di sacramenti e di elemosine e che, per alcuni gruppi, sei poco più di una base logistica.
Sappiamo tuttavia che molte associazioni, gruppi e movimenti trovano in te non solo un luogo di accoglienza e di ospitalità, ma la casa e la scuola dove crescere nella fede, per essere missionari nella città degli uomini.
Sappiamo che la fatica del rinnovamento nella fedeltà al Vangelo può togliere anche a te un po' di respiro ed entusiasmo.
Sappiamo che vorresti essere una comunità di celebrazione, di carità e di annuncio, ma che, a volte, ti mancano persone, parole di incoraggiamento e gesti di sostegno.
Sappiamo, infine, che potresti essere una delle molte comunità che sono senza pastore, ma noi non ti molliamo, anzi scommettiamo sulla tua grande capacità di rigenerarti, come hai fatto tante volte nella storia.
Non siamo nostalgici, vogliamo - con te e per te - essere creativi.
Non possiamo fare a meno di te, perché è nel tuo essere Chiesa tra le case, porzione di quella grande comunità che è la Chiesa universale, che noi apprendiamo a fare comunione; è tra le tue mura, chiese, cappelle, tessuti di relazione che incontriamo la comunità, sacramento cui è affidata la Parola che genera per tutti salvezza.
Non possiamo fare a meno di te, se vogliamo compiere oggi il percorso necessario di Parola, rito e carità che ci unisce a Cristo.
Non possiamo fare a meno di te, perché è nella celebrazione eucaristica che troviamo il sostegno decisivo per la nostra fede, la sorgente per la nostra sete di senso, la forza per una convivenza nella giustizia e nella pace.
Non possiamo fare a meno di te, se vogliamo imparare, da laici, consacrati e da preti, come si fa a essere laici, consacrati e preti in mezzo alla gente.
Siamo convinti che ancora molte persone si accostano a te con domande semplici di umana comprensione, di pietà e di condivisione e tu hai ancora per ciascuno parole e gesti di speranza e di fiducia.
Siamo convinti che con te si viene ancora a misurare l'incredulità fragile di molti uomini e donne, la loro nostalgia di Dio, il loro stesso rancore per l'inganno e le trappole in cui sono caduti e tu hai sempre un percorso di fede da ricominciare.
Siamo convinti che il Vangelo che proponi (e come lo proponi) in fedeltà allo Spirito che guida la Chiesa è la risposta ultima alle grandi domande dell'uomo.
Ti vogliamo aiutare a farti cantiere di formazione nei tuoi gesti solenni e quotidiani, nella tua assemblea domenicale, nell'accompagnare con il sacramento la vita che nasce, muore, esplode nella gioia, si affatica nel lavoro, si misura nella malattia.
Ti vogliamo aiutare a farti scuola di comunione anche nelle varie forme associative generate da quella fantasia cristiana che tanta ricchezza di crescita spirituale, di fede e di apostolato ha portato alla vita delle nostre comunità. 
Ti vogliamo aiutare a farti punto di speranza nella capacità di incontrarti con le domande anche più petulanti e disperate, perché le sappia far diventare percorsi di vita e di fede.
Ti vogliamo aiutare a farti segno di quel "totalmente altro" che chiede di mescolarci nella società e di essere presenti nelle istituzioni abitandole da cristiani capaci di mostrare il Volto di Cristo, crocifisso e risorto, figlio dell'uomo e figlio di Dio, che tu ci aiuti a contemplare.
Ti vogliamo aiutare a vivere pienamente, con responsabilità e con gioia la dimensione Diocesana, ad aprirti alla collaborazione con tutte le altre parrocchie, superando ogni autosufficienza.
Ti vogliamo aiutare a confrontarti con un territorio che cambia per l'arrivo di altre culture e altre religioni, a portare al tuo interno per offrirla sull'altare dell'Eucaristia la vita quotidiana dei tuoi fedeli vita di famiglia, vita di lavoro e di disoccupazione, vita di italiani e di stranieri, vita culturale, politica, apertura al mondo intero.
Ti vogliamo aiutare a osare nella verità il dialogo con ogni ricerca di Dio e per questo ti chiediamo di essere esigente con noi stessi perché l'accoglienza e l'ascolto siano il frutto di una fede pensata. 
Cara parrocchia chiedici di più, sapremo darti anche di più e soprattutto lascia sempre trasparire sul tuo volto l'immagine beatificante del Volto di Dio.   

Centro di Orientamento Pastorale [COP], a conclusione della 52ma Settimana di aggiornamento pastorale a Bergamo; Settimana, luglio 2002
                                                                                                                   


                                                 O Gesù che hai detto:

" Dove due o più sono riuniti nel mio nome,

io sono in mezzo a loro,"
sii fra noi, che ci sforziamo di essere uniti nel tuo Amore,
in questa comunità parrocchiale.
Aiutaci ad essere sempre" un cuore solo e un'anima sola",
condividendo gioie e dolori, avendo una cura particolare
per gli ammalati, gli anziani, i soli, i bisognosi.
Fa che ognuno di noi si impegni ad essere vangelo vissuto,
dove i lontani, gli indifferenti, i piccoli scoprono
l'Amore di Dio e la bellezza della vita cristiana.
Donaci il coraggio e l'umiltà di perdonare sempre,
di andare incontro a chi si vorrebbe allontanare da noi,
di mettere in risalto il molto che ci unisce
e non il poco che ci divide.
Dacci la vista per scorgere il tuo volto
in ogni persona che avviciniamo
e in ogni croce che incontriamo.
Donaci un cuore fedele e aperto, che vibri
a ogni tocco della tua parola e della tua grazia.
Ispiraci sempre nuova fiducia e slancio
per non scoraggiarci di fronte ai fallimenti,
alle debolezze e alle ingratitudini degli uomini.
Fa che la nostra parrocchia si davvero una famiglia,
dove ognuno si sforza di comprendere, perdonare,
aiutare, condividere; dove l'unica legge
che ci lega e ci fa essere veri tuoi seguaci,
sia l'amore scambievole. Amen.



Buona giornata a tutti. :-)

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mercoledì 29 maggio 2019

Alla sera ... posiamo i nostri fardelli

Uno psicologo stava spiegando come gestire meglio lo stress. Quando sollevò un bicchiere d’acqua, tutto il pubblico immaginò che avrebbe posto la solita domanda: “Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?”
Quello che invece domandò fu: “Quanto credete che pesi questo bicchiere d’acqua?”
Le risposte variarono da 250 a 400 grammi.
“Il peso assoluto non conta, - replicò lo psicologo - dipende dal tempo per cui lo reggo. Se lo sollevo per un minuto, non è un problema. Se lo sostengo per un’ora, il braccio mi farà male. Se lo sollevo per tutto il giorno, il mio braccio sarà intorpidito e paralizzato. 
In ogni caso il peso del bicchiere non cambia, ma più a lungo lo sostengo, più pesante diventa.” E continuò: “Gli stress e le preoccupazioni della vita sono come quel bicchiere d’acqua. Se ci pensate per un momento, non accade nulla. Pensateci un po’ più a lungo e incominciano a far male. E se ci pensate per tutto il giorno, vi sentirete paralizzati e incapaci di far qualunque cosa.” 
E’ importante ricordarsi di lasciare andare i nostri stress. 
Alla sera, il più presto possibile, posiamo i nostri fardelli. 
Non portiamoceli addosso per tutta la sera e tutta la notte. 
Ricordiamoci di posare il bicchiere.



Al principio, Eva non voleva mangiare la mela. "Mangiala - le disse il serpente - e sarai come gli Angeli". 
"No" rispose Eva imbronciata. 
"Sarai immortale". "No". 
"Sarai come Dio". "No no e no!". 
Il serpente, esasperato, imprecò dio per aver creato le donne così complicate, poi gli venne un'idea. 
Le porse la mela e le disse: "Mangiala, non ingrassa". 



Illustrazione by Laura Watson


Di tutte le passioni, la più complicata, la più difficile a praticare in modo superiore, la più inaccessibile ai comuni mortali, la più sensuale nel vero senso della parola, la più degna degli artisti più raffinati, è sicuramente quella che riguarda il piacere della gola.

- Guy de Maupassant - 





Stressie Cat

Buona giornata a tutti. :-)





martedì 14 maggio 2019

Giovani, ribellatevi ma «solo» con la vita - don Oreste Benzi

Oggi non si può più essere cristiani come semplice conseguenza del fatto di vivere in una società che ha radici cristiane: anche chi nasce da una famiglia cristiana ed è educato religiosamente deve, ogni giorno, rinnovare la scelta di essere cristiano, cioè dare a Dio il primo posto, di fronte alle tentazioni che una cultura secolarizzata gli propone di continuo, di fronte al giudizio critico di molti contemporanei”.

“Le prove a cui la società attuale sottopone il cristiano, infatti – sono tante, e toccano la vita personale e sociale. 
Non è facile essere fedeli al matrimonio cristiano, praticare la misericordia nella vita quotidiana, lasciare spazio alla preghiera e al silenzio interiore; non è facile opporsi pubblicamente a scelte che molti considerano ovvie, quali l’aborto in caso di gravidanza indesiderata, l’eutanasia in caso di malattie gravi, o la selezione degli embrioni per prevenire malattie ereditarie. 
La tentazione di metter da parte la propria fede è sempre presente e la conversione diventa una risposta a Dio che deve essere confermata più volte nella vita. 


- papa Benedetto XVI -




Io dico spesso ai giovani che sempre più fre­quentemente incontro:

"Ribellatevi, non con la violenza, ma con la vita, senza mai demordere. 
Siate come un rullo compressore vivente che non la­scia tranquillo nessuno. Non scendete a compro­messo. Riappropriatevi della gestione della società. Siete stati sradicati dalle vostre o­rigini, vi è stato tolto il futu­ro dalle mani, siete costretti a consumare emozioni. Per il sistema è meglio che siate drogati!".

Nella società del profitto il potere economico, politico, finanziario, ha co­me fine principale se stesso.

Le leggi che lo regolano non tengono conto dell’uomo, del suo bene, del suo progresso. 

Occorre che le persone che non accettano le regole del profitto e che vogliono intraprendere la strada del gratuito s’incontrino per dare vita a "mondi alternativi" fondati su un sistema di relazioni interpersonali basate sul gratuito.
All’interno di questi "mondi vitali" deve nascere non tanto l’elaborazione teorica, quanto la sperimentazione di vita. Se un insieme di professionisti (medici, avvocati, giudici, maestri etc.) si uniscono ed operano assieme secondo le regole del gratuito, si spezzano le regole della casta.

Se uno è solo potrà essere additato come esempio, ma non cambia la storia. 

Se sono più persone, incidono sulle dinamiche della società del profitto e le mettono in crisi. Questi "mondi vitali" come insieme di persone che attuano la società del gratuito mettono in crisi il modello di famiglia della società del profitto, il modello di impresa, di commercio, di scuola, di divertimento, di lavoro dipendente della società del profitto. 
Intaccano anche il modello di difesa della patria con il servizio militare, di difesa civile con la polizia, di amministrazione della giustizia. 
La seconda linea strategica è l’azione sulla società del profitto, attraverso incentivi e disincentivi e la lotta nonviolenta ma decisa. 
Quando si parla di oppressi bisogna individuare gli oppressori, quando si parla di affamati bisogna individuare coloro che affamano, quando si parla di handicappati bisogna individuare chi fa diventare handicappato, perché si nasce con un limite ma chi fa diventare handicappato è la società.

Bisogna rimuovere le cause dell’ingiustizia perché siano smantellate le fabbriche dei poveri. L’art. 3 della Costituzione «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine politico, economico, sociale che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo e la partecipazione dei lavoratori alla vita sociale». 

Io spero che soprattutto i giovani si sveglino, si ribellino con una vita basata sulla giustizia, non con la violenza, e smettano di accodarsi a chi dice parole e cerca solo di conservare il potere. 


- don Oreste Benzi -

Testo inedito ritrovato tra le carte relative agli anni 2003-2004




"Gesù sa che viene rifiutato e crocifisso, già sa con certezza che risorgerà. 
È così, per sempre. È la nostra storia, fratelli miei! 
Come vorrei che Cristo parlasse al vostro cuore, non vi desse pace e vi facesse capire che ci ha associati alla Sua gloriosa e grande avventura. 
Non guarderemo più allora ciò che toccherà a noi in sorte, ciò che ci capiterà. Noi sappiamo soltanto che camminiamo in Gesù e che Lui ci porta avanti. Sappiamo con certezza che appena annunci la verità di Dio, subito trovi la crocifissione, ma tu l’affronti con gioia perché sai che in quella crocifissione è già contenuta la risurrezione".


- don Oreste Benzi -


sabato 24 novembre 2018

Dagli inizi dell’umanità ci si è posto l’interrogativo: perché il male? Perché le malattie?

Oggi i giornali, le tv, i media esibiscono quotidianamente uomini e donne giovani, belli, sani: questi per loro sono l'uomo o la donna! 
La cultura di massa nasconde costante­mente la sofferenza e il disagio, mostrando i valori esteriori all'uomo, la produttività, l'efficienza, l'apparenza ecc. 
Nonostante i proclami ufficiali e le leggi, spesso i malati e gli anziani sono trattati come «oggetti»: si cura la malattia, non la persona malata. 

A volte la disperazione porta ad attribuire a Dio, il Padre, la nostra sofferenza: «Che cosa ho fatto di male perché Dio mi debba castigare così?». Sia nelle prediche sia nelle preghiere è ancora presente la concezione che «fare la volontà di Dio» sia rassegnazione passiva all'ingiu­stizia, ai mali dell'esistenza, alla fatalità. 
Anche appellarsi al destino come a un fattore predeterminante, al di fuori di ogni razionalità, pesa sull'esistenza di molti cristiani che, come i pagani, prestano fede ai luoghi comuni: «È stato il destino!».



Dagli inizi dell’umanità ci si è posto l’interrogativo: perché il male? 
Perché le malattie?
Non potendo trovare la risposta nell’umano, si è ricercata nel divino, nella religione anziché nella condizione esistenziale dell’uomo. E la risposta della religione fu che esistevano due divinità, una buona, ed era il Dio Creatore, quello della Vita, del Benessere, della Salute, e una divinità malvagia, ed era il Dio della Morte, della Malattia, della Povertà. 
Questa spiegazione era molto semplice, ma risolveva efficacemente il problema del perché della malattia, e della morte……
…. Questa relazione tra la malattia e la colpa dell’uomo è penetrata mettendo le radici nell’intimo delle persone, e nonostante Gesù abbia smentito categoricamente alcuna relazione tra la malattia e il peccato, questo fa che le persone quando vengono a conoscenza di essere affette da una malattia hanno dapprima una reazione di incredulità (Non è possibile!), poi di rifiuto/rabbia (Perché proprio a me?) e infine il devastante senso di colpa: Che cosa ho fatto di male per meritare questo?
Enorme è la responsabilità della Chiesa che ignorando il messaggio evangelico ha favorito la categoria veterotestamentaria della malattia come conseguenza del peccato. E così il concetto del castigo divino è stato inculcato generazione dopo generazione fin dalla più tenera età, cominciando dai bambini, che venivano al mondo già gravati da una colpa, il peccato originale, e ai quali veniva fin dalla più tenera età insegnato l’Atto di Dolore: Mi pento con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi… 
Questa orazione, strettamente legata al sacramento della Confessione, è stata trasmessa inalterata di generazione in generazione con l’unica leggera variante del passaggio dal voi al tu (da vostri a tuoi castighi).

- Padre Alberto Maggi -
da: "Sacralità della vita o dell'uomo"
12 novembre 2016, Congresso AIPO, Civitanova Marche (Italy)


Il cristiano guarda agli infermi con realismo, partecipando con tutto il cuore alle loro sofferenze: tuttavia, non può diventare un consolatore stucchevole. Va loro incontro con amore: esprime, con la sua sollecitudine, la fiducia nella Provvidenza che tutto dispone nell'esistenza per il nostro bene. 
Non sappiamo spiegare il «perché» della sofferenza: non è una punizione né una fatalità. 
Appartiene a un disegno misterioso, nascosto per ora alla nostra comprensione. 
Solo la fede ci aiuta a infondere nei malati la speranza nella Provvidenza e nella presenza del Signore Gesù che dà la forza di affrontare ogni situazione, affidandosi a Lui.
Il Signore non sempre ci libera dalla sofferenza, ma ci pre­serva nella tribolazione.




Nella Bibbia alcuni passi del libro di Giobbe ci illuminano, presentandoci la sua fidu­cia che Dio non lo abbandonerà anche nelle prove della vita, nonostante le discussioni e le provocazioni degli amici: 42,1-6. 
Anche il libro di Tobia ci racconta la storia edificante di un uomo colpito dalla sofferenza e dalle disgrazie, ma sempre accompagnato da Dio in ogni mo­mento. 
Alcuni Salmi ci offrono parole di conforto per rivolgerci a Dio: 41, «Beato l'uomo che ha cura del debole»; 71, «In te, Signore, mi sono rifugiato»; 121, «Alzo gli occhi verso i monti».
Gesù non ha prodotto nessuna teoria sul «perché» della sofferenza. 
Egli ha agito gua­rendo i malati, integrando gli emarginati, vincendo la morte. Come Figlio di Dio si è fatto solidale con la nostra sofferenza, assumendola. Ci ha rivelato la «bella notizia» che anche i malati possono essere felici, se confidano in Dio. 
Nel testo di Giacomo 5,14-15 si parla espressamente della cura della comunità verso i malati, attraverso laici e sacerdoti; si esprime la convinzione che i credenti non accolgono la sofferenza né con la rassegnazione passiva né come punizione di Dio, ma con la cura, la sollecitudine e la solidarietà sia nella preghiera sia nel comportamento pratico. 
La misericordia di Dio si manifesta nella solida­rietà del Figlio di Dio e nell'accoglienza della Chiesa verso i malati.


Buona giornata a tutti. :-)







giovedì 17 maggio 2018

Da “Il padrone del mondo” di Robert Hugh Benson

Una settimana dopo, svegliatasi verso l'alba, Mabel non ricordava più dove fosse; chiamò ad alta voce Oliviero, girò gli occhi stupiti intorno alla camera insolita... poi ritornò in se e tacque.
Negli otto giorni trascorsi in quel rifugio fu sottoposta alla prova; oggi restava libera di mettere in esecuzione ciò per cui era venuta.
Il sabato della settimana precedente subì l'esame davanti ad un magistrato speciale confidandogli, sotto le abituali condizioni di segreto, nome, età, domicilio ed i motivi per i quali domandava 1'applicazione della eutanasia.
Non occorre dire che fu promossa a meraviglia.
Scelse poi Manchester, come città abbastanza lontana ed abbastanza grande da sottrarla alle ricerche di Oliviero: infatti, della sua fuga nessuno poté scoprire le tracce.
Non ebbe sentore alcuno dei sospetti di suo marito, giacché in simili casi la polizia si incaricava di proteggere i fuggitivi: l'individualismo era ammesso unicamente in quanto permetteva di abbandonare la vita a coloro che ne sentivano tedio.
E Mabel ricorse senza dubbio a questo espediente legale, non potendo appigliarsi ad altri: lo stiletto esigeva coraggio e risoluzione; l'arma da fuoco le faceva ribrezzo; e il veleno, sotto il nuovo regime di polizia rigorosa, difficile oltremodo a procurarsi.
Ma poi ella voleva sottoporre ad una seria prova il suo divisamento e rendersi ben certa che non le rimaneva altra via di uscita.
Ora si sentiva più sicura che mai.
L'idea di morire, concepita per la prima volta tra le sofferenze atroci che le fecero provare i moti violenti dell'ultimo giorno dell'anno, era stata presto respinta dallo specioso argomento che l'uomo immaturo era ancora soggetto a ricadute; ma in seguito quel pensiero le riapparve qual demone tentatore, proprio nella luce meridiana fattasi a lei dintorno per le dichiarazioni di Felsemburgh.
E il demone le stava sempre davanti, per quanto cercasse di resistergli, illudendosi che quella dichiarazione che l'aveva riempita di orrore, non diverrebbe mai un fatto compiuto.
Finalmente, quando la teoria politica passò in legge deliberata, Mabel cedé con tutta l'anima alla tentazione.
Da quel momento erano passati otto giorni senza che ella sentisse mai vacillare il proposito.
Però aveva cessato di condannare, persuasa oramai che ogni recriminazione era inutile: sapeva di non poter reggere davanti al fatto di non riuscire a comprendere la nuova fede, e che per lei, comunque fosse per gli altri, non vi era più speranza... Oltre a ciò non lasciava figli...
Quegli otto giorni, stabiliti per legge, furono abbastanza tranquilli.
Mabel aveva portato seco denaro sufficiente per entrare in una di quelle private Case di Rifugio fornite di tutti gli agi convenienti alla vita signorile.
Le infermiere si erano mostrate gentili e riguardose, in modo che ella non ebbe a lagnarsi di loro.
Naturalmente dovette soffrire dapprima per le reazioni inevitabili: passò la prima notte in uno stato da far pietà, coricata nel buio soffocante di quella stanza, mentre tutta la sua natura sensibile protestava e lottava contro il destino che voleva così. Reclamava le cose familiari, la promessa di nutrimento, di aria, di consorzio umano; e ritraeva la faccia inorridita davanti all'abisso tenebroso verso il quale si avviava irrevocabilmente.
Nella lotta affannosa ebbe momenti di calma, solo quando una voce più profonda le mormorava l'avviso che non fosse la morte fine di ogni cosa.
Sul fare del mattino ella rinvenne; e la volontà riacquistato il suo potere, cancellò definitivamente ogni segreta speranza di vivere.
Dovette inoltre soffrire per una più positiva paura, ricordando le scandalose rivelazioni, che dieci anni prima misero sottosopra tutta l'Inghilterra, e portarono gli stabilimenti di eutanasia sotto la sorveglianza del governo.
Era un fatto accertato che, per anni ed anni, nei grandi laboratori di vivisezione servirono per le esperienze soggetti umani; a molti, che, per togliersi dal mondo come lei, entrarono nelle case private di eutanasia, fu somministrato un gas, che sospendeva le funzioni vitali invece di annientarle...
Ma, tutto passò con il nuovo giorno: tali cose non si potevano ripetere sotto il nuovo regime, almeno in Inghilterra.
Appunto per queste ragioni ella non era corsa a cercar la morte sul Continente Europeo; laggiù, dove la logica superava il sentimento, il materialismo andava sino in fondo: se gli uomini non erano che puri e semplici animali... la conclusione veniva da sé......
Intorno alla moralità dell'atto che stava per compiere, alla relazione cioè che passava tra questo e la vita comune degli uomini, non aveva il minimo dubbio: credeva, insieme con tutti gli Umanitaristi, che, come i dolori del corpo giustificavano all'occorrenza il suicidio, così pure i dolori dello spirito.
Quando il disagio fosse giunto ad un grado tale da rendere l'individuo inutile a se stesso ed agli altri, il suicidio diveniva l'atto più caritatevole che potesse esser compiuto.
Certo, non aveva mai pensato, ai suoi giorni, di doversi trovare in simile condizione; si era sentita, anzi, anche troppo attaccata alla vita....
Eppure vi si trovava adesso: la necessità di finirla era dunque fuori di questione.
Riandò più volte in quel tempo all'abboccamento avuto con Mr. Francis.
Recatasi da lui quasi per un impulso istintivo, Mabel voleva udire anche l'altra parte; sapere cioè se il Cristianesimo fosse così ridicolo come aveva creduto sempre.
Ridicolo non era di certo; le parve, anzi, estremamente patetico... un dramma seducente, un brano squisito di poesia!
E sarebbe stata ben felice di credervi; ma sentiva di non potere.
No!
Un Dio trascendente era assurdo, sebbene non fosse meno assurda una Umanità Infinita.
Ma poi... l'incarnazione...
Basta! non se la sentiva!...
Dunque nessuna via di uscita: la religione umanitaria era l'unica vera, l'uomo era Dio o per lo meno la sua più alta manifestazione; ma con questo Dio ella non voleva più aver che fare!......

- Robert Hugh Benson - 
Da “Il padrone del mondo”, Città Armoniosa, 1979



Io penso che sia necessaria una nuova definizione del termine «eutanasia». Non c'è una vera differenza tra «lasciar morire» (interrompendo l'accanimento terapeutico), «aiutare a morire» (sedando il male e il dolore con dosi sempre più elevate di oppiacei) e «provocare il morire» (somministrando un farmaco o un'iniezione letali). 
Tutti e tre questi percorsi sfociano, infatti, nella morte. Chiesta o cercata; solo perché la sofferenza ha toccato limiti insopportabili, che sviliscono ogni dignità umana. 
È diritto dell'uomo chiedere la morte, se è stato colpito da una malattia inguaribile e irreversibile? 
La risposta non può essere che affermativa, perché la vita è un diritto, e non un dovere. 
Scegliere la morte per evitare sofferenze intollerabili fa parte dei diritti inalienabili della persona, e non si può affermare che la vita è un bene «non disponibile» da parte dell'individuo senza negare il concetto stesso di libertà, sottoponendolo a categorie morali che non possono che essere collettive, e che quindi, di fatto, cancellano l'individuo e negano la sua libera autodeterminazione.

- Umberto Veronesi -
da: "Il diritto di non soffrire", Ed. Mondadori



Le leggi sul suicidio assistito sono contro la legge di Dio La pratica del suicidio va contro il 5 ° comandamento: “Non uccidere”
Questo comandamento proibisce l’omicidio di se stessi o l’uccisione altrui. 
Lo Stato non ha il diritto di approvare leggi contrarie alla legge morale e divina. E tutte le persone di buona volontà devono respingere con fermezza il suicidio assistito e difendere la moralità e la retta ragione.
Sapete qual è la differenza tra civiltà e barbarie? La differenza è il rispetto della legge naturale. Anche i pagani sapevano quanto la legge naturale fosse radicata nella nostra natura umana razionale. Tendiamo a fare il bene ed evitare il male.
Così, per uccidere se stessi o per “aiutare” un’altra persona a uccidersi, frantumiamo tale principio fondamentale del diritto naturale e apriamo la strada a una nuova “età della pietra” del “cane mangia cane” ferocemente barbarica.
E – come dimostra la storia – il divario tra “suicidio assistito” e suicidio obbligatorio può essere molto stretto.
Chi può garantire che legalizzare oggi il “suicidio assistito” non prepari la strada a una nuova versione dei forni crematori di Auschwitz domani?

da: www.amicidilazzaro.it/index.php/10-ragioni-contro-il-suicidio-assistito/


Buona giornata a tutti. :-)






sabato 2 dicembre 2017

I sette strumenti musicali

C’era una volta un complesso di sette strumenti musicali: erano un pianoforte, un violino, una chitarra classica, un flauto, un sassofono, una cornetta e una batteria.
Vivevano nella medesima stanza, ma non andavano d’accordo. 
Erano così orgogliosi che ognuno pensava di essere il re degli strumenti e di non aver bisogno degli altri. 
Non solo, ma ciascuno voleva suonare le melodie che aveva nel cuore e non accettava di eseguire uno spartito. 
Tutti ritenevano ciò una imposizione intollerabile che violava la loro libertà di espressione.
Quando al mattino si svegliavano ognuno cominciava a suonare liberamente le proprie melodie e per superare gli altri usava i toni più forti e violenti.
 

Risultato: un inferno di caotici rumori.

Una notte capitò che la batteria non riuscisse a chiudere occhio per il nervoso. Per passare il tempo cominciò a scatenarsi con le sue percussioni. 
Fu la goccia che fece traboccare il vaso. 
Per la prima volta tutti gli strumenti si trovarono d’accordo su una cosa: la decisione di andare ognuno per conto suo.
Stavano per uscire quando alla porta bussò una bacchetta con uno spartito in cerca di strumenti da dirigere.
Parlando con garbo e diplomazia chiese loro di fare una nuova esperienza, quella di suonare ognuno secondo la propria natura, ma con note, ritmi e tempi armonizzati.
“Con un occhio guardate lo spartito, con l’altro i miei cenni, dopo che avrò dato il via, disse la bacchetta”.
Un po’ perché erano molto stanchi del caos in cui vivevano, un po’ per la curiosità di fare una nuova esperienza, accettarono.
Si misero a suonare con passione dando ognuno il meglio di se stesso e con una obbedienza totale alla bacchetta… magica.
A mano a mano che andavano avanti si ascoltavano l’un l’altro con grande piacere. Quando la bacchetta fece il cenno della fine un’immensa felicità riempiva il loro cuore: avevano eseguito il famoso Inno alla gioia di Beethoven.

Cosa mi dice questa storia :

L'essere umano non e' nato per vivere da solo, dunque per vivere in una comunita' sono importantissime le regole che comportano diritti e doveri. 
La libertà assoluta non può che andare a ledere la libertà degli altri, per cui e' necessario trovare dei compromessi affinchè si rispettino gli altri ed al tempo stesso gli altri rispettino noi.
Da qui l'importanza dell'insegnamento dell'educazione civica, sin dai primi mesi di vita da parte dei genitori , della scuola e della comunità.

Insomma, non pensiamo sempre col nostro ego, ma proviamo a metterci sempre dall'altra parte e vedere se saremmo felici che qualcuno ci faccia quello che noi stiamo facendo.

(dal web)


Ci sono le divisioni sociali e ci sono le disuguaglianze economiche; opulenza e miseria. Razionalmente e cristianamente esse andrebbero vagliate in un confronto dialettico, sistemi elettorali, dialoghi, indagini, e altri metodi di pace. Se chi governa, governa nell’interesse del popolo, non dovrebbe alimentare con stampa e comizi, le discordie, che massacrano la comunità..

- Igino Giordani - 
 L’unico amore, Città Nuova, 1974 p.138




Far ritornare la società attuale alla carità dei primi cristiani non sarà mai possibile se i membri della conquista non siano essi stessi l'esempio pratico. 
Si legge nelle prime storie del cristianesimo che i pagani si convertivano non tanto per i miracoli, quanto piuttosto per il disprezzo che i primi cristiani avevano della gloria e del denaro.
Allora, se i miracoli non sono bastati per convertire il mondo pagano, occorrerà trovare i mezzi più adatti. E il mezzo più adatto, anzi il più efficace, credo sia la santità della nostra vita.

Sia dunque la nostra vita santa, ma di quella santità che si presenta come modello da imitare.

- beato don Luigi Monza -