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domenica 23 aprile 2017

Le opere di misericordia (2) - Anselm Grün

Resterò fedele alla divisione classica tra le sette opere di misericordia corporale e le sette di misericordia spirituale. 
Vorrei però cercare di descriverle in modo che noi oggi ci sentiamo chiamati in causa.
Nell'apprestarmi a questo compito vedo due difficoltà: l'una è il pericolo di fare della morale. Non intendo presentarmi come il sapientone che fa la predica agli altri perché finalmente compiano queste opere e donino in abbondanza per gli affamati. 
L'altra difficoltà sta nella dimensione politica dell'assistenza. 
Le opere cristiane della misericordia sono soltanto una goccia nel mare? 
Non dobbiamo piuttosto cambiare il mondo a livello politico, affinché non ci siano più né poveri, né ignudi, né senzatetto? 
Il messaggio di Gesù vorrebbe aprirci gli occhi su come far agire in tutto il mondo lo spirito della misericordia e non quello dello sfruttamento, lo spirito del rispetto e non quello del disprezzo. 
Non basta però accollare le opere di misericordia ai soli politici: in quel caso, infatti, avremmo il pretesto di non apportare il nostro contributo a un mondo più umano. 
Per quanto sia importante la visione politica ed economica, non possiamo aspettare a compiere le opere di misericordia finché regnino in tutto il mondo giustizia, pace e benessere. Pur con tutto l'impegno politico, nell'ambiente a noi più prossimo c'è sempre spazio sufficiente per realizzare le opere di misericordia corporale e spirituale.
Con ciò non voglio instillare nei lettori e nelle lettrici un senso di colpa perché fanno troppo poco. 

Desidero soltanto, come fa Gesù nel suo Discorso sul giudizio finale, che apriamo gli occhi per essere pronti, là dove Dio ci tocca, a dimostrare misericordia al fratello o alla sorella, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga sul piano corporale o su quello spirituale. 
Dal Discorso di Gesù sul giudizio emerge che egli non fa la morale: egli promette invece una ricca ricompensa a coloro che adempiono queste opere di misericordia. Il paradosso, però, è che queste persone compiono tali opere non perché ricevono una ricompensa, ma perché si lasciano toccare dai bisognosi. Lasciandomi commuovere dal fratello o dalla sorella e lasciandomi ispirare a un'opera di misericordia, sperimento una ricompensa interiore. 
Sento che donando la mia vita si arricchisce, sento che diventa più sana se mi dedico ai malati, sento che copro la mia nudità se vesto gli ignudi. 
Le nostre azioni hanno sempre anche un effetto su noi stessi: le opere di misericordia fanno bene anche a noi. In esse dimostriamo misericordia anche verso noi stessi. Ma non le compiamo per fare qualcosa di buono a noi. 
Le compiamo perché lasciamo che il nostro cuore sia toccato dai poveri, dagli affamati, dai senzatetto, dai malati e dai prigionieri. 
Il paradosso è che, dimenticando noi stessi perché ci apriamo a un'altra persona, anche noi facciamo l'esperienza della realizzazione della nostra esistenza, sperimentiamo una gratitudine interiore per il fatto che una persona dalle spalle curve riparte da noi rialzando la testa e che un ignudo riscopre la dignità regale di cui è rivestito.




2. La misericordia come atteggiamento di fondo
L'atteggiamento di fondo delle quattordici opere è la misericordia. 
Desidero perciò scrivere alcuni pensieri a proposito di tale atteggiamento.
La Bibbia conosce diversi concetti e diverse immagini per la misericordia. All'Antico Testamento sono noti soprattutto due termini per 'misericordia':  hesedh, cioè `bontà', e rahamim, 'pietà'. 

È soprattutto Dio a essere misericordioso. 
La misericordia di Dio, però, esige anche dagli esseri umani che dimostrino misericordia vicendevole. La misericordia, in questo contesto, non è mai soltanto una disposizione dell'animo, interiore, ma è anche sempre un agire, una prassi. La parola ebraica hesedh significa 'gentilezza e bontà'. 
Dio si dimostra misericordioso nei confronti dell'essere umano quando lo tratta in maniera gentile, benevola e pietosa, quando gli perdona le sue colpe. L'altra parola, rahamim, è collegata al termine rehem: 'grembo materno, viscere materne'. 
Come una madre si dedica al bambino che tiene in grembo, così Dio si rivolge a noi uomini in modo materno. Dio, come una madre, tratta con tenerezza l'essere umano che, per così dire, tiene in grembo. Qui la misericordia è l'affetto, ovvero il chinarsi di uno che sta in alto nella scala gerarchica verso il più piccolo. 
Dio non giudica, ma ritiene l'essere umano in grado di svilupparsi sempre di più, così come fa un bambino, fino a diventare la persona che deve essere secondo quanto immaginato da Dio stesso.
Questo atteggiamento viene descritto così soprattutto a proposito di Dio nei confronti dell'uomo e quasi mai a proposito degli esseri umani nelle relazioni tra di loro. 

La pietà dell'essere umano nei confronti di un suo simile è espressa di preferenza con il termine hanan, che compare anche in alcuni nomi di persona, come Anna o Giovanni. La misericordia dell'uomo si dimostra nelle sue premure verso i poveri e i miseri, ma anche nei confronti del bestiame. Davide si dimostra misericordioso nei confronti di Saul non sfruttando il proprio potere, ma risparmiandolo.
Alcuni ritengono che l'Antico Testamento descriva Dio soprattutto come giudice. In tal modo, però, si interpreta l'Antico Testamento in maniera parziale. Anche nell'Antico Testamento Dio è già sempre il misericordioso: la misericordia è la sua natura. Gesù ha collocato questo messaggio della misericordia di Dio al centro della sua predicazione. 

E, a sua volta, ha agito in maniera misericordiosa nei confronti degli uomini. Proprio Matteo, che descrive Gesù sullo sfondo della teologia ebraica, lo ha descritto come il Redentore misericordioso. Comunque tutti i vangeli riferiscono dell'operato misericordioso di Gesù. 
Il greco del Nuovo Testamento usa tre parole diverse per esprimere questo 'essere misericordioso':



1. Splanchnìzomai, ossia 'essere toccato nelle viscere'. 
Questo termine viene utilizzato soprattutto a proposito di Dio e di Gesù. 
Per i greci le viscere sono il luogo dei sentimenti vulnerabili. Il Dio misericordioso lascia entrare gli esseri umani in se stesso, nel proprio cuore, nelle proprie viscere. Nella sua umanità vulnerabile Gesù si apre agli uomini: si lascia ferire per guarirne le ferite. 
Nei vangeli questo termine è noto soltanto ai sinottici. 
La parola, però, è utilizzata tre volte nelle parabole di Gesù. Colui a cui Dio ha perdonato ogni peccato dev'essere a sua volta misericordioso nei confronti dell'altro servo, invece di esigere spietatamente da lui il suo debito (Mt 18,27).
Il samaritano si dimostra misericordioso nei confronti dell'uomo incappato nei briganti: si apre a colui che giace mezzo morto sul ciglio della strada e ha compassione di lui (Lc 10,33). 

Lo lascia entrare in sé, mentre il sacerdote e il levita si chiudono e passano oltre. E Dio come padre misericordioso ha compassione del figlio prodigo (Lc 15,20). 
Nei racconti di miracoli, invece, la parola è usata nove volte. 
Gesù ha compassione del lebbroso: apre il suo cuore a colui che si sente rifiutato ed emarginato da tutti (Mc 1,41). 
In Matteo questa parola compare tre volte, non nei confronti di singoli individui, bensì nei confronti della folla che ha fame, è ferita, anela alla salvezza e non ha orientamento. «Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36). 
Poiché Gesù si fa commuovere dal dolore e dallo smarrimento e dalla loro stanchezza, guarisce i malati, annuncia il proprio messaggio, dà loro da mangiare (Mt 14,14 e 15,32) e invia loro i suoi discepoli. 
Il Discorso missionario, in Matteo, segue direttamente l'osservazione secondo cui Gesù prova compassione per le folle. Secondo me ciò significa che Gesù ci rende messaggeri della sua misericordia. 
Siamo inviati alle persone che sono stanche ed esauste, che sono ferite e confuse. Come Gesù, dobbiamo volgerci misericordiosamente agli altri, condividerne i sentimenti, aprire a loro il nostro cuore e compiere nei loro confronti ciò che ha fatto Gesù.

(continua)
- Anselm Grün - 

da: "Perchè il mondo sia trasformato-Le sette opere di misericordia", Ed. Queriniana, 2009 



Buona giornata a tutti. :-)






giovedì 30 marzo 2017

Dio è più grande del nostro peccato - Papa Francesco

Dio è più grande del nostro peccato. 
Non dimentichiamo questo: Dio è più grande del nostro peccato! "Padre, io non lo so dire, ne ho fatte tante, grosse!". 
Dio è più grande di tutti i peccati che noi possiamo fare. Dio è più grande del nostro peccato. Lo diciamo insieme? Tutti insieme: "Dio è più grande del nostro peccato!". 
Un'altra volta: "Dio è più grande del nostro peccato!". 
Un'altra volta: "Dio è più grande del nostro peccato!". 
E il suo amore è un oceano in cui possiamo immergerci senza paura di essere sopraffatti: perdonare per Dio significa darci la certezza che lui non ci abbandona mai. Qualunque cosa possiamo rimproverarci, lui è ancora e sempre più grande di tutto (cfr 1 Gv 3,20), perché Dio è più grande del nostro peccato...
Dio non nasconde il peccato, ma lo distrugge e lo cancella; ma lo cancella proprio dalla radice, non come fanno in tintoria quando portiamo un abito e cancellano la macchia. 
No! Dio cancella il nostro peccato proprio dalla radice, tutto! Perciò il penitente ridiventa puro, ogni macchia è eliminata ed egli ora è più bianco della neve incontaminata. Tutti noi siamo peccatori. È vero questo? 
Se qualcuno di voi non si sente peccatore che alzi la mano... 
Nessuno! Tutti lo siamo.
Noi peccatori, con il perdono, diventiamo creature nuove, ricolmate dallo spirito e piene di gioia. Ora una nuova realtà comincia per noi: un nuovo cuore, un nuovo spirito, una nuova vita. 
Noi, peccatori perdonati, che abbiamo accolto la grazia divina, possiamo persino insegnare agli altri a non peccare più. "Ma Padre, io sono debole, io cado, cado". "Ma se cadi, alzati! Alzati!". Quando un bambino cade, cosa fa? Solleva la mano alla mamma, al papà perché lo faccia alzare. 
Facciamo lo stesso! Se tu cadi per debolezza nel peccato, alza la tua mano: il Signore la prende e ti aiuterà ad alzarti. 
Questa è la dignità del perdono di Dio! 
La dignità che ci dà il perdono di Dio è quella di alzarci, metterci sempre in piedi, perché Lui ha creato l'uomo e la donna perché stiano in piedi.

- Papa Francesco - 
Udienza Generale del 30 marzo 2016



Una volta ho sentito un detto bello: "Non c'è santo senza passato, e non c'è peccatore senza futuro!". La Chiesa non è una comunità di perfetti, ma di discepoli in cammino, che seguono il Signore, bisognosi del suo perdono.

- Papa Francesco - 
Udienza generale del 13 aprile 2016



Anche Giuda risorgerà!

Almeno un istante della propria vita
ognuno di noi è stato Giuda.
Nelle relazioni con gli altri
è sempre in agguato il Giuda che è dentro di noi.
E quando viene il tempo dell'ultima cena
non riusciamo a spiegarci come possa un amico
tramutarsi in nemico
senza perché.
Pasqua è festa di misericordia
Perché dis-vela che ciascuno di noi è Giuda
senza essere Giuda
ma proprio come Giuda
è stato perdonato e chiamato a risorgere
dall'infinita misericordia di Dio.



Buona giornata a tutti. :-)






mercoledì 29 marzo 2017

Le opere di misericordia (1) - Anselm Grün

Il testo biblico da cui derivano le sette opere di misericordia è il grande Discorso sul giudizio finale nel Vangelo di Matteo (Mt 25,31-46). 
In esso Gesù parla di sé come del Figlio dell'uomo e del re. 
Durante il giudizio finale egli convocherà gli uomini di tutta la terra e separerà gli uni dagli altri. 
A coloro che inviterà nella sua gloria dirà:
Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fino dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi (Mt 25,34-36).
Matteo chiama 'giusti' coloro che hanno compiuto queste opere d'amore. 

I giusti non si stupiscono di aver compiuto queste opere buone per gli altri, ma del fatto di aver dato da mangiare e da bere, di aver visitato e vestito Cristo in persona. Hanno visto soltanto la persona concreta, ma non Cristo. Eppure Gesù risponde loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40). Gesù si identifica con gli affamati, gli assetati, i forestieri, gli ignudi, i malati e i carcerati.

1. La storia: dai vangeli fino ad oggi
Da sempre questo testo ha toccato i cristiani. È stato definito la sintesi per eccellenza dell'intero vangelo. Gesù giudica il nostro essere cristiani in base al nostro comportamento nei confronti del prossimo. 
Alla fine della nostra esistenza ciò che conterà sarà come siamo andati incontro al nostro prossimo e come l'abbiamo trattato. Ma Gesù qui non parla per farci la morale. 
Il nostro rapporto con il prossimo, più che altro, concerne la nostra relazione con Gesù Cristo, la realtà determinante della nostra fede. Anche se non ne siamo consapevoli, in fondo ciò che facciamo al prossimo lo facciamo a Cristo.
Per Immanuel Kant di questo testo era importante soprattutto il fatto che compiamo atti d'amore in funzione dell'amore stesso e non per aspettarcene una ricompensa. 

La teologia della liberazione ha posto questo brano al centro del suo messaggio: Gustavo Gutiérrez vede quel testo come dimostrazione che nessuna via porta a Dio evitando il sacramento del prossimo: «L'amore a Dio si esprime necessariamente nell'amore al prossimo. Più ancora: si ama Dio nel prossimo».
Il discorso di Gesù ha anche un ruolo importante soprattutto nel dialogo con le altre religioni. 

Ritroviamo l'elenco delle opere d'amore che Gesù esige dai suoi discepoli anche in altre religioni e nei loro testi, per esempio nel Libro egiziano dei morti, in testi del buddhismo antico e in Ovidio. 
Gli esseri umani non sanno affatto di servire Cristo nel prossimo: «La norma in base alla quale il Figlio dell'uomo in Mt 25,31-46 giudica gli uomini non sembra aver nulla a che fare con una particolare religione: è universale» [3]. Paul Tillich vede in Mt 25 un testo che «libera l'interpretazione di Gesù da un particolarismo che lo avrebbe trasformato nella proprietà di un gruppo religioso particolare». 
Anche se noi qui non seguiamo Tillich, questo testo apre però il messaggio di Gesù per tutti gli esseri umani, in tutte le religioni. 
Nel modo in cui ci comportiamo nei confronti degli altri, in fondo, si fa visibile il nostro rapporto con Gesù Cristo, non importa se crediamo in lui o meno, non importa se nel fratello o nella sorella riconosciamo Cristo oppure no.
Già la chiesa delle origini ha aggiunto alle sei opere che Gesù qui elenca la settima: seppellire i morti. 
Lattanzio, l'eloquente predicatore, fece questa aggiunta all'inizio del secolo, tenendo presente un passo del libro di Tobia (Tb 1,17). Come tutta la chiesa delle origini, era ancora consapevole del fatto che l'elenco delle opere di bene ha uno sfondo biblico. Già nell'Antico Testamento Dio esorta gli uomini a dimostrare misericordia al prossimo. Così, nel libro del profeta Isaia, Dio esige qualcos'altro invece del digiuno esteriore:
Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? (Is 58,6s.).
Nell'interpretazione ebraica dei testi dell'Antico Testamento, il Talmud, l'essere umano viene regolarmente esortato a seguire Dio, che visita gli ammalati (Abramo a Mamre), veste gli ignudi (Adamo) e seppellisce i morti (Mosè). 
La teologia rabbinica distingue le 'opere d'amore' dalle elemosine. 
Le elemosine si riferiscono a sovvenzioni in denaro. 
Le opere d'amore, invece, sono opere che esigono l'impegno di tutta la persona. Secondo un testo ebraico, il mondo poggia su tre colonne: la Torah, il culto e le opere d'amore. E in base alle opere d'amore si decide anche se l'ebreo pio resiste al vaglio del giudizio.
Già Origene non intendeva le opere di misericordia soltanto in maniera puramente esteriore, ma le interpretava dal punto di vista spirituale. 
Dar da mangiare agli affamati per lui diventa: alimentare i fratelli e le sorelle con il cibo spirituale. 
A proposito del vestire pensa alla veste della sapienza che dobbiamo offrire agli altri. 
Far visita al fratello può anche significare consolarlo. 
Sulla scia di Origine, l'interpretazione spirituale delle Scritture ha visto le opere di misericordia come metafore della nostra relazione con Gesù Cristo. Macario, per esempio, intende l'ospitalità come un sostare di Cristo nell'animo umano: non dobbiamo soltanto accogliere il fratello nella nostra casa, ma lasciar entrare Cristo nella dimora della nostra anima. Sant'Agostino porta avanti questa tradizione: distingue tra opere di bene che riguardano il corpo del prossimo e opere di bene che si riferiscono alla sua anima.
Questa divisione in opere di misericordia corporale e opere di misericordia spirituale fu poi sviluppata ulteriormente nel Medioevo. Tommaso d'Aquino spiega queste quattordici opere come virtù della carità. 

Nel Medioevo memorizzavano le quattordici opere di misericordia per mezzo di versi in latino. L'arte stessa si occupò delle opere di misericordia. 
La rilegatura del Salterio di Melisenda [5], del 1131, raffigura le sette opere di misericordia. 
Chi legge il salterio è tenuto a ricordarsi che la sua preghiera si deve esprimere in un comportamento nuovo. 
Spesso le opere di misericordia appaiono anche nelle raffigurazioni del giudizio universale, per esempio sulla porta di San Gallo nel duomo di Basilea (Svizzera) [6], realizzata intorno al 1170, oppure nel battistero di Parma, del 1196. 
Il reliquiario di santa Elisabetta a Marburgo (Germania) rappresenta le opere di misericordia: per il Medioevo Elisabetta era la santa che aveva vissuto in maniera esemplare ciò che Gesù esige dai cristiani nel suo Discorso sul giudizio finale.
All'epoca della Riforma le opere di misericordia passarono in secondo piano. Si discuteva soprattutto se le opere siano determinanti per il giudizio o se non sia soltanto la grazia di Dio a contare. 
Il Discorso sul giudizio finale non si adattava tanto alla dottrina della giustificazione per la sola fede. Perciò lo si perse di vista. 
In età moderna le opere di misericordia vennero poi istituzionalizzate: si crearono ospedali, asili per i senzatetto e mense per i poveri. 
Si sorrideva delle opere di misericordia personali, considerate poco efficaci: se si vogliono aiutare le persone, si affermava, bisogna farlo sul piano politico e sociale. La beneficenza andava organizzata. 
Negli ultimi decenni, perciò, non sono quasi stati scritti libri sulle opere di misericordia. 
Nel 1958 due emittenti radiofoniche tedesche invitarono poeti e scrittori cattolici e protestanti a parlare delle opere di misericordia corporale e spirituale. Scrittori celebri come Josef Martin Bauer, Otto Karrer, Albrecht Goes, Luise Rinser, Edzard Schaper e Reinhold Schneider parlarono del tema in modo molto coinvolgente, a partire dalla situazione del dopoguerra.
Soltanto cinquant'anni dopo il vescovo Joachim Wanke, in occasione dell'ottocentesimo anniversario della nascita di santa Elisabetta di Turingia, ha invitato teologi e personaggi pubblici a riflettere sulle opere di misericordia e a trasporle nel nostro tempo. 

Alla vigilia del 2007, l'anno in cui cadeva la ricorrenza, il vescovo ha lasciato che le persone intervistate si esprimessero su che cosa era per loro, oggi, misericordia. Le loro risposte sono poi confluite in una riformulazione delle sette opere di misericordia. È stato un tentativo di trasporre nel nostro tempo le opere di misericordia classiche: 
1) ti vengo a trovare; 
2) condivido con te; 
3) ti ascolto; 
4) fai parte di questa comunità; 
5) prego per te; 
6) parlo bene di te; 
7) faccio con te un pezzo di strada.


(continua)
- Anselm Grün - 

da: "Perchè il mondo sia trasformato-Le sette opere di misericordia", Ed. Queriniana, 2009 



«Il tuo comportamento rispecchia ciò che risuona nel tuo cuore».

Quando in noi l'impazienza o l'aggressività prendono il sopravvento, dobbiamo cercare di placare le tensioni che s'insinuano in noi. 
Non è forse vero che quando siamo arrabbiati le nostre reazioni sono sproporzionate e il nostro risentimento eccessivo, se comparato alla situazione o alle parole pronunciate? 
La nostra sensibilità non degenera forse in suscettibilità? 
Le nostre azioni non rischiano forse di caricarsi esageratamente del peso delle nostre inquietudini o delle nostre contrarietà?


E bene talvolta procedere a un esame di coscienza e, meglio ancora, a un «esame di fiducia». 
Fiducia nell'altro, fiducia nella vita, fiducia nelle possibilità di ritrovare l'unità e la pace a prescindere da qualsiasi conflitto passeggero.

- Anselm Grün - 






Stai attento ai passi che fai, non vai semplicemente da un punto all'altro. 
Il camminare è piuttosto un'immagine del cammino interiore che stai facendo, che non puoi mai considerarti arrivato nella tua vita e rimanere fermo, ma devi andare sempre più avanti, devi cambiare te stesso sempre di più.

- Anselm Grün - 



Buona giornata a tutti. :-)







martedì 28 marzo 2017

Per entrare in paradiso

Un uomo andò in paradiso. Appena giunto alla porta coperta di perle incontrò S. Pietro che gli disse: "Ci vogliono 1.000 punti per essere ammessi. Le buone opere da te compiute determineranno i tuoi punti".
L'uomo rispose: "A parte le poche volte in cui ero ammalato, ho ascoltato la Messa ed ho cantato nel coro". "Quello fa 50 punti", disse San Pietro.
"Ho sempre messo una bella sommetta nel piatto dell'elemosina che il sacrestano metteva davanti a me durante la Messa". "Quello vale 25 punti", disse San Pietro. Il pover'uomo, vedendo che aveva solo 75 punti, cominciò a disperarsi.
"La domenica ho fatto scuola di Catechismo - disse - e mi pare che sia una bella opera per Iddio". "Sì - disse san Pietro - e quello fa altri 25 punti".
L'uomo ammutolì, poi aggiunse: "Se andiamo avanti così, sarà solo la Grazia di Dio che mi darà accesso al paradiso". San Pietro sorrise: "Quello fa 900 punti. Entra pure".

Smettiamola di voler accumulare i cosiddetti "punti Paradiso": se siamo salvi, è prima di tutto per Grazia di Dio! 
La stessa Grazia, ci ispiri stupore per un amore così grande, e desideri buoni, di vera conversione, di autentica carità, per puro amore di Dio, non per aspettarci un contraccambio nell'aldilà.




«Dio ha fatto il mondo, perché ci sia un luogo dove Egli possa comunicare il suo amore e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui. 
Davanti a Dio, il cuore dell’uomo che gli risponde è più grande e più importante dell’intero immenso cosmo materiale».

- Papa Benedetto XVI -



Ho fatto bene ogni cosa

Non penso mai, Signore,
che la gente, al termine della mia vita,
possa dire la stessa cosa
che ha detto di te, vedendo le tue opere:
"Ha fatto bene ogni cosa".
E nemmeno mi aspetto
che, quando giungerò davanti alla porta del cielo,
tu mi dica: "Vieni, servo fedele".
Sarebbe già tanto che la gente potesse dire:
"Ha sbagliato poche volte",
e che tu mi accogliessi dicendomi:
"Vieni lo stesso, anche se qualche volta
mi hai fatto fare brutta figura!".
Ho tanti difetti, Signore,
e non sono pochi i miei peccati.
Spesso faccio anche il sordo
quando la tua parola mi scomoda troppo.
Tocca anche me, Signore,
con la mano della tua grazia,
affinché mi cada di dosso
lo sporco e il difettoso che c'è
così che sia sempre meno indegno di te
giacché sento dentro di me
la tristezza per non essere giunto alla tua perfezione.
Tocca anche me, Signore, con la tua mano amorosa,
perché possa arrivare almeno ad una sufficienza.
Sarebbe già tanto per me! Amen. 


- A. Dini -
La Parola pregata





Buona giornata a tutti. :-)













mercoledì 1 febbraio 2017

Portare ovunque l’acqua della pace – don Tonino Bello

Chi sono gli operatori della pace? Sono i tecnici delle condutture; gli impiantisti delle reti idrauliche; gli esperti delle rubinetterie. Sono coloro che, servendosi di tecniche diversificate, si studiano di portare l'acqua della pace nella fitta trama dello spazio e del tempo, in tutte le case degli uomini, nel tessuto sociale della città, nei luoghi dove la gente si aggrega e fioriscono le convivenze.
Qui è bene sottolineare una cosa. L'acqua è una: quella della pace. Le tecniche di conduzione, invece, cioè le mediazioni politiche, sono diverse. E diverse sono anche le ditte appaltatrici delle condutture, ed è giusto che sia così. L'importante è che queste tecniche siano serie, intendano servire l'uomo e facciano giungere l'acqua agli utenti.
Senza inquinarla.
Se lungo il percorso si introduce del veleno, non si serve la causa della pace.
Senza manipolarla.
Se nell'acqua si inseriscono additivi chimici, magari a fin di bene, ma derivanti dalle proprie impostazioni ideologiche, non si serve la causa della pace.
Senza disperderla.
Se lungo le tubature si aprano falle, per imperizia o per superficialità o per mancanza di studio o per difetti tecnici di fondo, non si serve la causa della pace.
Senza trattenerla.
Se nei tecnici prevale il calcolo, e si costruiscono le condutture in modo tale che vengano favoriti interessi di parte, e l'acqua, invece che diventare bene di tutti, viene fatta ristagnare per l'irrigazione dei propri appezzamenti, non si serve la causa della pace.
Senza accaparrarsela.
Se gli esperti della condutture si ritengono loro i padroni dell'acqua e non i ministri, i depositari incensurabili di questo bene di cui essi devono sentirsi solo i canalizzatori, non si serve la causa della pace.
Senza farsela pagare.
Se i titolari della rete idrica si servono delle loro strumentazioni per razionare astutamente le dosi e schiavizzare la gente prendendola per sete, non si serve la causa della pace. Si serve la causa della pace quando l'impegno appassionato dei politici sarà rivolto a che le città vengano allagate di giustizia, le case siano sommerse dai fiumi di rettitudine e le strade cedano sotto un' alluvione di solidarietà, secondo quello splendido versetto del profeta Amos : 

"Fate in modo che il diritto scorra come acqua di sorgente, e la giustizia come un torrente sempre in piena " (Am 5,24).

Coraggio, allora! 
Nonostante questa esperienza frammentaria di pace, scommettere su di essa significa scommettere sull’uomo. 
Anzi sull’Uomo Nuovo. 
Su Cristo Gesù : Egli è la nostra Pace. E Lui non delude! “

- don Tonino Bello - 
Da:  “Vegliare nella notte”, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 1995



... la pace non è tanto un problema morale, quanto un problema di fede. 
Perché, più che il nostro agire, tocca il nostro essere di persone “conformate a Cristo” in profondità, non con l’aggiunta esteriore di incarichi, ma con l’unzione dell’Olio che penetra e consacra radicalmente. 
L’impegno per la pace è un imperativo che nasce dall’alto; cioè è la logica conseguenza della grazia sacramentale, non il semplice risultato di una assunzione di responsabilità di tipo volontaristico e semplicemente umanitario.

- don Tonino Bello - 




Buona giornata a tutti. :-)





martedì 31 gennaio 2017

Raccomandazioni ai missionari - San Giovanni Bosco

1. Cercate anime non denari;
2. Usate carità e somma cortesia con tutti;
3. Prendete cura degli ammalati, dei fanciulli, dei vecchi e dei poveri e guadagnerete la benedizione di Dio e la benevolenza degli uomini;
4. Fate che il mondo conosca che siete poveri negli abiti, nel vitto, nelle abitazioni e voi sarete ricchi in faccia a Dio e diverrete padroni del cuore degli uomini;
5. Fra di voi amatevi, consigliatevi, correggetevi ma non portatevi mai né invidia, né rancore, anzi il bene di uno sia il bene di tutti, le pene e le sofferenze di uno considerate come pene e sofferenze di tutti e ciascuno studi di allontanarle o almeno mitigarle;
6. Ogni mattino raccomandate a Dio le occupazioni della giornata.


- San Giovanni Bosco -


Sii con Dio come l'uccello che sente tremare il ramo e continua a cantare, perché sa di avere le ali.

- San Giovanni Bosco -


E' certo più facile irritarsi che pazientare, minacciare un fanciullo che persuaderlo: direi ancora che è più comodo alla nostra impazienza ed alla nostra superbia castigare quelli che resistono, che correggerli col sopportarli con fermezza e con benignità.

- San Giovanni Bosco -




Buona giornata a tutti. :-)






giovedì 15 dicembre 2016

La leggenda della Stella di Natale -

Era la sera di Natale, in fondo alla cappella, Lola, una piccola messicana, in lacrime pregava: “Per favore Dio mio, aiutami! Come potrò dimostrare al bambino Gesù che lo amo? Non ho niente, neanche un fiore da mettere a piedi del suo presepe”.
D’un colpo apparve una bellissima luce e Lola vide apparire accanto a lei il suo angelo custode. “Gesù sa che lo ami, Lola, lui sa quello che fai per gli altri. Raccogli solo qualche fiore sul bordo della strada e portalo qui.” disse l’angelo.
“Ma sono delle cattive erbe, quelle che si trovano sul bordo della strada” rispose la bambina.

“Non sono erbe cattive, sono solo piante che l’uomo non ha ancora scoperto quello che Dio desidera farne.” disse l’angelo con un sorriso .
Lola uscì e qualche minuto più tardi entrò nella cappella con in braccio un mazzo di verdure che depositò con rispetto davanti al presepe in mezzo ai fiori che gli altri abitanti del villaggio avevano portato.
Poco dopo nella cappella si senti un breve sussurro, le erbe cattive portate da Lola si erano trasformate in bellissimi fiori rossi, rosso fuoco.

Da quel giorno le stelle di Natale in Messico sono chiamate “Flores de la Noce Buena”, fiori della Santa Notte.



Nel 1825 Joel Poinsett, ambasciatore americano in Messico, riportò in America semi di Stelle di Natale e le fece conoscere in tutto il mondo!


Annunciare la Speranza non significa intingere le parole nella melassa, scambiando il sale con lo zucchero.

È terribile annunciare la Speranza perché prima occorre aiutare a riconoscere la disperazione del mondo.
È terribile la notizia buona della Misericordia perché esige il previo riconoscere la nostra miseria.
Cioè guardare in faccia la realtà e, sulla base di quanto detto a Mose', nessuno può guardarla senza, in qualche modo, morire.

La grazia suppone una condanna. La speranza un futuro perduto.

La speranza non ha bisogno del futuro.
Ha bisogno dell'Eterno.
Apre una strada in mezzo al mare.
"Passando per la valle del pianto la cambia in una sorgente"

- Franca Negri - 



A chi credere?

Ma come si fa a crederti,
se il canto degli angeli
è disturbato dai ragli dell'asino,
se la puzza e il fetore della stalla
impedisce il profumo del cielo?
Il canto meraviglioso degli angeli
è coperto dalle parole sgangherate dei pastori!
Non so a cosa credere!
Crederò al sorriso di un Bimbo,
che invita ed accoglie i rifiutati
per essere l'Emmanuele,
il Dio con noi, il Pastore...

- Giuseppe Impastato S. I. - 


Buona giornata a tutti. :-)