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sabato 13 febbraio 2016

Quale scuola? - don Franco Locci

"I ragazzi di oggi sono tutti 'imparati' - mi diceva un papà - mio figlio fa la prima elementare, sono cinque mesi che va a scuola, scrive, ha cinque quaderni e quattro insegnanti e l'altro giorno è venuto a chiedermi un piccolo aiuto perché non ricordava bene la scomposizione dei numeri…".

Ci insegnano tutto, ma un certo giorno ti accorgi che non ci hanno insegnato a vivere. Ci hanno insegnato le scienze e spesso hanno ridotto l'uomo ad una macchina, ci hanno insegnato la matematica, perché nella vita se non sai contare e contare a tuo favore…, ci hanno insegnato a farci largo a spallate pur di essere sempre i primi della classe, pur di far carriera, ci hanno insegnato ad avere molto come se la felicità coincidesse con l'avidità. Ci hanno detto che se vuoi sopravvivere nella giungla devi tirare fuori le unghie ed aggredire prima di essere aggredito. Ci hanno insegnato una libertà che spesso lega le nostre e le altrui mani… ed ecco che alla fine sembra che gli ingredienti della vita siano solo più cupidigia, abuso di potere, desideri abietti, orgoglio, gelosia, violenza… Mi rifiuto. La vita non può essere così, cari maestri, un altro Maestro Gesù, mi ha detto che questi ingredienti servono solo a realizzare la vera miseria dell'uomo. Preferisco credere a quel Maestro che per insegnarmi amore è finito su una croce e non su una cattedra.

- don Franco Locci -



C'era una volta...

un patto tra Scuola e società, in base al quale si volevano le stesse cose e si lavorava nella stessa direzione. 
Ad esempio la Scuola esigeva studio e fatica, e la famiglia era d'accordo. 
C'era una meta condivisa, dietro a tutto ciò: una buona formazione culturale che la Scuola s'impegnava a fornire; di questa formazione culturale faceva parte ad esempio la koiné umanistica, una buona base di conoscenze letterarie e filosofiche, un plafond di letture comuni e consolidate. 
Un tal patto c'era fino a pochi anni fa, adesso è saltato e nessun altro patto, se non confuso, mi sembra di vedere all'orizzonte. 
Adesso la famiglia rema contro, e desidera che i propri figli sorridano e siano lasciati il più possibile in pace, senza traumi, punizioni, prezzi da pagare. Adesso noi insegnanti percepiamo di avere un nemico e questo condiziona e intristisce non poco il nostro lavoro; abbiamo "paura", stiamo molto sul chi va là, pronti a difenderci dagli attacchi del "nemico". 
Che poi, immaginerete, sono i genitori. Quindi, siamo noi stessi. O meglio, la società in generale. 
Purtroppo quando noi genitori chiediamo alla Scuola che sia facile e divertente, che abolisca le difficoltà, la fatica e l'impegno, noi in realtà chiediamo alla scuola di  snaturarsi, e di abdicare anche lei, così come abbiamo abdicato noi. Quindi,  noi insegnanti che cosa mai possiamo fare di fronte alla richiesta di noi genitori?


Non importa che tu sia un insegnante che chiede di fare molti compiti o uno più indulgente, un carismatico alla John Keating (l’insegnante del film L’attimo fuggente) o un esigente alla Jaime Escalante (l’insegnante del film La forza della volontà), in un’aula ci si può prendere cura degli allievi in molti modi. E, fortunatamente, gli studenti non sono schizzinosi quando si tratta di ricevere cure, ma accettano tutto quello che viene loro offerto.
Non hanno veramente bisogno di tutti quegli strumenti tecnologici che vengono pubblicizzati durante i corsi d’aggiornamento professionale. Può darsi che apprezzino le novità ma, quando queste svaniscono, torneranno a chiedersi se tu, il loro insegnante, tieni davvero a loro.
Prendersi cura è un compito impegnativo. M’impone di mettermi nei panni di qualcun altro, di essere comprensiva ed empatica; di vedere l’altro, il mio studente, come vorrei essere vista io.
Gli studenti difficili sono stati i miei più straordinari insegnanti.

Lizanne Foster, insegnante



Buona giornata a tutti. :-)


lunedì 19 ottobre 2015

da: "Cuore" (1886) - Edmondo De Amicis -

OTTOBRE 

Il primo giorno di scuola 
17, lunedì 

Oggi primo giorno di scuola. Passarono come un sogno quei tre mesi di vacanza in campagna! Mia madre mi condusse questa mattina alla Sezione Baretti a farmi inscrivere per la terza elementare: io pensavo alla campagna e andavo di mala voglia. Tutte le strade brulicavano di ragazzi; le due botteghe di libraio erano affollate di padri e di madri che compravano zaini, cartelle e quaderni, e davanti alla scuola s'accalcava tanta gente che il bidello e la guardia civica duravan fatica a tenere sgombra la porta. Vicino alla porta, mi sentii toccare una spalla: era il mio maestro della seconda, sempre allegro, coi suoi capelli rossi arruffati, che mi disse: - Dunque, Enrico, siamo separati per sempre? - Io lo sapevo bene; eppure mi fecero pena quelle parole. Entrammo a stento. Signore, signori, donne del popolo, operai, ufficiali, nonne, serve, tutti coi ragazzi per una mano e i libretti di promozione nell'altra, empivan la stanza d'entrata e le scale, facendo un ronzio che pareva d'entrare in un teatro. Lo rividi con piacere quel grande camerone a terreno, con le porte delle sette classi, dove passai per tre anni quasi tutti i giorni. folla, le maestre andavano e venivano. La mia maestra della prima superiore mi salutò di sulla porta della classe e mi disse: - Enrico, tu vai al piano di sopra, non ti vedrò nemmen più passare! - e mi guardò con tristezza. 

Il Direttore aveva intorno delle donne tutte affannate perché non c'era più posto per i loro figliuoli, e mi parve ch'egli avesse la barba un poco più bianca che passato. 
Trovai dei ragazzi cresciuti, ingrassati. 
Al pian terreno, dove già fatte le ripartizioni, dei bambini delle prime inferiori che non volevano entrare nella classe e s'impuntavano come somarelli, bisognava che li tirassero dentro a forza; e alcuni scappavano dai banchi; altri, al veder andar via i parenti, si mettevano a piangere, e questi dovevan tornare indietro a consolarli o a ripigliarseli, e le maestre si disperavano. 
Il mio piccolo fratello fu messo nella classe della maestra Delcati; io dal maestro Perboni, su al primo piano. 
Alle dieci eravamo tutti in classe: cinquantaquattro: appena quindici o sedici dei miei compagni della seconda, fra i quali Derossi, quello che ha sempre il primo premio. Mi parve così piccola e triste la scuola pensando ai boschi, alle montagne dove passai l'estate! 
Anche ripensavo al mio maestro di seconda, così buono, che rideva sempre con noi, e piccolo, che pareva un nostro compagno, e mi rincresceva di non vederlo più là, coi suoi capelli rossi arruffati. 
Il nostro maestro è alto, senza barba coi capelli grigi e lunghi, e ha una ruga diritta sulla fronte; ha la voce grossa, e ci guarda tutti fisso, l'un dopo come per leggerci dentro; e non ride mai. 
Io dicevo tra me: - Ecco il primo giorno. Ancora nove mesi. 
Quanti lavori, quanti esami mensili, quante fatiche! - Avevo proprio bisogno di trovar mia madre all'uscita e corsi a baciarle la mano. 
Essa mi disse: - Coraggio Enrico! Studieremo insieme. - E tornai a casa contento. 
Ma non ho più il mio maestro, con quel sorriso buono e allegro, e non mi par più bella come prima la scuola.

 - Edmondo De Amicis -
da: "Cuore" Primo capitolo



Insegnare è probabilmente la professione più nobile, altruista, difficile e rispettabile del mondo, ma è anche la meno apprezzata, la più sottovalutata, la più malpagata e la meno gratificante professione del mondo.

- Leonard Bernstein - 
direttore d'orchestra




Troppe decorazioni in classe inducono a distrarre gli alunni e ad ottenere un basso livello di attenzione.
Paradossalmente gli alunni delle aule spoglie sono più fortunati degli altri dato che imparano meglio e più facilmente.
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Psychological Science, le classi troppo decorate danneggiano l’apprendimento degli scolari.
Secondo Anna V.Fisher, Karrie E. Godwin e Howard Seltman, professori all’Università di Carnegie-Mellon di Pittsburgh, disegni, cartelli, fogli appesi, riescono solo a distrarre gli alunni.

“I bambini passano la maggior parte del tempo in una aula scolastica e abbiamo dimostrato che la decorazione di questa influisce molto sul loro apprendimento.” spiega Anna Fisher, autrice dello studio.





Quando noi andavamo a scuola, crescevamo con l’idea che se uno lavorava sodo e bene, poi poteva andare all’università, e trovare un buon lavoro; i ragazzi di oggi non credono più a questo modello, e non si sbagliano del tutto. È vero che è meglio avere una laurea, ma questo non garantisce il fatto di trovare un lavoro, specialmente se il percorso per raggiungerlo ti porta a marginalizzare le cose che tu pensi siano importanti. Si parla così di “alzare gli standard”, tutti parlano di “alzare gli standard”, del resto perché bisognerebbe abbassarli?

- Ken Robinson - 
educatore



Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it




martedì 29 settembre 2015

"Non abbiate mai paura di sbagliare, per i nostri figli siamo i migliori genitori possibili" - da: Franco Nembrini "Di padre in figlio - Conversazioni sul rischio di educare" -

"Ma se pensa ad una casa fondata sulla roccia, tuo figlio dice che è una roccia anche se sbagli, anche se non le indovini tutte. "

"...Tuo figlio, con quel tira e molla pazzesco per cui ti saltano i nervi e con il quale ti mette alla prova, vuol sapere se suo padre e sua madre stanno, restano, sono la roccia di cui lui ha bisogno. 
E su cosa è posta questa casa, se sulla roccia: lo vogliono sapere. 
E ti mettono alla prova, tirano, mollano per vedere se la corda si spezza, ma tu stai. 
Invece l’altro errore che facciamo per non lasciarli andare, cioè per non patir la ferita di questa libertà, l’altro ragionamento assolutamente sbagliato che facciamo, preoccupati come siamo della sorte dei nostri figli, è quello di chiudere la casa e di dire: «Vengo anch’io con te». 
Vengo anch’io così lo tengo d’occhio, così almeno è più vicino, è più sotto controllo. 
Ma pensate quel figliol prodigo se il giorno in cui si accorge di essere uno sciocco che si è ridotto a mangiare le carrube, che mangiano i porci, invece di un padre che lo aspetta dovesse avere il padre che è lì, poveraccio come lui, e la casa non c’è più. 
Che disperazione! Avere il desiderio di tornare a casa e tuo padre, per star con te, ha chiuso la casa e l’ha venduta, e non abbiamo più una casa. 
Non c’è più chi ci perdona! Come ne "I due orfani" di Pascoli, che Giussani ci ha insegnato a leggere. 
Non c’è più chi ci perdona; cioè non c’è più né un padre, né una madre, non siamo più di nessuno, siamo orfani appunto. 
I due errori: chiudere la casa per non farli uscire, oppure uscire con loro. 
Invece l’adulto è quello che sta. 
La mia povera mamma quando di dieci figli, uno lasciò la famiglia, il primo, per mesi, preparò un piatto in più e lo teneva in caldo. Dopo per dieci giorni noi dicevamo: «Mamma, è andato, è andato, piantala! È andato!» e lei serissima che ci diceva: «Potrebbe tornare questa sera. Potrebbe tornare stasera». e per mesi e mesi ha voluto preparare il posto per mio fratello, il primo, il posto tra quello del mio papà e quello del secondo figlio. Apparecchiava il posto perché sarebbe potuto tornare stasera. 
Questa è la statura dei nostri genitori! Ed è la statura che chiedono a noi i nostri figli. Gente che sta, che resta per la felicità che gode lui, per il bene che intravede lui, per la speranza che vive lui. 
Questa è l’unica cosa di cui hanno bisogno i nostri figli, e se è così scattano due o tre conseguenze che vi accenno soltanto. 
Per esempio, primo: non abbiate mai paura di sbagliare, per i nostri figli siamo i migliori genitori possibili. Se l’educazione è quel che ho detto, non c’è il problema della coerenza, dell’incoerenza: i tuoi figli non sono stupidi, sanno che sei incoerente e far finta di vendergli l’idea di un padre particolarmente buono, bravo, coerente è una cosa che non li convincerà, non ce la farete mai a fregarli; lo sanno troppo bene di che incoerenza siamo capaci; cioè lo sanno che siamo straccioni come loro, non li convincerete mai del contrario. 
I nostri figli non hanno bisogno della nostra coerenza in senso moralistico, hanno bisogno della nostra coerenza ideale, quella che Giussani ne "Il rischio educativo" chiama «funzione di coerenza» 
L’adulto, l’autorità dell’adulto la chiama «funzione di coerenza»: è questo stare che vi dicevo prima. Non abbiate paura di sbagliare perché i figli sanno che sbaglierete e vi perdoneranno molto più di quello che siete disposti a perdonargli voi; perché i nostri figli ci perdonano questo. Non ci perdonano il non coraggio, la non responsabilità di fronte al reale, la non certezza ultima rispetto al destino: questo non ci perdonano. Quando in sessanta metri quadrati voi costringete a vivere i dieci figli, da zero a quindici anni, è un bel macello. 
D’inverno poi, quando non si può uscire e andare all’oratorio! 
Per cui mio padre arrivava a casa la sera stanco dal lavoro e, a volte, era una specie di giungla, erano saltati tutti i paletti, e non gli restavano molte risorse poveretto! Magari mia mamma non stava bene, era incinta o allattava. 
Allora sfilava la cinghia dei pantaloni e pata-pim e pata-pum, chi ciapa ciapa e chi la dura scapa; nel senso che trovato un vetro rotto, due feriti, la moglie in lacrime, il bambino più piccolo che piange, non è che avesse il tempo di fare le indagini preliminari su chi fosse quella volta lì che aveva cominciato. 
Allora mi ricordo di quella volta che arrivo a casa da scuola, non faccio a tempo a togliermi lo zaino e appoggiarlo per terra, che dietro arriva mio padre. Vede un macello pazzesco, io non sono stato sufficientemente svelto quella volta ed è toccato a me: me ne ha date un sacco e una sporta. 
La mia povera mamma, che aveva anche un debole per me, è corsa in mio soccorso e lo ha fermato, ma me ne aveva già date abbastanza! Lo ha fermato e gli ha detto: «Ma Dario, Franco è rientrato in casa non c’entra niente!». 
Mio padre, serissimo, mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto: «Va bene, mettile vie per la prossima volta». 
Non gli è venuto il problema di dire: «O Dio! Adesso Franchino resterà traumatizzato dalle botte paterne immeritate!». 
Mi ha detto: «Mettile via per la prossima volta» e io vi assicuro che ho odiato fortemente i miei fratelli perché erano stati più veloci – solo per quello! – ma non mi ha attraversato neanche l’anticamera del cervello l’idea che mio padre non mi volesse bene. È un pensiero che nella vita non mi ha mai sfiorato, neanche in quel frangente dove aveva palesemente sbagliato; aveva peccato d’ingiustizia grave, almeno le botte a me erano sembrate gravi, nei miei confronti. 
È questo che intendo dire quando dico: «Non preoccupatevi». Anche tutta questa mania per cui dovremmo tutti avere lo psicologo fisso in casa! 
Nessuno è più capace di fare il padre, nessuna è più capace di fare la madre, al primo problema bisogna andare dall’esperto: l’ospedalizzazione del rapporto educativo a scuola e in famiglia. 
Bisogna avere tre lauree per tirar su un bambino! Basta con questa storia! Basta, perché siete i migliori genitori possibili e non preoccupatevi se sbagliate perché non è quello che traumatizza i bambini. 
Li traumatizza la sensazione di camminare sulle sabbie mobili, li traumatizza lo sguardo incerto di padri e madri quando si guardano, quando stanno a tavola, li traumatizza l’impressione che la loro casa sia costruita sulla sabbia e che basti un filo di vento per portar via tutto. 
Questo li spaventa la notte e non li fa dormire, anche se non urlano e non hanno gli incubi. Ma se pensa ad una casa fondata sulla roccia, tuo figlio dice che è una roccia anche se sbagli, anche se non le indovini tutte. 
Diversamente ci facciamo dei problemi pazzeschi: «Gli do una sberla o non gliela do? O Dio, ho letto che lo psicologo diceva che quel ragazzo si è buttato giù da un ponte perché ha preso quattro in matematica. Cosa devo fare? La Carla dice sempre il contrario di quello che dico io. Se gliele voglio dare, mia moglie dice di no; se non gliele voglio dare io lo vuole la moglie!». Dargliele e basta! Nell’incertezza io suggerisco di dargliele! Non è qui il problema! "

da: Franco Nembrini "Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare" Ed. Ares




"Ci si dimentica di chiedere l’obbedienza"

"...Anzi, datemi ancora due minuti perché volevo anche dire che secondo me moltissime difficoltà che oggi i genitori vivono nascono dal di dentro (le difficoltà hanno sempre un’origine, non cadono dal cielo e non sono casuali). Si tratta secondo me di una debolezza del genitore rispetto alla propria autorevolezza. 
Mi spiego: posso puntare il dito? Non lo punto mai una volta tanto lo faccio. Siete voi per primi che non credete alla vostra autorevolezza. 
Siete voi per primi che non date fiducia alle vostre certezze, al vostro compito. E questo se lo collegate al problema che dicevo prima, cioè che vi hanno proposto di essere solo curativi e capaci di rispondere ai bisogni, viene di conseguenza che un genitore non esprime più la propria autorevolezza. Moltissime difficoltà che ci sono oggi coi figli vengono da questa debolezza. 
I primi a dover riconoscere la vostra autorevolezza siete voi!
Essere genitori vi costituisce guida, faro di orientamento, capacità di decisione, capacità di rischiare, capacità di scegliere, di segnare il passo, di guidare nella realtà. Noi siamo lontani mille miglia dall’essere solo servizio ai figli. Una conseguenza di questa debolezza genitoriale è che ci si dimentica, dentro la famiglia, di educare all’obbedienza. L’atteggiamento di servizio al figlio non struttura l’obbedienza del figlio.
Ci si dimentica di chiedere l’obbedienza. 
E’ così difficile entrare in un legame che possa esaltare la crescita di un figlio e la propria. 
E’ così difficile entrare in un legame che dà la soddisfazione piena di essere dentro l’essere, dentro l’essere del figlio. Noi chiediamo di tutto ai nostri figli, ma non chiediamo la cosa fondamentale, cioè di essere figlio. E cosa fa un figlio? Obbedisce al genitore, ascolta il genitore, interiorizza il genitore. 
Se lo porta dentro. Io credo che molte difficoltà trovino nella debolezza dell’autorevolezza la loro radice, la loro origine."

(da una testimonianza della psicologa Vittoria Maioli Sanese)





"...Infine ci sono altre due lettere che mi hanno impressionato, Una dice:
" Ormai per me è tardi". Non potete dire così, nessuno di noi può dir così! 
Io conosco situazioni terribili, dolorosissime, che qualcuno vive con i figli; ma non possiamo dire " Ormai è tardi!". 
Noi siamo i tifosi di Nicodemo. il vecchio che va da Gesù di notte vergognandosi, e gli va a dire: " Ormai è tardi, sono vecchio"; e Gesù gli risponde che non è vero, è possibile ricominciare da capo ( come i nostri figli: " Papà, è possibile ricominciare da capo?" ).
" Gesù, è possibile rinascere di nuovo, può un vecchio come me ritornare nel ventre di sua madre? " Gesù gli ha risposto di sì, che è un dono che lo Spirito può dare, si può rinascere. Allora l'educatore è combattente sempre, è la madre trafitta dal male di suo figlio che però non demorde mai, non riesce a dire " Basta, non mi interessi" , qualunque cosa accada , fino all'ultimo respiro, suo figlio è suo figlio e ci crede e spera e prega perchè qualcosa possa accadere, qualcosa lo possa riprendere. 
L'insegnante è uguale. L' alunno che ti fa disperare, proprio il più duro di tutti, è quello cui dici:" Non ti mollo fino all'ultimo minuto dell'ultima ora di scuola del 12 giugno, tu sei mio e io sono qui per te e non cedo. Poi sarà quel che vorrai tu, quel che la tua libertà ti consentirà di essere, ma io sono qui, fino all'ultimo secondo dell'ultimo minuto dell'ultima ora di lezione": L'adulto, l'educatore non può mai dire." Per me ormai è tardi", non esiste!"

da: Franco Nembrini, "Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare", Ed. Ares




Buona giornata a tutti. :-)


venerdì 31 luglio 2015

da: "Guardare i volti di una classe è faticoso ma non mi stanca" - Alessandro D'Avenia

"Guardare tutti i volti di una classe ogni giorno in modo unico è faticoso, ma non stanca. 
Allattare il bimbo è faticoso, ma riempie. 
Questo guardare il rinnovarsi di tutte le cose che tocchiamo è ciò che abbiamo da dare ad un mondo stanco. 
Un cristiano che non prega (veglia) in ogni istante, attraverso ciò che sta facendo, rapidamente perde smalto, perché ha perso il suo legame con la fonte, con la vite/a. 
Non ha più nulla che lo rinnovi, non può vedere più nulla, perché non guarda più nulla. 
La meraviglia di una continua novità, quella che ci prende di fronte ad un panorama alla fine di una lunga camminata, quella che ci afferra nelle movenze della donna di cui ci innamoriamo, quella che ci spiazza nel sorriso di un bambino, è la possibilità data in ogni momento a ciascuno di noi. 
È quello che la strada chiede a quella donna affacciata al balcone nel quadro di Boccioni: dare senso e casa al caos di quella strada. 
Grazie a quel «guarda» ogni giorno mi stanco, ma non mi annoio. 
Ho il cuore e gli occhi pieni di una meraviglia che nessuno può strapparmi, perché non l’ho messa io nelle cose: il loro reale rinnovarsi è lì disponibile per i miei occhi liberati dalle squame. 
Il mio compito, a volte faticoso, è goderne. E poi raccontarla."

- Alessandro D'Avenia - 
Da: "Guardare i volti di una classe è faticoso ma non mi stanca"





Perché ripetiamo ancora ai maschi «non piangere come una femminuccia»? 
E come mai le femmine si sentono dire da parenti e insegnanti «una bambina non fa questo» se strillano troppo? 
Noi adulti non consentiamo ai bambini ed alle bambine di crescere secondo le loro inclinazioni; ma li ingabbiamo nei nostri schemi di virilità e femminilità. Sembriamo sicuri che sia utile dividere i giochi, i colori e le collane letterarie per maschi da quelle per femmine. 
Spesso indirizziamo i nostri figli persino nella scelta degli studi come quando scoraggiamo le femmine che vorrebbero occuparsi di fisica nucleare e i maschi attratti dall’insegnamento. 
Eppure il meglio che possa accadere nella vita è scegliere senza condizionamenti e che le scelte siano il frutto dei nostri desideri e non di pregiudizi e gabbie predefinite per sesso, orientamento sessuale, età ed etnia.

da: 27esimaora.corriere.it/




Concediamo ai bambini un tempo in cui il loro spirito possa svilupparsi senza la continua pressione di dover dimostrare di valere e di essere i migliori.



Una prova della correttezza del nostro agire educativo è la felicità del bambino.

 - Maria Montessori - 




Buona giornata a tutti. :-)









venerdì 17 luglio 2015

Chi sono io è importante - Helice Bridges -

Un’insegnante di New York decise di onorare i suoi studenti dell’ultimo anno delle superiori spiegando perché fosse importante ciascuno di essi. Utilizzando un procedimento elaborato da Helice Bridges di Del Mar, California, chiamò ogni studente davanti alla classe, uno per volta. 
Prima disse in che modo lo studente fosse importante per lei e per la classe. Poi consegnò a ciascuno un nastro azzurro su cui era stampata a lettere d’oro la dicitura: “Chi sono io è importante”. 
In seguito l’insegnante decise di avviare una ricerca in classe per vedere quale impatto avrebbe avuto questo riconoscimento nella comunità. Consegnò a ciascuno studente altri tre nastri e incaricò tutti di andare a diffondere questa cerimonia di riconoscimento. 
Quindi avrebbero dovuto controllare i risultati, vedere chi avesse conferito e ricevuto il riconoscimento e riferire in classe dopo circa una settimana. 
Uno dei ragazzi della classe andò da un giovane funzionario di un’azienda nei dintorni e gli diede il riconoscimento per averlo aiutato nella pianificazione degli studi. Gli diede il nastro azzurro e glielo appuntò sulla camicia. 
Poi gli consegnò altri due nastri dicendogli: “Stiamo facendo una ricerca in classe sul riconoscimento e vorremmo che lei trovasse qualcuno da onorare, gli consegnasse un nastro azzurro e un altro in più perché questi possa onorare un terza persona per proseguire questa cerimonia di riconoscimento. 
Poi dovrebbe per favore riferirmi quello che è successo.” Più tardi, lo stesso giorno, il funzionario si presentò dal suo capo, che era noto fra l’altro per essere un tipo piuttosto brontolone. Lo fece sedere e gli disse che lo ammirava profondamente perché era un genio creativo. Il capo sembrò molto sorpreso. 
Il funzionario gli domandò il permesso di consegnargli il dono del nastro azzurro e di appuntarglielo. Il capo, sorpreso, rispose: “Beh, certo”. 
Il funzionario prese il nastro azzurro e lo appuntò sulla giacca del capo, giusto sopra il cuore. Consegnandogli l’altro nastro gli chiese: “Mi farebbe un favore? Potrebbe prendere quest’altro nastro e usarlo per onorare qualcuno? 
Il ragazzo che mi ha dato i nastri sta facendo una ricerca a scuola e si vuole proseguire questa cerimonia di riconoscimento e scoprire come influenzi la gente”. Quella sera il capo tornò a casa dal figlio quattordicenne e lo fece sedere. Gli raccontò: “Oggi mi è successa la cosa più incredibile. 
Ero in ufficio e uno dei funzionari entra e mi dice che mi ammira e mi dà una nastro azzurro perché sono un genio creativo. 
Immagina… Mi considera un genio creativo. 
Poi mi mette sulla giacca, sopra il cuore, questo nastro azzurro che dice “Chi sono io è importante”. Mi dà un altro nastro e mi chiede di trovare qualcun altro da onorare. 
Tornando a casa in macchina, stasera, ho cominciato a pensare chi onorare con questo nastro e ho pensato a te. Voglio onorare te. Le mie giornate sono davvero frenetiche e quando torno a casa non ti presto molta attenzione. 
A volte ti sgrido perché non hai voti abbastanza buoni a scuola e perché la tua camera è un caos, ma in qualche modo stasera volevo proprio sedermi qui e, beh, farti sapere che per me sei davvero importante. Assieme a tua madre, sei la persona più importante della mia vita. Sei un ottimo ragazzo e ti voglio bene!” 
Il ragazzo sbalordito cominciò a singhiozzare e non finiva più di piangere. Tremava con tutto il corpo. Guardò suo padre e disse fra le lacrime: “Prevedevo di suicidarmi domani, papà, perché pensavo che non mi volessi bene. Adesso non serve”. 

- Helice Bridges - 
Tratto da “Brodo caldo per l’anima”, Vol. I, di Jack Canfield e Mark V. Hansen – pag. 29-31, edizioni Armenia




Dovete trovare quel che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti...
Se ancora non l’avete trovato, continuate a cercare.
Non accontentatevi. 

- Steve Jobs -



Quando si lotta per qualcosa di importante bisogna circondarsi di persone che sostengono il nostro lavoro. È una trappola e un veleno avere intorno persone che hanno le nostre stesse ferite ma non il desiderio vero di guarirle...

- Clarissa Pinkola Estes - 
da: "Donne che corrono coi lupi"



Credi alla forza dei tuoi sogni e loro diventeranno realtà.

- Sergio Bambarén -
da: "Onda Perfetta"


Buona giornata a tutti. :-)


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sabato 13 giugno 2015

Segui il tuo sogno - Jack Canfield -

"Ho un amico di nome Monty Roberts che possiede una tenuta con allevamento di cavalli a San Ysidro. Mi lascia usare la sua casa per organizzare manifestazioni volte a raccogliere fondi per programmi a favore dei giovani a rischio.
L'ultima volta che ero lì mi presentò dicendo: "Voglio spiegarvi perché lascio che Jack usi la mia casa." 
Tutto risale alla storia di un giovane che era figlio di un addestratore di cavalli itinerante, il quale andava di stalla in stalla, di pista in pista, di fattoria in fattoria e di allevamento in allevamento per addestrare i cavalli.
Di conseguenza la frequenza scolastica del ragazzo alle superiori era continuamente interrotta. Quando fu all'ultimo anno gli fu assegnato un compito su cosa volesse fare da grande.
Quella sera scrisse un tema di sette pagine descrivendo il suo obiettivo di possedere un giorno un allevamento di cavalli. Descrisse con dovizia di particolari il suo sogno e addirittura disegnò lo schema di una tenuta di ottanta ettari, indicando l'ubicazione di tutti gli edifici, delle stalle e della pista.
Poi disegnò la pianta dettagliata di una casa di 400 metri quadri da inserire nella tenuta di sogno di ottanta ettari. Elaborò con passione il progetto e il giorno successivo lo consegnò all'insegnante.
Due giorni dopo il compito gli fu riconsegnato. Sulla prima pagina vi era in rosso una insufficienza con un appunto che diceva: "Vieni da me dopo la lezione."
Il ragazzo che aveva il sogno andò dall'insegnante dopo la lezione e domandò: "Perché ho preso un'insufficienza?" 
L’insegnante rispose:
"È un sogno irrealistico per un ragazzo come te. Non hai soldi. Provieni da una famiglia itinerante. Non hai risorse. Possedere un allevamento di cavalli richiede un sacco di soldi.
Devi acquistare il terreno. Devi pagare le fattrici e poi spendere molti soldi per gli stalloni. Non hai nessuna possibilità di farcela."
Poi l’insegnante aggiunse: "Se riscrivi il compito con un obiettivo più realistico, rivedrò il tuo voto."
Il ragazzo andò a casa e ci pensò su a lungo. Domandò a suo padre cosa fare. Il padre rispose: "Guarda, figliolo, devi decidere tu da solo. Tuttavia penso che sia una decisione importante per te."
Infine, dopo una settimana di riflessione, il ragazzo riconsegnò lo stesso compito, senza alcun cambiamento, dichiarando: "Può tenersi l'insufficienza, IO MI TERRO' IL MIO SOGNO."

Monty si rivolse poi al gruppo riunito e disse: "Vi racconto questa storia perché voi vi trovate nella mia casa di 400 metri quadri in mezzo alla mia tenuta di ottanta ettari. Ho ancora quel compito di scuola incorniciato sopra il caminetto."
Aggiunse: "La parte più bella della storia è che due estati fa quello stesso insegnante portò trenta ragazzi in campeggio nella mia tenuta per una settimana. Nell'andarsene, l'insegnante mi disse:
"Vedi, Monty, adesso posso dirtelo.Quando ero il tuo insegnante ero una specie di ladro di sogni. In quegli anni ho rubato molti sogni ai ragazzi.
Fortunatamente tu hai avuto abbastanza fegato da NON RINUNCIARE al tuo." 

Non lasciate che vi rubino i sogni. Seguite il vostro cuore, accada quel che accada." 

- Jack Canfield & Mark Victor Hansen -
Fonte: “Brodo caldo per l'anima” di  Jack Canfìeid e  Mark Victor Hansen,  Armenia Edizioni, 2004



Il nostro tempo è limitato, per cui non lo dobbiamo sprecare vivendo la vita di qualcun altro.
Non facciamoci intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone.
Non lasciamo che il rumore delle opinioni altrui offuschi la nostra voce interiore.
E, cosa più importante di tutte, dobbiamo avere il coraggio di seguire il nostro cuore e la nostra intuizione.
In qualche modo, essi sanno che cosa vogliamo realmente diventare. Tutto il resto è secondario. 

- Steve Jobs - 




Arrendersi e prendersela con Dio, con la vita o con gli altri non richiede alcuno sforzo. 
Rimettersi in piedi assumendosi la responsabilità della propria vita e della propria felicità spesso ne richiede uno grosso, ma questa è la differenza fra vivere e sopravvivere.

- Claudia Rainville - 
da "Cambia la Tua Vita"


E allora impara a vivere. 
Tagliati una bella porzione di torta con le posate d’argento. 
Impara come fanno le foglie a crescere sugli alberi. 
Apri gli occhi. 
Impara come fa la luna a tramontare nel gelo della notte prima di Natale. Apri le narici. Annusa la neve. Lascia che la vita accada. 

- Sylvia Plath -






Buona giornata a tutti. :-)