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lunedì 17 aprile 2017

Pace a voi, il saluto di Cristo risorto ai suoi discepoli - Papa Francesco

«Pace a voi!»: è il saluto che Cristo porta ai suoi discepoli; è la stessa pace, che attendono gli uomini del nostro tempo. Non è una pace negoziata, non è la sospensione di qualcosa che non va: è la sua pace, la pace che proviene dal cuore del Risorto, la pace che ha vinto il peccato, la morte e la paura. 
È la pace che non divide, ma unisce; è la pace che non lascia soli, ma ci fa sentire accolti e amati; è la pace che permane nel dolore e fa fiorire la speranza. 
Questa pace, come nel giorno di Pasqua, nasce e rinasce sempre dal perdono di Dio, che toglie l'inquietudine dal cuore. 
Essere portatrice della sua pace: questa è la missione affidata alla Chiesa il giorno di Pasqua. 
Siamo nati in Cristo come strumenti di riconciliazione, per portare a tutti il perdono del Padre, per rivelare il suo volto di solo amore nei segni della misericordia.

- Papa Francesco - 
Omelia Festa della Divina Misericordia, 3 aprile 2016


Allora ecco quello che io propongo: Che tutte le Nazioni decidano che ogni anno, in occasione di una Giornata Mondiale della Pace esse preleveranno dai loro rispettivi bilanci ciò che costa loro un giorno di armamento, e lo metteranno in comune per lottare contro le carestie, i tuguri e le grandi endemie che decimano l'umanità. 
Un giorno di guerra per la Pace... 
Si penserà forse che io non sono molto esigente... 
Ma questa prima riconversione di armi di morte in opere di vita sarà un gesto risonante, capace di abbozzare la salvezza di una umanità che, con le mani legate e la bocca cucita, si precipita impotente, verso la fossa comune. Disarmate per poter amare. 

- Raoul Follereau - 


No alla bomba!

Il dubbio non è di oggi e non sono neanche il primo a pensarlo: oggi, però, me lo trovo davanti con volto nient’ affatto accademico: oggi c’è nell’angoscia in chi pensa col cuore. Lo so purtroppo che il finire della storia difficilmente è regolato dai contemplatori: so pure che, nonostante il costo crescente del progresso, la più stupida delle religioni, noi continueremo su questa strada della speranza di pagare un giorno un po’ meno le nostre comodità: ma so pure che comodità non vuol sempre dire vivere da uomini.
E se esiste una intraducibilità, non è ragionevole che, dimenticando per un attimo la lusinga dell’utile immediato, misuriamo la pericolosità del nostro «vivere civile». Non c’è scoperta che non sia stata usata male e che il mal uso di essa non sia pesantemente ricaduto sull’uomo. Mi dispenso dalla documentazione. La colpa è dell’uomo che non vuole usarne bene. Sì, la colpa è nostra: ma constatare un fatto non vuol dire spiegarlo. C’è da vedere come mai non abbiamo saputo finora ovviare il grosso guaio di farci del male con le nostre mani: se ne possediamo la capacità; se è giusto che per un breve utile, limitato anch’esso a pochi, ci portiamo dietro, quasi fossimo dei condannati, non la croce ma il capestro di questa civiltà.
Prima di rispondere conviene riproporre, in termini semplici e reali, il problema dell’uomo e del suo destino. 

Il problema è grosso e le risposte sono molte. Senza pretendere d’imporre la mia, immagino che nessuna creatura ragionevole sia disposta ad accettare per sé e per i suoi una condizione umana, in cui un breve quasi ebbro respiro venga fatalmente scontato da una sorte paurosa, che scardina e inghiotte le cose nostre.
Che piacere può dare una casa a dieci piani, se la so destinata a rovinare sotto un tappeto di bombe col rischio di rimanervi sepolto con la mia famiglia? 

È da meno di una tenda o di un capanno di cocomeraio, ove, in qualche modo, mi riparo dalle intemperie e posso stare al sicuro dalle insidie degli uomini troppo intelligenti. Chi non farebbe volentieri senza aeroplani? 
I modesti servizi che hanno reso e che potranno rendere non compensano le rovine e i massacri che hanno causato. 
La prima bomba atomica distrugge Hiroshima, avanti di garantire «la pace». D’accordo. 
Ma se non riesco a guarirmi e queste scoperte provocano ed eccitano la mia sonnecchiante malvagità, non sarebbe da savio rinunciarvi, fino a quando almeno mi sentirò più padrone di me? Non è giusto che si spezzi una macchina per il solo fatto che ci abbiamo cavato un guaio.
Rinnoviamo l’uomo. Questa sarebbe la vera soluzione: meglio, l’impegno da prendere. Ma oggi, l’uomo ne ha le capacità? Ragionando concettualmente, non ne dovrei dubitare: ma davanti ai fatti, mi faccio estremamente cauto. Finora, e sono anni e anni, nonostante il molto predicare, abbiamo piuttosto peggiorato. Due guerre di inaudita barbarie teorica, in un quarto di secolo, e rivoluzioni altrettanto distruttrici, non bastano a farci persuasi che le autoblinde, i carri armati e adesso le bombe atomiche non servono la libertà e l’indipendenza, ma le tirannie e le dittature? Gli ordigni non ne hanno colpa, è vero: ma se ci mettono in tentazione di far male, perché fabbricarli? 

Almeno, fino a quando saremo in condizione d’animo di usarne senza nocumento. Come un tempo c’erano mostri naturali contro cui l’uomo primitivo dovette lottare fino al loro sterminio, così vi sono oggi mostri artificiali contro cui bisogna insorgere, non essendo capaci di domarli.
Si salveranno le invenzioni che riusciremo a rendere umane, come si sono salvati gli animali che l’uomo ha saputo addomesticare. Meno potenti e un po’ più uomini. È duro riconoscere che siamo gente limitata e che abbiamo bisogno di un limite anche al genio. Ma non si mortifica il genio: si ferma l’uomo sulla linea dell’uomo. Quante rovine e asservimenti in terra d’uomo, col pretesto di farci grandi! Vogliamo scuotere anche le catene di questa disumana grandezza che ha bisogno di miracoli fatturati e di troppi schiavi.
Che ne faremo di questi mostruosi strumenti della nostra civiltà meccanica? Li metteremo in un museo, accanto ai dinosauri antidiluviani: e quando saremo veramente fratelli tra di noi, se ce ne resterà il gusto, li tireremo fuori.


- Don Primo Mazzolari - 
Fonte:  Avvenire  4 aprile 2009

Buona giornata a tutti. :-)




giovedì 13 aprile 2017

Dall'«Omelia sulla Pasqua» di Melitone di Sardi (II sec.), vescovo


Molte cose sono state predette dai profeti riguardanti il mistero della Pasqua, che è Cristo, «al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen» (Gal 1, 5 ecc.). Egli scese dai cieli sulla terra per l'umanità sofferente; si rivestì della nostra umanità nel grembo della Vergine e nacque come uomo. Prese su di sé le sofferenze dell'uomo sofferente attraverso il corpo soggetto alla sofferenza, e distrusse le passioni della carne. Con lo Spirito immortale distrusse la morte omicida.
Egli infatti fu condotto e ucciso dai suoi carnefici come un agnello, ci liberò dal modo di vivere del mondo come dall'Egitto, e ci salvò dalla schiavitù del demonio come dalla mano del Faraone. Contrassegnò le nostre anime con il proprio Spirito e le membra del nostro corpo con il suo sangue.
Egli è colui che coprì di confusione la morte e gettò nel pianto il diavolo, come Mosè il faraone. Egli è colui che percosse l'iniquità e l'ingiustizia, come Mosè condannò alla sterilità l'Egitto.
Egli è colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannia al regno eterno. Ha fatto di noi un sacerdozio nuovo e un popolo eletto per sempre. Egli è la Pasqua della nostra salvezza.
Egli è colui che prese su di sé le sofferenze di tutti. Egli è colui che fu ucciso in Abele, e in Isacco fu legato ai piedi. Andò pellegrinando in Giacobbe, e in Giuseppe fu venduto. Fu esposto sulle acque in Mosè, e nell'agnello fu sgozzato.
Fu perseguitato in Davide e nei profeti fu disonorato.
Egli è colui che si incarnò nel seno della Vergine, fu appeso alla croce, fu sepolto nella terra e, risorgendo dai morti, salì alle altezze dei cieli. Egli è l'agnello che non apre bocca, egli è l'agnello ucciso, egli è nato da Maria, agnello senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all'uccisione, immolato verso sera, sepolto nella notte. Sulla croce non gli fu spezzato osso e sotto terra non fu soggetto alla decomposizione.
Egli risuscitò dai morti e fece risorgere l'umanità dal profondo del sepolcro.
Icona di Cristo Pantocratore, V sec. Monastero di Santa Caterina nel Sinai, Egitto.

Dall'«Omelia sulla Pasqua» di Melitone di Sardi (II sec.), vescovo
(Capp. 65-67; SC 123, 95-101)



Giovedì Santo

Parole potenti questa sera. Gesù sa che è l'ora. Sa che il Padre gli ha dato tutto. Sa che viene da lui e a Dio ritorna. La piena comunione col Padre è la fonte della sua pace, anche nell'ora dell'angoscia. Si parla di morte dicendo che tutto "passa al Padre", facendo Pasqua.
Giovanni non riporta l'Ultima Cena, ma la lavanda dei piedi .
Il gesto è quello del servo. Perciò Pietro si oppone. Però è soprattutto, un gesto che purifica e libera, infinitamente misericordioso. 
Una misericordia divina data a tutti, anche a Giuda, citato in modo anonimo alla fine. Anche a lui che lo tradiva Gesù lava i piedi; il suo perdono è più forte di ogni nostra infedeltà, di ogni nostro tradimento. 
Per lavare i piedi Gesù prima si toglie le vesti e poi le riprende. Penso alla sua spogliazione sulla croce e alla gloria che lo riveste nella resurrezione. 
È l'abbassamento che precede l'innalzamento, l'umiliazione prima della signoria manifesta e gloriosa.

- don Tonino Bini




Il giorno del Giovedì Santo è riservato a due distinte celebrazioni liturgiche, al mattino nelle Cattedrali, il vescovo con solenne cerimonia consacra il sacro crisma, cioè l’olio benedetto da usare per tutto l’anno per i Sacramenti del Battesimo, Cresima e Ordine Sacro e gli altri tre oli usati per il Battesimo, Unzione degli Infermi e per ungere i Catecumeni. 
A tale cerimonia partecipano i sacerdoti e i diaconi, che si radunano attorno al loro vescovo, quale visibile conferma della Chiesa e del sacerdozio fondato da Cristo; accingendosi a partecipare poi nelle singole chiese e parrocchie, con la liturgia propria, alla celebrazione delle ultime fasi della vita di Gesù con la Passione, morte e Resurrezione. 
Nel tardo pomeriggio c’è la celebrazione della Messa in “Cena Domini”, cioè la ‘Cena del Signore’. Non è una cena qualsiasi, è l’Ultima Cena che Gesù tenne insieme ai suoi Apostoli, importantissima per le sue parole e per gli atti scaturiti; tutti e quattro i Vangeli riferiscono che Gesù, avvicinandosi la festa degli ‘Azzimi’, chiamata Pasqua ebraica, mandò alcuni discepoli a preparare la tavola per la rituale cena, in casa di un loro seguace. 






"Spirito del Signore, dono del Risorto agli apostoli del cenacolo, gonfia di passione la vita dei tuoi presbiteri.
Riempi di amicizie discrete la loro solitudine.
Rendili innamorati della terra e capaci di misericordia per tutte le sue debolezze.
Confortali con la gratitudine della gente e con l'olio della comunione fraterna.
Ristora la loro stanchezza, perchè non trovino appoggio più dolce per il loro riposo se non sulla spalla del Maestro.
Liberali dalla paura di non farcela più.
Dai loro occhi partano inviti a sovrumane trasparenze.
Dal Loro cuore si sprigioni audacia mista a tenerezza.
Dalle loro mani grondi il crisma su tutto ciò che accarezzano.
Fa' risplendere di gioia i loro corpi.
Rivestili di abiti nuziali.
E cingili con cinture di luce.
Perchè, per essi e per tutti, lo Sposo non tarderà.

( + Tonino Bello )



Buon Giovedì Santo :-)

venerdì 1 gennaio 2016

Divina Maternità della Beata Vergine Maria

Maria!
Quando Tu forse
avevi altri progetti di vita,
Dio è entrato nella Tua vita
con il Suo progetto speciale.
E Tu, come umile Sua serva,
gli hai generosamente aperto
le porte del Tuo cuore.
Il Tuo esempio mi sprona
a volgermi anch'io verso Il Signore
per dirgli:
“Vieni nei miei sogni
e nei miei progetti,
nelle mie speranze
e nelle mie paure".
Perciò, Signore
entra nelle mie tenebre,
nelle mie angosce
e nelle mie sofferenze.
Entra anche
in quegli angoli
della mia vita
in cui ho amato
più la mia volontà
che la Tua.



L'Annuncio a Maria

Quale dev'essere la nostra risposta al dono supremo? 
Nel rac­conto dell' annunciazione la risposta è formulata attraverso una autodefinizione di Maria: "Io sono la serva del Signore". L'a­spetto di umiltà in quella parola "serva" è stato spesso sottoli­neato e non sempre felicemente, dirottato spesso verso consa­pevoli o inconsce conclusioni antifemminili: l'umiltà, il nascon­dimento, la discrezione devono essere le doti della donna che vuole imitare Maria. 
In realtà il titolo è solenne, è quello che esprime dignità della sposa ed è anche il titolo classico dei per­sonaggi che devono espletare una funzione decisiva nella storia della salvezza: servo del Signore è Abramo, è Mosè, Giosuè, è Davide, sono i profeti e "Servo del Signore" per eccellenza sarà il Messia: Maria ha la coscienza che in lei, donna semplice e co­mune, Dio ha realizzato l'intervento grandioso e definitivo del­la salvezza "attesa da tutte le generazioni". 
Maria afferma, quin­di, la piena coscienza della sua vocazione e del suo destino: E da questo momento in avanti la sua missione è quella di acco­gliere il dono sublime di quel figlio: "avvenga di me quello che hai detto". 
Con questa adesione nella fede e nell'amore Maria diventa l'emblema del vero discepolo di Dio.

- Card. Gianfranco Ravasi - 





«… e gli auguri Nostri riguardano ogni bene; ogni bene migliore; ogni bene desiderabile. Essi attingono alla sorgente di ogni bene, che è Dio; e non temono d'essere troppo abbondanti e troppo audaci. 
Essi osano aspirare anche ai beni più grandi e più difficili! 
Sì, Noi vogliamo con i Nostri voti confortare la speranza di ogni cuore; e la speranza del mondo.
Avrà in quest'anno nuovo il mondo la prosperità necessaria alla sua vita e al suo benessere? 
Noi lo auguriamo, Noi lo speriamo! Avrà il mondo i pensieri ed i propositi di bontà, di giustizia, di onestà, di libertà, di concordia, che lo possono fare migliore e felice? 
Noi lo auguriamo, Noi lo speriamo! E avrà la pace il mondo; la pace sempre così fragile e compromessa, sempre così offesa e minacciata, sempre così desiderabile e necessaria? 
Si, Noi lo auguriamo e Noi lo speriamo!»

- beato Paolo VI, papa
Angelus 1° gennaio 1965




Santa Maria Vergine

Santa Maria Vergine,
non vi è alcuna simile a Te,
nata nel mondo, fra le donne;
Figlia e Ancella dell'altissimo Re,
il Padre Celeste;
Madre del Santissimo Signore nostro Gesù Cristo;
Sposa dello Spirito Santo.
Prega per noi con San Michele Arcangelo,
e con tutte le Virtù dei cieli
e con tutti i Santi,
presso il tuo santissimo Figlio diletto,
nostro Signore e Maestro.


Questa preghiera fa parte dell'Ufficio della Passione del Signore, compilata da S. Francesco, veniva annunciata prima del salmo di ogni ora e recitata per intero alla fine dello stesso salmo.



Con la protezione della Vergine Maria, tanti auguri di Buon Anno a tutti voi, ai sogni che vorrete realizzare, ai buoni propositi ed ai traguardi che vorrete superare. 
Vi auguro la pace nel cuore, questa è la nostra più grande ricchezza!


Buona giornata a tutti.
Stefania

www.leggoerifletto.it








giovedì 31 dicembre 2015

Meditazione di fine anno - don Tonino Bello -

Eccoci, Signore, alla fine di questo lungo anno davanti a te.
Col fiato grosso, dopo aver tanto camminato.
Ma se ci sentiamo sfiniti, non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto, o abbiamo coperto chissà quali interminabili rettilinei.
È perché, purtroppo, molti passi, li abbiamo consumati sulle viottole nostre, e non sulle tue: seguendo i tracciati involuti della nostra caparbietà faccendiera, e non le indicazioni della tua Parola; confidando sulla riuscita delle nostre estenuanti manovre, e non sui moduli semplici dell'abbandono fiducioso in te.
Forse mai, come in questo crepuscolo dell'anno, sentiamo nostre le parole di Pietro: "Abbiamo faticato tutta la notte, e non abbiamo preso nulla".
Ad ogni modo, vogliamo ringraziarti ugualmente. Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto, ci aiuti a capire che senza di te non possiamo far nulla. Ci agitiamo soltanto.
Grazie, perché obbligandoci a prendere atto dei nostri bilanci deficitari, ci fai comprendere che, se non sei Tu che costruisci la casa, invano vi faticano i costruttori.
E che, se Tu non custodisci la città, invano veglia il custode.
E che alzarsi di buon mattino, come facciamo noi, o andare tardi a riposare per assolvere ai mille impegni giornalieri, o mangiare pane di sudore, come ci succede ormai spesso, non è un investimento redditizio se ci manchi Tu.
Il Salmo 127, avvertendoci che, il pane, Tu ai tuoi amici lo dai nel sonno, ci rivela la più incredibile legge economica, che lega il minimo sforzo al massimo rendimento. Ma bisogna esserti amici. Bisogna godere della tua comunione.
Bisogna vivere una vita interiore profonda. Se no, il nostro è solo un tragico sussulto di smanie operative, forse anche intelligenti, ma assolutamente sterili sul piano spirituale.
Grazie, Signore, perché, se ci fai sperimentare la povertà della mietitura e ci fai vivere con dolore il tempo delle vacche magre, tu dimostri di volerci veramente bene, poiché ci distogli dalle nostre presunzioni corrose dal tarlo dell'efficientismo, raffreni i nostri desideri di onnipotenza, e non ci esponi al ridicolo di fronte alla storia: anzi, di fronte alla cronaca.
Ma ci sono altri motivi, Signore, che, al termine dell'anno, esigono il nostro rendimento di grazie.
Grazie, perché ci conservi nel tuo amore.
Perché ancora non ti è venuto il voltastomaco per i nostri peccati.
Perché continui ad aver fiducia in noi, pur vedendo che tantissime altre persone ti darebbero forse ben diverse soddisfazioni.
Grazie, perché non solo ci sopporti, ma ci dai ad intendere che non sai fare a meno di noi.
Perché ci infondi il coraggio di celebrare i santi misteri, anche quando la coscienza della nostra miseria ci fa sentire delle nullità e ci fa sprofondare nella vergogna.
Grazie, perché ci sai mettere sulla bocca le parole giuste, anche quando il nostro cuore è lontano da te.
Perché adoperi infinite tenerezze, preservandoci da impietosi rossori, e non facendoci mancare il rispetto dei fedeli, la comprensione dei collaboratori, la fiducia dei poveri.
Grazie, perché continui a custodirci gelosamente, anzi, a nasconderci, come fa la madre con i figli più discoli.
Perché sei un amico veramente unico, e ti sei lasciato così sedurre dall'amore che ci porti, che non ti regge l'animo di smascherarci dinanzi alla gente, e non fai venir meno agli occhi degli uomini i motivi per i quali, nonostante tutto, continuiamo a essere reverendi.
Grazie, Signore, perché non finisci di scommettere su di noi.
Perché non ci avvilisci per le nostre inettitudini.
Perché, al tuo sguardo, non c'è bancarotta che tenga.
Perché, a dispetto delle letture deficitarie delle nostre contabilità, non ci fai disperare. Anzi, ci metti nell'anima un così vivo desiderio di ricupero, che già vediamo il nuovo anno come spazio della Speranza e tempo propizio per sanare i nostri dissesti.
Spogliaci, Signore, d'ogni ombra di arroganza.
Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza.
Donaci un futuro gravido di grazia e di luce e di incontenibile amore per la vita.
Aiutaci a spendere per te Tutto quello che abbiamo e che siamo. E la Vergine tua madre ci intenerisca il cuore. Fino alle lacrime. Amen

don Tonino Bello



«Al termine di un altro anno, la Chiesa, “casa” nella quale il Verbo fatto uomo si compiace di abitare, famiglia di Dio che cammina nel timore del Signore verso il compimento del tempo, desidera riconoscere di essere stata “benedetta” da Dio, con ogni benedizione spirituale in Cristo Gesù (cf. Ef 1,2). 

Contemporaneamente, essa sente il bisogno di benedire e ringraziare colui dal quale proviene ogni dono perfetto e in cui non c’è variazione né ombra di cambiamento (cf. Gc 1,16). 

Carissimi fratelli e sorelle, siamo qui, stasera, proprio per rispondere a questo intimo bisogno dell’animo: per cantare il nostro “Te Deum” e celebrare l’Eucaristia, che è appunto rendimento di grazie, per gli innumerevoli benefici a noi concessi dalla bontà divina anche nell’anno appena trascorso.»

- san Giovanni Paolo II, papa -
omelia per la Messa di fine anno e “Te Deum” di ringraziamento al Signore - 31 dicembre 1989




...Un altro anno si avvia a conclusione mentre ne attendiamo uno nuovo: con la trepidazione, i desideri e le attese di sempre. Se si pensa all'esperienza della vita, si rimane stupiti di quanto in fondo essa sia breve e fugace...
Come è suggestivo, in questo tramonto di un anno, riascoltare l'annuncio gioioso che l'apostolo Paolo rivolgeva ai cristiani della Galazia: "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessero l'adozione a figli". (Gal 4,4-5). 
Queste parole raggiungono il cuore della storia di tutti e la illuminano, anzi la salvano, perché dal giorno del Natale del Signore è venuta a noi la pienezza del tempo. 
Non c'è, dunque, più spazio per l'angoscia di fronte al tempo che scorre e non ritorna; c'è adesso lo spazio per una illimitata fiducia in Dio, da cui sappiamo di essere amati, per il quale viviamo e al quale la nostra vita è orientata in attesa del suo definitivo ritorno. 
Da quando il Salvatore è disceso dal cielo, l'uomo non è più schiavo di un tempo che passa senza un perché, o che è segnato dalla fatica, dalla tristezza, dal dolore. 
L'uomo è figlio di un Dio che è entrato nel tempo per riscattare il tempo dal non senso o dalla negatività e che ha riscattato l'umanità intera, donandole come nuova prospettiva di vita l'amore, che è eterno...
-Papa Benedetto XVI - 
dalla "Omelia per i Vespri e Te Deum" - 31 dicembre 2011 -



Preghiera per l'ultimo giorno dell'anno 

O Dio onnipotente, Signore del tempo e dell'eternità, 
io ti ringrazio perchè lungo tutto il corso di quest'anno
mi hai accompagnato con la tua grazia
e mi hai ricolmato dei tuoi doni e del tuo amore.
Voglio esprimerti la mia adorazione,
la mia lode e il mio ringraziamento.
Ti chiedo umilmente perdono, o Signore,
dei peccati commessi, di tante debolezze e di tante miserie.
Accogli il mio desiderio di amarti di più
e di compiere fedelmente la tua volontà
per tutto il tempo di vita che ancora mi concederai.
Ti offro tutte le mie sofferenze e le buone opere che,
con la tua grazia, ho compiuto.
Fa che siano utili, o Signore, per la salvezza
mia e di tutti i miei cari. Amen.






- Dedicato a tutti quelli che vogliono guardarsi dentro per tornare a guardare fuori. L'ultimo giorno del 2015. -

Non è stato facile sorridere mentre tutto crollava, non è stato facile ricominciare mentre tutto finiva, non è stato facile sperare mentre le persone più care ci lasciavano, non è stato facile continuare ad amare mentre vedevamo attorno a noi così tanto odio. 
Eppure è stato possibile. 
In mezzo al fango, in mezzo alle tragedie di tutti i giorni, in mezzo alla grigia noia, tutto questo è stato possibile. 
Magari ci è costato qualche lacrima non vista da nessuno, qualche silenzio pieno di sofferenza, qualche finta allegria che potesse far capire al mondo che "andava tutto bene". 
Eppure è successo ed è per questo, non per le foto di facebook o per gli auguri in bacheca, che possiamo dire che il nostro è stato un anno meraviglioso. 
Pieno di quella vita che non è applauso e successo, ma respiro e dedizione.

Buon anno!  Sono le 5 del mattino, prima dello scoccare della mezzanotte entriamo in una chiesa e preghiamo per la pace e secondo le intenzioni del Santo Padre. 


Pace! Buon 2016
- Stefania - 

sabato 17 ottobre 2015

Niente arriva più inaspettato della vecchiaia - Card. Giacomo Biffi -

È la prima volta che mi capita di prendere la parola in una circostanza come questa, e trovo qualche difficoltà. Forse la cosa più semplice è che tenti di esprimere con semplicità i sentimenti che oggi sono più vivi nel mio animo. 
Penso di poter contare sulla comprensione dei miei ascoltatori e sull’atteggiamento misericordioso di quanti hanno voluto amichevolmente essermi accanto per questa celebrazione, tanto più che siamo nella casa della Madonna di San Luca, dove la nostra madre carissima ci mette tutti a nostro agio come sempre.

Il primo sentimento che avverto è la sorpresa. Mi pare sia stato Trotzkj a dire che niente arriva più inaspettato della vecchiaia. È proprio vero: anche da giovani si sa che al mondo ci sono i vecchi; ma a quell’età si guarda ai vecchi come a una popolazione lontana e inconfrontabile, press’a poco come quando si pensa agli eschimesi o ai watussi. Nessuno si rende davvero conto che si diventerà come loro e si entrerà nel loro numero.
Naturalmente a poco a poco ci si persuade; e allora subentra un secondo stato d’animo, tutto signoreggiato dai ricordi. Non avendo più davanti a noi un avvenire prevedibile da colmare mentalmente con le nostre attese e i nostri progetti, si è sospinti a guardare indietro, a ripercorrere il tempo andato, e si comincia ad abbandonarsi alle rievocazioni.
Passano e ripassano davanti alla nostra memoria tutti gli anni che si sono succeduti. E qui si fa un’altra scoperta: la catena degli avvenimenti, dai quali siamo stati condizionati e plasmati, appare ai nostri occhi determinata quasi interamente dalla casualità.
Troppe combinazioni, troppe esperienze fatte, troppi incontri che hanno colmato la mia vicenda mi si rivelano oggi in tutta la loro occasionalità. 
Se fossi nato altrove, o anche solo in un altro angolo della mia città; se mi fossi imbattuto in frequentazioni differenti; se avessi avuto altri insegnamenti e altri esempi di vita; se fossi stato coinvolto in altri accadimenti, è indubbio che non avrei pensato, giudicato, agito come poi mi è avvenuto di agire, di giudicare, di pensare; e adesso sarei diverso da quello che sono. 
È un pensiero che per un momento m’inquieta. Ma solo per un momento, perché è sùbito vinto e superato dalla verità di un Dio che - se esiste, come esiste - non può che essere il Signore dell’universo, della storia e dei cuori, cui niente sfugge di mano: tutto obbedisce al suo disegno di salvezza e di amore.
Alla luce di questa persuasione ogni pagina di qualsivoglia biografia riceve un’altra lettura, anche della mia (come è ovvio). 
Tutto ciò che sulle prime mi era sembrato contingente e fortuito mi si manifesta perciò come frutto di un progetto mirato: un progetto eccedente ogni mia immaginazione e del tutto gratuito, liberamente formulato da colui che è l’Eterno.

Il caso, come si vede, non esiste. Ma allora (mi domando) come mai il Signore consente che gli occhi dell’uomo, quando non sono superiormente illuminati, lo vedano così dominante e quasi onnipresente nella creazione di Dio? 
C’è, credo, una risposta plausibile: la casualità è soltanto il travestimento assunto da un Dio che vuol passeggiare in incognito per le strade del mondo; un Dio che si studia di non abbagliarci con la sua onnipotenza e col suo splendore.

Quando si arriva qui, ogni pensiero e ogni esame lasciano il posto alla contemplazione stupita dell’incredibile e arcana benevolenza del “Padre della luce”, dal quale “discende ogni buon regalo e ogni dono perfetto” (cfr. Gc 1,17). 
Ogni sentimento è allora naturalmente trasceso e più radicalmente inverato in quello onnicomprensivo ed esauriente della riconoscenza.
Questa di stasera è per me davvero una “eucaristia”, nel significato più intenso del termine, che tocca e fa vibrare il mio essere in tutte le sue fibre. Oggi, “grazie” diventa per me la parola che riassume tutte le altre; la parola cui (se è compresa bene) non c’è più niente da aggiungere. E sono lieto di poterla pronunciare ed elevare al cielo in questo santuario, così caro al nostro popolo bolognese che qui da secoli viene ad aprire il suo cuore, a chiedere, a implorare e alla fine a ringraziare, appunto.
Certo il mio canto di gratitudine e di lode è difettoso e inadeguato. 
Ma siete venuti in molti ad aiutare il mio povero “grazie”. 
Il Signore vi benedica: voi, miei fratelli nell’episcopato che anche in quest’ora non mi avete lasciato solo, voi presbiteri che per tanti anni avete generosamente collaborato con me, voi carissimi diaconi, voi tutti che oggi m’incoraggiate con la vostra presenza e il vostro affetto. 
Il Signore vi benedica tutti e vi ricompensi come sa fare lui.

Possiamo raccogliere un ultimo conforto dai versetti del quarto vangelo che abbiamo ascoltato. 
Gesù morente sulla croce dice prima: “Ecco il tuo figlio”, e poi: “Ecco la tua madre” (cfr. Gv 19,26-27). E la cosa mi ha sempre colpito. Prima di preoccuparsi di affidare Maria (che resta sola) a Giovanni, si preoccupa di affidare Giovanni (che non resta solo) a Maria. Il suo primo pensiero non è per la madre sua, è per l’apostolo; e non tanto per la persona di Giovanni, che ha già una madre; una madre che è anzi lì anche lei tra le donne che sono sotto la croce (cfr. Mt 27,56), quanto per l’umanità che egli rappresenta e più specificamente per tutti coloro che, come lui, saranno nei secoli rivestiti del carisma apostolico. 
Il Figlio di Dio, Redentore e Signore di tutti, ce lo ha garantito: il sacerdozio ministeriale è posto sotto la singolare protezione materna della Regina del cielo e della terra. Per questo a noi non possono mancare mai, fino all’ultimo giorno, la serenità e la speranza.
A questo proposito devo dire che, arrivato a questa età, ho imparato a dire meglio, con più senso, l’ultima parte dell’Ave Maria (superando la mia anteriore superficialità e spensieratezza):

“Madre di Dio, prega per noi peccatori,
adesso e nell’ora della nostra morte.
Amen”.

 Omelia del Card. Giacomo Biffi per gli ottant'anni 
(Basilica di San Luca - 13 giugno 2008)





13 giugno 1928, Milano - 11 giugno 2015 Bologna

«A una data età nessuno di noi è quello a cui madre natura lo destinava; ci si ritrova con un carattere curvo come la pianta che avrebbe voluto seguire la direzione che segnalava la radice, ma che deviò per farsi strada attraverso pietre che le chiudevano il passaggio».

- Italo Svevo- 
da: “La coscienza di Zeno”


«Più invecchio anch’io, più mi accorgo che l’infanzia e la vecchiaia non solo si ricongiungono, ma sono i due stati più profondi in cui ci è dato vivere. 
In essi si rivela la vera essenza di un individuo, prima o dopo gli sforzi, le aspirazioni, le ambizioni della vita. […] 
Gli occhi del fanciullo e quelli del vecchio guardano con il tranquillo candore di chi non è ancora entrato nel ballo mascherato oppure ne è già uscito. 
E tutto l’intervallo sembra un vano tumulto, un’agitazione a vuoto, un inutile caos per il quale ci si chiede perché si è dovuto passare».

– Marguerite Yourcenar –
da: “Archivi del Nord”



 Ch'io non faccia di professione il vecchio, 
o Signore ch'io non sia uno scarto di vesperali memorie.
 Conservatore sì ma capace di imparare ancora; 
autoritario un po' ma teso ad avere più amore che potere; 
abitudinario per necessità 
ma che il mio orologio non segni sempre la stessa ora; 
impotente ma non imbecille; 
pensionato ma non disoccupato: 
che il futuro non sembri un lontano passato.  

- Dario Rezza - 
 da: "Riflessi d'autunno" Ed. Palumbi



Buona giornata a tutti. :-)