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giovedì 14 marzo 2019

Nelle braccia di Dio ....

Un'anziana signora stava stirando!
Arrivò l'Angelo della morte, e le disse:
«È il tempo: vieni!».
La donna rispose:
«Va bene: ma lasciami finire, di stirare tutta la biancheria!
Chi lo fa, altrimenti? E, poi, devo cucinare; mia figlia lavora, fino a tardi: ha bisogno di qualcosa da mangiare, quando torna a casa, sfinita... Lo capisci, questo?».
L'Angelo se ne andò...
Dopo un po' di tempo, tornò!
Chiese alla donna, se era pronta a lasciare la casa...
«È il tempo: vieni!», disse.
La donna rispose:
«Questa è la mia ora, per il turno alla Casa di Riposo, per Anziani! Là, mi aspettano almeno dieci persone, dimenticate dalla loro famiglia... Posso piantarle, in asso, così?».
L'Angelo se ne andò!
Dopo un po' di tempo, tornò, e disse:
«È l'ora: andiamo!».
La donna rispose:
«Sì, sì: hai ragione, è giusto! Ma chi va a prendere il mio nipotino, alla Scuola Materna, se io non ci sono più?».
L'Angelo sospirò:
«D'accordo: aspetterò, finché il tuo nipotino potrà andare a Scuola, da solo!».
Alcuni anni dopo, la donna era stanca, e piena di acciacchi e, seduta sulla sua poltrona, pensava: «Adesso, potrebbe arrivare l'Angelo...
Dopo tutta la fatica, la Casa di Dio deve essere meravigliosa!».
L'Angelo arrivò...
La donna chiese:
«Mi porti, adesso, nelle braccia di Dio?».
L'Angelo rispose:
«Dove credi, di essere stata, in tutto questo tempo?».





Convertirsi a Cristo significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza, esigenza del suo perdono. 

- papa Benedetto XVI -

Bellissimo affresco di stile bizantino. Notate la presenza di Gesù Cristo e degli angeli nel momento fondamentale in cui il figlio "rientra in sé" e lo accompagna nel cammino di ritorno verso suo padre.

"La morte non è niente:

sono semplicemente passato, nella stanza accanto...
Io sono sempre io! Tu sei sempre tu!
Ciò che eravamo, l'uno per l'altro, lo siamo sempre...
Chiamami con il nome, con cui mi hai sempre chiamato!
Parlami, come hai sempre fatto!
Non usare un tono differente!
Non prendere un'aria mesta, o da cerimonia...
Continua a ridere, di ciò che ci faceva ridere, insieme!
Prega... Sorridi!".



Buona giornata a tutti. :-)





martedì 12 febbraio 2019

La figura dell'Angelo Custode e la morte - don Marcello Stanzione

Secondo la mistica cattolica austriaca Gabrielle Bitterlich, fondatrice dell'Opus Angelorum, è proprio durante l'agonia del cristiano che l'angelo custode può interve­nire efficacemente.
Per la Bitterlich, l'an­gelo custode è proprio colui che ricorda al moribondo i fatti della sua infanzia, le sue prime preghiere, la sua mamma che gli mostrò la croce e gli richiama i ricordi po­sitivi ... in tal modo in innumerevoli casi si scioglie nell'uomo e nella donna la crosta indurita della lontananza da Dio e in que­sti minuti egli ritorna bambino e aperto al­la grazia.
Soprattutto l'angelo custode al­lontana le tremende seduzioni dei demoni maligni che tentano di spingere il mori­bondo alla disperazione.
Un angelo tenta di rivolgere lo sguardo del morente verso la croce e l'immagine della Madonna e verso quelle persone che lo possono aiutare spi­ritualmente.
Poco prima di morire la per­sona diventa come un bambino stanco, che cerca solo di tornare a casa. 
È questo il momento della lotta diretta tra l'angelo e il demonio per la conquista definitiva di quest'anima, dove l'angelo combatte in sua difesa come una madre combatte per la sua creatura.
Nell'istante in cui l'anima si separa dal corpo e si deve presentare al Giudizio di Dio anche allora l'angelo ha ancora la possibilità di aiutare il suo pro­tetto presentando tutte le opere buone che quell'anima ha fatto in vita. 
Che cosa succede all'angelo custode se il suo pro­tetto va in Paradiso?
L'angelo custode ac­compagna quest'anima tra il giubilo di tutti gli angeli che hanno avuto qualche parte nella salvezza di questa persona fino al trono di Dio. 
Il suo servizio di angelo cu­stode è finito, egli non guida più alcun'al­tra persona. Egli ritornerà ancora alla fine dei tempi, al momento del giudizio univer­sale per lodare in eterno Dio insieme al suo protetto.
Che cosa avviene invece al­l'angelo custode se il suo protetto va a fi­nire all'inferno? Sempre la Bitterlich nelle sue rivelazioni private, scrive che tale an­gelo farà parte degli "angeli martiri" cioè farà parte di quella schiera di angeli che nonostante tutti i loro sforzi hanno avuto i loro protetti dannati per sempre.
Dice la Bitterlich che tali angeli portano una stri­scia rossa sul loro vestito e vengono inca­ricati di uno speciale servizio alla Madonna.
Che cosa invece accade all'an­gelo se il suo protetto va in Purgatorio?
L'angelo aspetta fino a che il suo protetto abbia riparato la pena e scontato la pena. Anche in questo caso, dice la Bitterlich, l'angelo viene messo a disposizione di Maria e trasmette e implora per il suo pro­tetto tutti gli aiuti e i soccorsi della chiesa militante, specialmente dei vivi che offro­no le sante messe per le anime del Purgatorio e così riducono la loro purifica­zione, dopo la quale l'angelo lo accompa­gna in cielo.

- don Marcello Stanzione -


Preghiera a San Michele Arcangelo per le anime del Purgatorio

Grande San Michele, 
che sei stato incaricato da Dio 
d’introdurre in Cielo le anime degli eletti, 
ti prego per tutti coloro che io ho amato 
e che non ci sono più.
Degnati di visitarle, di assisterle 
e di soccorrerle in mezzo alle fiamme in cui bruciano, 
nell’oscura prigione in cui piangono.
Fa’ che Dio le ammetta al più presto al suo banchetto celeste, 
in quel meraviglioso luogo di luce e di pace.
E quando verrà per la mia anima 
l’ora di scendere in questo oscuro soggiorno, 
ti scongiuro, intercedi per lei 
e vieni a soccorrerla!
Amen.



Preghiera all’angelo custode

"Angelo Santo, amato da Dio,
ti prego, per amore a Gesù Cristo,
che quando sarò ingrato e ostinatamente sordo ai tuoi consigli,
tu non voglia, per questo abbandonarmi;
al contrario, riportami subito sulla retta via, se ho deviato;
insegnami, se sono ignorante;
rialzami, se sono caduto;
sostienimi, se sono in pericolo e conducimi alla felicità eterna.
Amen."

- San Giovanni Berchmans -



Buona giornata a tutti. :-)






lunedì 21 gennaio 2019

Il buffone del re - don Bruno Ferrero

Un re aveva al suo servizio un buffone di corte che gli riempiva le giornate di battute e scherzi. Un giorno, il re affidò al buffone il suo scettro dicendogli: "Tienilo tu, finché non troverai qualcuno più stupido di te: allora potrai regalarlo a lui".
Qualche anno dopo, il re si ammalò gravemente. Sentendo avvicinarsi la morte, chiamò il buffone, a cui in fondo si era affezionato, e gli disse: "Parto per un lungo viaggio". "Quando tornerai? Fra un mese? ". "No", rispose il re, "non tornerò mai più". "E quali preparativi hai fatto per questa spedizione?", chiese il buffone. 

"Nessuno!", fu la triste risposta.
"Tu parti per sempre", disse il buffone, "e non ti sei preparato per niente? To', prendi lo scettro: ho trovato uno più stupido di me!".


Sono tanti quelli che non si preparano alla grande partenza.
Per questo quel momento si riveste di penosa angoscia.


"State svegli dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora", dice Gesù (Vangelo di Matteo 25,13). 


- don Bruno Ferrero -
da: "Quaranta Storie nel Deserto", editore Elledici





"Se sai come morire, la morte è trasformata. 
Tu non vieni distrutto! Quando sai come morire, sei tu a distruggere la morte con un sorriso, con una risata del tuo essere, accogliendola. 
La morte non è presente: è solo Dio, il tuo Amato che giunge a te. Quando la definisci morte fraintendi. La morte in quanto tale non esiste: si cambia semplicemente corpo e il viaggio continua. Al massimo, la morte è la sosta di una notte in un caravanserraglio. 
Al mattino, torni a muoverti. La vita continua."


- Osho -


Se mi ami non piangere!
Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo
dove ora vivo; se tu potessi vedere e sentire
quello che io vedo e sento
in questi orizzonti senza fine
e in questa luce che tutto investe e penetra,
tu non piangeresti se mi ami.
Qui si é ormai assorbiti
dall'incanto di Dio e dai riflessi
della sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo,
quanto piccole e fuggevoli,al confronto!
Mi é rimasto
un profondo affetto per te;
una tenerezza che non ho mai conosciuto.
Ora l'amore che mi stringe
profondamente a te,
é gioia pura e senza tramonto.
Mentre io vivo
nella serena ed esaltante attesa,
tu pensami così!
Nelle tue battaglie,
nei tuoi momenti
di sconforto e di stanchezza,
pensa a questa meravigliosa casa,
dove non esiste la morte,
dove ci disseteremo insieme
nel trasporto più intenso,
alla fonte inesauribile
dell'amore e della felicità.
Non piangere più
se veramente mi ami!

Preghiera/meditazione di Padre Giacomo Perico attribuita nel web a Sant'Agostino
Fonte: "Resta con noi Signore!" San Paolo Edizioni, 2001


Buona giornata a tutti. :-)




giovedì 27 dicembre 2018

I sette messaggeri - Dino Buzzati

Partito ad esplorare il regno di mio padre, di giorno in giorno vado allontanandomi dalla città e le notizie che mi giungono si fanno sempre più rare. 
Ho cominciato il viaggio poco più che trentenne e più di otto anni sono passati, esattamente otto anni, sei mesi e quindici giorni di ininterrotto cammino.
Credevo, alla partenza, che in poche settimane avrei facilmente raggiunto i confini del regno, invece ho continuato ad incontrare sempre nuove genti e paesi; e dovunque uomini che parlavano la mia stessa lingua, che dicevano di essere sudditi miei.
Penso talora che la bussola del mio geografo sia impazzita e che, credendo di procedere sempre verso il meridione, noi in realtà siamo forse andati girando su noi stessi, senza mai aumentare la distanza che ci separa dalla capitale; questo potrebbe spiegare il motivo per cui ancora non siamo giunti all’estrema frontiera.
Ma più sovente mi tormenta il dubbio che questo confine non esista, che il regno si estenda senza limite alcuno e che, per quanto io avanzi, mai potrò arrivare alla fine.
Mi misi in viaggio che avevo già più di trent’anni, troppo tardi forse. 
Gli amici, i familiari stessi, deridevano il mio progetto come inutile dispendio degli anni migliori della vita. 
Pochi in realtà dei miei fedeli acconsentirono a partire. 
Sebbene spensierato – ben più di quanto sia ora! – mi preoccupai di poter comunicare, durante il viaggio, con i miei cari, e fra i cavalieri della scorta scelsi i sette migliori, che mi servissero da messaggeri. Credevo, inconsapevole, che averne sette fosse addirittura un’esagerazione.
Con l’andar del tempo mi accorsi al contrario che erano ridicolmente pochi; e si che nessuno di essi è mai caduto malato, né è incappato nei briganti, né ha sfiancato le cavalcature. Tutti e sette mi hanno servito con una tenacia e una devozione che difficilmente riuscirò mai a ricompensare.
Per distinguerli facilmente imposi loro nomi con le iniziali alfabeticamente progressive: Alessandro, Bartolomeo, Caio, Domenico, Ettore, Federico, Gregorio. 
Non uso alla lontananza dalla mia casa, vi spedii il primo, Alessandro, fin dalla sera del mio secondo giorno di viaggio, quando avevamo percorso già un’ottantina di leghe.
La sera dopo, per assicurarmi la continuità delle comunicazioni, inviai il secondo, poi il terzo, poi il quarto, consecutivamente, fino all’ottava sera di viaggio, in cui partì Gregorio. 
Il primo non era ancora tornato.
Ci raggiunse la decima sera, mentre stavamo disponendo il campo per la notte, in una valle disabitata. Seppi da Alessandro che la sua rapidità era stata inferiore al previsto; avevo pensato che, procedendo isolato, in sella a un ottimo destriero, egli potesse percorrere, nel medesimo tempo, una distanza due volte la nostra; invece aveva potuto solamente una volta e mezza; in una giornata, mentre noi avanzavamo di quaranta leghe, lui ne divorava sessanta, ma non di più.
Così fu degli altri. Bartolomeo, partito per la città alla terza sera di viaggio, ci raggiunse alla quindicesima; Caio, partito alla quarta, alla ventesima solo fu di ritorno. Ben presto constatai che bastava moltiplicare per cinque i giorni fin lì impiegati per sapere quando il messaggero ci avrebbe ripresi.
Allontanandoci sempre più dalla capitale, I’itinerario dei messi si faceva ogni volta più lungo. 
Dopo cinquanta giorni di cammino, I’intervallo fra un arrivo e l’altro dei messaggeri cominciò a spaziarsi sensibilmente; mentre prima me ne vedevo arrivare al campo uno ogni cinque giorni, questo intervallo divenne di venticinque; la voce della mia città diveniva in tal modo sempre più fioca; intere settimane passavano senza che io ne avessi alcuna notizia.
Trascorsi che furono sei mesi – già avevamo varcato i monti Fasani – I’intervallo fra un arrivo e l’altro dei messaggeri aumentò a ben quattro mesi. Essi mi recavano oramai notizie lontane; le buste mi giungevano gualcite, talora con macchie di umido per le notti trascorse all’addiaccio da chi me le portava.
Procedemmo ancora. Invano cercavo di persuadermi che le nuvole trascorrenti sopra di me fossero uguali a quelle della mia fanciullezza, che il cielo della città lontana non fosse diverso dalla cupola azzurra che mi sovrastava, che l’aria fosse la stessa, uguale il soffio del vento, identiche le voci degli uccelli. Le nuvole, il cielo, I’aria, i venti, gli uccelli, mi apparivano in verità cose nuove e diverse; e io mi sentivo straniero.
Avanti, avanti! Vagabondi incontrati per le pianure mi dicevano che i confini non erano lontani. Io incitavo i miei uomini a non posare, spegnevo gli accenti scoraggiati che si facevano sulle loro labbra. 
Erano già passati quattro anni dalla mia partenza; che lunga fatica. 
La capitale, la mia casa, mio padre, si erano fatti stranamente remoti, quasi non ci credevo. 
Ben venti mesi di silenzio e di solitudine intercorrevano ora fra le successive comparse dei messaggeri. Mi portavano curiose lettere ingiallite dal tempo, e in esse trovavo nomi dimenticati, modi di dire a me insoliti, sentimenti che non riuscivo a capire.
Il mattino successivo, dopo una sola notte di riposo, mentre noi ci rimettevamo in cammino il messo ripartiva nella direzione opposta, recando alla città le lettere che da parecchio tempo io avevo apprestate.
Ma otto anni e mezzo sono trascorsi. Stasera cenavo da solo nella mia tenda quando è entrato Domenico, che riusciva ancora a sorridere benché stravolto dalla fatica. Da quasi sette anni non lo rivedevo. Per tutto questo periodo lunghissimo egli non aveva fatto che correre, attraverso praterie, boschi e deserti, cambiando chissà quante volte cavalcatura, per portarmi quel pacco di buste che finora non ho avuto voglia di aprire. Egli è già andato a dormire e ripartirà domani stesso all’alba.

Ripartirà per l’ultima volta. Sul taccuino ho calcolato che, se tutto andrà bene, io continuando il cammino come ho fatto finora e lui il suo, non potrò rivedere Domenico che fra trentaquattro anni. Io allora ne avrò settantadue. Ma comincio a sentirmi stanco ed è probabile che la morte mi coglierà prima. Così non lo potrò mai più rivedere.
Fra trentaquattro anni (prima anzi, molto prima) Domenico scorgerà inaspettatamente i fuochi del mio accampamento e si domanderà perché mai nel frattempo, io abbia fatto così poco cammino. Come stasera. il buon messaggero entrerà nella mia tenda con le lettere ingiallite dagli anni, cariche di assurde notizie di un tempo già sepolto; ma si fermerà sulla soglia, vedendomi immobile disteso sul giaciglio, due soldati ai fianchi con le torce, morto.
Eppure, va, Domenico, e non dirmi che sono crudele! Porta, il mio ultimo saluto alla città dove io sono nato. Tu sei il superstite legame con il mondo che un tempo fu anche mio. I più recenti messaggi mi hanno fatto sapere che molte cose sono cambiate, che mio padre è morto che la Corona è passata a mio fratello maggiore, che mi considerano perduto, che hanno costruito alti palazzi di pietra là dove prima erano le querce sotto cui andavo solitamente a giocare. Ma è pur sempre la mia vecchia patria.
Tu sei l’ultimo legame con loro, Domenico. 
Il quinto messaggero, Ettore, che mi raggiungerà, Dio volendo, fra un anno e otto mesi, non potrà ripartire perché non farebbe più in tempo a tornare. Dopo di te il silenzio, o Domenico, a meno che finalmente io non trovi i sospirati confini. Ma quanto più procedo, più vado convincendomi che non esiste frontiera.
Non esiste, io sospetto, frontiera, almeno non nel senso che noi siamo abituati a pensare. Non ci sono muraglie di separazione, né valli divisorie, né montagne che chiudano il passo. Probabilmente varcherò il limite senza accorgermene neppure, e continuerò ad andare avanti, ignaro.
Per questo io intendo che Ettore e gli altri messi dopo di lui, quando mi avranno nuovamente raggiunto, non riprendano più la via della capitale ma partano innanzi a precedermi, affinché io possa sapere in antecedenza ciò che mi attende.
Un’ansia inconsueta da qualche tempo si accende in me alla sera, e non è più rimpianto delle gioie lasciate, come accadeva nei primi tempi del viaggio; piuttosto è l’impazienza di conoscere le terre ignote a cui mi dirigo.
Vado notando – e non l’ho confidato finora a nessuno – vado notando come di giorno in giorno, man mano che avanzo verso l’improbabile mèta, nel cielo irraggi una luce insolita quale mai mi è apparsa, neppure nei sogni; e come le piante, i monti, i fiumi che attraversiamo, sembrino fatti di una essenza diversa da quella nostrana e l’aria rechi presagi che non so dire.
Una speranza nuova mi trarrà domattina ancora più avanti, verso quelle montagne inesplorate che le ombre della notte stanno occultando. 
Ancora una volta io leverò il campo, mentre Domenico scomparirà all’orizzonte dalla parte opposta, per recare alla città lontanissima l’inutile mio messaggio.   

- Dino Buzzati -
da: "La boutique del mistero", prima edizione Oscar Mondadori, Milano, 1968

illustrazione di Samuele Gaudio ispirata 
a I sette messaggeri di Dino Buzzati




Buona giornata a tutti. :-)







mercoledì 14 novembre 2018

Il tiranno malato - Dino Buzzati



All’ora solita cioè alle 19 meno un quarto nell’area cosidetta fabbricabile fra via Marocco e via Casserdoni, il volpino Leo vide avanzare il mastino Tronk tenuto per la catena dal professore suo padrone.

Il bestione aveva le orecchie dritte come sempre e scrutava il ristrettissimo orizzonte di quel sudicio prato fra le case. 
Egli era l’imperatore del luogo, il tiranno. 
Eppure il vecchio volpino pieno di risentimenti subito notò che non era il Tronk di un tempo, neppure quello di un mese prima, neppure il formidabile cagnaccio che aveva visto tre o quattro giorni fa.

Era un niente, il modo forse di appoggiare le zampe, o una specie di appannamento dello sguardo, o una incurvatura della schiena, o l’opacità del pelo o più probabilmente un’ombra – l’ombra grigia che è il segno terribile! – la quale gli colava già dagli occhi fino al bordo cadente delle labbra.

Nessuno certo, neppure il professore, si era accorto di questi segni piccolissimi. Piccolissimi? Il vecchio volpino che oramai ne aveva viste a questo mondo, capì, e ne ebbe un palpito di perfida gioia. “Ah ci sei finalmente” pensò. “Ci sei?” 
Il mastino non gli faceva più paura.
Si trovavano in uno di quegli spazi vuoti aperti dai bombardamenti aerei della guerra decorsa, verso la periferia, fra stabilimenti, depositi, baracche, magazzini. (Ma a breve distanza si ergevano i superbi palazzi delle grandi società immobiliari, a settanta-ottanta metri sopra il livello dell’operaio del gas intento a sistemare la tubazione in avaria e del violinista stanco in azione fra i tavolini del Caffè Birreria Esperia là sotto i portici, all’angolo.) 
Demoliti i moncherini superstiti dei muri, a ricordare le case già esistite non restavano qua e là che dei tratti di terreno coperti di piastrelle, il segno della portineria forse, o cucina a pianterreno o forse anche camera da letto di casa popolare (dove un tempo di notte palpitarono speranze e sogni e forse un bambino nacque e nelle mattine d’aprile, nonostante l’ombra tetra del cortile, di là usciva un canto ingenuo e appassionato di giovanetta; e alla sera, sotto una lampadina rossastra, gente si odiò o si volle bene). 

Per il resto, lo spazio era rimasto sgombro e sùbito, per la commovente bontà della natura così pronta a sorridere se appena le lasciamo un po’ di spazio, si era andato ricoprendo di verde, erba, piantine selvatiche, cespugli, a similitudine delle beate valli lontane di cui si favoleggia. 
Tratti di prato vero, coi loro fiorellini, avevano perfino tentato di formarsi, dove stanchi noi distenderci, le braccia incrociate dietro il capo, a guardare le nuvole che passano, così libere e bianche, sopra le soperchierie degli uomini.

Che cosa li aveva sbaragliati quando già stavano assaporando il sangue e la vittoria? Perché si ritiravano? Il mastino tornava a far loro paura?

Non il mastino Tronk. Bensì una cosa informe e nuova che dentro di lui si era formata e lentamente da lui stava espandendosi come un alone infetto.

I tre avevano intuito che a Tronk doveva essere successo qualche cosa e non c’era più motivo di temerlo. Ma credevano di addentare un cane vivo. E invece l’odore insolito del pelo, forse, o del fiato, e il sangue dal sapore repellente, li aveva ributtati indietro. 
Perché le bestie più ancora che i luminari delle cliniche percepiscono al più lieve segno l’avvicinarsi della presenza maledetta, del contagio che non ha rimedio. 
E il lottatore era segnato, non apparteneva più alla vita, da qualche profondità recondita del corpo già si propagava la dissoluzione delle cellule.
I nemici si sono dileguati. è solo, adesso. 
Limpidi e puri nella maestà del vespero si sollevano intanto dalla terra, paragonabili a fanfare, i muraglioni vitrei dei nuovi palazzi e il sole che tramonta li fa risplendere e vibrare come sfida, sullo sfondo violetto della notte che dalla opposta parte irrompe. 
Essi proclamano le caparbie speranze di coloro che, pur distrutti dalla fatica e dalla polvere, dicono “Sì, domani, domani”, di coloro che sono il galoppo di questo mondo contristato, le bandiere! 
Ma per il satrapo, il sire, il titano, il corazziere, il re, il mastodonte, il ciclope, il Sansone non esistono più le torri di alluminio e malachite, né il quadrimotore in partenza per Aiderabad che sorvola rombando il centro urbano, né esiste la musica trionfale del crepuscolo che si espande pur nei tetri cortili, nelle fosse ignominiose delle carceri, nei soffocanti cessi incrostati d’ammoniaca.
Egli è intensamente fisso a quell’oasi stenta e con gli sguardi la divora. 
Il sangue che aveva cominciato a gocciolare da una lacerazione al collo si è fermato coagulandosi. Però fa freddo, un freddo atroce. 
Per di più è venuta la nebbia, lui non riesce più a vedere bene. 
Strano, la nebbia in piena estate. 
Vedere. 
Vedere almeno un pezzo della cosa che gli uomini usano chiamare verde: il verde del suo regno, le erbe, le canne, i miseri cespugli (i boschi, le selve immense, le foreste di querce e antichi abeti).
Il professore è di ritorno e si consola vedendo il lupo e gli altri due barabba che si allontanano spauriti. “Eh il mio Tronk” pensa orgoglioso. “Eh, ci vuol altro!” Poi lo vede laggiù seduto, apparentemente quieto e buono.
Un cuccioletto era, quattro anni fa soltanto, che si guardava gentilmente intorno, tutto doveva ancora cominciare, certo avrebbe conquistato il mondo.
L’ha conquistato. 
Guardatelo ora, grande e grosso, il cagnazzo, petto da toro, bocca da barbaro dio azteco, guardatelo l’ispettore generale, il colonnello dei corazzieri, sua maestà! 
Ha freddo e trema.
” Tronk! Tronk! ” lo chiama il professore. 
Per la prima volta il cane non risponde. Nei sussulti del cuore che rimbomba, pallido del terribile pallore che prende i cani i quali erroneamente si pensa che pallidi non possano diventare mai, egli guarda laggiù, in direzione della foresta vergine, donde avanzano contro di lui, funerei, i rinoceronti della notte.

- Dino Buzzati -
da; "Sessanta racconti" di Dino Buzzati, prima uscita 1958, edito da Mondadori, 1994




Buona giornata a tutti. :-)