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giovedì 11 gennaio 2018

Le ferite dell'infanzia - Jean Vanier

A volte le ferite dell'infanzia sono talmente profonde ed hanno portato alla creazione di sistemi di difesa talmente potenti, un po' come quell'uomo che vi dicevo prima, quello della prigione, dove c'erano strati e strati di protezione! E' un lungo, lungo, lungo cammino perché possano credere di essere amati. 
Per qualcuna di queste persone è pericoloso essere amati, troppo pericoloso essere amati. Allora ci vogliono degli anni. Bisogna sapere come avvicinarsi, non troppo vicino nè troppo lontano, bisogna, come sempre, essere veri, parlare delle proprie difficoltà .

C'è tutto un modo di avvicinare una persona che è molto ferita ed è evidente che ci sono persone che non saranno mai totalmente guarite, porteranno queste ferite per tutta la loro vita. 

C’è troppa violenza, ci sono troppe ferite dentro di noi ed è evidente che non possiamo essere i salvatori di tutto il mondo. 
E' Gesù che è il salvatore. 
Noi possiamo aiutare alcune persone a far cadere le loro barriere ed entrare in questo mondo di relazione. Per altri non possiamo.
Non molto tempo fa ero in ospedale in Romania, ed ho vissuto un'esperienza molto dolorosa. Era un ospedale con molti bambini handicappati e, come dicevo prima, spesso mi piace prendere un bambino, toccarlo, metterlo contro il mio corpo e vedere il bambino che si trasforma. Poi è doloroso rimetterlo giù e vedere questo velo che cade di nuovo. 
Mi sono avvicinato ad un bambino e, quando l'ho toccato, è stato come se gli avessi dato una scarica elettrica. E' saltato indietro. 
E' la prima volta che mi è successo, e allora, con ancor più delicatezza, ho cercato di toccare questo bambino. E' saltato indietro come se gli avessi dato una seconda scarica elettrica. 
Era un bambino piccolo piccolo, qualche mese soltanto, ed è chiaro che era entrato in un mondo psicotico grave. Quando un bambino fa così e salta indietro perché lo si tocca, è perché la psicosi è già grave; che cosa ci vorrebbe, perché possa ritrovare una relazione più accettabile? 
E' difficile credere che questo sia possibile. Anche se fosse possibile, non ci sarà mai una guarigione.
Vivo con uomini e donne che hanno delle psicosi abbastanza gravi, bambini profondamente autistici, che porteranno questa ferita per tutta la vita. Potranno trovare una certa pace e dobbiamo scoprire come comunicare con loro, nelle psicosi, nelle ferite profonde, non esigere che si crei una comunicazione subito facile. 
Loro devono poter scoprire che li accettiamo così come sono e che comunichiamo con loro, secondo il loro modo e non secondo il nostro. 
Non possiamo credere che tutti quanti guariscano, ma tutti quanti, se sono ben accolti, possono trovare una certa pace. 
Dobbiamo cercare le condizioni e l'ambiente necessario, perché questo avvenga.

- Jean Vanier - 




O Cristo.
Sono entrato nel recinto dell’oscurità,
e le tenebre mi fanno male,
mi feriscono, mi danneggiano.

Sento la Tua mancanza.
So che Tu sei in me.
Ma te ne stai silenzioso,
tranquillo,
aspettando la mia decisione.

Tu sai...
io non posso vivere senza di Te.
La vita, senza di Te,
è vuota, senza senso,
senza colori.
È angoscia.
O Cristo,
non rimanere silenzioso.

Salvami!


- Ignacio Larrañaga -


Buona giornata a tutti. :-)





sabato 12 agosto 2017

Sofferenza che trasfigura (4) - don Marino Gobbin

Ti offro tutto me stesso

A Te apro il mio cuore, o Signore, per offrirti tutto ciò che ho. 
Lo so non è molto, accetta quello che ho: 
Ti offro il mio cuore, affinché lo riempi del Tuo amore; svuotalo, o Signore, da tutto il marciume che c’è, riempilo della Tua grazia, dei Tuoi doni, riempilo della Tua Parola che è vita. Ti offro le mie mani, fa’ che ti possano servire nel prossimo. 
Ti offro le mie gambe, fa’ che ti possano portare in giro per il mondo. 
Ti offro la mia bocca, parla attraverso la mia bocca a tanta gente. 
Ti offro la mia anima purificala, o Signore, rendila pura, rendila bianca e candita come un giglio del prato, prenditi cura della mia anima, o Signore, modellala a Tuo piacimento. 
Ti offro il mio corpo, completa nel mio corpo il Tuo Sacrificio, uniscilo alle Tue sofferenze, inchiodalo sulla Croce, sono certo che mi farai partecipe della Tua gloria. Grazie, Signore.

Nino Baglieri (12.11.82)



Il card. Angelo Comastri, Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano, che ebbe occasione di incontrare e conoscere Nino Baglieri ha dichiarato: «Quando lo si incontrava dava la sensazione che fosse abitato dallo Spirito Santo… Celebrava l’anniversario della sua chiamata alla croce come gli altri celebrano l’anniversario del matrimonio o dell’ordinazione religiosa. Nino Baglieri è diventato un apostolo instancabile, una calamita di bontà, che ha attirato tantissimi giovani all’amore di Dio». 
Il grande Manzoni ha dichiarato che il Signore non ci dà sofferenze se non per prepararci godimenti maggiori. 
Talvolta Iddio ci prova con mano che sembra assai pesante. 
Ma il dolore è fecondo. 
Proprio il dolore viene assunto dal Divino Redentore per salvare le anime, per renderle buone e associarle alla sua Croce. 
E Nino questo ha sperimentato e consegnato alla Famiglia Salesiana, ai suoi fratelli secolari e alla Chiesa. 
Questa Croce segna, con sfumature diverse, preghiere e scritti. 
Ma è una croce luminosa, è una trasfigurazione, quasi un anticipo di paradiso dove ha voluto arrivare vestito con la tuta e le scarpe da ginnastica.

- Don Marino Gobbin -



Una vita di dolore e di amore

Quanti anni di sofferenza ha conosciuto il mio cuore! 
Anni di solitudine e di disperazione e con l’odio dentro il mio povero cuore: sono stati lunghi anni di preparazione per assaporare l’amore del Signore. Prima ho gustato il dolore che tormentava giorno e notte il mio cuore, non conoscevo pace, ne gioia, ne amore, e odiavo il mio corpo morto sdraiato sopra un letto, le mie gambe che non servono a niente, le mie mani che non possono toccare niente, la mia vita era una continua disperazione che il Signore ha fermato con il suo amore. 
Adesso la sofferenza non esiste più perché la gioia che dà il Signore è più grande della sofferenza. 
E il mio cuore che prima ha tanto sofferto, adesso esulta di gioia, adesso so perché vivo e sono felice di essere in queste condizioni perché ho trovato l’amore del Signore; ho capito il vero senso della vita, la vera vita: una vita senza il Signore non è vita, ma solo disperazione.

- Nino Baglieri - 
(19.8.1981)



Per Nino allo scadere dei cinque anni dalla morte indicati da Giovanni Paolo II come il tempo di silenzio, preghiera, riflessione e verifica, è iniziata l’indagine perché la Chiesa riconosca nel suo cammino di vita un cammino di santità. Il suo abbarbicarsi alla croce che per lunghi anni ha maledetto, è
diventato successivamente dono e trasfigurazione, grazia per lui e quanti hanno potuto accostarlo sia vivente sia attraverso i suoi scritti. 
Conoscerlo e pregarlo ci aiuterà non solo a superare le nostre personali e attuali sofferenze, ma anche aprire spiragli di luce in un mondo che ricusa e ottenebra la sofferenza perché indegna delle società evolute.

- Don Marino Gobbin -

Buona giornata a tutti. :-)


mercoledì 26 luglio 2017

Risposte vere, non vaghe consolazioni - Don Marino Gobbin

Nel momento della malattia al medico noi chiediamo precise diagnosi e terapie efficaci; a Dio domandiamo il «perché» dei momenti di sofferenza e la forza per affrontarli. 
Dio la risposta non ce la nega; il nostro problema è riuscire a capire le sue risposte, essere attenti a quando lui ci parla. 
Vorremmo tutti aiutarci a comprendere le risposte di Dio (che non sono sempre nella linea della guarigione). 
Quella che noi stiamo vivendo ora è solo la fase iniziale della nostra vita; la potremmo chiamare il tempo della nostra gestazione. 
Noi nasceremo pienamente quando usciremo dal grembo della storia (per ora siamo ancora chiusi dentro le coordinate del tempo e dello spazio). 
Il nostro rischio è pensare che tutta la vita sia quella che stiamo vivendo. 
Dio ha una visione completa della nostra storia e del suo destino; egli solo può valutare in senso corretto quello che stiamo vivendo. 
Lui soltanto può dirci il valore dei momenti che viviamo. 
E nella storia di Gesù,  Dio ci dà delle indicazioni splendide. 
Non dobbiamo aspettarci delle risposte, ma l’indicazione di piste per cercare delle risposte alle domande che la sofferenza ci fa nascere. 
E tutte le piste portano al «Figlio dell’Uomo», Gesù, e alla sua vicenda. 
Le sue parole hanno la forza di seduzione delle parole di Dio, i suoi gesti incantano come una carezza... la carezza di Dio. 
Sì, ecco l’altro aspetto che poteva essere enucleato a titolo di questa conversazione senza per questo né impoverirla, né irriderla: «La sofferenza, carezza di Dio». 
Una carezza dura,  impossibile comprenderla senza la luce della fede, ma nel momento in cui ci si apre a Dio tutto cambia… 
Una forza nuova, impossibile a noi mortali ci fa puntare in alto e allora ecco la santità, la gioia, la pace che va diffondendosi… 
Tutto ciò possiamo comprenderlo con questo piccolo e illuminante racconto…

- Don Marino Gobbin -
Una favola africana 




Ben Sadok, un uomo malvagio, passò per un’oasi. 
Aveva un carattere così stizzoso che non riusciva a stare a guardare niente di buono o di bello senza poi guastarlo. 
Al margine dell’oasi c’era una giovane palma nella fase più bella della sua crescita; essa punse il malvagio arabo negli occhi. 
Allora questi prese una pietra pesante e la pose sulla corona della giovane palma. Dopo questa prodezza se ne andò con un sorriso malvagio. 
La giovane palma si scrollò, si piegò, cercò di liberarsi dal peso. Ma invano. 
Il masso era proprio incastrato nella corona. Allora il giovane albero si ancorò più profondamente al suolo e spinse contro il masso di pietra. 
Affondò talmente tanto le sue radici che raggiunse una sorgente d’acqua nascosta, sollevò così il masso talmente in alto, che la sua corona superò ogni ombra. 
L’acqua dal basso e il calore del sole dall’alto fecero del giovane albero una palma maestosa. 
Dopo alcuni anni Ben Sadok ritornò, per rallegrarsi malvagiamente della palma nana. Cercò invano. Allora la palma più superba inchinò la sua corona mostrando il masso e disse: «Ben Sadok, ti devo ringraziare, il tuo masso mi ha reso forte». 




Grazie della Croce 

Signore, ti ringrazio perché mi hai chiamato a Te attraverso la sofferenza, 
hai posato il Tuo sguardo misericordioso su di me, 
Tu hai guardato la forza delle mie spalle e in base alla mia forza, 
mi hai affidato una Croce da portare. 
Il mio cuore non era preparato 
e per dieci anni ha vacillato sotto il suo peso 
facendomi sprofondare nel fango. 
La disperazione del dolore mi ha [abbruttito] facendomi valere niente. 
È bastato che Tu, Signore, 
venissi nel mio cuore hai dato la forza alle mie stanche spalle, 
mi hai aiutato a risollevare la pesante Croce, 
mi hai fatto uscire del fango… 
Sei Tu la mia forza, Signore. 
Più grande è stata la Croce è più grande è la gioia che mi dai Tu. 
Tu hai reso la mia Croce leggera e soave, Tu mi dai la gioia nel dolore. 
Grazie, o mio Signore. 

Nino Baglieri 
(11.9.1982)




Buona giornata a tutti. :-)






giovedì 22 giugno 2017

in ricordo di Mario Palmaro

Con la malattia capisci per la prima volta che il tempo della vita quaggiù è un soffio, avverti tutta l’amarezza di non averne fatto quel capolavoro di santità che Dio aveva desiderato, provi una profonda nostalgia per il bene che avresti potuto fare e per il male che avresti potuto evitare. 
Guardi il crocifisso e capisci che quello è il cuore della fede: senza il Sacrificio il cattolicesimo non esiste. 
Allora ringrazi Dio di averti fatto cattolico, un cattolico “piccolo piccolo”, un peccatore, ma che ha nella Chiesa una madre premurosa. 
Dunque, la malattia è un tempo di grazia, ma spesso i vizi e le miserie che ci hanno accompagnato durante la vita rimangono, o addirittura si acuiscono. 
È come se l’agonia fosse già iniziata, e si combattesse il destino della mia anima, perché nessuno è sicuro della propria salvezza. 
D’altra parte, la malattia mi ha fatto anche scoprire una quantità impressionante di persone che mi vogliono bene e che pregano per me, di famiglie che la sera recitano il rosario con i bambini per la mia guarigione, e non ho parole per descrivere la bellezza di questa esperienza, che è un anticipo dell’amore di Dio nell’eternità. 
Il dolore più grande che provo è l’idea di dover lasciare questo mondo che mi piace così tanto, che è così bello anche se così tragico; dover lasciare tanti amici, i parenti; ma soprattutto di dover lasciare mia moglie e i miei figli che sono ancora in tenera età. 
Alle volte mi immagino la mia casa, il mio studio vuoto, e la vita che in essa continua anche se io non ci sono più. 
È una scena che fa male, ma estremamente realistica: mi fa capire che sono, e sono stato, un servo inutile, e che tutti i libri che ho scritto, le conferenze, gli articoli, non sono che paglia. 
Ma spero nella misericordia del Signore, e nel fatto che altri raccoglieranno parte delle mie aspirazioni e delle mie battaglie, per continuare l’antico duello. 

- Mario Palmaro -
 (1968-2014)
23 ottobre 2013, tratto da un'intervista a "Il Foglio"





Tutti sappiamo che nel cuore di ognuno dimora un forte desiderio di felicità. Ogni azione, ogni scelta, ogni intenzione porta celata in sé questa intima e naturale esigenza. Ma molto spesso ci si accorge di aver riposto la fiducia in realtà che non appagano quel desiderio, anzi, rivelano tutta la loro precarietà. Ed è in questi momenti che si sperimenta il bisogno di qualcosa che vada “oltre”, che doni senso al vivere quotidiano...

- Papa Benedetto XVI - 
dal "Discorso del 04 giugno 2011"



Buona giornata a tutti. :-)




lunedì 29 maggio 2017

Sofferenza che trasfigura - don Marino Gobbin

La sofferenza? Un mistero che accompagna l’uomo per trasfigurarlo. 
Accanto a chi soffre, a ogni sofferenza, quando ci si dona, si riceve moltissimo perché ci si svuota per riempirsi della Verità, dell’Essenzialità, della Vita vera. 
Di fronte alla sofferenza è Dio a sceglierti per comunicarti qualcosa, e sovente lo fa attraverso degli intermediari che sono gli stessi sofferenti. 
Un medico dopo un servizio in un ospedale pediatrico particolare per la sofferenza ivi raccolta e la situazione umana in cui vivevano i ricoverati racconta: «In questo ambiente non siamo noi che scegliamo, ma sono loro che ci scelgono! …
E, ancora una volta, sarà lui a scegliermi! Era lì. Fermo, dinanzi all’infermeria. Nel suo lettuccio. Mi rapì con lo sguardo! Poi mi trafisse! Solo due carezze in cambio di un sorriso senza fine che sprizzava gioia infinita. 
I suoi occhi nei miei occhi. I suoi: lucenti, brillanti, chiari, limpidi, senza tristezza. Era lì che attendeva. In quegli occhi per un momento ho visto l’Infinito... e allora i miei, miopi, furono solcati da lacrime che li oscurarono per alcuni momenti. 
E lì ho visto Dio! Lui, l’umile Dio, che si fa piccolo, si fa carne, si fa "mendicante dell’amore". Lui era lì. 
Mi guardava e non mi chiedeva nulla... Attendeva il gesto più piccolo e semplice come una carezza. 
L’attendeva per svelarsi e amarmi. 
Non ero stato io a dare qualcosa a lui, perché una carezza è un nulla dinanzi a quella sofferenza, ma era stato lui a donarmi qualcosa. Ma cosa? Aveva illuminato la mia anima rattrappita; si era fatto specchio per lasciarmi intravedere tutte le cose più belle che io avevo e che lui apparentemente non possedeva. 
Ma non mi aveva messo in soggezione. 
Mi aveva interrogato senza parlarmi. 
Spronato senza toccarmi. 
Liberato senza rimproverarmi. Solo il suo sguardo». E più oltre narra ciò che ha scoperto: «Credo che in tutte le storie di sofferenza in cui ci si dona, si riceve perché ci si svuota per riempirsi della Verità, dell’Essenzialità, della Vita vera. In occasioni come queste si scopre la nostra vocazione, ma soprattutto quella di chi vive la sofferenza. 
Oserei dire che queste persone hanno ricevuto da Dio una grande vocazione: quella di farci comprendere e amare l’essenzialità della vita stessa. 
Penso che loro sono qui in mezzo a noi per dirci qualcosa... 
Essi sono quello specchio che mette a nudo la nostra anima per lasciarci percepire il valore della vita e la missione dell’uomo, chiamato dall’Amore all’amore. Alla fine di questa esperienza raccontata così com’è "scesa" dal cuore nella penna, nessuna pretesa, nessun applauso. 
L’applauso va a loro e forse anche a chi ha avuto il coraggio di dargli la vita nonostante la loro esistenza sembrasse tutto tranne "vita". 
"Esseri inutili" agli occhi di noi "comuni sani". 
"Uomini speciali" ai miei occhi dopo questa esperienza. 
Provate a incrociare gli sguardi di quei genitori che hanno figli gravemente malati e capirete che quello che ho scoperto non è pura fantasia.

- Don Marino Gobbin -


Inno di lode

Guardo il mio corpo infermo e lodo Te, o Signore.
Grazie per il dono della vita che ogni giorno Tu mi fai.
Il mio corpo sembra morto 
ma nel mio petto continua a battere il mio cuore. 
Le gambe non si muovono 
eppure per le vie del mondo io cammino.
Son ferme le mie mani, ma Tu, 
Signore, il mondo mi fai accarezzare. 
Meraviglie hai fatto Tu, 
Signore, mi hai aperto alla vita e all’amore.
Nel dolore ti ho cercato, 
con ardore il tuo nome ho invocato.
Nella Croce ti ho incontrato e Tu, 
Signore, tutto in gioia hai cambiato.
Da questo mio letto di dolore 
quest’inno di lode innalzo a Te, o Signore. 
Grazie perché mi hai amato!

- Nino Baglieri - 

Da: “Sulle ali della croce. Nino Baglieri e… tanta voglia di vivere”, a cura di Giuseppe Ruta. Editore Elledici 2008, p. 168





Buona giornata a tutti. :-)




venerdì 26 maggio 2017

tratto dal racconto: "Io e il fantasma di Alekos" - Oriana Fallaci

Era morto l'uomo che amavo e m'ero messa a scrivere un romanzo che desse senso alla tragedia. 
Per scriverlo m'ero esiliata in una stanza al primo piano della mia casa in Toscana ed era stato come infilarsi in un tunnel di cui non si intravede la fine, uno spiraglio di luce. 
La stanza era in realtà un corridoio brevissimo, arredato con alcuni scaffali di libri, un tavolino, una sedia, e male illuminato da una mezza finestra che s'apriva su un campo di ulivi. 
Al bordo del campo e proprio sotto la mezza finestra, un pero su cui mi cadeva lo sguardo quando alzavo gli occhi in cerca di sole. 
Non uscivo di casa neanche per recarmi in giardino o alla piscina, non comunicavo nemmeno con le persone della mia famiglia. 
All'alba mi alzavo, sedevo al tavolino, ci restavo fino a notte inoltrata ammucchiando fogli scritti che a volte approvavo e a volte gettavo. 
Tutt'al più mi interrompevo per andare giù da mia madre che si estingueva come una candela in un letto, divorata da un invisibile mostro che con identici passi, identici gesti, scendevo le scale che portano al piano terreno, attraversavo il salone col grande orologio che ogni sessanta minuti suonava col rintocco della Westminster bell, ed entravo nella camera dove lei giaceva con adirata rassegnazione: il bel volto sempre più smunto, le belle mani sempre più affilate. «Come stai?» «Male». Parlavamo poco, quasi avessimo paura di dirci quel che pensavamo: «Ora te ne vai anche tu» , «Ora me ne vado anch'io». 
Le pause che trascorrevo con lei erano un susseguirsi di movimenti che rubavo all'infermiera e che avevano l'unico scopo di mascherare il nostro silenzio: sollevarla in una posizione meno scomoda, aggiustarle i guanciali, controllare le bombole dell'ossigeno grazie a cui respirava. 
Esaurito il cerimoniale, lei bisbigliava una frase: quasi sempre la stessa. «Diventerai cieca su quel libro». Io rispondevo scherzosa che mi sarei messa gli occhiali, posavo un timido bacio sulla fronte d'avorio, riattraversavo il salone, risalivo le scale, e tornavo al mio esilio privo di rapporti col mondo. [...] 
Una sera di gelo scesi a controllare le bombole dell'ossigeno, aggiustarle i guanciali, sollevarla in una posizione meno scomoda, e quando lei mosse le labbra non uscì alcun suono: l'invisibile mostro era salito fino alle corde vocali. 
Terrorizzata le suggerii la frase diventerai-cieca-su-quel-libro. 
Scosse la testa per rispondere no.
(...)

- Oriana Fallaci - 
tratto dal racconto: "Io e il fantasma di Alekos"



Puoi vivere con un tale per vent'anni e considerarlo un estraneo. 
Puoi passare con un altro venti minuti e portartelo dentro tutta la vita.


- Oriana Fallaci -




Il dolore è sordo, il dolore è muto.
Il dolore è sordomuto.
Sordo perché ascolta solo se stesso,
muto perché non ci sono parole che possano parlarne.

- A. G. Pinketts - 





giovedì 23 febbraio 2017

La rete da pesca - don Bruno Ferrero -

Il fiordo era immerso nella profonda tranquillità della notte artica. 
L'acqua sciabordava leggera sulla spiaggia. Avvolto dal profumato tepore della sua casa di legno, Hans il pescatore tesseva la rete della sua prossima stagione di pesca. Era solo nell'angolo del camino. La sua dolce sposa Ingrid riposava nel piccolo cimitero di fianco alla chiesa. Improvvisamente però risuonarono fresche risate gioiose. 
La porta si aprì per lasciar passare la bionda Guendalina, la sua carissima figlia, che teneva per mano il fratellino Eric.
«Guendalina, ora sei in vacanza. Vuoi prendere il mio posto a intrecciare la rete da pesca nuova mentre io vado a riparare la barca?».
«Oh sì, papà!».
Le ore passavano. Guendalina lavorava di buona lena, maglia dopo maglia, nodo dopo nodo. Ma i gior­ni si aggiungevano ai giorni. 
La corda era scabra. L'appretto per impermeabiizzarla ruvido, le mani facevano male. Le sue piccole amiche si sporgevano dalla porta: «Guendalina, vieni a giocare con noi!». 
E le maglie si allentavano sempre di più, i nodi era­no sempre meno stretti, la corda sempre meno impermeabilizzata.
Arrivò la primavera. Il fiordo s'illuminò ai primi raggi del sole. 
La pesca riprese. Tutto fiero del lavoro della sua figlia carissima, Hans il pescatore imbarcò la sua rete da pesca nuova sul suo fidato vecchio battello.
«Vieni con me, piccolo Eric, per la nostra prima uscita!».
Pieno di gioia il ragazzino saltò a bordo. La bar­ca scivolò nell'acqua. La rete affondò nelle onde verdazzurre. Eric batteva le mani vedendo i pesci argen­tati saltare e guizzare nella rete ben piena.
«Una pesca fantastica! Aiutami a tirare su la rete, figliolo!».
Ed Eric tirava, tirava con tutte le sue forze. Ma vinto dal peso, pluf! piombò in acqua, proprio in mez­zo alla rete.
«Non è niente!», pensò papà Hans, issando velocemente la rete a bordo. «La mia rete è solida! E' la mia Guendalina che l'ha tessuta con le sue mani: Eric verrà su con i pesci!».
La rete uscì dall'acqua leggera. Ahimé, al fondo aveva solo un grande squarcio... I nodi stretti male si erano allentati. Le maglie mal fissate si erano aper­te. E il piccolo Eric riposava ormai in fondo al fiordo.
«Ah, se avessi intrecciato ogni maglia con amore», piangeva Guendalina.

E' nel quotidiano che si tesse la rete dell'eternità. 
Ogni giorno è un nodo. 
Puoi non pensarci, ma il giorno della pesca arriverà e dipenderà anche da quello che avrai intrecciato quaggiù, oggi.

- don Bruno Ferrero -
da: "Il canto del grillo" ed. Elledici



Un saggio teneva nel suo studio un enorme orologio a pendolo che ad ogni ora suonava con solenne lentezza, ma anche con gran rimbombo.
«Ma non la disturba?» chiese uno studente. «No», rispose il saggio. «Perché così ad ogni ora sono costretto a chiedermi: che cosa ho fatto dell'ora appena trascorsa?».


E tu, che cosa hai fatto dell'ora appena trascorsa?

- don Bruno Ferrero -



Di fronte all’ampio e diversificato panorama delle paure umane, la Parola di Dio è chiara: chi "teme" Dio "non ha paura". 
Il timore di Dio, che le Scritture definiscono come "il principio della vera sapienza", coincide con la fede in Lui, con il sacro rispetto per la sua autorità sulla vita e sul mondo. 
Essere "senza timor di Dio" equivale a mettersi al suo posto, a sentirsi padroni del bene e del male, della vita e della morte. 
Invece chi teme Dio avverte in sé la sicurezza che ha il bambino in braccio a sua madre (cfr Sal 130,2): chi teme Dio è tranquillo anche in mezzo alle tempeste, perché Dio, come Gesù ci ha rivelato, è Padre pieno di misericordia e di bontà. 
Chi lo ama non ha paura: "Nell’amore non c’è timore – scrive l’apostolo Giovanni – al contrario, l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore" (1 Gv 4,18). 
Il credente dunque non si spaventa dinanzi a nulla, perché sa di essere nelle mani di Dio, sa che il male e l’irrazionale non hanno l’ultima parola, ma unico Signore del mondo e della vita è Cristo, il Verbo di Dio incarnato, che ci ha amati sino a sacrificare se stesso, morendo sulla croce per la nostra salvezza...

- papa Benedetto XVI - 
dal "Angelus del 22 giugno 2008" 



Buona giornata a tutti. :-)