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sabato 29 luglio 2017

Le quattro candele

Questa è la storia di quattro candele che, bruciando, si consumavano lentamente.
Bruciavano e si consumavano inutilmente perché - dicevano loro –
“Nessuno si cura di  noi, nessuno approfitta della nostra luce e del nostro calore”.

Così si espresse la prima candela:
Io sono la Pace, gli uomini non riescono a mantenermi, penso proprio che non resti altro da fare che spegnermi”.
Così fu, e a poco a poco la candela si lasciò spegnere completamente.

Anche la seconda candela a poco a poco, vedendo spenta la prima candela, si lasciò prendere dallo sconforto e disse:
"Io sono la Fede, purtroppo non servo a nulla, gli uomini non ne vogliono sapere di me e perciò non ho motivo che resti accesa”.
Appena ebbe terminato di parlare, una leggera brezza soffiò su di lei e la spense.

Triste e sconsolata, la terza candela a sua volta disse:
"Io sono l'Amore. Non ho forza per continuare a rimanere accesa.
Gli uomini non mi considerano e non comprendono la mia importanza.
Essi odiano perfino coloro che più li amano, i loro familiari".
E, senza attendere oltre la candela si lasciò spegnere.

Inaspettatamente, un bimbo, in quel momento entrò nella stanza e vide le tre candele spente.
Impaurito per la semi oscurità disse:
"Ma cosa fate! Voi  dovete rimanere accese, io ho paura del buio".
E così dicendo scoppiò in lacrime.

Allora la quarta candela impietositasi, disse:
“Non temere, non piangere: finché io sarò accesa, potremo sempre riaccendere le altre candele. Io sono la Speranza”.

Con gli occhi gonfi e lucidi di lacrime, il bimbo prese la candela della Speranza e riaccese tutte le altre.

Che non si spenga mai la speranza dentro il nostro cuore…
E che ciascuno di noi possa essere lo strumento, come quel bimbo capace in ogni momento di riaccendere, con la sua speranza, la fede, la pace e l’amore.





La nostra vita acquista significato quando è innanzi tutto risposta viva alla chiamata di Dio. 
Ma come riconoscere una tale chiamata e scoprire ciò che Dio si aspetta da noi? 
Dio si aspetta che siamo un riflesso della sua presenza, portatori di una speranza del Vangelo. 
Chi risponde a questa chiamata non ignora le proprie fragilità, così custodisce nel suo cuore queste parole di Cristo: "Non temere, continua a fidarti!".

Frère Roger -


Buona giornata a tutti. :-)








giovedì 29 giugno 2017

La gioia spirituale - PadreThomas Merton

La gioia spirituale dipende dalla croce. 
Se non rinnegheremo noi stessi, ci ritroveremo in tutte le cose, e questo è la nostra infelicità.
Appena cominciamo a rinnegarci, per amore di Dio, cominciamo a trovare Dio, almeno oscuramente. Poiché Dio è la nostra gioia, la nostra gioia è proporzionale al rinnegamento della nostra personalità per amore di Dio.
Dico: rinnegamento per amore di Dio, poiché vi sono uomini che rinnegano se stessi per amore di se stessi.
Non è complicato condurre una vita spirituale. Ma è difficile. 
Siamo ciechi, e soggetti a mille illusioni. 
Dobbiamo aspettarci di commettere errori quasi a ogni momento. 
Dobbiamo essere contenti di cadere ripetutamente e di ricominciare ogni volta da capo nello sforzo di rinnegarci, per amore di Dio.
Quando siamo in collera per i nostri errori tendiamo per lo più a rinnegarci per amore di noi stessi. 
Vogliamo liberarci dall'odiosa cosa che ci ha umiliati.
Nell'impeto di fuggire l'umiliazione dei nostri errori, cozziamo nell'errore opposto, cercando conforto e compenso. E così consumiamo la nostra vita a correre avanti e indietro da un affetto all'altro. 
Se tutto il nostro rinnegamento si riduce a questo, i nostri errori non ci saranno mai di aiuto.
Quando abbiamo commesso un errore non dobbiamo piantare in asso ciò che stavamo facendo e avviare qualcosa di completamente nuovo, ma ricominciare da capo la cosa che avevamo iniziato malamente, e cercare, per amore di Dio, di farla bene.

- Thomas Merton - 
7 ottobre 1949, da. "Il segno di Giona", Garzanti, pag. 275

Quo vadis Domine?


La risposta cristiana all'odio 

L'inizio della lotta contro l'odio, la fondamentale risposta cristiana all'odio, non è il comandamento di amare, ma quello che necessariamente lo precede per renderlo sopportabile e comprensibile, cioè quello di credere. 
La radice dell'amore cristiano non è la volontà di amare, ma il credere che si è amati. Credere che Dio ci ama. 
Credere che Dio ci ama anche se siamo indegni - o meglio, che Egli ci ama indipendentemente dai nostri meriti!
In una visione meramente cristiana dell'amore di Dio, il concetto di dignità perde ogni significato. 
La rivelazione della misericordia di Dio riduce tutto il problema della dignità a qualcosa di quasi irrisorio: la scoperta che la dignità è di poca importanza (perché nessuno potrebbe mai, di per se stesso, essere degno di essere amato di un simile amore) è una vera liberazione di spirito. 
E, fintanto che non si giunge a questa scoperta, fintanto che questa liberazione non è stata operata dalla misericordia divina, l'uomo rimane prigioniero dell'odio.

- Thomas Merton - 

Da: “Nuovi semi di contemplazione”


Signore mio Dio,
non ho alcuna idea di dove sto andando,
non vedo la strada che mi è innanzi,
non posso sapere con certezza dove andrà a finire.
E non conosco neppure davvero me stesso,
e il fatto che penso di seguire la tua volontà
non significa che lo stia facendo davvero.

Sono però convinto che il desiderio di compiacerti
in realtà ti compiace.
E spero di averlo in tutte le cose.
Spero di non fare mai nulla senza un tale desiderio.
E so che se agirò così
la mia volontà mi condurrà per la giusta via,
quantunque possa non saperne nulla.

Avrò però sempre fiducia in te
per quanto mi possa sembrare di essere perduto
e avvolto nell’ombra della morte.
Non avrò paura,
perché tu sei sempre con me
e non mi lascerai mai solo di fronte ai pericoli.


 
- Thomas Merton - 
Pensieri nella solitudine, Milano 1959



Buona giornata a tutti. :-)









giovedì 8 giugno 2017

Beati gli operatori di pace - madre Anna Maria Cànopi

L’uomo mite, pacifico, è forte, ma la sua forza è quella dell’amore. 
Il nostro tempo ha bisogno di uomini, di donne che siano presenza di pace, trasparenza del volto e del cuore di Cristo in mezzo ai fratelli. L’uomo sente il bisogno di riconciliarsi con Dio e di instaurare rapporti di amicizia con i suoi simili. Di fronte ai continui fallimenti nel ricercare una pace stabile e duratura, si va approfondendo in lui la certezza che la pace vera può essere solo dono di Dio. Il Signore ha annunziato pace “per chi ritorna a lui con tutto il cuore. La sua salvezza è vicina a chi lo teme e la sua gloria abiterà la nostra terra.
Misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno” (Sal.85, 9-11). Tale incontro avverrà nel Dio incarnato, in Gesù, che riporterà l’uomo alla sua piena verità riversando su di lui la divina misericordia e gli darà pace giustificandolo, prendendo su di sé il suo peccato e inchiodandolo alla croce. Dopo di lui non si può più amare la verità e rifiutare la misericordia, cercare la pace e calpestare la giustizia. Con lui la pace non è più soltanto un saluto, un augurio, una speranza, ma un dono, il dono di una Presenza che è Pace. Cristo stesso è la Pace donata all’umanità; egli infatti ha firmato con il suo sangue la nuova ed eterna Alleanza tra Dio e gli uomini.
Dopo la Resurrezione, apparendo ai discepoli radunati nel Cenacolo, Gesù li saluta donando la pace, donandosi come pace: «Shalòm! Pace a voi!». 
Questa pace è un anticipo della beatitudine finale, perché la costruzione della città di Dio inizia fin d’ora. Per cooperare alla costruzione della “città della pace”, occorrono cristiani disposti a essere sempre e ovunque messaggeri di pace, uomini evangelici.
In diversi modi tutti siamo mandati gli uni agli altri quali portatori di pace. Compiremo bene la nostra missione se vivremo autenticamente il Vangelo. 
La causa della pace richiede, infatti, annunciatori disarmati interiormente, quindi poveri, umili, affamati della vera giustizia, fedeli discepoli di Cristo, misericordiosi, puri di cuore, per diffondere intorno a sé benevolenza e serenità. Vivendo tutte le beatitudini, saremo non soltanto portatori di qualcosa, ma diventeremo noi stessi, come Gesù, un sacramento di pace, un dono che crea comunione.
La pace è donata, ma dev’essere anche accolta; lo scambio avviene soltanto se un altro cuore disarmato si apre a riceverla.
Gratuità, carità, sacrificio di sé garantiscono la diffusione della pace. 
Gesù vuole che siamo pieni della grazia della pace. È un servizio di carità.
In questa vita, ora l’uno ora l’altro conosciamo tutti momenti di maggior fatica e facile cedimento: l’importante è sostenersi, perché alla caduta di uno non segua la caduta di altri, ma piuttosto un più grande stimolo di carità. 
San Paolo (Ef 6,13-18) ci istruisce circa il modo di affrontare quotidianamente la lotta al peccato per vivere quali figli della pace.
Alla radice c’è l’umiltà che non ci fa presumere di poterla affrontare da soli, ma ci fa attingere forza dal Signore mediante la preghiera continua, l’ascolto e la pratica della Parola di Dio e l’obbedienza di fede.
“Prendete l’armatura di Dio… State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il Vangelo della pace. 
Tenete sempre in mano lo scudo della fede, prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito…”.
“O Cristo, Re di giustizia e di pace, rivestici di te: il tuo amore sia la nostra legge, la tua pace sia la nostra gioia, e saremo per tutti i nostri fratelli tribolati sulle vie del mondo, un segno rassicurante della tua presenza; saremo un monte delle Beatitudini dal quale Tu ogni giorno continui a offrire a tutti gli uomini la tua salvezza e la tua pace. Amen”.

- Madre Anna Maria Canopi -
Fonte da:  Beati i poveri…beati… Lectio divina sulle Beatitudini, Paoline, Milano 2004




Nella vita cenobitica gli incarichi ricevuti e i doni che ciascuno possiede sono sempre un bene comune per il servizio della comunità, quindi esigono un atteggiamento di profonda umiltà e di gratuità; non devono mai essere ricercati, ma sempre umilmente accolti nell'obbedienza.

- Madre Anna Maria Cànopi - 


E' veramente povero solo chi è contento di tutto, non pretende attenzioni, gratificazioni, riconoscimenti, perché in tutto cerca e trova il suo Signore, di cui nulla ha di più caro.

- Madre Anna Maria Cànopi -



Buona giornata a tutti. :-)


lunedì 17 aprile 2017

Pace a voi, il saluto di Cristo risorto ai suoi discepoli - Papa Francesco

«Pace a voi!»: è il saluto che Cristo porta ai suoi discepoli; è la stessa pace, che attendono gli uomini del nostro tempo. Non è una pace negoziata, non è la sospensione di qualcosa che non va: è la sua pace, la pace che proviene dal cuore del Risorto, la pace che ha vinto il peccato, la morte e la paura. 
È la pace che non divide, ma unisce; è la pace che non lascia soli, ma ci fa sentire accolti e amati; è la pace che permane nel dolore e fa fiorire la speranza. 
Questa pace, come nel giorno di Pasqua, nasce e rinasce sempre dal perdono di Dio, che toglie l'inquietudine dal cuore. 
Essere portatrice della sua pace: questa è la missione affidata alla Chiesa il giorno di Pasqua. 
Siamo nati in Cristo come strumenti di riconciliazione, per portare a tutti il perdono del Padre, per rivelare il suo volto di solo amore nei segni della misericordia.

- Papa Francesco - 
Omelia Festa della Divina Misericordia, 3 aprile 2016


Allora ecco quello che io propongo: Che tutte le Nazioni decidano che ogni anno, in occasione di una Giornata Mondiale della Pace esse preleveranno dai loro rispettivi bilanci ciò che costa loro un giorno di armamento, e lo metteranno in comune per lottare contro le carestie, i tuguri e le grandi endemie che decimano l'umanità. 
Un giorno di guerra per la Pace... 
Si penserà forse che io non sono molto esigente... 
Ma questa prima riconversione di armi di morte in opere di vita sarà un gesto risonante, capace di abbozzare la salvezza di una umanità che, con le mani legate e la bocca cucita, si precipita impotente, verso la fossa comune. Disarmate per poter amare. 

- Raoul Follereau - 


No alla bomba!

Il dubbio non è di oggi e non sono neanche il primo a pensarlo: oggi, però, me lo trovo davanti con volto nient’ affatto accademico: oggi c’è nell’angoscia in chi pensa col cuore. Lo so purtroppo che il finire della storia difficilmente è regolato dai contemplatori: so pure che, nonostante il costo crescente del progresso, la più stupida delle religioni, noi continueremo su questa strada della speranza di pagare un giorno un po’ meno le nostre comodità: ma so pure che comodità non vuol sempre dire vivere da uomini.
E se esiste una intraducibilità, non è ragionevole che, dimenticando per un attimo la lusinga dell’utile immediato, misuriamo la pericolosità del nostro «vivere civile». Non c’è scoperta che non sia stata usata male e che il mal uso di essa non sia pesantemente ricaduto sull’uomo. Mi dispenso dalla documentazione. La colpa è dell’uomo che non vuole usarne bene. Sì, la colpa è nostra: ma constatare un fatto non vuol dire spiegarlo. C’è da vedere come mai non abbiamo saputo finora ovviare il grosso guaio di farci del male con le nostre mani: se ne possediamo la capacità; se è giusto che per un breve utile, limitato anch’esso a pochi, ci portiamo dietro, quasi fossimo dei condannati, non la croce ma il capestro di questa civiltà.
Prima di rispondere conviene riproporre, in termini semplici e reali, il problema dell’uomo e del suo destino. 

Il problema è grosso e le risposte sono molte. Senza pretendere d’imporre la mia, immagino che nessuna creatura ragionevole sia disposta ad accettare per sé e per i suoi una condizione umana, in cui un breve quasi ebbro respiro venga fatalmente scontato da una sorte paurosa, che scardina e inghiotte le cose nostre.
Che piacere può dare una casa a dieci piani, se la so destinata a rovinare sotto un tappeto di bombe col rischio di rimanervi sepolto con la mia famiglia? 

È da meno di una tenda o di un capanno di cocomeraio, ove, in qualche modo, mi riparo dalle intemperie e posso stare al sicuro dalle insidie degli uomini troppo intelligenti. Chi non farebbe volentieri senza aeroplani? 
I modesti servizi che hanno reso e che potranno rendere non compensano le rovine e i massacri che hanno causato. 
La prima bomba atomica distrugge Hiroshima, avanti di garantire «la pace». D’accordo. 
Ma se non riesco a guarirmi e queste scoperte provocano ed eccitano la mia sonnecchiante malvagità, non sarebbe da savio rinunciarvi, fino a quando almeno mi sentirò più padrone di me? Non è giusto che si spezzi una macchina per il solo fatto che ci abbiamo cavato un guaio.
Rinnoviamo l’uomo. Questa sarebbe la vera soluzione: meglio, l’impegno da prendere. Ma oggi, l’uomo ne ha le capacità? Ragionando concettualmente, non ne dovrei dubitare: ma davanti ai fatti, mi faccio estremamente cauto. Finora, e sono anni e anni, nonostante il molto predicare, abbiamo piuttosto peggiorato. Due guerre di inaudita barbarie teorica, in un quarto di secolo, e rivoluzioni altrettanto distruttrici, non bastano a farci persuasi che le autoblinde, i carri armati e adesso le bombe atomiche non servono la libertà e l’indipendenza, ma le tirannie e le dittature? Gli ordigni non ne hanno colpa, è vero: ma se ci mettono in tentazione di far male, perché fabbricarli? 

Almeno, fino a quando saremo in condizione d’animo di usarne senza nocumento. Come un tempo c’erano mostri naturali contro cui l’uomo primitivo dovette lottare fino al loro sterminio, così vi sono oggi mostri artificiali contro cui bisogna insorgere, non essendo capaci di domarli.
Si salveranno le invenzioni che riusciremo a rendere umane, come si sono salvati gli animali che l’uomo ha saputo addomesticare. Meno potenti e un po’ più uomini. È duro riconoscere che siamo gente limitata e che abbiamo bisogno di un limite anche al genio. Ma non si mortifica il genio: si ferma l’uomo sulla linea dell’uomo. Quante rovine e asservimenti in terra d’uomo, col pretesto di farci grandi! Vogliamo scuotere anche le catene di questa disumana grandezza che ha bisogno di miracoli fatturati e di troppi schiavi.
Che ne faremo di questi mostruosi strumenti della nostra civiltà meccanica? Li metteremo in un museo, accanto ai dinosauri antidiluviani: e quando saremo veramente fratelli tra di noi, se ce ne resterà il gusto, li tireremo fuori.


- Don Primo Mazzolari - 
Fonte:  Avvenire  4 aprile 2009

Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 15 marzo 2017

Riflessioni sulla pace - don Primo Mazzolari, San Giovanni Paolo II, Thomas Merton

La Pace a tutti i costi – don Primo Mazzolari

Ci siamo accorti che non basta essere custodi della pace e neanche uomini di pace nel nostro intimo, se lasciamo che altri ne siano i soli testimoni. 
Come cristiani dobbiamo essere in prima linea nello sforzo comune verso la pace. Davanti per vocazione non per paura. 
Quando fa buio la lampada non la si mette sotto la tavola. 
Opponendo guerra a guerra, violenza a violenza non si fa' che moltiplicare le rovine. Invece di uno saremo in due a buttar giù, non importa se per ragioni o con animi opposti. 

Perché non ammazzo chi non è d'accordo con me, non vuol dire che io sia d'accordo con lui. 
Non l'ammazzo perché sono certo che la mia verità ha tanta verità da superare l'errore dell'altro.
La verità non ha bisogno della mia violenza per vincere.
Il cristiano è contro ogni male, non fino alla morte del malvagio, ma fino alla propria morte, dato che non c'è amore più grande che quello di mettere la propria vita a servizio del bene del fratello perduto.
Vince chi si lascia uccidere, non chi uccide. La storia della nostra redenzione si apre con la strage degli Innocenti e si chiude con il Calvario. 
Un cristiano deve fare la pace anche quando venissero meno le ragioni della pace. 

Al pari della fede, della speranza e della carità, la pace è vera beatitudine, quando non c'è tornaconto o interesse o convenienza, vale a dire quando incomincia a sembrare follia davanti al buon senso della gente ragionevole. 
Tutti si battono e si sputano addosso e aizzano gli uomini, i tuoi figli, gli uni contro gli altri.
Tutti si armano pieni di superbia.
Tutti fanno come se la pace e la guerra fossero in loro potere.

- don Primo Mazzolari - 
Fonte: Tu non uccidere, 1955


La pace esige il lavoro più eroico e il sacrificio più difficile. 
Richiede maggiore eroismo della guerra. 
Esige una maggiore fedeltà alla verità e una purezza molto più grande della propria coscienza.


- Padre Thomas Merton - 



 Dio dei nostri Padri,
grande e misericordioso,
Signore della pace e della vita,
Padre di tutti.
Tu hai progetti di pace e non di afflizione,
condanni le guerre
e abbatti l' orgoglio dei violenti.
Tu hai inviato il tuo Figlio Gesù
ad annunziare la pace ai vicini e ai lontani,
a riunire gli uomini di ogni razza e di ogni stirpe
in una sola famiglia.
Ascolta il grido unanime dei tuoi figli,
supplica accorata di tutta l'umanità:
mai più la guerra, spirale di lutti e di violenza;
minaccia per le tue creature
in cielo, in terra e in mare.
In comunione con Maria, la Madre di Gesù,
ancora ti supplichiamo:
parla ai cuori dei responsabili delle sorti dei popoli,
ferma la logica della ritorsione e della vendetta,
suggerisci con il tuo Spirito soluzioni nuove,
gesti generosi ed onorevoli,
spazi di dialogo e di paziente attesa
più fecondi delle affrettate scadenze della guerra.
Concedi al nostro tempo giorni di pace.
Mai più la guerra.






Buona giornata a tutti. :-)






mercoledì 1 febbraio 2017

Portare ovunque l’acqua della pace – don Tonino Bello

Chi sono gli operatori della pace? Sono i tecnici delle condutture; gli impiantisti delle reti idrauliche; gli esperti delle rubinetterie. Sono coloro che, servendosi di tecniche diversificate, si studiano di portare l'acqua della pace nella fitta trama dello spazio e del tempo, in tutte le case degli uomini, nel tessuto sociale della città, nei luoghi dove la gente si aggrega e fioriscono le convivenze.
Qui è bene sottolineare una cosa. L'acqua è una: quella della pace. Le tecniche di conduzione, invece, cioè le mediazioni politiche, sono diverse. E diverse sono anche le ditte appaltatrici delle condutture, ed è giusto che sia così. L'importante è che queste tecniche siano serie, intendano servire l'uomo e facciano giungere l'acqua agli utenti.
Senza inquinarla.
Se lungo il percorso si introduce del veleno, non si serve la causa della pace.
Senza manipolarla.
Se nell'acqua si inseriscono additivi chimici, magari a fin di bene, ma derivanti dalle proprie impostazioni ideologiche, non si serve la causa della pace.
Senza disperderla.
Se lungo le tubature si aprano falle, per imperizia o per superficialità o per mancanza di studio o per difetti tecnici di fondo, non si serve la causa della pace.
Senza trattenerla.
Se nei tecnici prevale il calcolo, e si costruiscono le condutture in modo tale che vengano favoriti interessi di parte, e l'acqua, invece che diventare bene di tutti, viene fatta ristagnare per l'irrigazione dei propri appezzamenti, non si serve la causa della pace.
Senza accaparrarsela.
Se gli esperti della condutture si ritengono loro i padroni dell'acqua e non i ministri, i depositari incensurabili di questo bene di cui essi devono sentirsi solo i canalizzatori, non si serve la causa della pace.
Senza farsela pagare.
Se i titolari della rete idrica si servono delle loro strumentazioni per razionare astutamente le dosi e schiavizzare la gente prendendola per sete, non si serve la causa della pace. Si serve la causa della pace quando l'impegno appassionato dei politici sarà rivolto a che le città vengano allagate di giustizia, le case siano sommerse dai fiumi di rettitudine e le strade cedano sotto un' alluvione di solidarietà, secondo quello splendido versetto del profeta Amos : 

"Fate in modo che il diritto scorra come acqua di sorgente, e la giustizia come un torrente sempre in piena " (Am 5,24).

Coraggio, allora! 
Nonostante questa esperienza frammentaria di pace, scommettere su di essa significa scommettere sull’uomo. 
Anzi sull’Uomo Nuovo. 
Su Cristo Gesù : Egli è la nostra Pace. E Lui non delude! “

- don Tonino Bello - 
Da:  “Vegliare nella notte”, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 1995



... la pace non è tanto un problema morale, quanto un problema di fede. 
Perché, più che il nostro agire, tocca il nostro essere di persone “conformate a Cristo” in profondità, non con l’aggiunta esteriore di incarichi, ma con l’unzione dell’Olio che penetra e consacra radicalmente. 
L’impegno per la pace è un imperativo che nasce dall’alto; cioè è la logica conseguenza della grazia sacramentale, non il semplice risultato di una assunzione di responsabilità di tipo volontaristico e semplicemente umanitario.

- don Tonino Bello - 




Buona giornata a tutti. :-)





domenica 4 dicembre 2016

Le scarpe di Natale – don Bruno Ferrero

C'era una volta una città i cui abitanti amavano sopra ogni cosa l'ordine e la tranquillità. Avevano fatto delle leggi molto precise, che regolavano con severità ogni dettaglio della vita quotidiana. 
Tutte le fantasie, tutto quello che non rientrava nelle solite abitudini era mal visto o considerato una stranezza. E per ogni stranezza era prevista la prigione.
Gli abitanti della città non si dicevano mai «buongiorno» per la strada; nessuno diceva mai «per piacere»; quasi tutti avevano paura degli altri e si guardavano sospettosamente.
C'erano anche quelli che denunciavano i vicini, se trovavano un po' troppo bizzarro il loro comportamento.
Il commissario Leonardi, capo della polizia, non aveva mai abbastanza poliziotti per condurre inchieste, sorvegliare, arrestare, punire...
Già nella scuola materna, i bambini imparavano a stare ben attenti alle loro chiavi. E c'erano chiavi per ogni cosa: per le porte, per l'armadietto, per la cartella, per la scatola dei giochi e perfino per la scatola delle caramelle!
La sera, la gente aveva paura. 
Rientravano tutti a casa correndo e poi sprangavano le porte e chiudevano ben bene le finestre.

Cristiana aveva i capelli biondi.
Erano rimasti tuttavia dei ragazzi che sapevano ancora scambiarsi qualche strizzata d'occhi e anche degli insegnanti che li incoraggiavano... Ma, soprattutto, c'era Cristiana.
Cristiana aveva i capelli biondi come il sole, gli occhi scintillanti come laghetti di montagna e non pensava mai: «Chissà che cosa dirà la gente?». Nella città si facevano molte dicerie sul suo conto. 
Perché Cristiana aiutava tutti quelli che avevano bisogno di aiuto, consolava i bambini che piangevano e anche i vecchietti rimasti soli, perché accoglieva tutti coloro che chiedevano un po' di denaro o anche solo qualche parola di speranza.
Tutto questo era scandaloso per la città. Non potevano proprio sopportare ulteriormente quel modo di vivere così diverso dal loro. E un giorno il commissario Leonardi, con venti poliziotti, andò ad arrestare Cristiana, o Cri-Cri, come l'avevano soprannominata gli amici. E per essere sicuro che non combinasse altre stranezze, la fece mettere in prigione. 
Questo accadde qualche giorno prima di Natale. Natale era una festa, ma molti non sapevano più di chi o di che cosa. 
Sapevano soltanto che in quei giorni si doveva mangiare bene e bere meglio. Ma senza esagerare, per non prendersi qualche malattia... 
Soprattutto, la sera della vigilia di Natale, tutti dovevano mettere le proprie scarpe davanti al camino, per trovarle piene di doni il giorno dopo. Una cosa questa che, nella città, facevano tutti, ma proprio tutti. Così fu anche quel Natale.

Una gran confusione
All'alba, tutti si precipitarono dove avevano messo le scarpe, per trovare i loro regali. Ma... che era successo? Non c'era l'ombra di un regalo. Neanche un torrone o un cioccolatino!
E poi... le scarpe!
In tutta la città, le scarpe risultavano spaiate. Il commendator Bomboni si trovò con una scarpina da ballo, una vecchia ottantenne aveva una scarpa bullonata da calcio, un bambino di cinque anni aveva una scarpa numero 43, e così di seguito. Non c'erano due scarpe uguali in tutta la città! 
Allora si aprirono porte e finestre e tutti gli abitanti scesero in strada. Ciascuno brandiva la scarpa non sua e cercava quella giusta. Era una confusione allegra e festosa. Quando i possessori delle scarpe scambiate si trovavano, avevano voglia di ridere e di abbracciarsi.
Si vide il commendator Bomboni pagare la cioccolata a una bambina che non aveva mai visto e una vecchietta a braccetto con un ragazzino.
Solo qualche finestra restava ostinatamente chiusa. 
Come quella del commissario Leonardi. Quando però il commissario sentì il gran trambusto che veniva dalla strada, pensò a una rivoluzione e corse a prendere le armi che teneva sul camino. Immediatamente il suo sguardo cadde sulle scarpe che aveva collocato davanti al camino. E anche lui si bloccò, sorpreso. Accanto alla sua pesante scarpa nera c'era... una pantofola rossa di Cri-Cri. Stringendo la pantofola rossa in mano, il commissario corse alla prigione.
La cella dove aveva rinchiuso Cri-Cri era ancora ben chiusa a chiave. Ma la ragazza non c'era. 
Ai piedi del tavolaccio, perfettamente allineate c'erano l'altra scarpa del commissario e l'altra pantofola rossa. Dal finestrino, protetto da una grossa inferriata, proveniva una strana luce. Il commissario si affacciò. Nella strada la gente continuava a scambiarsi le scarpe e ad abbracciarsi.
Con un'insolita commozione, il commissario si accorse che la luce che veniva dal finestrino era bionda e calda come il sole e aveva dei luccichii azzurri, come succede nei laghetti di montagna.
E incominciò a capire.

- Don Bruno Ferrero -
Da: “Storie di Natale, d’Avvento e d’Epifania”, ed. Elledicì





Oggi si è indotti talvolta a pensare che la verità, la giustizia e la pace siano utopie e che esse si escludano mutuamente. Conoscere la verità sembra impossibile e gli sforzi per affermarla appaiono sfociare spesso nella violenza. D’altra parte, secondo una concezione ormai diffusa, l’impegno per la pace si riduce alla ricerca di compromessi che garantiscano la convivenza fra i Popoli, o fra i cittadini all’interno di una Nazione. Al contrario, nell’ottica cristiana esiste un’intima connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra, così che la pace non sorge da un mero sforzo umano, bensì partecipa dell’amore stesso di Dio. Ed è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza. Infatti, quando si cessa di riferirsi a una verità oggettiva e trascendente, come è possibile realizzare un autentico dialogo? In tal caso come si può evitare che la violenza, dichiarata o nascosta, diventi la regola ultima dei rapporti umani? In realtà, senza un’apertura trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace...

- papa Benedetto XVI - 
dal "Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede" 07 gennaio 2013 -



O Signore, fa' che io comprenda quale grande pace e sicurezza ha il cuore che non desidera cosa alcuna di questo mondo. Infatti, se il mio cuore brama di ottenere i beni terreni, non può essere né tranquillo né sicuro, perché cerca di avere quello che non ha o di non perdere quello che possiede.

- San Gregorio Magno -


Buona giornata a tutti. :-)