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mercoledì 17 gennaio 2018

Antonio Socci - da: " In memoria di Andrea Aziani" in "Libero", 18 ottobre 2012

"E’ veramente un’umanità affascinante. Una storia di santità che si porta dietro anche tutti i limiti di noi peccatori, ma la Chiesa stessa è così."
"...Mi accorgo di cosa è CL quando sento la passione dell’altra figlia, per il suo violino e il suo pianoforte. Questo struggimento per la bellezza se l’è trovato dentro il cuore anche lei perché l’abbiamo imparato, assorbito per osmosi da don Giussani che ci ha fatto gustare tutto, dalla Sonata per violino e pianoforte n. 2 di Schubert, al panorama mozzafiato delle Dolomiti, dal mare azzurro e infinito al buon vino del mio amico Michele.
Lo struggimento per la bellezza, il gusto della vita, la fraternità vera (di chi ti accoglie in casa sua anche in piena notte), la fede e la speranza nella sofferenza, la compassione per il mondo intero, l’innamorata passione per Gesù benedetto e l’amore alla sua Chiesa fino al martirio.
Tutto questo miracolo in terra è CL, con tante opere meravigliose che ho scoperto di recente come la splendida Cometa di Como o che conosco da tempo come il Banco alimentare o i nostri medici dell’Avsi che da decenni curano gli ammalati di Aids nell’Africa profonda.
E tanti altri miracoli quotidiani, come la scelta della verginità di giovani di venti anni o l’ “amore vero” fra ragazzi e ragazze di 25 anni che per grazia si amano con eroismo e purezza (un tempo ci prendevano in giro, mentre oggi loro si sentono dire dai coetanei: “vi invidio”).
E’ veramente un’umanità affascinante. Una storia di santità che si porta dietro anche tutti i limiti di noi peccatori, ma la Chiesa stessa è così.
Nel suo cammino attraverso i secoli – scrive Eliot – gli uomini che si lasciano abbracciare da lei – e diventano cristiani – si trovano 

“salvati a dispetto del loro essere negativo; bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima;
Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce.
Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un’altra via”.


Questo sono i cristiani. Gente misera, ma in cammino con i santi.

- Antonio Socci -
da: " In memoriam di Andrea Aziani" in "Libero", 18 ottobre 2012




"Ma la storia cristiana è così. Da duemila anni. E’ fatta di uomini che si sentono umiliati per la propria miseria, ma la cui imperfezione è usata dal Signore dell’universo come piedistallo della Sua gloria. "

- Antonio Socci  -
" In memoria di Andrea Aziani" in "Libero", 18 ottobre 2012"


Il 2 febbraio 2016, durante la messa che celebrava il 19° anniversario della diocesi di Carabayllo nella città di Lima, in Perù, il vescovo Lino Panizza ha annunciato l’apertura della causa di beatificazione di Andrea Aziani (16.1.1953-30.7.2008)

In una lettera del 1993 a un amico, Andrea ricordava una frase di santa Caterina e scriveva: “Che qualcuno si innamori di ciò che ha innamorato noi. Ma perché sia così, noi dobbiamo bruciare, letteralmente, ardere di passione perché Cristo lo raggiunga. Perché attraverso questo bruciare sia Cristo a raggiungerlo”. Don Giussani un giorno lesse queste righe davanti a centinaia di persone e, commosso, commentò: “vi sfido a trovare una testimonianza simile. Dovunque!”.

Fonte: Antonio Socci, "Libero" - 7 agosto 2008





martedì 10 ottobre 2017

Gilbert Keith Chesterton "La nonna del drago"

L’altro giorno ho incontrato un tale che non credeva alle favole. 
Non intendo dire che non credesse negli eventi narrati in esse – che non credesse cioè che una zucca possa trasformarsi in una carrozza. 
Egli, certamente, coltivava questa bizzarra incredulità, ma ancor più, come tutte le persone simili da me incontrate, non riusciva nel modo più assoluto a darmene una motivazione intelligente. 
Provò con le leggi di natura, ma presto le lasciò perdere. Poi disse che le zucche, nell’esperienza ordinaria, sono inalterabili, e che tutti noi crediamo nella qualità infinitamente prolungata del loro essere zucche. 
Ma io gli feci notare che adottiamo questo atteggiamento non verso i prodigi impossibili, ma semplicemente verso tutti gli avvenimenti insoliti. Se fossimo certi dei miracoli non crederemmo in essi. 
Noi tutti lasciamo fuori dai nostri calcoli le cose che accadono molto raramente, siano esse miracolose o no. 
Io non mi aspetto che un bicchiere d’acqua si trasformi in vino, ma neppure mi aspetto che un bicchiere d’acqua sia avvelenato con l’acido prussico. 
Nelle relazioni d’affari ordinarie non mi baso sulla supposizione che l’editore sia un essere magico, ma neppure suppongo che possa essere una spia russa, o l’erede perduto del Sacro Romano Impero. 
Ciò che assumiamo nelle nostre azioni non è che l’ordine naturale sia inalterabile, ma semplicemente che è molto più sicuro scommettere su eventi non comuni che su quelli comuni. 
Questo non va a toccare la credibilità di ogni racconto che attesti una spia russa o una zucca tramutata in carrozza. 
Se anche io avessi visto con i miei occhi una zucca tramutata in un’autovettura Panhard, non per questo riterrei più probabile che la stessa cosa possa accadere ancora. Non investirei in larga scala sulle zucche per fare affari nel commercio di automobili. 
Cenerentola ebbe dalla fata un abito per il ballo, ma non credo che per questo motivo da lì in avanti si preoccupò di meno dei propri vestiti.
In ogni caso, per quanto pazza sia, l’opinione che le fiabe non siano realmente accadute è tuttavia comune. 
L’uomo di cui sto parlando si rifiutava di prestar fede alle fiabe in un senso addirittura più sorprendente e perverso: sosteneva che le fiabe non dovessero essere raccontate ai bambini. 
Questo, alla pari dell’appoggiare la schiavitù o l’invasione di un paese, è uno di quegli errori intellettuali che si avvicinano di molto al peccato mortale. Esistono dei rifiuti che, pur praticati con ciò che si chiama buona fede, nel loro stesso esercizio trascinano così tanto del proprio orrore che un uomo, nel commetterli, non arriva solo ad indurire il cuore, ma, lievemente, a corromperlo. 
Uno di questi fu il rifiutare il latte alle giovani madri mentre i loro mariti erano sul campo di battaglia contro di noi. Un altro è il privare delle favole i bambini.
Quell’uomo era venuto a trovarmi per via di qualche sciocca associazione di cui io sono un membro entusiasta; era un giovane dal colorito brillante ma miope come un curato che si è smarrito e non riesce neppure a ritrovare la strada per la Chiesa d’Inghilterra. 
Aveva una curiosa cravatta verde e un collo lunghissimo; mi capita sempre di incontrare idealisti con colli simili. Forse è per la loro eterna aspirazione ad innalzare lentamente la testa sempre più verso le stelle. 
O forse è legato al fatto che così tanti di loro sono vegetariani: può darsi che stiano lentamente sviluppando un collo da giraffa per mangiare tutte le cime degli alberi dei Kensington Gardens. 
Queste cose mi superano in ogni senso. Di questa razza, in ogni caso, era il giovane che non credeva alle fiabe, e per una curiosa coincidenza entrò nella mia stanza quando avevo appena terminato di dare un’occhiata ad un mucchio di narrativa contemporanea, e mi ero rifugiato come naturale conseguenza nelle favole di Grimm.
Quei romanzi moderni stavano comunque impilati davanti ai miei occhi, e potete immaginarne da soli i titoli. C’era una “Susan della periferia: un racconto di psicologia”, e anche una “Susan psicologica: un racconto di periferia”; e poi “Trixy: un temperamento” e “L’odio umano: un monocromo” e altre cose così simpatiche. Le avevo lette con reale interesse, ma, cosa abbastanza curiosa, alla fine tutte mi stancarono, e quando vidi le fiabe di Grimm poggiate per caso sulla scrivania me ne uscii in un urlo di gioia indecente. 
Eccoci, finalmente, qui si poteva trovare un po’ di senso comune. 
Aprii il libro, e mi caddero gli occhi su queste parole splendide e appaganti: “La nonna del drago”. Finalmente qualcosa di ragionevole, finalmente qualcosa di vero: “La nonna del drago”! Proprio quando mi preparavo a gustare il primo boccone di ordinaria umanità, guardai davanti all’improvviso e vidi alla porta questo mostro in cravatta verde.
Ascoltai quanto aveva da dire sulla società, abbastanza gentilmente, spero; ma quando incidentalmente fece menzione della sua mancanza di fede nelle fiabe, persi completamente il controllo. 
«O uomo, - dissi, - chi sei tu da non dover credere alle fiabe? È molto più facile credere a Barbablu che a te. Una barba blu è una sfortuna, ma certe cravatte verdi sono peccati. È di gran lunga più facile credere in un milione di favole che credere in un singolo uomo a cui non piacciono. 
Io bacerei Grimm al posto della Bibbia e giurerei su tutte le sue storie come fossero i trentanove articoli piuttosto che affermare seriamente e dal profondo del cuore che possa esistere un uomo come te, e che tu non sia invece una tentazione del diavolo o un’allucinazione proveniente dal nulla. 
Guarda queste parole semplici, familiari, pratiche. “La nonna del drago”: va tutto bene, si raggiunge la razionalità quasi al suo estremo. Se ci fosse un drago, avrebbe una nonna. Ma tu – tu non l’hai avuta una nonna! Se ne avessi conosciuta una, lei ti avrebbe insegnato ad amare le fiabe. 
Non hai avuto un padre, non hai avuto una madre, nessuna causa naturale ti può spiegare. Tu non puoi esistere. Io credo a molte cose che non ho visto, ma di una cosa come te si deve affermare: “Beato colui che pur avendo visto non ha creduto”».
Ebbi l’impressione che egli non mi stesse seguendo con sufficiente finezza, quindi moderai il mio tono. «Non vedi, - gli dissi, - che le fiabe nella loro essenza sono solide e leali, ma che questa infinita finzione sulla vita moderna è nella sua natura sostanzialmente inverosimile? La tradizione di un popolo implica che l’anima sia sana, ma che l’universo sia imprevedibile e pieno di meraviglie. Il realismo finisce invece per dire che il mondo è noioso e si ripete sempre, mentre l’anima è malata e urla di dolore. Il problema posto dalla fiaba è: cosa farà un uomo sano in un mondo fantastico? Il problema del romanzo moderno è: cosa farà un pazzo in un mondo stanco? Nelle fiabe il cosmo impazzisce, ma l’eroe no. Nei romanzi moderni invece l’eroe è già pazzo prima che il libro cominci, e soffre per il rigore rigido e crudele di un cosmo sano. Nell’eccellente “La nonna del drago” e in tutte le altre storie di Grimm, si suppone che il giovane in partenza per un lungo viaggio racchiuda in sé tutte le sostanziali verità: sarà coraggioso, pieno di fede, ragionevole, rispetterà i propri genitori, manterrà la parola data, salverà un certo tipo di persone, ne sconfiggerà un altro, ‘parcere subjectis et debellare’, ecc. A partire da questo centro di sanità lo scrittore si diverte ad immaginare cosa accadrebbe se il mondo intero impazzisse tutto intorno, se il sole diventasse verde e la luna blu, se i cavalli avessero sei zampe e i giganti due teste. Ma la tua moderna letteratura assume la pazzia come proprio centro di gravità, perdendo così interesse per la pazzia stessa. Un lunatico non si sorprende di se stesso, perché affronta le cose seriamente, ed è proprio questo a renderlo lunatico. Un uomo convinto di essere un pezzo di vetro è apatico nei propri confronti come un pezzo di vetro. Un uomo che pensa di essere un pollo si vede comune come un pollo. È solo la sanità che riesce a vedere nella pazzia persino una poesia selvaggia.
Pertanto, queste vecchie fiabe piene di saggezza hanno reso l’eroe ordinario e la storia straordinaria. Ma tu rendi l’eroe straordinario e la storia ordinaria – così ordinaria – oh, così tanto ordinaria!»
Vidi che mi guardava ancora fisso. 
Mi saltò qualche nervo davanti a quello sguardo ipnotico. Balzando in piedi gridai: «In nome di Dio e della Democrazia e della nonna del Drago – in nome cioè di tutte le cose buone – ti ordino di andartene e di non infestare più questa casa». 
Fosse o no il risultato dell’esorcismo, non c’è dubbio che se ne andò via per sempre.

- Gilbert Keith Chesterton -
da:" La nonna del drago"




"Da parte mia vorrei che gli uomini avessero opinioni forti e ben radicate, ma per quanto riguarda la colazione, la facciano qualche volta in giardino, qualche volta a letto, qualche volta sul tetto e qualche volta sull'albero".

- Gilbert Keith Chesterton -
da:" La nonna del drago"




"Tutto sta in una disposizione della mente, e in questo momento io sono in una disposizione molto comoda. Siederò tranquillo e lascerò che prodigi e avventure si posino su di me come mosche. 
Ce ne sono molti, ve l'assicuro. 
Il mondo non morirà mai per assenza di meraviglie, ma solo per assenza di meraviglia".

- Gilbert Keith Chesterton -
da:" La nonna del drago"




"Ho i miei dubbi su tutto questo grande valore dell'andare in montagna, di arrivare alla cima di tutto e guardare tutto dall'alto. 
Satana divenne la guida alpina più illustre, quando portò Gesù sulla cima di un monte altissimo e gli mostrò tutti i  regni della terra. 
Ma la gioia di Satana nello stare su un picco non è gioia per la grandezza, ma una gioia nel vedere la piccolezza, per il fatto che tutti gli uomini sembrano insetti ai suoi piedi."

- Gilbert Keith Chesterton -
da:" La nonna del drago"

domenica 30 luglio 2017

L'identità del cristiano: vivere per servire – Madre Anna Maria Canopi

Vivere per servire: ecco un ideale davvero bello per un cristiano! 
Ogni autentico servizio, infatti, ha la sua radice nel mistero di Cristo che per salvarci "pur essendo di natura divina..., spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo" (Fil 2, 6-7). Gesù è venuto sulla terra per insegnarci a servire. Egli è il nostro modello. 
Durante l'ultima Cena, dopo la lavanda dei piedi, disse ai suoi discepoli:
"Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. " (Gv 13, 12-15).
Conformarsi a Cristo significa, dunque, nelle situazioni in cui si vive e si lavora, saper dire con spontaneità: "Sono venuto per servire, non per essere servito" (cf Mt 20,28), "essere cioè sempre a disposizione per il bene degli altri", anzi, "diventare un bene per gli altri".
La differenza non è piccola: si tratta di passare dal fare qualcosa a favore dei fratelli, ad essere una persona per gli altri, come Gesù è "per noi".
Questo modo di porsi in relazione a Dio e al prossimo dona alla vita una dimensione nuova: in qualunque stato ci si trovi - consacrati o laici, soli o sposati, sani o malati - sempre si ha una missione da compiere, quella di donarsi. 
E poiché il donarsi implica l'impegno di una continua conversione per negarsi a se stessi, chi vive in tale dimensione interiore evita di entrare in competizione e in rivalità con i fratelli, non agisce sotto la spinta dell'ambizione e dell'egoismo, fugge l’ostilità, la violenza, l'aggressività, con tutte le tristi conseguenze che purtroppo si esibiscono sulla scena di questo mondo. Allora, anche se in apparenza non occupa un posto di rilevo nella società, il cristiano contribuisce veramente a costruire la "civiltà dell'amore"; là dove vive è una presenza di pace che diffonde attorno a sé carità e spirito di comunione, favorisce la collaborazione e la concordia a tutti i livelli, diventa fermento di giustizia, di santità.
L’ideale del servizio comporta inoltre altre conseguenze. 
Se uno vive in pace con gli altri non avanza diritti per sé, cerca piuttosto di mettersi nella prospettiva del "dovere". 
Oggi si parla facilmente di "diritti", ma si pensa meno al fatto che, se ogni persona ha il diritto di essere libera, di avere il necessario per vivere, ciò implica che io ho il dovere di fare per quella persona quanto occorre per il suo bene. 
Certamente si tratta di un atteggiamento da assumere reciprocamente, di una responsabilità comune. Quanto è importante la reciprocità! 
Tuttavia, per quanto ci riguarda, dobbiamo soprattutto preoccuparci di compiere il nostro dovere, cioè di servire gli altri con amore, in modo gratuito, anche se non riceviamo dagli altri il contraccambio. 
Anzi, quando tale disparità dovesse manifestarsi, proprio allora è il momento di vivere il Vangelo alla lettera, senza seguire la mentalità del mondo.
In altre parole, non si deve osservare soltanto la legge del "dare per ricevere", perché la nostra identità di uomini e di cristiani - se tali vogliamo essere - si caratterizza per un sovrappiù di amore, in forza del quale non si fa il bene per ricevere il contraccambio, ma lo si fa gratuitamente, comunque e sempre, senza paura di "perdere", poiché il bene che si fa ritorna sempre anche a chi lo compie: non è mai contro di noi. 
Anzi proprio quando gli altri non ci ricambiano, sul piano spirituale guadagniamo di più, perché diventiamo più conformi, più somiglianti a Cristo. 
E questo è il vero guadagno: la santità. 
Chi fa il bene ha già il suo premio, perché si realizza secondo il progetto di Dio. 
A poco a poco, nelle sue scelte, si trova a non essere più schiavo di un criterio puramente umano e utilitaristico o, peggio, schiavo delle proprie passioni, ma si eleva a un concetto della vita più nobile e spirituale, e ad acquistare la capacità di avere rapporti autentici e sereni con tutti.
Questo è tanto importante, soprattutto nel nostro tempo in cui, con lo sviluppo delle comunicazioni, e anche in conseguenza delle migrazioni dei popoli, chi si dedica agli altri viene spesso a trovarsi a contatto con molte persone di altra nazionalità e anche di diversa religione. 
È una bella testimonianza di gratuità aprirsi a tutti: ogni uomo merita di essere onorato, amato, servito, a qualunque popolo appartenga e qualunque sia la sua fede.
Quando questi incontri avvengono in uno spirito di autentica accoglienza e umanità, favoriscono decisamente il formarsi di relazioni fraterne e pacifiche, perché il bene donato suscita altro bene. 
In un mondo dominato dalla violenza, si tesse così silenziosamente una rete di amicizia, che dice con i fatti che tutti gli uomini sono davvero fratelli, figli di un unico Dio, tutti incamminati verso un unica meta. 
Tutti siamo poveri e deboli, ma se ci aiutiamo le fatiche del cammino si possono affrontare con maggiore fiducia: là dove uno cade, un altro è pronto a rialzarlo; quando ad uno viene meno il coraggio, chi gli è accanto diventa per lui un raggio di speranza. Anche questo è un servizio che siamo chiamati a renderci reciprocamente. 
E bisogna farlo con gioiosa disponibilità, sapendo che abbiamo sempre accanto a noi Gesù, nostro compagno di viaggio. 
Anzi, è lui stesso la Via. Guardando a lui, non si può più accontentarsi di arrivare soltanto "fino a un certo punto", perché egli non si è fermato lungo la salita del Calvario, ma ha servito l'umanità fino a salire sulla croce. 
Dal suo esempio nasce la forza di andare oltre le "convenienze" umane, accettando non solo la fatica, ma anche le umiliazioni che spesso il servizio comporta, accettandole come momenti di grazia, per liberarci dal terribile peccato di orgoglio che sempre c'insidia e spesso rovina anche il bene che possiamo compiere.
Per servire gli altri bisogna veramente farsi piccoli, umili, fino a sapersi inginocchiare davanti a loro, mettersi ai loro piedi. 
È difficile, perché il nostro io è duro a morire; ma in questo sacrificio non c'è tristezza, anzi proprio da esso scaturisce la vera gioia. 
Gesù stesso ha detto: "C’è più gioia nel dare che nel ricevere", e l'apostolo Paolo afferma: "Dio ama chi dona con gioia". 
Queste parole di vita sono da ricordare sempre.
Chi si fa "servo" per amore di Cristo e dei fratelli si trova libero e felice di godere, insieme con tutti, il tesoro del Regno dei Cieli.
Come cambierebbe il mondo se ogni mattino ciascuno di noi si proponesse di rivestirsi di Cristo assumendone i pensieri e i sentimenti per riprodurne le opere; se con risolutezza ci mettessimo al lavoro come buoni operai dicendo: "Per me servire è regnare: oggi voglio cominciare a vivere così!".

 - Madre Cànopi Anna Maria -
Fonte: Vita nostra



<<Corde tacito mens bene conscia conservat patientiam...>>
(da un inno per i martiri)

Il silenzio diventa forza
per portare la prova.
Il lamentarsi, il discutere,
il parlare delle difficoltà
fa invece diminuire le forze.
Di fronte alle prove personali,
prima di ribellarsi,
prima di ragionare sulla situazione,
bisogna mettersi in silenzio,
attendere umilmente
che Dio ci manifesti il suo disegno,
credendo di essere sempre e ancor più
nelle sue mani.


Buona giornata a tutti. :-)




giovedì 29 giugno 2017

La gioia spirituale - PadreThomas Merton

La gioia spirituale dipende dalla croce. 
Se non rinnegheremo noi stessi, ci ritroveremo in tutte le cose, e questo è la nostra infelicità.
Appena cominciamo a rinnegarci, per amore di Dio, cominciamo a trovare Dio, almeno oscuramente. Poiché Dio è la nostra gioia, la nostra gioia è proporzionale al rinnegamento della nostra personalità per amore di Dio.
Dico: rinnegamento per amore di Dio, poiché vi sono uomini che rinnegano se stessi per amore di se stessi.
Non è complicato condurre una vita spirituale. Ma è difficile. 
Siamo ciechi, e soggetti a mille illusioni. 
Dobbiamo aspettarci di commettere errori quasi a ogni momento. 
Dobbiamo essere contenti di cadere ripetutamente e di ricominciare ogni volta da capo nello sforzo di rinnegarci, per amore di Dio.
Quando siamo in collera per i nostri errori tendiamo per lo più a rinnegarci per amore di noi stessi. 
Vogliamo liberarci dall'odiosa cosa che ci ha umiliati.
Nell'impeto di fuggire l'umiliazione dei nostri errori, cozziamo nell'errore opposto, cercando conforto e compenso. E così consumiamo la nostra vita a correre avanti e indietro da un affetto all'altro. 
Se tutto il nostro rinnegamento si riduce a questo, i nostri errori non ci saranno mai di aiuto.
Quando abbiamo commesso un errore non dobbiamo piantare in asso ciò che stavamo facendo e avviare qualcosa di completamente nuovo, ma ricominciare da capo la cosa che avevamo iniziato malamente, e cercare, per amore di Dio, di farla bene.

- Thomas Merton - 
7 ottobre 1949, da. "Il segno di Giona", Garzanti, pag. 275

Quo vadis Domine?


La risposta cristiana all'odio 

L'inizio della lotta contro l'odio, la fondamentale risposta cristiana all'odio, non è il comandamento di amare, ma quello che necessariamente lo precede per renderlo sopportabile e comprensibile, cioè quello di credere. 
La radice dell'amore cristiano non è la volontà di amare, ma il credere che si è amati. Credere che Dio ci ama. 
Credere che Dio ci ama anche se siamo indegni - o meglio, che Egli ci ama indipendentemente dai nostri meriti!
In una visione meramente cristiana dell'amore di Dio, il concetto di dignità perde ogni significato. 
La rivelazione della misericordia di Dio riduce tutto il problema della dignità a qualcosa di quasi irrisorio: la scoperta che la dignità è di poca importanza (perché nessuno potrebbe mai, di per se stesso, essere degno di essere amato di un simile amore) è una vera liberazione di spirito. 
E, fintanto che non si giunge a questa scoperta, fintanto che questa liberazione non è stata operata dalla misericordia divina, l'uomo rimane prigioniero dell'odio.

- Thomas Merton - 

Da: “Nuovi semi di contemplazione”


Signore mio Dio,
non ho alcuna idea di dove sto andando,
non vedo la strada che mi è innanzi,
non posso sapere con certezza dove andrà a finire.
E non conosco neppure davvero me stesso,
e il fatto che penso di seguire la tua volontà
non significa che lo stia facendo davvero.

Sono però convinto che il desiderio di compiacerti
in realtà ti compiace.
E spero di averlo in tutte le cose.
Spero di non fare mai nulla senza un tale desiderio.
E so che se agirò così
la mia volontà mi condurrà per la giusta via,
quantunque possa non saperne nulla.

Avrò però sempre fiducia in te
per quanto mi possa sembrare di essere perduto
e avvolto nell’ombra della morte.
Non avrò paura,
perché tu sei sempre con me
e non mi lascerai mai solo di fronte ai pericoli.


 
- Thomas Merton - 
Pensieri nella solitudine, Milano 1959



Buona giornata a tutti. :-)









martedì 20 settembre 2016

Perseguitati per la Fede

17 gennaio 1954, domenica
Una cornacchia si è seduta in cima ad un alto abete. Si è guardata attorno con espressione autoritaria e ha emesso un grido di vittoria. A questo essere rumoroso sembra davvero che l'abete le debba tutto: la sua esistenza, la sua bellezza slanciata, il verde sempre vivo, la forza nella lotta col vento. 
Questa superbia della Cornacchia è stupefacente. 
Grande benefattrice dell'abete silenzioso! E l'abete neppure trema; sembra che non veda la cornacchia; meditabondo leva i suoi rami verso il cielo. Sopporta tranquillamente l'ospite rumoroso. 
Nulla turba i suoi pensieri, la sua serietà, la sua pace. Tante nubi sono già passate su di lui, tanti uccelli si sono fermati qui! E se ne sono andati, così come tu te ne andrai. 
Questo non è il tuo posto, non ti senti sicura e urlando così cerchi di supplire alla mancanza di forza. 
Io sono cresciuto da questa terra e sono piantato con le mie radici nel suo cuore. E tu, nube passeggera, che getti un'ombra di tristezza sulla mia cima dorata, sei in balia dei venti. Bisogna sopportarti tranquillamente. 
Tu gracchi la tua canzone noiosa, senza anima e povera, poi te ne vai. Che cosa riesci a fare con un urlo? 
Io resto, per perseverare nel raccoglimento, per costruire la mia pazienza, per sopportare turbini e tempeste, per andare sempre più in alto, tranquillamente. Non mi oscuri il sole, non mi affascini, non muti il fine del mio salire. C'era il bosco e voi non c'eravate, non ci sarete e ci sarà il bosco. 
Una favola? Non, non è una favola.

Stefan Wyszynski - 
da: Appunti dalla prigione


Servo di Dio Stefan Wyszynski Cardinale, Primate di Polonia
Zuzela, Polonia, 3 agosto 1901 - Varsavia, Polonia, 28 maggio 1981

Arcivescovo, Cardinale primate di Polonia, ha svolto un ruolo determinante non solo nella evoluzione dei rapporti tra Chiesa cattolica ed uno Stato a regime comunista, ma nello stesso sviluppo della storia del suo paese durante la Guerra Fredda. Chiamato nel 1948 a reggere le diocesi di Gniezno e Varsavia, come altri prelati degli Stati dell'Est europeo si trovò, negli anni dello stalinismo, impedito di esercitare la propria missione. Nel 1953 ci fu una dura fase di repressione contro la Chiesa; il 25 settembre è arrestato, internato, isolato da ogni contatto è liberato il 28 ottobre 1956. La persecuzione non fece però perdere la serenità di visione al cardinale che, nell'ottobre del 1956, quando la Polonia si ribellò alla dittatura sovietica e si avviò sulla via nazionale al socialismo riaffidando la guida del partito a Gomulka (Rivolta di Poznan), diede prova di notevole sensibilità politica. Wyszynski infatti fu pronto a concordare con Gomulka un modus vivendi tra Stato e Chiesa evitando atteggiamenti che avrebbero potuto accrescere la tensione nel Paese e favorire un intervento armato sovietico. La moderazione del cardinale venne giudicata eccessiva dagli ambienti più conservatori della Curia romana.
Quando il primate polacco, nel 1957, poté compiere il suo viaggio a Roma per rendere visita a papa Pio XII dovette fare alcuni giorni di anticamera.
Grande amico di papa Giovanni Paolo II, il suo funerale fu un evento nazionale a cui non poté assistere il papa perché ancora ricoverato al Gemelli dopo il celebre attentato. (da Santi e Beati)

"Appunti... 1953-56" date alle stampe 3 settimane prima di morire, sono note personali.


Le Messe più belle  - Cardinale F.X. Nguyen Van Thuan

Quando sono stato arrestato, ho dovuto andarmene subito, a mani vuote. L'indomani, mi è stato permesso di scrivere ai miei per chiedere le cose più necessarie: vestiti, dentifricio... Ho scritto: "Per favore, mandatemi un po' di vino, come medicina contro il mal di stomaco". I fedeli subito hanno capito. Mi hanno mandato una piccola bottiglia di vino per la Messa, con l'etichetta "medicina contro il mal di stomaco", e delle ostie nascoste in una fiaccola contro l'umidità. [...] Non potrò mai esprimere la mia grande gioia: ogni giorno, con tre gocce di vino e una goccia d'acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale! [...] Ogni volta avevo l'opportunità di stendere le mani e di inchiodarmi sulla croce con Gesù, di bere con lui il calice più amaro. [...] Erano le più belle Messe della mia vita.

F.X. Nguyen van Thuan, vietnamita, quando era Arcivescovo, trascorse tredici anni del suo episcopato in prigione, di cui nove in isolamento. 

qui trovate il link con una breve biografia:



Mia madre - card. Joseph Mindszenty

Un decennio prima della mia terza prigionia avevo scritto queste parole sull'amore materno: «Sarai dimenticato dai tuoi superiori dopo averli serviti; dai tuoi dipendenti, allorché essi non percepiranno più il tuo potere; i tuoi amici, quando verrai a trovarti in difficoltà... Solo tua madre ti attende davanti al portone della prigione. Nella profondità del carcere possiedi soltanto l'amore della madre. Solo lei scende con te laggiù. E se sarai precipitato ancor più in basso del carcere, nell'abisso del penitenziario, della casa dei condannati a morte, solo lei non avrà paura di varcare quella soglia...».
Quando scrivevo quelle parole non pensavo che la mia vecchia madre sarebbe stata l'unica stella nel cielo oscuro della mia prigionia e che lei sola mi avrebbe visitato e abbracciato durante gli otto anni di segregazione in carcere.
Chi è mia madre? Una donna di ottantacinque anni, madre di sei figli, che viveva nella sua casa di Mindszent circondata dal rispetto e dall'amore di quattordici nipoti e altrettanti pronipoti. Al tempo del mio arresto e quando io finii trascinato nel fango, ella aveva settantaquattro anni ed era rimasta vedova da due anni. Anche se proveniva da un ambiente semplice e paesano, si precipitò per aiutarmi e mi stette a fianco fino alla sua morte con intelligenza e con tatto. Fu capace di rintracciarmi nel mondo disumano delle prigioni comuniste. Prima d'allora non aveva mai varcato la soglia di un ministero. Ora invece abbordava i dirigenti del partito che erano giunti al potere in maniera illegale. Ciò fu per lei una croce pesante. Ma dovunque compariva, nei ministeri, in prigione, nel penitenziario, il suo atteggiamento testimoniava la sua forza d'animo.
Mia madre mi visitò ventidue volte durante la mia prigionia. Dei sette diversi posti in cui fui detenuto ella ne vide solo tre: l'ospedale della prigione, Püspökszentlàsló e Felső; Petény. Non potè vedere gli altri quattro.
Per compiere quei viaggi ella aveva coperto una distanza di dodicimila chilometri. E quando Dio la chiamò da questa vita terrena, suo figlio prigioniero non poté prender parte neppure alla sua sepoltura per ripagarla un po' di tante fatiche e di tanti sacrifici.
Era molto triste per l'imminente nuova collettivizzazione delle vigne, dei campi, dei prati e dei boschi della nostra famiglia. Quello che la faceva soffrire non erano in primo luogo le perdite materiali ma l'attaccamento al proprio pezzo di terra che aveva coltivato per tutta una vita. Ciò rappresentava la fine dell'indipendenza delle famiglie; l'educazione dei figli e la santificazione delle domeniche e dei giorni festivi ne avrebbero sofferto.
Il 5 febbraio 1960 ruppi le lenti degli occhiali e non fui in grado di sostituirle subito in quella clausura. Così mi limitai a recitare il rosario e a leggere il messale con l'aiuto di una lente. Come al solito, al memento dei vivi la ricordai, ma avrei già dovuto includerla nel memento dei morti. Verso le undici dello stesso giorno il segretario dell'ambasciata venne a trovarmi con in mano un telegramma. Non lo aveva ancora deposto sul tavolo che io già lo sapevo: mia madre era morta.
In quel giorno oscuro non toccai cibo e non aprii libro; la sua morte mi aveva sconvolto. Recitai la sua preghiera preferita, il rosario. Piansi la sua perdita e poi mi calmai. La gratitudine per averla avuta durante la vita doveva essere più grande del dolore per la sua dipartita verso la patria.
In quelle ore ripensai ai giorni passati a Ostia e alle lacrime versate su sua madre dall'Agostino ormai convertito al cristianesimo.
Durante la notte mia sorella notò un cambiamento e mandò subito a chiamare il parroco. Mia mamma sapeva che era venuta la sua ora. Nella sua mano teneva accesa la candela dei moribondi.
Negli ultimi quarti d'ora aveva pregato con devozione assieme ai famigliari e si era addormentata nell'eternità senza agonia.
Tutti gli anni mia madre soleva passare in preghiera la notte della vigilia di Pasqua al cimitero, in compagnia delle donne del villaggio sue amiche. Solo quando cominciava ad albeggiare ritornavano a casa per preparare i cibi pasquali per la benedizione. La fede nella risurrezione dei morti era profondamente radicata nel suo cuore. Per lei la risurrezione di Cristo e la risurrezione della carne erano due proposizioni di fede strettamente unite, conforme all'insegnamento dell'apostolo Paolo. Sapeva in chi aveva creduto e perciò non sarà delusa; questa è la mia ferma convinzione.
Quanto spesso ho pensato: "...Solo quando giacerà sotto terra capirò veramente il suo valore e la grazia inestimabile che ho avuto in lei". Oggi mi sento non solo povero ma anche profondamente in colpa di fronte a quella tomba, che non ho mai potuto visitare e che verosimilmente non vedrò mai.
Mia madre è stata una santa. In lei e attorno a lei non ho mai visto alcunché di disdicevole, ma solo cose buone e belle. Sono fermamente convinto che ella è felice nell'eternità e sospiro in questa valle di lacrime di poterla un giorno rivedere nella gioia.

- card. Joseph Mindszenty - 
da: Memorie


Servo di Dio Jozsef Mindszenty Cardinale, Primate d’Ungheria
Csehimindszent, Austria-Ungheria, 29 marzo 1892 - Vienna, Austria, 6 maggio 1975

Già Primate d’Ungheria, venne nominato cardinale da papa Pio XII nel 1946. Per la sua tenace opposizione al regime comunista, venne arrestato una prima volta nel 1944 con l'accusa di alto tradimento. Rilasciato l'anno seguente, fu nuovamente incarcerato il 26 dicembre 1948 e condannato all'ergastolo l'anno successivo con l'accusa di cospirazione tesa a rovesciare il governo comunista ungherese. Liberato dopo otto anni di carcere durante la insurrezione popolare del 1956, trovò asilo politico nell'ambasciata americana di Budapest. Per molti anni Mindszenty rifiutò l'invito del Vaticano a trovare riparo presso lo stato pontificio e solo quindici anni dopo, nel 1971, con l'interessamento dell'allora presidente Nixon, poté finalmente lasciare l'ambasciata e raggiungere la Santa Sede. Poco dopo si stabilì a Vienna, dove morì per un arresto cardiaco susseguente ad un intervento chirurgico. Nel 1991 le sue ceneri vennero solennemente trasportate da Mariazell ad Esztergom, città ungherese nella quale fu arcivescovo, per essere tumulate nella cripta della Basilica.
 (Da Santi e Beati)


Buona giornata a tutti. :-)


martedì 17 maggio 2016

Il Samaritano non sei tu! - Karl G. Jung

 “Vi ammiro, voi cristiani, perché identificate Cristo con il povero e il povero con Cristo, e quando date del pane a un povero sapete di darlo a Gesù. Ciò che mi è più difficile comprendere è la difficoltà che avete a riconoscere Gesù nel povero che è in voi. Quando avete fame di guarigione o di affetto, perché non lo volete riconoscere? Quando vi scoprite nudi, quando vi scoprite stranieri a voi stessi, quando vi ritrovate in prigione e malati, perché non sapete vedere questa fragilità come la presenza di Gesù in voi?
Accettare se stessi sembra molto semplice, ma le cose semplici sono sempre le più difficili… l’arte di essere semplici è la più elevata, così come accettare se stessi è l’essenza del problema morale e il nocciolo di un’intera visione del mondo… ospitando un mendicante, perdonando chi mi ha offeso, arrivando perfino ad amare un mio nemico nel nome di Cristo, do prova senza alcun dubbio di grande virtù… quel che faccio al più piccolo dei miei fratelli l’ho fatto a Cristo.
Ma se io dovessi scoprire che il più piccolo di tutti… il più povero di tutti i mendicanti, il più sfacciato degli offensori, il nemico stesso è in me, che sono io stesso ad aver bisogno dell’elemosina della mia bontà, che io stesso sono il nemico da amare,… allora cosa accadrebbe?…
Di solito assistiamo in questo caso al rovesciamento della verità cristiana, allora scompaiono amore e pazienza, allora insultiamo il fratello che è in noi, allora ci condanniamo e ci adiriamo contro noi stessi, nascondiamo agli occhi del mondo e neghiamo di aver conosciuto quel miserabile che è in noi, e se fosse stato Dio stesso a presentarsi a noi sotto quella forma sgradevole,… lo avremmo rinnegato mille volte prima del canto del gallo”.

- Karl G. Jung - 
da: Opere, 11, pag. 321, Bollati Boringhieri, Torino



Dio ha deciso di dimorare nel cuore dell'uomo, ma è l'unico posto dove non va a cercarlo. 

- Mario Rogai -
(Il cielo nell'anima)



Chi non combatte mai il male e non si adopera mai per estirpare l'errore, ma si dedica con amore e fedeltà a seminare sempre il bene, la pace, il perdono, la giustizia, il vero benessere per tutti, costui serve Dio anche se non lo sa.

- Paolo Spoladore -
(Il felice incontra)



Preghiera alla Beata Vergine dei Miracoli - Corbetta-Milano

O Vergine santissima,
operatrice amorosa di tanti miracoli,
che dall’immagine
dipinta sulla porta della chiesa,
scendesti mirabilmente nella piazza
per riprendere il tuo Bambino,
dopo aver sorriso ai giochi di alcuni fanciulli
e reso l’udito e la parola ad uno di essi,
scendi ancora col tuo gran cuore in mezzo
alle nostre popolazioni,
alle nostre case, ai nostri stabilimenti,
alle nostre campagne.
Guarda, o Madre nostra pietosissima,
quanti ti amano: benedicili;
quanti soffrono nell’anima e nel corpo:
consolali e guariscili;
quanti ti invocano: esaudiscili.
Ma soprattutto, o Vergine dei miracoli,
ti preghiamo di convertire noi per primi,
e poi tante anime lontane e a noi care,
che sono divenute sorde e mute
alla voce del Signore. Amen.


Buona giornata a tutti. :-)