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mercoledì 23 novembre 2016

Vergine visse e vergine morì - Kahlil Gibran

I suoi contingenti erano ormai sopraffatti dal numero dei nemici ed il generale non ebbe altra scelta che ordinare: “Affinchè si risparmino vite e munizioni, dobbiamo ordinatamente ritirarci presso una città sconosciuta al nemico, ove poter mettere a punto una nuova strategia.
Marceremo attraverso il deserto poichè è meglio seguire questo tragitto che cadere nelle mani del nemico. Incontreremo monasteri e conventi che occuperemo al solo fine di procurarci cibo e provvigioni”.
Le truppe non ebbero niente da obiettare dal momento che non vedevano alternativa ad una situazione così critica.
Marciarono per giorni nel deserto, patendo fatica, caldo, fame, sete. Un giorno videro una costruzione imponente che sembrava un’antica fortezza. Il portone pareva quello di una città fortificata. Alla vista di ciò i loro cuori si rinfrancarono. Pensavano fosse un convento dove poter riposare e trovare cibo.
Quando aprirono il portone, per un pò, nessuno venne loro incontro. 

Poi sulla porta apparve una donna vestita completamente di nero, il viso era la sola parte visibile del suo corpo.
Ella spiegò all’ ufficiale di comando che quello era un convento di suore e come tale andava rispettato, nessun danno doveva essere arrecato alle religiose. Il generale promise loro protezione totale e chiese cibo per le sue truppe. Gli uomini furono serviti nell’ampio giardino del convento.
Il comandante era un uomo sui quarant’anni, pavido e dagli istinti irrefrenabili. L’ansia l’aveva reso inquieto, desiderava una donna che gli desse conforto e decise di costringere una delle suore. Così l’infida lussuria lo portava a profanare quel sacro luogo dove le suore si erano raccolte in comunione di Dio per innalzare a Lui eterne preghiere lontano da questo mondo falso e corrotto.
Dopo aver rassicurato la Madre Superiora, il vile comandante si arrampicò su una scala fino a raggiungere la stanza occupata da una suora che aveva visto dalla finestra. Gli anni di incessante preghiera e di solitaria abnegazione non avevano cancellato tutti i segni di femminea bellezza dal suo volto innocente. Aveva lasciato il mondo dominato dal peccato per poter trovar rifugio quì, luogo dove poter adorare Iddio lontana dalle distrazioni terrene.
Entrando nella stanza il criminale sguainò la spada e minacciò di ucciderla se avesse gridato aiuto.
Lei sorrise e rimase in silenzio comportandosi come se volesse assecondare il desiderio di lui. Poi lo guardò e disse: “Siedi e riposa, hai l’aria molto stanca” . Le si sedette vicino, sicuro della sua preda. 

E lei continuò: “Ho ammirazione per voi uomini di guerra che non temete di gettarvi in seno alla morte” .
Al che quello stupido codardo rispose: “Sono le circostanze che ci obbligano ad andare alla guerra. Se la gente non mi bollasse come vile, fuggirei lontano prima di acconsentire a guidare un maledetto esercito”.
Lei gli sorrise e disse: “Ma non sai che in questo santo luogo abbiamo un unguento che spalmato sul corpo protegge dal colpo della spada più tagliente?”.
“Straordinario! Dov’è questo unguento? Sicuramente potrò utilizzarlo.”
“Ebbene, te ne darò un pò.”
Nato ad un tempo in cui ancora si credeva a certe superstizioni, il generale non dubitò della suora. Ella aprì un vaso e gli mostrò un bianco balsamo. Al vederlo lui fu improvvisamente assalito dal dubbio. 

Lei ne prese un po’ e se lo spalmò sul collo dicendo: “Se non mi credi, ti darò una prova. Prendi la spada e colpiscimi al collo con tutta la tua forza”.
Egli esitava, ma lei continuava a incitarlo perchè la colpisse forte, e alla fine colpì.
Stette quasi per perdere i sensi alla vista della testa che rotolava via dal corpo della suora che si accasciò immoto sul pavimento. Allora capì lo stratagemma di cui si era servita per salvarsi dalla profanazione.
La monaca era morta… ed il comandante vedeva solo due cose di fronte a sè: il cadavere di una vergine ed un vaso d’unguento. 

Cominciò a fissare lo sguardo sull’unguento e poi sul corpo decapitato, dal corpo all’unguento. Allora perse la ragione, spalancò la porta e corse fuori agitando davanti a se la spada insanguinata, gridando alle sue truppe: “Presto, presto, fuggiamo da questo posto!”.
Non smise di correre finchè non fu raggiunto da alcuni dei suoi uomini che lo trovarono in lacrime come un bambino istupidito.
Gridava: “L’ho uccisa! L’ho uccisa!”.

- Khalil Gibran -
Da: “Gibran, tutte le poesie e i racconti”, New Compton Editori





Diceva un foglio bianco come la neve: "Sono stato creato puro, e voglio rimanere così per sempre. Preferirei essere bruciato e finire in cenere che essere preda delle tenebre e venir toccato da ciò che è impuro". 
Una boccetta di inchiostro sentì ciò che il foglio diceva, e rise nel suo cuore scuro, ma non osò mai avvicinarsi. 
Sentirono le matite multicolori, ma anch'esse non gli si accostarono mai. 
E il foglio bianco come la neve rimase puro e casto per sempre - puro e casto - ma vuoto.

- Kahlil Gibran - 




Un giorno Bellezza e Bruttezza si incontrarono sulla riva del mare. E dissero l'una all'altra, "Facciamo il bagno nel mare". Si svestirono e nuotarono nell'acqua. E dopo un poco Bruttezza tornò indietro sulla riva e si vestì di bellezza e camminò per la sua strada. Anche bellezza venne fuori dal mare e non trovò le sue vesti e lei era troppo timida per rimanere nuda, perciò indossò le vesti di bruttezza. E bellezza andò per la sua strada. E ancora oggi uomini e donne scambiano l'una per l'altra. Eppure c'è qualcuno che ha visto il viso di Bellezza e la riconoscono nonostante i suoi abiti. E c'è qualcuno che riconosce il viso di Bruttezza e l'abito non la nasconde dai loro occhi.

- Kahlil Gibran - 
da "Il vagabondo"



Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 31 agosto 2016

Amico dell’ultimo istante – Testamento spirituale del Priore Christian-Marie De Chergé

“Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, mi piacerebbe che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era “donata” a Dio e a quel paese. Che essi accettassero che il Padrone unico di ogni vita non può essere estraniato da questa dipartita brutale. 
Che pregassero per me: come potrei essere trovato degno di questa offerta? 
Che sapessero associare questa morte a tante egualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.

La mia vita non ha prezzo più alto di un’altra. Non vale di meno né di più; in ogni caso, non ha l’innocenza dell’infanzia.

Ho vissuto abbastanza per considerarmi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che mi può colpire alla cieca.

Mi piacerebbe, se venisse il momento, di avere quello sprazzo di lucidità che mi permetterebbe di sollecitare il perdono di Dio e quello di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse ferito.

Non posso auspicare una morte così. Mi sembra importante dichiararlo. Infatti non vedo come potrei rallegrarmi del fatto che un popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio.

Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che forse chiameranno “la grazia del martirio”, doverla a un algerino, chiunque egli sia, soprattutto se questi dice di agire nella fedeltà a ciò che crede essere l’Islam. 
So bene il disprezzo del quale si è arrivati a bollare gli algerini globalmente presi.

Conosco bene anche le caricature dell’Islam che un certo islamismo incoraggia.  
E’ troppo facile mettersi la coscienza in pace identificando questa religione con gli integralismi dei suoi estremisti.

L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa, sono un corpo e un’anima.

Ho proclamato abbastanza, credo, davanti a tutti, quel che ne ho ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del Vangelo appreso sulle ginocchia di mia madre (tutta la mia prima chiesa), proprio in Algeria e, già allora, con tutto il rispetto per i credenti musulmani.

Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno considerato con precipitazione un “naïf” o un idealista: “ci dica adesso quel che pensa!”.  
Ma queste persone  devono sapere che la mia più lancinante curiosità verrà finalmente soddisfatta. Ecco che potrò, a Dio piacendo, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’Islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria del Cristo, frutti della sua passione, investiti dal dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre stabilire la comunione, ristabilire la rassomiglianza, giocando con le differenze.

Per questa vita perduta, totalmente mia, totalmente loro, rendo grazie a Dio che sembra averla voluta interamente per quella gioia, nonostante tutto e contro tutto.

In questo Grazie! In cui è detto tutto, ormai, della mia vita, comprendo certamente voi, amici di ieri e di oggi, amici di questa terra, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, centuplo accordato secondo la promessa!

E anche te, amico dell’ultimo istante, che non avrai saputo quel che facevi.  
Sì, anche per te voglio dire questo grazie e questo ad-Dio da te deciso. 
E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se lo vorrà Dio, nostro Padre comune. Amen! Inshallah!”


Diario, Algeri, 1° dicembre 1993  - Tibhirine, 1° gennaio 1994.


 - Padre Christian-Marie De Chergé -
http://www.monastere-tibhirine.org/



Nella notte fra il 26 e il 27 marzo del 1996 sette monaci trappisti del monastero di Notre-Dame de l’Atlas situato a Tibhirine, in Algeria, vennero sequestrati nel corso della sanguinosa guerra civile che fece decine di migliaia di morti nel paese nordafricano, per essere ritrovati uccisi il 21 maggio… Il Priore qualche tempo prima aveva scritto il testamento spirituale, sopra riportato, intuendo il precipitare degli eventi.
L’uccisione dei monaci fu rivendicata dai fondamentalisti islamici del Gia (Gruppo islamico armato) che annunciarono: "Ai monaci abbiamo tagliato la gola". Alla fine del mese di maggio ne furono ritrovati parzialmente i resti mortali.
Non si saprà forse mai se coloro che hanno assassinato i sette monaci fossero davvero militanti islamisti o provocatori del regime, ma la loro morte - come la loro vita – è stata vissuta da loro stessi e percepita nel mondo come un martirio.



"Un martire cristiano non è qualcosa di accidentale. Ancor meno il martirio del cristiano può essere il risultato della volontà dell'uomo di diventare un martire, a forza di volontà e di sforzi, così come un uomo, a forza di volontà e di sforzi, può diventare un capo. Un martire, un santo è sempre tale per volontà di Dio, per il suo amore verso gli uomini, che li avverte e li guida e li riconduce sui suoi sentieri.
Un martire non è mai frutto del progetto di un uomo, perché vero martire è colui che si fa strumento di Dio, che ha annullato la propria volontà nella volontà di Dio e, così facendo, non l'ha perduta ma ritrovata, poiché ha trovato la libertà nella sottomissione a Dio."

Dalla predica di San Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury, martire, 1118-1170, la mattina di Natale del 1170, nel testo teatrale “Assassinio nella Cattedrale” di T. S. Eliot


Buona giornata a tutti. :-)

domenica 14 agosto 2016

“Ave Maria”, furono le sue ultime parole - San Massimiliano Maria Kolbe -

14 agosto 1941. Erano già passate due settimane. I prigionieri morivano uno dopo l’altro e ne rimanevano solo quattro, tra i quali padre Massimiliano, ancora in stato di conoscenza… Un giorno fu inviato il criminale tedesco Bock per fare un’iniezione di acido fenico ai prigionieri… Quando Bock arrivò là, lo dovetti accompagnare alla cella. Vidi padre Massimiliano, in preghiera, porgere lui stesso il braccio al suo assassino. Non potevo sopportarlo. Con la scusa che avevo del lavoro da fare, me ne andai. Ma non appena gli uomini delle SS e il boia se ne furono andati, tornai. Gli altri corpi, nudi e sporchi, erano stesi sul pavimento, con i volti che mostravano i segni della sofferenza. Padre Massimiliano era seduto, eretto, appoggiato al muro. Il suo corpo non era sporco come gli altri, ma pulito e luminoso. La testa era piegata leggermente da una parte. Il suo volto era puro e sereno, raggiante. Chiunque avrebbe notato e pensato che questi fosse un santo».
il francescano martire volontario, tese il braccio per l'iniezione mortale dicendo “Ave Maria”, furono le sue ultime parole.


In ogni focolare cattolico, anche i più poveri, potete trovare un rosario. Nei momenti di gioia o di tristezza, quando i credenti si rivolgono a Dio, pregano il rosario...
A Lourdes, l'Immacolata sgrana le perle del suo rosario e incoraggia Bernadette a recitarlo con lei. Se desideriamo crescere nell'amore di Gesù, dobbiamo meditare i misteri del Rosario con Maria ripetendo incessantemente e bisbigliando l'Ave Maria. Nessuno al mondo, neanche tra gli angeli, hanno amato e amano tanto il Signor Gesù, quanto la Madre di Dio.

- San Massimiliano Kolbe -


Padre Kolbe, l’innamorato di Gesù e dell’Immacolata, ripeteva: “Bisogna affogare nei gorghi della verità ogni manifestazione di errore che ha trovato nella stampa la più potente alleata. E’ necessario inondare la terra di un diluvio di stampa cristiana e mariana, e fasciare il mondo di carta scritta con parole di vita: solo così l’umanità di oggi potrà trovare la gioia di vivere e la via della salvezza”.

Dopo trent’anni dalla morte, il 17 ottobre 1971, è stato beatificato dal Papa Paolo VI.
Il Santo Padre Giovanni Paolo II l’ha proclamato Santo il 10 ottobre 1982.





Buona giornata a tutti. :-)

mercoledì 20 luglio 2016

da: La parola a San Vincenzo de' Paoli - Marcelle Auclair

«Caro amico, due anni fa una gentile vecchia signora di Tolosa aveva fatto testamento in mio favore. Dopo aver recuperato l’eredità fui convinto da un gentiluomo presso cui alloggiavo a imbarcarmi con lui per Narbona. 
Il vento era così favorevole che ci avrebbe portati in un giorno a Narbona, se Dio non avesse permesso a tre brigantini turchi che incrociavano nel golfo di Lione di piombare su di noi e attaccarci con tanto impeto che tre dei nostri uomini furono uccisi e tutti gli altri feriti, e tra loro anch’io, che ricevetti una ferita di freccia che mi servirà da orologio per il resto della mia vita. 
Carichi di bottino, i pirati si diressero in Barberia.
Al nostro arrivo lì, fummo esposti in vendita. Ci condussero in piazza, dove i mercanti vennero a esaminarci, proprio come si fa quando si compra un cavallo o un bue.
Ci fecero aprire la bocca e mostrare i denti, esaminarono le nostre ferite e ci fecero camminare, trottare e correre. 
Fui comprato da un vecchio, medico farmacista e abilissimo nell’estrarre le quintessenze. Era un tipo molto umano e gentile. Erano cinquant’anni che lavorava cercando di scoprire la pietra filosofale, tutto invano per quel che riguardava la pietra, ma con lusinghiero successo per quanto concerneva un altro metodo di trasformare i metalli. 
Il vecchio mi aveva preso a ben volere e amava parlarmi di alchimia e ancor di più della sua religione, adoperandosi come meglio poteva per convertirmi, promettendomi grandi ricchezze e tutto il suo sapere. 
Dio sostenne sempre in me la sicurezza che un giorno sarei fuggito grazie alle costanti preghiere che offrivo a lui e alla Beata Vergine Maria, al cui unico intervento io credo fermamente di dovere la mia liberazione. 
Morto l’anziano, fui venduto dal nipote ad un cristiano rinnegato di Nizza in Savoia, che mi portò nella sua casa, un posto terribilmente caldo e sabbioso. Una delle sue mogli, turca di nascita, fu strumento dell’infinita misericordia di Dio nello strappare suo marito all’apostasia, riportarlo in seno alla Chiesa e liberarmi dalla schiavitù. Siccome era curiosa di conoscere il nostro modo di vivere, mi ordinò di cantare le lodi del mio Dio. 
Io iniziai a recitare, con le lacrime agli occhi, il salmo: «Sui fiumi di Babilonia». Poi cantai la Salve Regina» e diverse altre preghiere. Fu veramente splendido vedere come ella fosse rapita da tutto ciò. 
Quella sera non mancò di dire al marito quanto egli avesse avuto torto ad abbandonare la sua religione, che lei considerava molto buona, da quanto le avevo detto del nostro Dio e anche da alcuni inni di lode che avevo cantato in sua presenza. Ascoltandoli, disse, aveva provato una gioia così celeste da non credere che il paradiso dei suoi antenati potesse darle tanto piacere come quello provato mentre lodavo il mio Dio, e concluse che quanto aveva udito da me era realmente meraviglioso. 
Quella donna fece sì che suo marito mi dicesse, il giorno dopo, che egli aspettava solo la prima occasione perché tutti e due fuggissimo in Francia e che Dio sarebbe stato glorificato da quanto egli avrebbe fatto. Fuggimmo su una piccola imbarcazione e arrivammo a Aigues-Mortes il 15 giugno. 
Poco dopo raggiungemmo Avignone, dove Sua Signoria il Vice‑Legato, con le lacrime agli occhi e la voce rotta dai singhiozzi, lo riconciliò con Dio». 

- Marcelle Auclair -
da: La parola a San Vincenzo de' Paoli, ed Cittadella Nuova, 1971




«Il servizio dei poveri deve essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell'ora dell'orazione avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente. 
Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l'intenzione dell'orazione. 
Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l'orazione. 
Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un'opera di Dio per farne un'altra. Se lasciate l'orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. 
La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. 
E` una grande signora: bisogna fare ciò che comanda. Tutti quelli che ameranno i poveri in vita non avranno alcuna timore della morte. 
Serviamo dunque con rinnovato amore i poveri e cerchiamo i più abbandonati. Essi sono i nostri signori e padroni». 

Da alcune «Lettere e conferenze spirituali» di san Vincenzo de' Paoli, sacerdote; (Cfr. lett, 2546, ecc.; Correspondance, entretiens, documents, Paris 1922-1925, passim)





C'è un membro della Compagnia che, accusato di aver derubato un compagno, e pubblicamente definito come ladro - benchè‚ non fosse vero - tuttavia non ha mai voluto giustificarsi. Un giorno, vedendosi così ingiustamente accusato, pensava tra sè e sè: "Non ti discolpi? Ciò di cui ti accusano non è vero!". 
"Oh! no, rispose, rivolgendo il suo pensiero a Dio, bisogna che io sopporti pazientemente questo oltraggio". 
E così fece. Che cosa accadde in seguito? 
Sei mesi dopo, il vero ladro, che era andato a vivere cento leghe lontano da qui, riconobbe la sua colpa e scrisse chiedendo perdono. 
Ecco, Dio, talvolta, vuol provare alcune persone e perciò permette che succedano simili fatti.

(Vincenzo non dice proprio tutto: sta parlando di se stesso e del suo compaesano il giudice di Sore: l'accusa riguardava la somma di quattrocento scudi. Il ladro era un garzone venuto in casa)

- Marcelle Auclair -
da: La parola a San Vincenzo de' Paoli, ed Cittadella Nuova, 1971



Buona giornata a tutti. :-)





giovedì 31 marzo 2016

Da: "Un vescovo contro Hitler" - Clemens Von Galen

«Eccellenza, anch’io fino a questo momento ho lasciato correre tutto questo senza pronunciare la protesta pubblica. Io ho tranquillizzato la mia coscienza dicendo a me stesso: se il cardinale Bertram e tanti vescovi, che mi superano per esperienza e per virtù, di fronte a tutto ciò restano tranquilli e si contentano di proteste cartacee e inefficaci, completamente ignorate dall’opinione pubblica, o dalle proteste, anch’esse sconosciute della Conferenza di Fulda, sarebbe arrogante, sarebbe disdicevole per la dignità degli altri illustri e reverendissimi signori, sarebbe forse anche pazzesco, se fossi io a lanciarmi in una “fuga nella pubblicità”. Mi mostrerei antipatico, probabilmente provocherei misure ancora più gravi nei confronti della Chiesa. Ma la mia coscienza non sopporta di essere messa in pace con questi argomentiex auctoritate. Penso spesso a San Tommaso Moro e al suo comportamento a proposito dell’argomentoex auctoritate. Mi torna in mente la parola di Isaia a proposito dei “canes muti non valentes latrare”; egli stesso soggiunse poi: “Ipsi pastores ignoraverunt intelligentiam”. 
Queste cose accadevano dunque solo nell’ Antico Testamento?»

Da: "Un vescovo contro Hitler", Von Galen, Pio XII e la resistenza al nazismo, di Stefania Falasca, San Paolo, p. 129



Un estratto della lettera che il beato Clemens Von Galen (1878-1946), vescovo di Münster, scrisse a Wilhelm Berning , vescovo di Osnabrück, il 26 maggio 1941. Pochi mesi dopo Von Galen ruppe gli indugi e salì sul pulpito proununciando una serie di memorabili omelie anti-naziste. 




Gigantesco in tutti i sensi, moralmente e fisicamente: il “Leone di Munster”, beato cardinale conte August von Galen. Fu colui che dal pulpito, sin dal primo momento, apertis verbis denunciò senza censura alcuna la radicale “anticristianità” del nazismo: o la Croce di Cristo o la croce di Hitler, dinanzi a questa altenativa poneva i suoi fedeli. Odiatissimo da Hitler, molteplici furono i piani per assassinarlo. Ma furono tutti accantonati: enorme era la sua popolarità nella Baviera cattolicissima, già di per sè freddissima nei confronti del nazismo. Non si potevano provocare oltre i cattolici bavaresi: uccidere il loro arcivescovo significava alienarseli tutti definitivamente.



"Non possiamo rinunciare a confessare che esiste qualcuno di più elevato della razza, del popolo e della nazione: l’Onnipotente ed eterno Creatore dei popoli e delle nazioni, al quale tutti i popoli devono adorazione e servizio, Colui che è Egli stesso il fine ultimo di ogni cosa".

- Beato Clemens August von Galen - 





“Questo è il messaggio del Beato Von Galen: la fede non si riduce a sentimento privato, da nascondere quando diventa scomodo, ma implica la testimonianza anche in ambito pubblico in favore dell’uomo, della giustizia e della Verità".

- papa Benedetto XVI -






“Noi siamo l’incudine, non il martello. Rimanete forti e irremovibili come l’incudine sotto l’imperversare dei colpi che si abbattono su di noi… Ma siate anche pronti al supremo sacrificio, secondo la parola: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini!”… Diventate duri, diventate irremovibili! Come un incudine sotto i colpi del martello! Può darsi che l’obbedienza a Dio, la fedeltà alla coscienza costi a me e a voi la vita, la libertà, l’esilio”. 

- Beato Clemens August von Galen - 





De profùndis clamàvi ad te, Dòmine;
Dòmine, exàudi vocem meam.
Fiant àures tuæ intendèntes
in vocem deprecatiònis meæ.
Si iniquitàtes observàveris, Dòmine,
Dòmine, quis sustinèbit?
Quia apud te propitiàtio est
et propter legem tuam sustìnui te, Dòmine.
Sustìnuit ànima mea in verbo ejus,
speràvit ànima mea in Dòmino.
A custòdia matutìna usque ad noctem,
speret Ìsraël in Dòmino,
quia apud Dòminum misericòrdia,
et copiòsa apud eum redèmptio.
Et ipse rèdimet Ìsraël ex òmnibus iniquitàtibus ejus.


Buona giornata a tutti. :-)











venerdì 14 agosto 2015

Vorrei morire al suo posto - San Massimiliano Maria Kolbe -

Le ore passano lente come secoli sotto un sole di piena estate che di ora, in ora si fa più spietato per quegli uomini distrutti dalla fame, dalla sete e dalla fatica. Qualcuno comincia a stramazzare al suolo svenuto. Se non si rianima sotto il grandinare delle percosse, è trascinato via, per i piedi e gettato in un angolo del "piazzale".
Testa di mastino, alle 18, si pianta, a gambe divaricate, davanti alle sue vittime, sul campo un silenzio di tomba.
"L'evaso non è stato ritrovato dieci di voi moriranno nel bunker della fame. La prossima volta toccherà a venti."
Lentamente il capo inizia la sua scelta fissando nello sguardo, uno ad uno i prigionieri e di ciascuno assaporando il terrore.
"Questo qui", Testa di mastino puntava a caso il suo indice sul numero cucito sulla giacca del prigioniero. Il drappello dei martiri è completo.

"Arrivederci amici, ci rivedremo lassù, dove c'è vera giustizia", "viva la Polonia! E' per essa che io do la mia vita".
Francesco G. n° 5659, piange disperato ricordando la moglie e i figli. Tra le file dei risparmiati lo sbigottimento lascia il posto ad un senso di sollievo, alla gioia: vivere ancora, sfuggendo alla morte atroce del bunker della fame. 

Un uomo esce dalle fila - numero 16.670 - e con passo deciso si presenta a Testa di Mastino.
"Cosa vuole da me questo sporco polacco?"
"Vorrei morire al posto di uno di quelli."
"Perché?"
"Sono vecchio, ormai (aveva 47 anni!) e buono a nulla - La mia vita non può più servire gran che."
"E per chi vuoi morire?"
"Per lui, ha moglie e bambini"
"Ma tu chi sei?"
"Un prete cattolico." 

Padre Massimiliano Kolbe - n° 16.670

Era Massimiliano Maria Kolbe, morto ad Auschwitz il 14 agosto 1941 e proclamato santo nel 1982 da papa Giovanni Paolo II.



un po di biografia: http://leggoerifletto.blogspot.it/2012/10/san-massimiliano-kolbe-biografia.html


"Mia amata Mamma, verso la fine del mese di maggio sono giunto con un convoglio ferroviario nel campo di Auschwitz. Da me va tutto bene. Amata Mamma, stai tranquilla per me e per la mia salute, perché il buon Dio c'è in ogni luogo e con grande amore pensa a tutti e a tutto."

Padre Kolbe in una lettera alla mamma



“Dalla Divina Maternità scaturiscono tutte le grazie concesse alla Santissima Vergine Maria, e la prima di tali grazie è l'Immacolata Concezione. 
Questo privilegio deve starle particolarmente a cuore, se a Lourdes Ella stessa volle chiamarsi: "Io sono l'Immacolata Concezione". 
Con questo nome, tanto gradito al cuore, desideriamo chiamarla anche noi.„

- Padre Massimiliano Kolbe -


Vergine tutta Santa

Vergine Immacolata, 
scelta tra tutte le donne 
per donare al mondo il Salvatore, 
serva fedele del mistero della Redenzione, 
fa’ che sappiamo rispondere alla chiamata di Gesù 
e seguirlo sul cammino della vita 
che conduce al Padre. 
Vergine tutta santa, strappaci dal peccato 
trasforma i nostri cuori. 
Regina degli apostoli, rendici apostoli! 
Fa’ che nelle tue sante mani 
noi possiamo divenire strumenti docili 
e attenti per la purificazione 
e santificazione del nostro mondo peccatore. 
Condividi con noi la preoccupazione 
che grava sul tuo cuore di Madre, 
e la tua viva speranza
che nessun uomo vada perduto. 
Possa, o Madre di Dio, 
tenerezza dello Spirito Santo, 
la creazione intera celebrare con te
la lode della misericordia e dell’amore infinito.

- San Massimiliano Kolbe - 



Buona giornata a tutti. :-)








martedì 24 marzo 2015

Mons Oscar Arnulfo Romero, vita e preghiere

Il 24 marzo 1980, mentre stava celebrando la messa nella cappella dell'ospedale della Divina Provvidenza, l’Arcivescovo di San Salvador Oscar Romero fu ucciso da un sicario, su mandato di Roberto D'Aubuisson, leader del partito nazionalista conservatore Arena (Alianza Republicana Nacionalista). 
Ancora una volta, nell'omelia, aveva ribadito la sua denuncia contro il governo di El Salvador, che aggiornava quotidianamente le mappe dei campi minati mandando avanti bambini che restavano squarciati dalle esplosioni. L'assassino sparò un solo colpo, che recise la vena giugulare mentre Romero elevava l'ostia nella consacrazione.
Oscar Arnulfo Romero nacque a Ciudad Barrios di El Salvador il 15 marzo 1917, da una famiglia modesta. Suo padre era telegrafista, sua madre una semplice donna del popolo. All’età di 12 anni venne avviato come apprendista presso un falegname. Ma nel 1930, a 13 anni, entrò nel seminario minore di San Miguel e poi, nel 1937, nel seminario maggiore di San José de la Montana a San Salvador, retto dai gesuiti. 

Sempre nel 1937, all’età di 20 anni, fece il suo ingresso all’Università Gregoriana di Roma dove si licenziò in teologia nel 1943. 
A Roma, in piena guerra mondiale, venne ordinato sacerdote un anno prima del conseguimento della licenza. 
Rientrato nella sua terra natale, si dedicò con passione all’attività pastorale come parroco. 
Divenne presto direttore della rivista ecclesiale “Chaparrastique” e, subito dopo, direttore del seminario interdiocesano di San Salvador. 
In seguito ebbe numerosi incarichi prestigiosi sino al 22 febbraio 1977, quando venne nominato vescovo dell’archidiocesi di San Salvador, proprio nel periodo in cui nel paese si scatenava la repressione sociale e politica. 
La nomina di Mons. Romero ad arcivescovo di San Salvador fu una gioia per il governo ed i gruppi di potere, che vedevano in questo religioso di 59 anni un possibile freno alle attività d’impegno con i più poveri che stava sviluppando l’arcidiocesi. Ma l’illusione durò poco. Un fatto successo poche settimane più tardi si rivelò decisivo nella scalata della violenza sofferta nel Salvador e chiarì la futura linea d’azione di Romero: il 12 marzo 1977 venne assassinato il padre gesuita Rutilio Grande, che collaborava alla creazione di gruppi contadini di auto-aiuto e buon amico di Mons. Romero. 
Il neo eletto arcivescovo insistette col presidente Molina perché investigasse le circostanze della morte e, di fronte alla passività del governo e al silenzio della stampa a causa della censura, minacciò persino la chiusura delle scuole e l’assenza della Chiesa Cattolica negli atti ufficiali. 
Passò poco tempo che le notizie della sua inaspettata attività in favore della giustizia sociale cominciarono a giungere lontano. 
La posizione di Oscar Romero iniziò ad essere riconosciuta e valorizzata a livello internazionale: il 14 febbraio 1978 fu nominato Doctor Honoris Causa dall’Università di Georgetown; nel 1979 fu candidato al premio Nobel per la pace e nel febbraio 1980 fu nominato Doctor Honoris Causa dall’Università di Lovagno, in Belgio. 
Nel corso di questo viaggio in Europa ebbe un incontro con papa  Giovanni Paolo II e gli comunicò le sue preoccupazioni di fronte alla terribile situazione che stava attraversando il suo paese. 
Nel 1980 il Salvador visse un periodo particolarmente violento. Si calcola che, tra gennaio e marzo di questo anno, furono assassinati più di 900 civili da parte delle forze di sicurezza, delle unità armate o da gruppi paramilitari sotto controllo militare. Tutti sapevano che il governo agiva in stretta relazione con il gruppo terrorista Orden e gli squadroni della morte. 
Appena rientrato dal suo viaggio in Europa l’arcivescovo Romero inviò una lettera al presidente degli Stati Uniti nella quale si opponeva agli aiuti che gli Stati Uniti stavano offrendo al governo salvadoregno, aiuti che fino a quel momento avevano favorito soltanto lo stato di repressione in cui viveva il popolo. 
La risposta del presidente statunitense, si tradusse in una petizione al Vaticano perché richiamasse all’ordine l’arcivescovo. Ciò nonostante, in altri paesi continuava il riconoscimento del lavoro di Mons. Romero: nello stesso periodo ricevette il premio della Pace dell’Azione Ecumenica Svedese. Alla fine di febbraio Mons. Romero venne a conoscenza delle minacce di morte contro la sua persona; ricevette anche un avviso del pericolo da parte del Nunzio Apostolico in Costa Rica Mons. Lajos Kada e agli inizi di marzo venne danneggiata una cabina di trasmissione della radio panamericana che trasmetteva le sue omelie domenicali. 
Nei giorni 22 e 23 marzo le religiose che gestivano l’ospedale della Divina Provvidenza, dove viveva l’arcivescovo, ricevettero chiamate telefoniche anonime che minacciavano il prelato di morte. 
Il 24 di marzo Oscar Arnulfo Romero venne assassinato da un tiratore scelto mentre celebrava la messa nella cappella di questo ospedale. 
La Chiesa anglicana, la Chiesa luterana e la Chiesa vetero-cattolica commemorano Mons. Oscar Romero come martire il giorno 24 marzo.
La Chiesa cattolica aprì nel 1997 la causa di beatificazione.  Il lungo oblio è stato interrotto da Papa Francesco che il  22 aprile 2013, “ha sbloccato la causa di beatificazione”.
Da morto Oscar Romero fa più rumore che da vivo. 

Per la sua gente e nel mondo, egli è martire, per aver voluto illuminare la politica e la vita sociale, dando un messaggio di speranza nella realizzazione di un mondo migliore. Non è morto invano. La sua voce è rimasta nel cuore del suo popolo, dove nessuno potrà mai spegnerla.





















"Sento che il popolo è il mio profeta"

- Mons. Oscar Romero - 



Uomini per il Regno di Dio

Fuori dalla chiesa ogni persona che lotta per la giustizia, ogni persona che cerca rivendicazioni giuste in un ambiente ingiusto, sta anche lavorando per il Regno di Dio e può darsi che non sia cristiana. 

La chiesa non esaurisce il Regno di Dio. 
Il Regno di Dio sta in maggior parte al di fuori delle frontiere della chiesa e pertanto la chiesa apprezza tutto ciò che in sintonia con la sua lotta per impiantare il Regno di Dio. 
Una chiesa che cerca solamente di conservarsi pura, incontaminata, non sarebbe una chiesa al servizio di Dio e degli uomini (3.12.78)

- Moms. Oscar Romero - 


Il martirio è una grazia di Dio che non credo di meritare, ma se Dio accetta il sacrificio della mia vita, che il mio sangue sia un seme di libertà e il segno che la speranza sarà presto realtà....
Se mi uccideranno risorgerò nel popolo salvadoregno.

- Mons. Oscar Romero -


In memoria del Vescovo Romero - Padre Davide Maria Turoldo

In nome di Dio vi prego, vi scongiuro,
vi ordino: non uccidete!
Soldati, gettate le armi...
Chi ti ricorda ancora,
fratello Romero?
Ucciso infinite volte
dal loro piombo e dal nostro silenzio.
Ucciso per tutti gli uccisi;
neppure uomo,
sacerdozio che tutte le vittime
riassumi e consacri.
Ucciso perché fatto popolo:
ucciso perché facevi
cascare le braccia
ai poveri armati,
più poveri degli stessi uccisi:
per questo ancora e sempre ucciso.
Romero, tu sarai sempre ucciso,
e mai ci sarà un Etiope
che supplichi qualcuno
ad avere pietà.
Non ci sarà un potente, mai,
che abbia pietà
di queste turbe, Signore?
nessuno che non venga ucciso?
Sarà sempre così, Signore?




Buona giornata a tutti :-)