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giovedì 17 gennaio 2019

Guida tu la tua canoa - Baden Powell

Quando ero giovane c'era in voga una canzone popolare: «Guida la tua canoa» con il ritornello: «Non startene inerte, triste o adirato. Da solo tu devi guidar la tua canoa». 
Questo era davvero un buon consiglio per la vita.
Nel disegno che ho fatto, sei tu che stai spingendo con la pagaia la canoa, non stai remando in una barca. La differenza è che nel primo caso tu guardi dinnanzi a te, e vai sempre avanti, mentre nel secondo non puoi guardare dove vai e ti affidi al timone tenuto da altri e perciò puoi cozzare contro qualche scoglio, prima di rendertene conto.
Molta gente tenta di remare attraverso la vita in questo modo. Altri ancora preferiscono imbarcarsi passivamente, veleggiando trasportati dal vento della fortuna o dalla corrente del caso: è più facile che remare, ma egualmente pericoloso.
Preferisco uno che guardi innanzi a sé e sappia condurre la sua canoa, cioè si apra da solo la propria strada. Guida tu la tua canoa.

- Baden Powell -





"Sei stato educato a scuola in una classe e non eri che una pecora del gregge. 
Ti hanno insegnato gli elementi generali del sapere e ti è stato insegnato "come imparare". 
Ora spetta a te come individuo di andare avanti e di imparare da solo quelle cose che daranno più forza al tuo carattere e ti permetteranno di riuscire nella vita facendo di te un uomo.”

- Baden Powell -








“Dobbiamo iniziare con l’essere felici 
perché è il più grande servizio che si possa rendere all’umanità.  
Se siamo felici, c’è almeno un luogo di felicità.  
La felicità deve però continuamente accrescersi, 
e si accresce man mano che altre persone diventano un po’ più felici. 
Se nella vostra vita avete reso felice anche una sola persona, 
non avete perduto il vostro tempo; 
se avete fatto felice un cane, oppure una pianta fiorita 
in un giorno di primavera che vi ha dato l’impressione di rispondervi, ne valeva la pena. 
Credo che la nostra vita sia perduta se questo dono, 
che è dentro di noi, non riesce ad essere comunicato. 
Se nessuno vuole il dono che è in voi, 
offritelo a tutti gli esseri, alla vita, al vento! 
Il vento lo porterà a quelli che ne hanno più bisogno… 
E’ il momento di dare! 
Io dono e accolgo coloro che possono avere bisogno”.

- Jean-Yves Leloup -
Da: La montagna nell’oceano


Buona giornata a tutti. :-)



martedì 8 gennaio 2019

Dai al tuo Adesso il valore che meriti. - Oscar Travino

Quell'amore finito, quel treno non preso, quella scelta non fatta.
L'eco delle possibilità perdute che risuona nel nostro Oggi. 
La voce della vita non vissuta che prepotentemente irrompe, togliendo energia alla vita che viviamo.
Che strana cosa, perdersi in ciò che non è stato. Che strana cosa, immaginarlo sempre come luminosa alternativa a quello che è oggi reale.
Sarebbe stato più bello.
Sarei stata più felice.
Avrei fatto tutte quelle cose.
Sarebbe stato l'amore della mia vita.
La verità è che ciascun istante è figlio dell'irripetibile combinazione di innumerevoli fattori. La nostra esistenza stessa lo è. 
Un minuto di ritardo e magari i tuoi bisnonni non si sarebbero incontrati. E tu non saresti qui, forse.
Quelle chiavi dimenticate, il tuo cercarle e perdere quegli istanti per uscire di casa potrebbe averti salvato la vita e non puoi saperlo.
Quell'ex amore avrebbe potuto trasformarsi in un inferno. 
Quel treno non preso avrebbe potuto condurti ad una vita di infelicità.
Non sappiamo, non ci è dato sapere.
Inutile perdersi nei meandri delle possibilità perdute. 
Non è stato, non poteva essere.
Il vero miracolo è questo tuo essere qui.
E questo sì che merita la tua attenzione.
Respira, sei viva.
Dai al tuo Adesso il valore che meriti.

@2018 Oscar Travino
da: "L' ora o il mai più. Pensieri liberi di uno psicoterapeuta"



Nell'era della comunicazione totale e degli occhi bassi sui cellulari, i rapporti funzionano quando son fatti di piccole frasi luminose.
Miliardi di parole regalate ad uno schermo intrecciano i fili di legami posticci che si sfaldano al confronto col reale.
E, quando siamo uno di fronte all'altro, non ci si ri-conosce.
Perchè conoscersi è carne, sangue, odori, respiro, sguardi, lentezza, noia, imbarazzo, sospiri e tentennamenti.
Senza, è troppo facile cadere nell'inganno delle idealizzazioni.
Nell'era della comunicazione totale abbiamo un disperato bisogno di tornare a comunicare davvero, guardandoci negli occhi.
Come re-imparare ad essere umani. Carne e spirito, sogni e realtà.
Che paradosso.


©2011-2016 Oscar Travino
da: "L' ora o il mai più. Pensieri liberi di uno psicoterapeuta"



Buona giornata a tutti. :-)






lunedì 7 gennaio 2019

Da “Il padrone del mondo” - Robert Hugh Benson

La persecuzione è imminente.
Se ne sono già fatti dei tentativi; ma non è da temere la persecuzione.
Senza dubbio cagionerà, come sempre, delle apostasie; ma queste sono da deplorarsi più da un punto di vista individuale.
D'altra parte essa confermerà i veri fedeli e purgherà la Chiesa dalle mezze coscienze.
Già, nei primitivi tempi l'attacco di Satana si esercitò sui corpi con le sferze, con il fuoco e le fiere; nel decimosesto sulle intelligenze, nel ventesimo sulle sorgenti medesime della vita spirituale e morale; quest'ultimo è un triplice assalto sul corpo, sull'intelletto e sul cuore.
Ma quel che fa maggiormente paura è la influenza positiva dell' Umanitarismo; esso si avvicina, come il regno di Dio, con potestà grande, esalta le menti visionarie e romantiche, asserisce le sue verità senza dimostrarle, soffoca con i guanciali invece di stimolare e ferire con le armi della dialettica: e sembra, almeno da quel che vediamo, che si sia aperta la via fino ai più segreti recessi del cuore umano.
Persone che non ne hanno mai udito il nome professano le sue massime; i preti le assorbono come già assorbivano Iddio con la Comunione - qui menzionò le più recenti apostasie - i fanciulli se ne inebriano come già si inebriavano del catechismo. L'anima naturalmente Cristiana sembra diventata l'anima naturalmente infedele.
La persecuzione - esclamò il prete - deve essere salutata, implorata, abbracciata come l'ancora di salvezza; e, speriamo che le autorità non siano tanto scaltre da distribuire l'antidoto insieme con il veleno; vi saranno così martiri individuali, vi saranno, e molti, ma a dispetto del governo secolare, non a causa di esso.
Finalmente c'è da aspettarsi che l'Umanitarismo vesta gli abiti della liturgia e del sacrificio; dopo di che se Iddio non interviene, la causa della Chiesa
sarà perduta!



- Robert Hugh Benson - 
Da “Il padrone del mondo”, Città Armoniosa, 1979

Asmodeo, chiesa de Rennes le Château, France


Si, figlio mio! E che cosa ci resterebbe da fare? 
Santo Padre, la Messa, la preghiera, il rosario: queste sono le prime e le ultime cose. 
Il mondo nega la loro potenza, ed appunto in queste devono i cristiani cercare l'appoggio ed il rifugio.
Tutte le cose in Gesù Cristo, in Gesù Cristo ora e sempre; nessun altro mezzo può servire: Egli deve far tutto, perché noi non possiamo fare più nulla!

- Robert Hugh Benson - 

Da “Il padrone del mondo”, Città Armoniosa, 1979




Santità , ho un vecchio progetto...vecchio quanto Roma.
É l'idea dei pazzi! 
Un nuovo ordine... un nuovo ordine - diceva Percy con voce malferma.
La bianca mano lasciò il pressacarte. Il Papa sporse avanti la testa e guardò fisso il giovine prete.
Proprio, figlio mio?-
Percy cadde in ginocchio.- Un nuovo ordine, Santità, senza abito o distintivo speciale, soggetto unicamente alla Santità Vostra, più libero dei Gesuiti, più penitente dei Certosini, più povero dei Francescani, formato di uomini e di donne, con i tre voti, aggiuntavi l'intenzione di subire, all'occorrenza, anche il martirio.
Il Pantheon sarà la sua Chiesa, ogni vescovo ne sorveglierà i membri entro i limiti della sua giurisdizione, e un luogotenente in ciascun paese... (Santità, è il pensiero di un pazzo... ) e Cristo Crocifisso sarà il suo patrono. 
Percy cadde sul letto con un gran tremito nei polsi, con gli occhi chiusi e con una invincibile disperazione nel cuore. 
Il mondo si drizzava come un gigante sopra l'orizzonte di Roma e la città santa appariva simile ad un castello di sabbia in mezzo ai flutti del mare. 
Troppo lo sapeva.
Come poi avverrebbe la catastrofe, in qual forma, in quale direzione, questo egli non conosceva né si dava pena di conoscere; solo era convinto che non si poteva sfuggire.
Uso alla introspezione egli penetrava con gli sguardi più amari le intimità della coscienza, come un dottore, che, affetto da malattia mortale, si accingesse impassibile alla diagnosi spaventosa dei propri sintomi; senza dire che egli provava un certo sollievo nel chiudere gli occhi al mostruoso meccanismo del mondo, per considerare il microcosmo di un cuore umano che non ha più speranza. 
La Religione Umanitaria poteva esser vera solo a condizione di misconoscere una metà a dir poco della natura umana, con le sue aspirazioni e le sue miserie; mentre queste il Cristianesimo le accettava come un fatto e ne rendeva ragione, anche se non riusciva adeguatamente a spiegarle; le considerava come elementi necessari alla perfetta integrazione del tutto.
La fede cattolica era per lui più certa della sua vita stessa, vera insieme e vivente.
E in primo luogo è necessario che pronunciamo la Nostra sentenza intorno al cosìddetto movimento nuovo che è stato di recente promosso dai potentati del secolo.
Lungi da noi il disconoscere i benefici della pace e della concordia, ma non possiamo dimenticare che l'avvento di esse è il frutto di troppe cose, che Noi abbiamo condannate. È questa una pace illusoria, che ha sedotto tanti e tanti traendoli a dubitare della promessa del Principe della pace: che, cioè, per Lui solo, noi abbiamo l'accesso al Padre.
La vera pace, che supera il nostro intendimento, non riguarda solo le relazioni degli uomini fra loro, ma principalmente quelle che intercedono tra gli uomini ed il loro Creatore; mentre su questo punto capitale, il compito degli uomini è venuto meno.
E in verità, non reca meraviglia, se in un mondo che ha ripudiato Iddio, un tale soggetto sia perduto di vista.
Gli uomini pervertiti dai loro seduttori, sono convinti che l'unione delle Nazioni sia il bene più alto di questa vita, immemori delle parole del Salvatore, il quale non venne a portare la pace, ma la spada, e che per la via delle tribolazioni si può entrare nel suo Regno.«Bisogna adunque stabilire, prima di tutto, la pace tra l'uomo e Dio; da questa l'unione tra uomo e uomo dovrà conseguire.
Cercate prima - dice Gesù Cristo, - il Regno di Dio; poi tutte le altre cose vi saranno date in aggiunta.

«Innanzi tutto Noi condanniamo e anatematizziamo le opinioni di coloro che insegnano e credono il contrario di quanto noi insegniamo e crediamo; perciò rinnoviamo le condanne inflitte dai Nostri Predecessori contro tutte le società, organizzazioni, comunità, che sono state costituite con lo scopo di promuovere l'unità su tutt'altra base che quella divina, e ricordiamo ai Nostri figli di tutto il mondo la proibizione di entrare, favorire ed approvare in qualsivoglia maniera ogni sodalizio compreso in quelle condanne».

Nessuno potrà essere  immesso nell'Ordine, se non compiuti i diciassette anni. Nessun ornamento, nessun abito, nessun distintivo gli sarà proprio. 
I tre consigli evangelici costituiranno il fondamento della Regola; ed a questi Noi aggiungiamo una quarta intenzione, cioè: il desiderio del martirio ed il proponimento di riceverlo.………

Altra ricompensa non offriamo se non quella che Iddiostesso promette a coloro che lo amano e sacrificano la loro vita per Lui; non altra promessa di pace, se non di essere disprezzati dal mondo umano; nessun'altra patria fuori di quella che conviene ai pellegrini ed ai viatori che guardano ad una Città di là da venire; nessun altro onore se non di essere disprezzati dal mondo, nessun'altra vita, fuori di quella che è nascosta con Gesù Cristo in Dio».

Del resto il suo stato di animo aveva come centro la semplice fede. Per lui la religione cattolica sola poteva spiegare adeguatamente un universo, e, anche se non apriva le porte di tutti i misteri, doveva sempre ritenersi come la chiave migliore. Era altresì convinto che il Cristianesimo fosse l'unico sistema di pensiero che appagasse tutto l'uomo, l'unico che potesse penetrare a fondo nella sua natura; che l'insuccesso del Cristianesimo nell'unire perfettamente gli uomini non dipendeva dalla sua debolezza: ne dimostrava anzi la vitalità: le sue vie portano verso l'eternità, non verso il tempo. Questa la sua fede

Tavolta si svegliava e si trovava tra le tenebre; tentava dormire, e si sentiva soffocato; celebrava, e non gustava la ineffabile dolcezza del Pane Divino, né i palpiti del Prezioso Sangue.
Tal'altra le tenebre si addensavano talmente, che perfino gli oggetti della sua fede sembravano dileguare come ombre: la sua natura diveniva per metà cieca non solo a Cristo, ma allo stesso Dio e alla sua reale esistenza...
Il suo abito pontificale gli appariva come il distintivo di un pazzo.
Ed allora la sua mente terrena si domandava: come credere che Lui, con i dodici del suo collegio e le poche migliaia di seguaci, avesse ragione, ed il consenso di tutto il mondo rincivilito avesse torto?
Il mondo aveva ricevuto il messaggio del Vangelo; per duemila anni non gli si era predicato altro; eppure adesso dichiarava che il Vangelo era falso... falso nelle sue credenziali, falso nelle sue spirituali esigenze...
Ed allora il Capo dei fedeli soffriva per una causa perduta; egli era l'ultimo della lunga serie, come lo stoppino fumante di una candela che non aveva fatto lume ad alcuno, la riduzione all'assurdo di un sillogismo ridicolo basato su premesse impossibili...
Neppur meritavano di morire Lui ed i suoi compagni di insania... no, dovevano rimanere per essere i patentati idioti alla scuola del mondo!

Era dunque il materialismo l'unica via di salute?
Si sentiva talvolta così ottenebrato nell'abbattimento fino quasi a credere d'aver perduta la fede; la ribellione della mente era così violenta, che arrestava ogni moto del cuore; la brama della pace terrena così intensa, che soffocava ogni aspirazione celeste; e la tenebra così fitta, che egli sperando contro la propria speranza, controponendo la fede alla conoscenza ed alla verità l'amore, gridava, come già aveva gridato l'altro: Eli! Eli! Lamma sabachtani?
In una cosa sola trovava il conforto e la perseveranza, almeno quando la sua coscienza era turbata: nella contemplazione. 

Ma sopraggiunta la comunità universale degli interessi, la situazione cambiava interamente di aspetto: la personalità unificata della razza prendeva il posto delle unità separate; e, questa sostituzione, che si poteva considerare come un passaggio all'età matura, dava origine a nuovi diritti. 
La razza umana si concepiva ora come un'entità singola, avente una responsabilità suprema verso se medesima: sparivano dunque i diritti dell'individuo, giustamente riconosciuti nelle epoche precedenti.
L'uomo aveva adesso il supremo dominio sopra ciascuna cellula del suo Corpo Mistico; e là, dove qualche cellula agiva in detrimento del Corpo, i diritti del Tutto erano illimitati.
Una sola religione reclamava diritti ugualmente universali: la religione cattolica.
Le sètte dell'Oriente, pur ritenendo i propri caratteri distintivi, avevano tuttavia ritrovato nel Nuovo Mondo la incarnazione dei loro ideali, e si erano per conseguenza sottomesse alla Autorità del gran Corpo, di cui Felsemburgh era capo riconosciuto.
Il Cattolicesimo invece negava essenzialmente l'idea stessa dell'uomo: i Cristiani piegavano il capo ad un essere immaginario, che pretendevano non solo separato dal mondo, ma superiore al mondo stesso.
I Cristiani dunque - senza considerare la stolta leggenda della incarnazione, che basterebbe da sola a far tramontare la loro folle credenza - si distaccavano deliberatamente da quel Corpo Mistico, di cui per natura facevano parte; erano come membra morte, che, soggiacendo all'influsso di una forza esteriore, la quale non poteva vivificarle, mettevano in pericolo la vita del Corpo intero.
Questa, l'unica insensatezza, che meritasse ora il nome di delitto.
L'assassinio, il furto, la rapina, la stessa anarchia apparivano colpe leggere di fronte a questa iniquità mostruosa, poiché ferivano il corpo, ma non il cuore; facevano soffrire gli individui, e meritavano di essere perciò repressi, ma non colpivano veramente la vita.
Solo il Cristianesimo portava seco un veleno mortale; ed ogni cellula, in cui venisse inoculato, infettava le fibre stesse che la ricollegavano alla sorgente della vita. Questo e questo solo il massimo delitto di alto tradimento contro l'Uomo; delitto, che non richiedeva altra ammenda se non la completa estirpazione del Cristianesimo.



- Robert Hugh Benson - 
Da “Il padrone del mondo”, Città Armoniosa, 1979



Buona giornata a tutti. :-)






lunedì 26 novembre 2018

I dieci consigli del risveglio spirituale nella vita quotidiana - Jeff Foster

“Ho veramente ottenuto niente dalla completa, insuperabile illuminazione!”
Buddha
Il risveglio spirituale non è uno stato, un’esperienza o un obiettivo da raggiungere in futuro. 
Come il Buddha ha insegnato, non è un sovrumano risultato o un conseguimento. Non è necessario andare in India per trovarlo. 
Non è uno stato speciale di perfezione riservato agli esseri illuminati, a pochi fortunati e privilegiati. 
Non è un’esperienza fuori dal corpo, e non comporta vivere in una grotta, staccandosi dalla realtà di questo mondo. Non può esserti trasmesso da uno stravagante guru, né può essere tolto, o perso.
Non devi diventare discepolo o seguace di qualcuno. 
È un invito costante e antico – durante ogni momento della tua vita –ad abbracciare te stesso esattamente come sei, in tutte le tue gloriose imperfezioni. 

Si tratta di essere presente, uscendo dall‘epica storia del passato e del futuro (“la storia della mia vita”) e si presenta per questo prezioso momento, sapendo che anche i tuoi sentimenti di non-accettazione sono qui accettati. 
Riguarda l’aprirsi radicale a questo straordinario dono di una vita, abbracciando sia il dolore che la gioia di essa, la beatitudine e la sofferenza, l’estasi e la sopraffazione. Sapendo che sei la vita stessa – grande, sveglia, viva, libera – mai separata dal Tutto. Il risveglio non è una destinazione – è il tuo diritto di nascita, la tua natura. Ecco alcuni semplici principi:

1) NON C’E’ DESTINAZIONE – C’E’ SOLO L’ORA
C’è solo QUESTO; la scena presente nel film della tua esistenza. 
Esci dall’epico racconto di tempo e spazio, passato e futuro, rimpianto e anticipazione, e della ricerca di diversi stati di esperienza, e anche dalla ricerca dell’illuminazione. Rilassa la tua concentrazione all’abituale “cosa è andato perduto”, “cosa non è ancora qui” – cose che non puoi controllare dal luogo in cui sei. Esci dalla storia della “mia vita” e permetti a te stesso di lasciarti affascinare da ciò che è vivo, qui, ora. Sii curioso al riguardo di questa vera danza di pensieri, sensazioni, emozioni e impulsi che accadono dove sei. Ricorda, l’ORA è l’unico luogo da cui le vere risposte possono eventualmente emergere. Il momento presente è la tua vera casa, prima di tempo e spazio. È tutto ciò che c’è; la calma nel mezzo della tempesta.

2) PENSARE E RESISTERE CREANO SOFFERENZA
La sofferenza non è il vero problema; il vero problema è il nostro pensare alla sofferenza, o la resistenza al disagio, i nostri tentativi di fuggire da tutto questo e raggiungere un futuro immaginato. 
Il vero problema comincia quando cominciamo a rimuginare sui nostri dolori, sulla nostra tristezza, la nostra paura, la rabbia; meditare sul nostro disagio, mandare continuamente avanti o indietro il film della nostra vita! Mastichiamo dolori di ieri e di oggi invece di esplorare direttamente e vivere le esperienze che sono arrivate oggi così come sono arrivate. Aggiungiamo un inutile strato di rimuginare e resistere alla vita ed è questo che crea sofferenza. L’invito? Esci dal passato e dal futuro, cerca e aspira, incontra la vita per come è, ora, senza giudizio e senza l’aspettativa che la “pace” e il “rilassamento”, l’illuminazione o qualunque altro tipo di cambiamento dia un risultato. Incontra il momento nel suo stesso terreno. Guarda a tutto questo come ad un regalo. Mostrati, sia al gradevole che allo sgradevole, al piacevole e al doloroso, senza un’agenda prefissata.

3) I PENSIERI E LE SENSAZIONI NON SONO PERSONALI E NON SONO LA VERITA’
Guarda ai pensieri e alle sensazioni come ad eventi impersonali nella consapevolezza. Proprio come i suoni che udiamo, i pensieri e le sensazioni fisiche arrivano e scompaiono spontaneamente, come onde nell’oceano di Te. Non possono essere controllati, cancellati e non se ne può fuggire. 
Coltiva verso i pensieri e le sensazioni la stessa modalità gentile che hai verso i suoni. Incontra tutti i pensieri e le sensazioni con un’attitudine di gentilezza e curiosità. Guardali e accoglili nella tua presenza.

4) TU SEI LO SPAZIO PER I PENSIERI, NON IL PENSATORE
I pensieri non sono te, e non sono la verità; sono solo suggerimenti, possibilità, rumori, pubblicità, giudizi, voci, immagini, ritorni al passato o viaggi nel futuro che arrivano e scompaiono, nuvole nella vastità del tuo cielo. Non provare a fermarli, azzittirli, cacciarli, cancellarli o controllarli. 
Sii lo spazio per essi, anche se sono attivi ora! Ricorda, se noti i pensieri, se ne sei conscio, non ne sei intrappolato. Non ti definiscono. Tu sei il loro contenitore silenzioso, non colui che ne è contenuto. Sii ciò che sei- l’abbraccio immutabile dei pensieri, la vastità in cui i pensieri possono arrivare e dissolversi e andare quando vogliono.

5) RESPIRA NEL TUO DISAGIO E NEL TUO DOLORE, ONORALI
Respira nelle tue sensazioni sgradevoli; dona loro dignità. Onorale invece di chiuderti ad esse, falle morire dando loro calore. 
Nell’inspirazione immagina o senti il tuo respiro muoversi in quell’area tenera e abbandonata, infondi in essa vita e amore. Riempi le aree di non conforto del tuo corpo con l’ossigeno, con calore e con dignità. Non cercare di “guarire” le sensazioni, o anche solo di “lasciarle andare”. Esse vogliono essere incontrate, onorate, incluse nella scena presente. 
Diamo per scontato che anche il disagio abbia una sua intelligenza; e che non è “contro” di te. Sappi che la vera gioia non è l’assenza né l’opposto di tristezza o dolore, ma la voglia di abbracciarli entrambi.

6) L’ACCETTAZIONE NON E’ QUALCOSA CHE «FAI», MA CIO’ CHE SEI
Accettazione non significa che un pensiero o una emozione sgradevole scomparirà; potrebbe accompagnarti ancora per un po’. Non cercare di accettarlo ( perché questo atteggiamento è spesso resistenza travestita) ma sii consapevole che è GIA’ accettato, già qui, già parte dello scenario. 
Trattalo come se forse potesse restare per sempre lì! Questo può aiutarti a ridurre la pressione del tempo (cercare di farlo andare via, o chiedersi “perché è ancora qui”). È qui ora. Inchinati davanti a QUESTA realtà. 
Sii curioso. Permetti a ogni urgenza, ogni sentimento di frustrazione, di noia, di disapprovazione o anche disperazione, di sorgere e di essere abbracciato e incluso. 
Sono tutti parte della scena presente, non bloccarli. Anche la sensazione di blocco è parte della scena!

7) NON C’E’ ALCUN «SEMPRE» E ALCUN «MAI»
In realtà, non c’è “sempre” e non c’è “mai”. Sii consapevole di queste parole, sono bugie, e possono creare una sensazione di fretta e di mancanza di 
potere; nutrono la storia della ricerca cercare e della mancanza. 
Non c’è alcun “resto della mia vita”, nessun “per anni”, nessun “per tutto il giorno”. C’è solo l’ORA, il tuo unico luogo di potere. A volte anche pensare al domani è davvero già troppo lavoro. Sii qui.

8) PUOI ARRIVARE «LA’» SOLO ESSENDO «QUI»
Spesso ci concentriamo così tanto nella meta, nella destinazione che dimentichiamo il viaggio, ci disconnettiamo da ogni prezioso passo, e creiamo stress, il senso che non “siamo ancora lì”. Eppure la gioia può essere scoperta nel qui e ora, e non ha nulla a che vedere con mete, destinazioni, o col ricevere ciò che vuoi. Togli l’attenzione dai diecimila gradini che devono ancora arrivare, i diecimila gradini che non hai ancora camminato, le diecimila cose che mancano ora, e ricorda i gradini presenti, questo antico terreno vivido, la tua intima presenza. Respira. Senti la vita nel tuo corpo. Spesso non sappiamo dove siamo diretti, ed è perfetto così. Diventa amico dell’incertezza, del dubbio, della trepidazione che senti; impara ad amare questo luogo sacro della non risposta. È vivo, creativo, e pieno di potenziale.

9) ABBRACCIA LA TUA INSICUREZZA, E’ PERFETTA ANCHE LEI
Se prendi atto del fatto che sei perduto in una storia, che sei disconnesso, che hai dimenticato il momento, celebra. Ti sei appena svegliato da un sogno. Una più grande intelligenza è viva in te, un potere per realizzare e connettersi. Sei appena uscito da milioni di anni di condizionamenti. Non punire te stesso per dimenticare, ma celebra la tua capacità di ricordare! Al momento non importa che tu hai dimenticato! Dimenticare è una perfetta scena del film. Permettiti di dimenticare, a volte! Lasciati rendere umile dal viaggio piuttosto che cercare di essere “perfetto”. Dubbio, fallimento e disillusione saranno amici fidati e costanti lungo questo percorso senza sentiero. Non c’è destinazione nella presenza, nessuna immagine di “successo” da vivere. Non puoi sbagliare, quando non c’è nessuna immagine di ciò che è “giusto”.

10) SMETTILA DI FARE PARAGONI, TU SEI LA VITA STESSA!
Sei unico; il tuo percorso è totalmente originale. Potremmo tutti essere espressioni dello stesso oceano di consapevolezza, ma allo stesso tempo, siamo un’unica espressione di quell’oceano, totalmente unico nel nostro movimento di onde! Non paragonare te stesso con nessun altro! 
Quando cominci a fare paragoni, svaluti la tua unicità, il tuo regalo insostituibile, i tuoi talenti e verità e ti disconnetti dalla tua unica esperienza presente. Non paragonare questo momento con nessuna immagine di come potrebbe, dovrebbe, o potrebbe essere stato. 
La guarigione è possibile quando dici Sì a dove sei, anche se non è dove hai sognato di essere “Ora”. 
Fiducia, e fiducia a volte è che non puoi fidarti. Forse anche la tua incapacità di fidarsi può essere degna di fiducia qui, e anche il sentimento che non puoi contenere il momento, è di per se stesso già abbracciato dal momento stesso…

- Jeff Foster -
Da: "Il Risveglio Spirituale nella Vita Quotidiana" – Jeff Foster, Feltrinelli editore



Buona giornata a tutti. :-)





sabato 10 novembre 2018

Come salvare la solitudine in noi. Da: "Le parole che ci salvano" - Eugenio Borgna


Come salvare la solitudine in noi

In un mondo collegato costantemente con tutto e con tutti, in un mondo in cui tutto si crea e nulla si distrugge, come è possibile recuperare la solitudine che è premessa a ogni riflessione critica e a ogni esperienza creatrice? 
La solitudine è una esperienza interiore che non si chiude in se stessa, nelle barriere del proprio io, e che è aperta alla vita esteriore, alle sollecitazioni e alle influenze, che sgorgano dal mondo-ambiente con le loro luci e le loro ombre. Ma la solitudine è oggi sempre più difficile da salvare, e da vivere, perché siamo ogni giorno trascinati in un vortice di sensazioni che non ci dànno il tempo di pensare a noi stessi, di scendere lungo il cammino che porta verso l’interno, e di ascoltare le ragioni del cuore e le ragioni della immaginazione.
Cose, queste, possibili solo quando la solitudine rinasca in noi, e ci consenta di ritrovare le sorgenti dei pensieri e delle emozioni che rendono una vita degna di essere vissuta, e aperta alla comunicazione verbale e non-verbale con gli altri.


Si ha timore della solitudine.

Non è facile salvare la solitudine in noi, perché essa ci confronta con il segreto della nostra coscienza, con il manzoniano guazzabuglio delle passioni che sono in noi, con le cose che non vorremmo ricordare e che la memoria trattiene, con gli orizzonti di senso della nostra vita, con l’autenticità, o la inautenticità, delle relazioni che abbiamo con gli altri, con il mistero del vivere e del morire, e in fondo con il mistero della morte.
Questi sono alcuni dei motivi che fanno nascere l’angoscia dinanzi alla solitudine; e allora si desidera fuggire anche dalla solitudine creatrice, e trovare rifugio in esperienze rassicuranti che ci distraggano dal pensare e dall’immaginare, dal riflettere e dal curarsi degli altri. 
Sì: ci curiamo degli altri, riusciamo a essere in comunicazione con gli altri, diveniamo capaci di solidarietà, solo se abbiamo il coraggio di vivere in una solitudine che ci apra alle ragioni di una vita orientata a relazioni significative. 
Vivere fino in fondo l’esperienza della solitudine significa insomma recuperare i valori della riflessione e della solidarietà, dell’impegno etico in politica e del rispetto delle persone, e delle loro differenze, del rinnovamento culturale e della leopardiana passione della speranza.



La grande solitudine interiore

La solitudine, cosí, non è solo esperienza interiore, ma diviene matrice di cambiamento relazionale e culturale, politico e sociale, come ci dice Rainer Maria Rilke in una delle bellissime Lettere a un giovane poeta

«Voi non dovete rimanere senza un mio saluto mentre viene il Natale e voi, in mezzo alla festa, portate la vostra solitudine con maggior fatica che mai. 
Ma se poi v’accorgete che è grande, rallegratevene; che sarebbe infatti (domandatevi) una solitudine senza grandezza; c’è solo una solitudine, e quella è grande e non è facile a portare e a quasi tutti giungono le ore in cui la permuterebbero volentieri con qualche comunione per quanto triviale e a buon mercato, con l’apparenza di un minimo accordo col primo capitato, col piú indegno… 
Ma sono forse quelle le ore in cui la solitudine cresce; ché la sua crescita è dolorosa come la crescita dei fanciulli e triste come l’inizio delle primavere. Ma questo non vi deve sviare. 
Questo solo è che abbisogna: solitudine, grande intima solitudine. 
Penetrare in se stessi e per ore non incontrare nessuno – questo si deve poter raggiungere. 
Essere soli come s’era soli da bambini, quando gli adulti andavano attorno impigliati in cose che sembravano importanti e grandi, perché i grandi apparivano cosí affaccendati e nulla si comprendeva del loro agire». 

La psichiatria, quando si confronta con le grandi emozioni della vita, ha bisogno della poesia (lo vorrei ancora ripetere) se vuole cogliere la palpitante dimensione umana delle esperienze con cui senza fine si confronta.

- Eugenio Borgna -
da: "Le parole che ci salvano - La fragilità che è in noi. Parlarsi. Responsabilità e speranza", © 2017 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino



Buona giornata a tutti. :-)




martedì 30 ottobre 2018

Come posso amare una persona che mi è antipatica, che suscita in me sentimenti negativi? - Anselm Grün (3)



Amare il Fratello e la Sorella

Il comandamento dell’amore del prossimo sembra oltrepassare le nostre forze. Come posso amare una persona che mi è antipatica, che suscita in me sentimenti negativi? Non posso dominare i miei sentimenti, non posso essere falso con me stesso e con l’altro. 
Se si parte dalla concezione dell’amore come trasformazione della realtà diversamente interpretata o buon trattamento di ciò che è già stato visto come buono, l’amore non ci costringe a rimuovere i nostri sentimenti negativi e ad adottare un atteggiamento artificiosamente benevolo verso tutte le persone.
Dobbiamo unicamente costringerci a vedere diversamente l’altro. 
Dobbiamo mettere in discussione i nostri pregiudizi e cercare di vedere l’altro con gli occhiali della fede e di credere all’esistenza in lui di un nucleo buono. Non possiamo costringerci ad amare. 
L’amore deriva dalla fede. 
Il nostro dovere è quello di accordare il nostro comportamento con il nostro modo di vedere. Altrimenti siamo divisi in noi stessi. Ma non abbiamo bisogno di costringerci a provare sentimenti di amore. 
La scoperta di un ardente desiderio del bene nell’altro genera anche in noi sentimenti più positivi. Amare significa allora prendere sul serio l’ardente desiderio di bene che esiste nell’altro, scoprire sempre più il bene che c’è in lui, fare in modo che il bene che c’è in lui abbia il sopravvento su ciò che c’è di malato e malsano, di malvagio e oscuro, in modo che tutto in lui diventi buono. 
Amare significa rendere buono l’altro, trasformarlo sempre più in una persona buona.
Se la fede è il riconoscimento di una soluzione di secondo ordine, l’amore realizza questa soluzione. 
Come la fede, anche l’amore oltrepassa il livello al quale ci si abbandona a giochi senza fine. 
Un gioco senza fine è il gioco della vittoria e della sconfitta. 
Molte persone possono relazionarsi fra loro solo a livello di vittoria e sconfitta. O sono più forte o sono più debole dell’altro, o vinco io o vince lui. Uno deve sempre perdere. Ma questo è un gioco senza fine. 
Infatti, dopo aver perso lotto per vincere la volta successiva. E se non posso vincere contro lo stesso avversario, cerco qualcun altro che posso vincere. Questo perché non riesco a sopportare di essere un eterno perdente.
L’amore, abbandona questo livello di vittoria e sconfitta, lo oltrepassa e si relaziona con l’altro a un livello superiore. Lo vede non come concorrente, ma come qualcuno che nasconde in sé molto bene. Ed è interessato a rafforzare il bene che c’è in lui, a risvegliare le sue possibilità e a lasciarlo vivere. 
L’amore non ha bisogno della sconfitta dell’altro per poter credere nel proprio valore e nella propria forza. 
Chi ha trovato in se stesso, o meglio in Dio, il proprio fondamento e il proprio valore può lasciare che anche l’altro affermi il suo valore. Questo è meno faticoso della continua pressione di dover trionfare sull’altro.
Oltrepassando il livello di vittoria e sconfitta evito la continua lotta per affermare me stesso. E d’un tratto scopro molte possibilità più positive di relazionarmi con l’altro. Posso gioire del suo valore.
Lungi dallo sminuire il mio valore, questo mi permette di partecipare alla sua ricchezza. Occorre solo molta fantasia per oltrepassare il livello di vittoria e sconfitta e pervenire così a una soluzione di secondo ordine. 
In realtà, l’amore consiste essenzialmente nel lasciarsi guidare dalle intuizioni, nell’escogitare soluzioni fantasiose, nello scoprire nuove strade e possibilità. 
L’amore rende inventivi. A volte è persino un po’ pazzo. Ma le sue soluzioni pazze sono più umane del gioco infinito che si svolge a livello di vittoria e sconfitta.
Spesso ci rendiamo più difficile l’amore per gli uomini, fissandoci ideali troppo alti. 
Ciò vale per la nostra relazione con il prossimo. 

Ci proponiamo continuamente di amare l’altro. E siamo mortalmente delusi dal fatto che l’altro adotta un atteggiamento diametralmente opposto, ci resiste e addirittura ci combatte. 
Spesso confondiamo l’amore con l’intesa, con l’armonia. 
Sarebbe così bello se tutti potessero vivere armoniosamente insieme. Ma questa è un’utopia. Desideriamo profondamente l’armonia e pensiamo normalmente che siano gli altri a disturbarla o addirittura a distruggerla. Così d’un tratto troviamo difficile continuare ad amare coloro che rovinano il gioco.
Il vero amore non pone condizioni agli altri. Li prende così come sono. 
Vede con lucidità ciò che c’è in loro: scontentezza, aggressività, sete di potere, brama di riconoscimento, intrighi, ma anche un ardente desiderio di bene. L’amore non si illude, trasforma il dato di fatto. 
Risveglia il bene nelle persone malate e distrutte. L’amore non teme i conflitti, perché oltrepassa il livello del conflitto. Anche nel conflitto si chiede che cosa faccia veramente bene all’al­tro. Poiché l’amore supera il livello, nel conflitto non si aggrappa con i denti alle emozioni, ma continua coerentemente a cercare la vera soluzione.
L’ardente desiderio di armonia evita la dura realtà e si rifugia in un mondo apparente. L’amore affronta la realtà, la accetta e la trasforma. 
Si può cambiare solo ciò che si è accettato. 
L’amore segue questa legge fondamentale della vita, accettando ciò che trova come dato di fatto.
Le concezioni utopiche spesso rendono più difficile l’amore fra i coniugi o fra gli amici. Si stravede per l’amore reciproco e poi si cade dalle nuvole quando il partner non ha lavato i piatti. 
Il sublime volo dell’amore finisce nelle banalità della vita quotidiana. 
Per Benedetto da Norcia l’amore fraterno si manifesta molto concretamente nella disponibilità ad accettare i compiti quotidiani e a svolgerli con coscienza e cura. 
L’amore deve incarnarsi e assumere la realtà della vita. 
La realtà è spesso dura e formata da mille cose di poco conto. Incontro l’altro non solo nei suoi sublimi pensieri e sentimenti, ma anche nelle sue abitudini che mi innervosiscono.
Del resto, per Benedetto l’amore si manifesta anche nel (sop)portare le reciproche debolezze e i reciproci difetti (Regola di Benedetto 72). 
Invece di abbandonarsi a concezioni utopiche, l’amore accetta la realtà dell’altro e la concreta convivenza, non chiude gli occhi davanti alla realtà, ma oltrepassa il livello al quale ci si urta reciprocamente. 
Esso vede oltre il visibile ciò che è invisibile nell’altro, la sua buona intenzione, il suo nucleo buono, le sue possibilità positive. E lo tratta a partire da questo livello. 
Così si relativizzano molti screzi e piccoli conflitti che non diventano più così tremendamente importanti, non vengono negati e rimossi, ma accettati e trasformati. 
L’utopia finisce in rassegnazione, mentre l’amore affronta attivamente i problemi della vita quotidiana, con molta fantasia, con pazienza, con un respiro lungo e con umorismo, che costituisce una tipica soluzione di secondo ordine. 
Queste peculiarità dell’amore sono state magistralmente descritte da Paolo nella Lettera ai Corinti: «La carità è longanime (makrothymos, magnanimitas, cuore grande, lungo respiro), la carità è benigna (chresteuetai, rende buoni) [...] tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,4.7).
L’amore affronta la realtà, le tiene testa, la sopporta e la cambia, perché crede al bene che Dio vi ha immesso. E perché confida che Dio può cambiare tutto con il suo amore.

- Anselm Grün -

(1945) è un monaco benedettino tedesco, che dirige il centro di spiritualità (Recollectio Haus) annesso all’abbazia di Münsterschwarzach nei pressi di Würzburg. Scrittore, conferenziere e terapeuta, è oggi uno dei più apprezzati maestri di spiritualità, le cui opere sono tradotte nelle principali lingue.


Buona giornata a tutti. :)