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sabato 19 marzo 2016

Pietà per la nazione - Lawrence Ferlinghetti

Pietà per la nazione i cui uomini sono pecore
e i cui pastori sono guide cattive.
Pietà per la nazione i cui leader sono bugiardi
i cui saggi sono messi a tacere.
Pietà per la nazione che non alza la propria voce
tranne che per lodare i conquistatori
e acclamare i prepotenti come eroi
e che aspira a comandare il mondo
con la forza e la tortura.
Pietà per la nazione che non conosce
nessun’altra lingua se non la propria
nessun’altra cultura se non la propria.
Pietà per la nazione il cui fiato è danaro
e che dorme il sonno di quelli
con la pancia troppo piena.
Pietà per la nazione – oh, pietà per gli uomini
che permettono che i propri diritti vengano erosi
e le proprie libertà spazzate via.

Patria mia, lacrime di te
dolce terra di libertà!

- Lawrence Ferlinghetti -





La vocazione dell'uomo non è quella di realizzare una sua perfezione di vita, è quella di realizzare Dio stesso, perché Dio stesso vuol vivere nell'uomo. 
E allora, che cosa puoi chiedere a Dio se non una infinita santità?
Pertanto, non è presunzione chiedere molto: è sempre, piuttosto, peccato di timidezza, d'incredulità nell'amore, il chiedere meno che lui, il voler meno che lui. D'altra parte, fintantoché si chiede meno di lui, Dio può anche non ascoltarci, perché qualunque altra cosa tu gli chieda, potrebbe non rientrare nei piani divini. Ma se gli chiediamo lui stesso, egli non potrebbe mai negarci quello che gli chiediamo. 
Perché è precisamente questo il fondamento di ogni nostra speranza, anzi di ogni nostro rapporto con lui : l'amore suo infinito per il quale egli tutto si è dato e vuol comunicarsi, perché l'uomo viva in lui e lo possegga come suo bene, come sua ricchezza, come sua eternità. 

- don Divo Barsotti - 
da: "La presenza del Cristo"
Inizio modulo



È quando noi siamo lontani da Dio che l'insegnamento diviene lungo e disteso, e ha bisogno di moltiplicare i suoi simboli, i suoi argomenti e i suoi trattati... Così quando trattai, nella teologia simbolica, di Dio, dovetti scrivere tanti e tanti volumi. Poi, quanto più mi sono avvicinato a Dio e ai nomi divini, tanto più il mio discorso si è fatto breve. 
Ma ora poi che debbo giungere a parlare della mia unione con lui, non posso più parlare, tutta la teologia termina nel puro silenzio, o almeno in una sola parola.

- Dionigi il mistico - 


Buona giornata a tutti. :-)


lunedì 14 marzo 2016

Dio nel catechismo - Padre Alberto Maggi

In passato non avevano problemi di questo tipo. In passato tutto era chiaro, ad ogni domanda c’era una risposta esatta. 
Molti di noi, almeno quelli della mia generazione, ricorderanno le domande e le risposte del loro catechismo. 
Chi è Dio? Dio è l’essere perfettissimo, creatore e Signore del cielo e della terra. Quindi non c’è nessun problema. Dio è un essere perfettissimo. Sentire un trasporto d’affetto verso un essere perfettissimo non è che fosse proprio il non plus ultra.
Comunque Dio veniva presentato così e alla domanda: per quale fine Dio ci ha creati? La risposta agghiacciante era che Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo: l’egoismo totale. 
Una divinità che crea l’umanità intera per essere conosciuto, amato e soprattutto per essere servito.
Una immagine dilatata, come può essere dilatata l’immagine di Dio di un enorme egoismo: un Dio che crea l’umanità per poter essere servito dagli uomini. 

E’ vero che c’era poi la ricompensa: servirlo in questa vita per goderlo poi nell’altra in Paradiso. Ma all’epoca in cui vigeva questa teologia, andare in Paradiso era pressoché impossibile.
Qualche periodo in Purgatorio non veniva risparmiato a nessuno perché, per andare in Paradiso, bisognava essere in grazia di Dio. Ma per quanto l’uomo si sforzasse di osservare tutte le regole e prescrizioni, non riusciva mai ad essere in grazia di Dio. 
Anche quando riteneva di essere in grazia di Dio, il solo fatto di pensare di essere in grazia di Dio, significava che aveva fatto un peccato di orgoglio, non era stato umile e quindi si era perso questa grazia. 
Quindi non era facile.
Il Dio in cui credevano i contemporanei di Gesù, come si è formata questa immagine, questo concetto di questa divinità partendo dal Dio dei pagani. Ancora oggi, a duemila e più anni dal messaggio di Gesù, l’immagine che molti cristiani e anche non cristiani hanno di Dio, è un misto del Padre di Gesù, è un misto del dio degli ebrei e soprattutto un bel miscuglio di divinità pagane. Tutto frullato in quella unica cosa che noi chiamiamo Dio.
Dio è un nome comune della divinità di tutte le religioni. 
Tutte le religioni credono in un Dio. Poi ogni religione gli dà un nome particolare a questo Dio.
Nel mondo pagano, il rapporto con la divinità non era concepito come un rapporto di amore. Nel mondo pagano, non si pensava di dover amare gli dei e tanto meno di essere amati. Gli dei venivano visti come quelle persone straordinarie che vivevano in una condizione di privilegio e il loro privilegio era composto dall’immortalità, impossibile agli uomini, e dalla felicità.
Compito di questi dei era vigilare sugli uomini che nessuno superasse una soglia di felicità che li facesse, in qualche modo, equiparare alla condizione divina. Quando le divinità si accorgevano che una persona raggiungeva un determinato livello di felicità, ecco che veniva punito.
C’è da chiedersi se questa immagine della divinità pagana non corrisponde oggi nell’immagine di Dio che anche molti credenti, molti cristiani hanno.
La riprova? Una frase che si sente tante volte dire dalle persone, quando c’è un periodo di tempo in cui va tutto bene: «Me lo sentivo che doveva capitare qualcosa, andava tutto troppo bene».
Questo si rifà appunto all’immagine della divinità pagana, degli dei pagani, che quando si accorgono che a una persona tutto va bene, ecco che arriva la punizione.

- Padre Alberto Maggi -


























Il Dio che ci presenta Gesù, non è un Dio lontano, inaccessibile, ma un Dio talmente innamorato degli uomini e delle donne, che chiede ad ognuno di noi di diventare la sua dimora. 
Il Dio di Gesù ci ama talmente che ci chiede: accoglimi nella tua vita, io mi voglio fondere con la tua esistenza, per dilatare il più possibile la capacità d’amore. E se ognuno di noi è la dimora di questo Dio, questa dimora è indistruttibile. E’ questo il significato della vita eterna.

- Padre Alberto Maggi - 


"Abbiamo di Dio una falsa e povera immagine; e ci è difficile obbedire al primo comandamento (“Amerai Dio con tutto il cuore”) perchè ci sta di fronte un Dio assai poco amabile. Temibile piuttosto, onnipotente, sapiente architetto, sommo regolatore ed anche grande punitore. Non è amabile un Dio cosiffatto. E infatti non lo amiamo. Lo temiamo, lo rispettiamo, lo ammiriamo; ma l'amore – l'amore appassionato e passionale di cui parla la Bibbia – è un'altra cosa; e noi difficilmente riusciamo a riferirlo a lui. A questo punto c'è da chiederci se siamo cristiani , o addirittura se possiamo essere cristiani, finchè permane in noi un'idea di Dio che ci rende tanto arduo – addirittura quasi impossibile – quel primo comandamento dell'amore. Noi amiamo Dio e siamo cristiani nella misura in cui quell'idea si dissolve e ad essa ne subentra una più consona alla realtà del Dio – Amore...”

- Adriana Zarri -
da: "In quale Dio crediamo" 



dipinto: Marcello Cerrato 
L'indemoniato della sinagoga di Cafarnao


Un paio di volte mi ha portato la comunione un frate in servizio all'ospedale, persona gentile, discreta, ma mi sottopone a un rito durante il quale devo recitare il Confiteor, la formula nella quale si dichiara che "ho molto peccato in pensieri (!), parole, opere e omissioni... per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa".
Il primo giorno, per farlo contento, tossicchiando, ho borbottato la formula. 
Il giorno dopo, quando mi ha invitato di nuovo a recitare la formula che ho molto peccato "per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa", sono sbottato: "E che cavolo posso aver mai combinato in un giorno di ospedale, infilzato da aghi in tutto il corpo, dolorante, febbricitante, stremato? Che gravi colpe posso aver commesso?

- Padre Alberto Maggi -
da: "Chi non muore si rivede" , Alberto Maggi, ed. Garzanti


Buona giornata a tutti. :-)







giovedì 3 marzo 2016

L'eutanasia e Oriana Fallaci

Undici anni fa, il 31 marzo 2005, veniva assassinata " per legge" Terri Shindler...

Oriana Fallaci la ricordava così ...
"Quella era una donna che capiva. Che pensava, che ragionava. 
Io sono certa che la sua lunga agonia, la sua interminabile esecuzione effettuata attraverso la fame e la sete, Terri l'abbia vissuta consapevolmente".
Io non sono capace di guardare certe cose con distacco, indifferenza, freddezza… - dice Oriana - Ma poche volte ho sofferto quanto per questa donna innocente, uccisa dall'ottusità della Legge e dalla crudeltà di un Barbablù. Nonostante la mancanza di sangue, di manifesta brutalità, v'è qualcosa di particolarmente mostruoso nella morte di Terri Schindler".
Intende dire Terri Schiavo?
"Io non dico mai Terri Schiavo. Mi sembra una beffa, una crudeltà supplementare, chiamarla col cognome di suo marito. Era nata come Theresa Marie Schindler, povera Terri. E se la sapessero tutta, penso che anche gli italiani direbbero Terri Schindler e non Terri Schiavo... 

Ho l'impressione che in Italia anzi in Europa la gente non sia stata ben informata. Che sia i giornali, sia le televisioni abbiano sottolineato la sensazionalità della faccenda, non i suoi retroscena. 
Io invece l'ho seguita giorno per giorno ed ora per ora, qui in America, e l'effetto è stato così disastroso che non credo più alla Legge. 
Cristo per tutta la vita ho invocato la Legge. Anche per combattere l'incompreso flagello che stiamo subendo con l'invasione islamica dell'Occidente, ho sempre invocato la Legge... 
Ma la morte di Terri è riuscita laddove essi non erano riusciti, ed oggi penso che ottenere giustizia attraverso la Legge sia un terno al lotto. Se mi sbaglio, se la Legge significa davvero Giustizia, Equità, Imparzialità, me lo si dimostri incriminando i magistrati che per ben dodici volte si sono accaniti su quella creatura colpevole soltanto d'essere una malata inguaribile...
In testa a loro, quel George Greer che per primo accolse l'istanza di barbablù e ordinò di staccare la spina cioè di togliere a Terri il feeding-support: il tubo nutritivo..."
Quindi secondo lei, i primi responsabili sono i magistrati?
"...Oggi in America il rischio della dittatura non viene dal potere esecutivo: viene dal potere giudiziario.. E nel resto dell'Occidente, lo stesso. Pensi all'Italia dove, come ha ben capito la sinistra che se ne serve senza pudore, lo strapotere dei magistrati ha raggiunto vette inaccettabili. Impuniti e impunibili, sono i magistrati che oggi comandano. Manipolando la Legge con interpretazioni di parte cioè dettate dalla loro militanza politica e dalle loro antipatie personali, approfittandosi della loro immeritata autorità e quindi comportandosi da padroni come i Padreterni della Corte Suprema statunitense... Chi osa biasimare o censurare o denunciare un magistrato, in Italia? Chi osa dire che per diventar magistrato bisognerebbe essere un santo o almeno un campione di onestà e di intelligenza, non un uomo di parte e di conseguenza indegno d'indossare la toga? Nessuno. Hanno tutti paura di loro".
E al secondo posto delle responsabilità chi ci mette?
"...A pari merito ci metto i medici anzi i becchini travestiti da medici che ai magistrati hanno fornito gli elementi necessari ad emettere quella sentenza di morte. Che hanno definito Terri un cervello spento, un corpo senz'anima, un essere in stato vegetativo irreversibile... Oggigiorno Ippocrate non va più di moda e nella maggior parte dei casi la medicina è un business, un cinico strumento per arraffare soldi o tentare di ottenere lo screditato premio Nobel. Però so che lo stato vegetativo non è la morte cerebrale e che il termine stato-vegetativo-irreversibile è molto controverso...
Sta dicendo che lo stato-vegetativo di Terri non era irreversibile?
Lo stato-vegetativo si distingue dal coma in modo molto preciso. 

Il coma è un sonno continuo. Lo stato-vegetativo è un alternarsi di sonno e di veglia durante il quale il malato vede, capisce, reagisce agli stimoli. 
La prova è fornita da un video trasmesso da tutte le televisioni del mondo. Quello nel quale sua madre si china a baciarla e Terri si illumina veramente come un albero di Natale... 
A portare testimonianza in questo senso sono state anche le infermiere che la curavano. Due di loro raccontano addirittura che, a veder Barbablù, Terri si comportava in modo completamente diverso da quello in cui si comportava coi genitori. Chiudeva gli occhi oppure distoglieva lo sguardo, assumeva un'espressione ostile, taceva ostinatamente, e altro che stato-irreversibile! Quella era una donna che capiva. Che pensava, che ragionava. 
Io sono certa che la sua lunga agonia, la sua interminabile esecuzione effettuata attraverso la fame e la sete, Terri l'abbia vissuta consapevolmente".
Eppure il 67% degli americani ha approvato la decisione dei giudici...
Ne deduco che nella nostra società parlare di Diritti-Umani è davvero un'impostura, una farisaica commedia... Ne deduco che nella nostra società, per non essere gettati dalla rupe Tarpea, bisogna essere sani, belli e in grado di partecipare alle Olimpiadi o almeno giocare la fottuta partita di calcio. Beh, allora eliminiamoli tutti quei cittadini inutili... Anche se sono sordi come Beethoven che da sordo scrisse l'Eroica. Anche se sono ciechi come Omero che da cieco scrisse ll'Iliade e l'Odissea. 

O come Milton che da cieco scrisse il Paradiso perduto poi il Paradiso ritrovato. Anche se sono rachitici e gobbi come Leopardi che da rachitico e gobbo scrisse A Silvia e L'Infinito. 
O anche se sono tetraplegici come Stephen Hawking, da circa cinquant'anni immobilizzato da una sclerosi amiotrofica e da almeno dieci incapace di parlare..."
E per incominciare eliminiamo subito anche me, senza attendere che mi ammazzino i musulmani dai quali sono stata condannata a morte non con l'avallo della società ma con quello di Allah. Anch'io sono un malato inguaribile. Lungi dal curarmi con lo sciroppo per la tosse o dal definire il mio Alieno (la Fallaci soffre di un tumore ndr) 'un tipico reumatismo'. Anch'io sono colpevole. Anch'io merito d'essere scaraventata dalla Rupe della Fame e della Sete".
E l'eutanasia?
"...La parola eutanasia è per me una parolaccia. Una bestemmia nonché una bestialità, un masochismo. Io non ci credo alla buona-Morte, alla dolce-Morte, alla Morte-che-Libera-dalle-Sofferenze. La morte è morte e basta. 

Ma predicarlo non serve a nulla. Forse grazie ai kamikaze, alle loro stragi alle loro decapitazioni, l'islamico Culto della Morte sta avanzando in Occidente a un ritmo inesorabile. Sta conquistando l'America dove in Florida, in California, nel Vermonti, in Alabama, nell'Oregon, nel Michigan passano leggi sul suicidio assistito. E sperare che ciò non avvenga anche in Europa, in Eurabia, quindi in Italia, è ormai vano. 'L'onda si rovescerà sull'Europa, sull'Italia dove si copiano sempre sempre gli altri', ha ben scritto Gianluigi Gigli sull'Osservatore Romano.
[…]
Il famoso Living-Will o testamento Biologico con cui una persona chiarisce se in caso di grave infermità vuole vivere o morire...
"...E' una buffonata. Perché nessuno può predire come si comporterà dinanzi alla morte. Inutile fare gli eroi antelitteram, annunciare che dinanzi al plotone di esecuzione sputerai addosso ai tuoi carnefici come Fabrizio Quattrocchi. Inutile dichiarare che in un caso simile a quello di Terri vorrai staccare-la-spina, morire stoicamente come Socrate che beve la cicuta. L'istinto di sopravvivenza è incontenibile, incontrollabile...E se nel testamento biologico scrivi che in caso di grave infermità vuoi morire ma al momento di guardare la Morte in faccia cambi idea? Se a quel punto t'accorgi che la vita è bella anche quando è brutta, e piuttosto che rinunciarvi preferisci vivere col tubo infilato nell'ombelico ma non sei più in grado di dirlo?"
[…]
E poi?
Poi il calvario, la lenta caduta dalla Rupe della Fame e della Sete finì. 

Alle otto di mattina, il 31 marzo, Bob e Mary e Bobby e Susanna furono ammessi col sacerdote nella camera di Terri che stava finalmente morendo ma era ancora cosciente. E alle otto e quarantacinque, quando stava per esalare l'ultimo respiro, il poliziotto che con tanto zelo aveva impedito di inumidirle le labbra ringhiò che non potevan restare perché-le-infermiere-dovevan-pulire-la-camera-aggiustare-i-lenzuoli. Bobby si ribellò. Rispose che il pretesto era offensivo e ridicolo e si rifiutò di uscire. Allora il poliziotto lo cacciò brutalmente. Altrettanto brutalmente spinse don Pavone e Bob e Mary e Susanna fuori della stanza. Al loro posto si installò Barbablù con l'avvocato e, beffa delle beffe, crudeltà delle crudeltà, Terri morì con lui accanto. Sotto i suoi occhi.

(da un'intervista di Oriana Fallaci al "Foglio")



La vita non sempre va conservata: il bene, infatti, non consiste nel vivere, ma nel vivere bene. 
Perciò, il saggio vivrà quanto deve, non quanto può. 
Osserverà dove gli toccherà vivere, con chi, in che modo e che cosa dovrà fare. Egli bada sempre alla qualità della vita, non alla lunghezza.

- Lucio Anneo Seneca -

L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. 
In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento terapeutico. 
Non si vuole così provocare la morte: si accetta di non poterla impedire. 
Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o altrimenti da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente. 

- Catechismo della Chiesa cattolica - 





Buona giornata a tutti. :-)





giovedì 11 febbraio 2016

Vuoto d'amore - Alda Merini

Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.

- Alda Merini - 
Antologia di poesie: Vuoto d'amore, 
1991, Einaudi editore


O donne povere e sole,
violentate da chi

non vi conosce.
Donne che avete mani
sull’infanzia,
esultanti segreti
d’amore tenete conto
che la vostra voracità
naturale non
sarà mai saziata.
Mangerete polvere,
cercherete d’impazzire
e non ci riuscirete,
avrete sempre il filo
della ragione che vi
taglierà in due.
Ma da queste profonde
ferite usciranno
farfalle libere.

- Alda Merini -



Siamo state amate e odiate, adorate e rinnegate, baciate e uccise, solo perché donne.
- Alda Merini - 


"Le persone non si posseggono mai. Restano sempre libere di essere se stesse, di fare le proprie scelte. Di stare con noi, di andarsene. Le cose si posseggono, non le persone. La persona che amiamo non è mai “nostra”. Rimane sempre se stessa. Perchè amare è l’opposto di possedere." 

- Agostino Degas - 



Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 27 gennaio 2016

Il genio - Leonard Cohen -

Per te
sarò un ebreo del ghetto
e ballerò
e indosserò calze bianche
sulle mie gambe storte
e fiumi di veleno
attraverseranno la città.
Per te
sarò un giudeo apostata
e dirò al prete spagnolo
del voto di sangue
nel Talmud
e dove sono nascoste
le ossa dei bambini.
Per te
sarò un ebreo bancario
e porterò alla rovina
un vecchio orgoglioso re cacciatore
e terminerò la sua stirpe.
Per te
sarò un ebreo di Broadway
e piangerò nei teatri
per mia madre
e venderò oggetti da mercato
sottobanco.
Per te
sarò un medico ebreo
e cercherò prepuzi
nei bidoni della spazzatura
per ricucirli di nuovo.
Per te
sarò un ebreo di Dachau
e giacerò sul cemento
con gambe storte
gonfio di dolore
e nessuno capirà.


- Leonard Cohen - 




I maschi da una parte e le donne dall’altra, disposti in file diverse.
Quest’ordine colpiva tutti come un fulmine a ciel sereno.
Adesso che si è giunti all’ultima tappa, ormai alla fine del viaggio, ci ordinano di dividere e di separare l’inseparabile.
Di separare ciò che è indissolubile, quanto è stato unito in una sola unità indivisibile.
Nessuno si muove perché non si riesce a credere nell’incredibile.
Non è possibile che l’irreale diventi realtà, fatto.
Ma la grandinata di colpi abbattutasi sulle prime file di persone in piedi fece sì che persino nelle file più remote le famiglie cominciassero a separarsi.[....]
Si riteneva che era l’inizio della conta dei nuovi arrivati a seconda del sesso.
Si intuiva che stava per arrivare il momento più importante, il momento in cui bisogna consolarsi e confortarsi a vicenda.

- Zalmen Gradowski - 
Manoscritto di prigioniero ebreo rinvenuto dopo la guerra nel campo di Auschwitz



Ci trasciniamo nella terra pantanosa e argillosa pieni di paura e ridotti allo stremo.
Stiamo per arrivare alle nostre nuove tombe, così chiamiamo le nostre nuove case.
Prima di trascinarci fino al nuovo posto, facciamo appena in tempo a prendere una boccata d’aria e già alcuni di noi vengono presi a manganellate in testa.
Dalle teste spaccate e dai volti feriti scorre il sangue.
È il benvenuto che viene dato ai nuovi arrivati.
Sono tutti sbalorditi e si guardano intorno per capire dove sono capitati.
Subito ci informano che abbiamo appena avuto un assaggio della vita del campo.
Qui regna una disciplina ferrea.
Ci troviamo nel campo della morte.
È un’isola della morte.
L’uomo non viene qui per vivere ma per trovarvi, prima o poi, la propria morte.
Non vi è posto per la vita nella residenza della morte.

- Zalmen Gradowski -
Manoscritto di prigioniero ebreo rinvenuto dopo la guerra nel campo di Auschwitz



Seicento ragazzi erano stati condotti in pieno giorno, seicento ragazzi ebrei in età dai 12 ai 18 anni, con grandi casacche molto leggere, ai piedi scarpe lacere o zoccoli di legno.
Erano così belli e benfatti che nemmeno quegli stracci erano in grado di deturparli.
Ciò accadeva nella seconda metà di ottobre 1944.
Li avevano portati venticinque SS armate fino ai denti.
Quando furono nel piazzale, il Kommandofuhrer diede l’ordine di spogliarsi.
I ragazzi scorsero il fumo che usciva dal camino e subito capirono che li conducevano a morte.
In preda a un panico selvaggio, cominciarono a correre per il piazzale strappandosi i capelli dalla testa, senza sapere come porsi in salvo.
Molti scoppiarono a piangere disperatamente, si diffuse un terribile lamento.
Per farli spogliare il Kommandofuhrer e il suo aiutante picchiavano senza misericordia quei poveri ragazzi, fino a che il manganello non si ruppe.
Gliene portarono così un altro e continuò a colpirli sulla testa finché la violenza non l’ebbe vinta.

- Zalmen Lewental - 
Manoscritto di prigioniero ebreo rinvenuto dopo la guerra nel campo di Auschwitz




Il silenzio. Il silenzio di Birkenau.
Il silenzio di Birkenau non assomiglia a nessun altro silenzio: ha in sé le grida di disperazione, le preghiere strangolate di migliaia e migliaia di comunità che il nemico condannò ad essere ingoiate dall’oscurità di una notte infinita, una notte senza nome.
Il tacere degli uomini congelato nel cuore della disumanità.
Silenzio eterno sotto un cielo azzurro.
Silenzio di morte nel cuore della morte…
Nel regno delle ombre che è Auschwitz nessuno cammina lentamente; la morte si getta contro la sua preda.
Non ha tempo, la morte: dev’essere contemporaneamente dappertutto.
La vita, la morte: tutto si unisce in una folle velocità.
Il futuro si limita qui all’attimo che precede la selezione; qui bisogna correre dietro al presente, perché non scompaia del tutto.
Si corre a lavarsi.
Si corre mentre ci si veste.
Si corre alla distribuzione del pane, della margarina, della zuppa.
Si corre all’appello, si corre al lavoro, si corre da un blocco all’altro, alla ricerca di uno sguardo famigliare.
Alla ricerca di una parola di consolazione.
L’abbaiare dei cani… le grida dei carnefici, il rumore dei randelli di gomma che si abbattono sulla nuca dei prigionieri.
Il dolore rende muti gli uomini affamati e deboli; la loro umiliazione pesante come una maledizione.

- Elie Wiesel - 


9 ottobre 1974: muore l'imprenditore tedesco Oskar Schindler. Salvò 1100 ebrei dalla Shoah.


to never  forget!
nicht zu vergessen ... ever!
ne pas oublier ... jamais!
чтобы не забыть ... никогда!
per non dimenticare.... mai!


domenica 10 gennaio 2016

Guarigione (3) - Anselm Grün

3. Riconciliazione con gli altri 
Solo chi è riconciliato con se stesso è capace di riconciliarsi anche con gli altri. Molti incontrano grosse difficoltà nel perdonare gli altri. 
Esigono troppo da se stessi, perché pensano di dover perdonare immediatamente. 
Il perdono è sempre un processo che richiede tempo. 
Alcune persone non guariscono perché non sanno perdonare. 
Finché non riescono a perdonare, rimangono legate a colui che le ha ferite, si lasciano condizionare da lui. 
Nella mia esperienza di accompagnamento, incontro continuamente persone che per lunghi anni portano dentro di sé il rancore verso qualcuno. 
L’astio divora la loro anima e ruba le loro energie: e abbastanza spesso finiscono anche per ammalarsi. 
La riconciliazione con quelli che mi hanno ferito nel corso della mia vita, non è semplicemente una decisione della volontà.
È piuttosto un processo che secondo me avviene in cinque fasi. 




Il primo passo richiede che io lasci spazio al dolore. 
Non debbo scusare troppo presto colui che mi ha ferito. È del tutto indifferente se l’altro mi ha ferito apposta oppure non poteva fare altrimenti: il fatto è che mi ha fatto soffrire. E questo dolore devo nuovamente percepirlo nella sua realtà. 
Mi sono sentito abbandonato, sminuito, preso non seriamente in considerazione. 




Il secondo passo consiste nel lasciar spazio alla collera (rabbia). 
La collera è la forza di buttare fuori da me colui che mi ha ferito. 
Collera non vuol dire mettermi a gridare contro l’altro oppure ferirlo a mia volta. Essa consiste invece nel prendere una sana distanza dall’altro. 
Posso dirmi per esempio: non penso più continuamente a lui; gli impedisco di entrare in casa mia, cioè gli proibisco di abitare nel mio intimo, di occuparmi continuamente di lui nei miei pensieri. 
Nello stesso tempo devo trasformare in energia questa collera: posso vivere da me stesso; non ho bisogno dell’altro perché la mia vita abbia un esito positivo. 




Il terzo passo si riferisce al guardare oggettivamente ciò che è accaduto. Cerco ora di comprendere perché l’altro mi ha ferito. Forse non ha fatto altro che trasmettere le ferite che a sua volta aveva ricevuto. 
Mi sforzo quindi di capire me stesso: per quale motivo il comportamento dell’altro mi ha fatto soffrire così tanto. 
Forse l’altro ha toccato in me un’antica piaga, un posto dove non mi sono ancora riconciliato con me stesso. 
Questa riflessione diventa un invito a occuparmi di questa zona così vulnerabile e ad accettare me stesso con questa mia vulnerabilità. 




Il quarto passo della riconciliazione con l’altro consiste propriamente nell’atto del perdono. Perdonare significa che mi libero dal legame con l’altro. Lascio che il suo comportamento rimanga in lui e così mi distacco dall’altro. Il perdono è sempre un segno di forza e non di debolezza. 
Rinuncio a girare continuamente attorno alle mie ferite. Se queste sono però troppo profonde, non riesco ancora a incontrarmi con l’altro, nonostante il mio perdono. 
Devo allora accettare i miei limiti. Ho perdonato all’altro, ma non sono ancora capace di costruire con lui un rapporto normale. 
Molti psicologi hanno sperimentato, tra le altre cose, che il perdono è un atto terapeutico, che rende possibile la guarigione delle proprie piaghe e ci libera dal rimuginare continuamente il nostro passato. 
Il perdono ci rende capaci di impegnarci nel momento presente con tutto il nostro essere. 


Il quinto passo della riconciliazione trasforma le piaghe in perle. 
Ildegarda di Bingen sostiene che la riuscita della vita dipende dal fatto che le nostre piaghe vengano trasformate in perle. 
Se compissi soltanto i primi quattro passi, avrei sempre la sensazione di subire un danno, poiché ero stato ferito in modo veramente grave. 
Il quinto passo mi mostra che nelle mie ferite si trova un tesoro prezioso. 
Là dove mi hanno ferito sono crollate le mie maschere e ho potuto mettermi in contatto col mio vero Sé. 
Le piaghe mi fanno sentire vivo, mantengono sveglia in me la nostalgia di Dio e mi aprono verso le persone con le loro ferite. 
Dato che io stesso sono stato ferito, posso meglio comprendere le altre persone con le loro piaghe. 
Molti terapeuti e pastori d’anime hanno trasformato le loro piaghe in perle. Gli antichi greci sapevano già che solo il medico ferito poteva veramente guarire. Se le mie piaghe vengono trasformate in perle, non porto più rancore contro quelli che mi hanno ferito. 
Allora il perdono non è soltanto qualcosa di passivo, ma rende possibile la scoperta delle mie energie e mi dà fiducia di imprimere in questo mondo la traccia inconfondibile e del tutto personale della mia vita. 



Questi cinque passi della riconciliazione con l’altro si possono percorrere senza parlare con l’altro. Spesso però è di grande aiuto chiarire la ferita con un altro. È sempre necessaria tuttavia la prudenza nel giudicare se il dialogo con l’altro sia veramente opportuno. Se dico a dei genitori anziani che mi hanno ferito, li metterò in confusione e pretenderei troppo da loro. 
Il processo della riconciliazione avviene dentro di me. 
Spesso è bene parlarne con una terza persona, ad esempio nell’accompagnamento pastorale o in una analisi terapeutica. 
Se si tratta di ferite attuali, devo decidere se per me è meglio segnalare all’altro che mi ha ferito, oppure se posso perdonargli interiormente. 
Se dico all’altro che mi ha ferito, ciò non deve essere in alcun modo una rimostranza, bensì un’informazione, affinché sappia come il suo comportamento si riflette su di me. 
Un’altra questione è se devo dire all’altro che lo si perdona. 
Il direttore di una fabbrica mi raccontava di avere un conflitto con la sua segretaria. 
Durante la discussione, la donna disse: «Le perdono in nome di Gesù». Per il direttore fu come uno schiaffo in faccia. Infatti in questa frase risuonava implicitamente: «Tu sei colpevole. Sei un tipo cattivo, ma io sono una persona spirituale e di animo generoso e ti perdono». Per l’altro, simili dichiarazioni di perdono sono un’accusa. Non producono alcuna riconciliazione, bensì rendono il disaccordo più profondo. 
Quando l’altro non accoglie il nostro perdono, abbiamo sempre la sensazione di essere persone migliori di lui. 
Nel monachesimo dei primi secoli cristiani, si racconta la storia di un monaco che andò dal suo vecchio padre spirituale lagnandosi che suo fratello non aveva accettato il suo perdono. Allora il vecchio abate gli rispose: «Guarda bene dal non metterti al di sopra di tuo fratello. Immagina di aver peccato contro di lui e va così da tuo fratello». 
Quando il monaco andò dal fratello con questo atteggiamento, fu il fratello che gli andò incontro e i due si abbracciarono. Certamente il fratello si era accorto del cambiamento avvenuto nel monaco. Il nostro perdono potrà giungere fino all’altro solo quando è inteso sinceramente e riusciamo a scorgere anche la nostra parte di colpa. 

Anselm Grün
scrittore, terapeuta, monaco dell’abbazia benedettina di Münsterschwarzach (Germania)






































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