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lunedì 8 luglio 2019

Il travestimento di Maria

Immergiamoci ora nell'affascinante atmosfera del medioevo, con le sue ombre cupe e le sue luci smaglianti, così come ce lo tramandano l'arte e la storia in un susseguirsi di figure ferocemente in armi, di santi forti e determinati e di persone semplici strette a una fede ancora pervasa dall'incanto del miracolo.

In quei tempi viveva un potente cavaliere di nome Guglielmo che aveva ereditato dalla sua famiglia un castello con vasti territori e molte ricchezze, accumulate in anni di battaglie e soprusi.
Il nostro cavaliere era ben lungi da qualsiasi riflessione che non riguardasse lo stretto piacere che ogni giorno poteva procurargli e la sua mente non prevedeva alcun concetto di trascendenza.
Forse proprio per questo quelli erano chiamati tempi bui? Chissà! Certo la coscienza faticava a far capolino fra quelle genti, ma anche allora era prevista una strada affinché ciò avvenisse.
Torniamo dunque a Guglielmo e alla sua vita. Il potere di cui aveva disposto sin da giovane lo aveva abituato a trattare chiunque gli fosse sottoposto nel peggiore dei modi, incurante di quanto male potesse infliggere a un altro essere umano.
I servi del castello e i contadini che lavoravano per lui ne avevano un vero terrore, anzi ne parlottavano fra loro come del diavolo in persona! E non era poco, pensando in quale grande considerazione fosse tenuto allora il Principe delle Tenebre, concretamente presente a ogni angolo di strada.
Volendo sposarsi, Guglielmo scelse la figlia di un facoltoso commerciante che, forse non a caso, era tanto dolce e delicata quanto lui era villano e prepotente.
A volte i nomi sembrano rispecchiare l'indole di chi li possiede. Questa giovane donna si chiamava Margherita e come questo fiore così comune anche lei possedeva la rara qualità di saper semplicemente donare allegria senza pretendere nulla per sé.
La vita con il marito doveva essere tutt'altro che felice, ma di questo la nostra storia non parla. Forse per l'abitudine di quei tempi di considerare l'essere femminile privo di ogni esigenza personale, l'importanza di Margherita non fu quanto soffrì ma quanto seppe comprendere la propria sofferenza.
Nel castello di Guglielmo la vita trascorreva fra ricche feste, battute di caccia e sanguinosi tornei in cui ogni cavaliere giocava la propria vita in cambio dell'orgoglio per la vittoria conquistata. Intanto, senza che il proprietario se ne rendesse conto, le pur cospicue ricchezze se ne andavano allegramente al vento, così come gli anni dello sprovveduto Guglielmo.
Molte stagioni avevano fruttato solo miseri raccolti e i contadini, ben lungi dal preoccuparsi per quell'odiato padrone, avevano cercato in ogni modo di sopravvivere sottraendogli quanto più avevano potuto. D'altro canto neppure lui si prendeva la briga di amministrare il suo patrimonio, occupato solo a goderne i frutti sempre più esigui.
Margherita vedeva e taceva: non avrebbe mai osato, e neppure potuto, sollevare con il marito un'obiezione sul suo comportamento. Lasciava che le cose andassero come dovevano andare, ma pregava in cuor suo che la saggezza divina prima o poi intervenisse, risvegliando il marito da quella rovinosa incoscienza.
Guglielmo non le permetteva di frequentare la chiesa, ma l'istruzione ricevuta nella casa del padre era stata un buon seme che aveva sviluppato salde radici nella sua anima.
Tanto il marito era rozzo e primitivo quanto lei sensibile e tesa verso il misterioso mondo di ciò che non ha forma. Chiusa nelle sue stanze, cercava di immaginare Dio, Gesù e, soprattutto, Maria così vicina in quanto donna. Con gli occhi del ricordo andava scrutando ogni rappresentazione che la sua fanciullezza le riportava alla mente: un quadro, un racconto, una statuetta... ma qualunque simbolo concreto di tanta impenetrabile grandezza le sembrava inadeguato per ciò che lei provava dentro di sé.
Spesso, quando Guglielmo la sorprendeva a fantasticare, rideva sguaiatamente di lei, considerandola poco più che una sciocca e stupida femmina.
Ma il tempo delle risate stava per lui finendo e quello che era cominciato come un lento declino prese presto forma di un vero e proprio precipizio.
I contadini avevano in gran parte abbandonato le sue terre, che si erano a mano a mano sempre più inaridite, i servi sprecavano quanto doveva essere invece risparmiato e il patrimonio, lasciato in balia di avidi e disonesti notabili, sparì senza che nessuno sapesse dove.
II ricco e potente Guglielmo si ritrovò così nella più miserevole delle condizioni e, avendo passato la sua vita a disprezzare gli altri, ritrovò coagulato intorno a sé tutto quanto quel vile sentimento.
Sì abbatté allora su di lui la più cupa delle disperazioni, ma ciò non bastò ancora a farlo riflettere. Il solo essere che gli rimase vicino fu proprio quella moglie tante volte derisa e umiliata, che forse ai suoi occhi non era comunque molto di più che un cane fedele.
Eppure Margherita non si lasciò mai sopraffare dal desiderio di vendicarsi di quell'uomo, né dall'astio nei suoi confronti, anzi lo seppe aiutare con ogni fibra del suo essere donandogli i rari momenti di serenità di cui lui mai aveva goduto nella sua vita.
Questo però non bastò affatto a cambiarne l'indole brutale, che egli sfogava in attimi di rabbia violenta contro una sorte che, ai suoi occhi, era stata quanto mai ingiusta.
Una sera accadde che Guglielmo, non trovando pace all'interno delle mura del castello, uscì in aperta campagna quando improvvisamente la luna, che fino a poco prima brillava alta nel cielo, si oscurò e anche i lupi, che avevano riempito l'aria dei loro famelici lamenti, d'un tratto si zittirono.
A Guglielmo ciò parve strano e istintivamente si mise a scrutare l'orizzonte. Gli parve allora di intravedere, in fondo alla strada, l'ombra scura di un uomo a cavallo. Chi mai poteva essere? Lo pervase un senso gelido di paura pensando a quanti si sarebbero volentieri vendicati dei suoi soprusi, ora che la rovina si era abbattuta su di lui.
Il misterioso personaggio si avvicinava lentamente e, Guglielmo ne era più che sicuro, stava cercando proprio lui. Impossibile ormai fuggire, e comunque come evitare a piedi di essere raggiunto da un uomo a cavallo? Così rimase lì immobile, incapace persino di pensare.
Cavallo e cavaliere sembravano fusi in un'unica forma di metallo nero, che pareva aver risucchiato in sé ogni altro colore. Quando raggiunsero l'uomo immobile sulla strada, si fermarono e il cavaliere gli rivolse la parola.
«Io so chi sei» gli disse cupo: «ti conosco da tanto tempo, ma non avere paura di me: che tu muoia oggi o fra cento anni, per me non fa nessuna differenza. Conosco le tue angosce e so della perdita di ogni tuo bene, quindi ti offro il mio aiuto».
Guglielmo si fece più attento. «Dimmi!» gli rispose ancora titubante.
«Posso svelarti un segreto che ti farà riacquistare tutto ciò che hai perso, ma non è di te che a me interessa; io sono qui per tua moglie». Con queste parole il misterioso personaggio lasciò in sospeso la sua proposta, aspettando che l'altro si riavesse dalla sorpresa.
Nella testa di Guglielmo i pensieri si accavallavano freneticamente, non dandosi reciprocamente neppure il tempo di esprimersi in qualcosa di compiuto. "Mi può aiutare?... Un segreto?... Non gli interessa di me ma di Margherita?... Sarò ancora ricco?...".
«Sta bene attento» proseguì l'altro: «prima di svelarti il modo in cui potrai nuovamente arricchirti, da te voglio in cambio una promessa. Fra sette anni da oggi porterai qui tua moglie e la consegnerai a me. Questo è il tempo stabilito, dopodichè dovrà appartenermi. Sei d'accordo?».
Sebbene esigua, anche Guglielmo aveva una sua coscienza che, nell'udire quelle parole, sobbalzò cercando di far emergere la sua debole voce: "Ma perché vuole proprio lei che non ha mai fatto del male a nessuno!" gli sussurrava. "E che vuol farne quando l'avrà per sé? Ricorda quanto bene hai ricevuto da questa donna e come tu la stai ripagando".
Come se leggesse nel profondo dell'animo di Guglielmo, il cavaliere sovrastò la vocina che subito tacque, tuonando indispettito: «Ebbene? Non ho tempo da perdere con te! Dimmi sì o no e il tuo futuro sarà segnato dalla ricchezza o dalla miseria».
L'uomo si scosse come uscendo da un sogno. Ma era forse impazzito? Stava pensando all'eventualità di rifiutare una simile offerta? Sette anni sono lunghi da passare e poi che gli importava, non sarebbe stato lui eventualmente a pagare il debito!
Si affrettò quindi a rispondere: «Sono d'accordo, se è questo che vuoi fra sette anni sarò qui con mia moglie, ma ora voglio sapere che segreto hai da svelarmi».
Così Guglielmo apprese che, ben nascosto nelle segrete del castello, si trovava un grande tesoro di cui nessuno era a conoscenza.
«Rammenta il nostro appuntamento, altrimenti avrai di che pentirti!» e senza aggiungere altro cavallo e cavaliere scomparvero nel buio della notte.
Tornato di corsa al castello, Guglielmo si precipitò lungo le ripide scale che portavano alle segrete. La torcia gli tremava nelle mani dall'ansia di raggiungere il punto indicato e spesso incespicava sugli umidi gradini sconnessi che sembravano portare direttamente giù all'Inferno.
Finalmente si trovò di fronte alla piccola porta nascosta da un'ampia colonna e tutto gli si presentò davanti agli occhi come il nero cavaliere gli aveva descritto. La bassa stanza polverosa, la cassa di legno e... meraviglia! Un insperato cumulo di monete d'oro luccicava davanti a lui.
Da quel momento la vita di Guglielmo ricominciò come se nulla fosse successo, anzi era ancora meglio di prima perché pareva che più lui attingeva dal forziere più quello si riempiva.
Margherita non riusciva a spiegarsi quell'improvviso cambiamento, ma sapeva in cuor suo che non poteva che essere un frutto del male. Notava però a volte dei piccoli cambiamenti nei comportamenti del marito, una fuggevole carezza o un inconsueto sorriso, così poco consoni alla sua natura da sembrare fuggevoli lampi di luce nella notte.
Con il passare del tempo i suoi sentimenti nei confronti di Guglielmo erano cambiati e il comportamento del marito non era più per lei fonte di dolore ma solo di grande pietà. Come avrebbe potuto trovare la serenità e la pace nella vita che conduceva? Povero Guglielmo, così lontano da Dio e dai valori che veramente contano!
Margherita chiedeva spesso consiglio alla Madre celeste, pregandola di aiutarla a fare tutto ciò che era possibile per accendere anche solo una fiammella di fede in quel cuore duro e apparentemente impenetrabile.
Va da sé che sette anni passarono in un soffio e l'ora di ripagare il debito si avvicinava sempre più. Poco prima dello scadere del tempo concordato per il fatidico appuntamento, Guglielmo fece un sogno terribile in cui si vedeva ghermito da un enorme artiglio nero che lo trascinava fino al punto in cui aveva fatto il misterioso incontro. Comprese allora che il momento era giunto, ma mai avrebbe pensato di provare nel cuore un tale peso pensando a ciò che sarebbe stato di Margherita.
Il giorno fissato fu il peggiore della sua vita. Non riusciva a trovare le parole adatte per invitare la moglie a fare una passeggiata con lui nei campi e fu proprio l'ignara donna a dargliene l'occasione, facendogli notare come quella sera fosse particolarmente tiepida e bella.
Uscirono quindi insieme e si incamminarono lungo la polverosa strada che portava al paese, lui cupo e taciturno, lei sorridente e contenta di godere quell'inaspettata occasione.
Poco fuori le mura del castello, lungo la strada che stavano percorrendo, vi era una chiesetta dedicata alla Vergine in cui tante volte anche Margherita si era recata di nascosto per confidare a Maria le sue pene e i suoi dubbi. Chissà se quella sera le avrebbe permesso di sostarvi un attimo?
Guglielmo acconsentì ma, non volendo a sua volta entrare, si fermò poco distante sedendo sotto un'annosa quercia.
Margherita entrò e subito sentì il caldo abbraccio di quelle mura, si inginocchiò e pregò così intensamente come mai le era capitato finché uno strano torpore si impadronì di lei facendola addormentare profondamente.
Fu allora che Maria scese dall'altare prendendo le sembianze di Margherita; poi, come se nulla fosse capitato, uscì in fretta al suo posto e riprese il cammino a fianco di Guglielmo. Lui la guardò sorpreso: prima non gli era parso di percepire quell'intenso profumo di rose né mai si era accorto di amarla così intensamente. Ma ormai era troppo tardi.
Il cavaliere era già in attesa, poco più avanti di loro, sul suo cavallo nero dai muscoli tesi e lucenti.
Mentre Guglielmo rifletteva velocemente sulla possibilità di combatterlo, per tentare almeno di difendere la moglie, si avvicinarono di qualche passo ancora ma, improvvisamente, il cavallo si impennò alzando le lunghe zampe come per difendersi da qualcosa.
Pur sotto le sembianze dell'altra, Maria era stata riconosciuta.
In quello stesso istante la nera figura lanciò un urlo terrificante mentre si inabissava nel terreno tra rosse lingue di fuoco.
Guglielmo cadde a terra sommerso da un nauseante odore di zolfo che gli toglieva il respiro. La sua mente non aveva neppure avuto il tempo di rendersi conto di quanto era realmente accaduto e, come sempre quando la mente si ferma, la verità comparve abbacinante come un fulmine.
Solo allora la consapevolezza di aver incontrato il Diavolo si fece strada dentro di lui con un effetto dirompente. Ma allora chi era la donna che lo aveva accompagnato e con la sua sola presenza aveva scacciato il potente Padrone del Male?
Si voltò verso quella che aveva creduto essere Margherita e vide uno sfolgorio di luci... o forse un intrecciarsi di suoni melodiosi... o forse un rincorrersi di emozioni mai provate...
Guglielmo non trovò mai parole umane per spiegare ciò che gli accadde, eppure era accaduto. Sentì istintivamente dentro di sé l'orrore per ciò che la sua vita era stata sino ad allora, non riuscendo a rendersi conto di come non si fosse mai accorto di quale meraviglia potesse albergare nel cuore umano... ormai il velo era caduto per sempre!
«Va' ora da colei che ti ha salvato con il suo amore» gli sussurrò Maria svanendo nell'aria della sera.
L'uomo s'incamminò pensoso verso la chiesa e là trovò la moglie, che ne usciva stropicciandosi gli occhi ancora pieni di sonno.
«Scusa» gli disse intimorita «devo essermi addormentata. Sei in collera? Hai un viso così strano! Ti senti bene?».
«Sto benissimo, Margherita» rispose lui. «Vieni, andiamo a casa: torneremo domani a salutare la tua amica che abita qui». E così dicendo le cinse le spalle con il braccio annusando quel dolce profumo di rose che aleggiava fra i suoi capelli.

- Leggenda medievale - 
da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 

Chiostro Abbazia di Vezzolano (Prov. di Asti, Italy)

Nell'affresco tre morti si alzano dalle tombe (sulla destra), mostrando a Carlo Magno e ad altri due cavalieri i loro terribili scheletri sommariamente coperti di pelle ingiallita. 
Il terrore dei tre cavalieri si trasmette anche agli animali. 
I cavalli s'impennano e recalcitrano, i cani abbaiano, mentre i falconi fuggono dal pugno dei cacciatori.
Il terzo di questi, quello di spalle, guarda in alto proprio per cercare il falcone sfuggito; quello che sta in mezzo si nasconde inorridito il volto tra le palme delle mani e l'altro fa l'atto di turarsi il naso con il pollice e con l'indice. 
San Macario, al centro della scena, con la lunga barba che lo contraddistingue, regge in mano una scritta che ammonisce i ricchi signori sulla caducità della grandezza terrena e li invita a fare penitenza. 

Da un sepolcro scoperchiato si alzano i tre scheletri, un personaggio inorridito (la tradizione vuole sia Carlo Magno) sta davanti ad altri due cavalieri impauriti, mentre un monaco lo invita a chiedere aiuto alla Madonna.
Si tratta di una raffigurazione tradizionale del contrasto dei tre vivi e dei tre morti, ovvero del medioevale trionfo della morte.



Buona giornata a tutti. :-)







venerdì 7 giugno 2019

Trenta piccoli denari

Vi pare che si possa raccontare la storia di trenta monete? Ma che storia può mai essere, vi chiederete subito! Eppure anche trenta denari possono avere una loro particolare ragione nella complicata vicenda umana.
Un siclo d'argento era allora un comune soldo come ce n'erano tanti, ma quei trenta sicli avevano qualcosa che li rendeva speciali: stavano sempre insieme, come un'unica famiglia.
Da quando erano stati coniati, come avvinti da una magia, il destino non li aveva più divisi.
E ne avevano passate di avventure! Prima in un filatoio fra lane e tinture, poi nelle mani di un mercante che viaggiava per tutta la Palestina con i suoi tessuti, dopo ancora scambiati addirittura con un vecchio tappeto trovato in casa di un pastore, che se li godette ben poco perché dei ladri glieli rubarono qualche giorno dopo.
Ma loro erano sempre insieme, come un compatto gruppo di fratellini giocosi e ciarlieri. Con il loro tintinnio allegro prendevano la vita così, come veniva, sempre pronti a esplorare qualche nuova tasca.
A volte, quando la mano di un uomo si tuffava nel loro buio alloggio, si affrettavano a presentarsi tutti insieme, presi per un attimo dalla paura di venire separati.
Questo però non avvenne mai. Anche quando le loro peripezie li portavano in giro per i mercati di tante città, sembrava sempre che miracolosamente ogni scambio valesse esattamente trenta denari.
Avevano conosciuto quasi ogni tipo d'essere umano: l'onesto e il disonesto, la buona moglie e la meretrice, il saggio e lo stolto. Il mondo ormai non li stupiva più.
Sapevano riconoscere le emozioni di chi li possedeva dal tocco della sua mano, metallici spettatori di una recita che non apparteneva loro ma di cui intuivano di far parte.
Finché un giorno la loro attenzione fu attratta da un uomo del tutto particolare.
Il fatto accadde proprio nella confusione di un mercato. La gente era tanta e sparsa a frotte fra le bancarelle. I trenta denari, che si affacciavano dalla mano di un mercante come da un comodo balcone, occhieggiavano qua e là, quando all'improvviso, incrociando lo sguardo di quell'uomo, furono percorsi da un brivido strano.
Fu come se da quegli occhi si sprigionasse un'energia che sentivano far parte di tutto ciò che li circondava ma, contemporaneamente, anche della loro stessa essenza.
Lui aveva guardato proprio loro, ne erano certi, come se li avesse riconosciuti chiamandoli a un appuntamento che avrebbe accomunato i loro destini. 

Fu un attimo breve, ma non poterono dimenticarlo. Da quel giorno, ad ogni minima occasione, scrutavano tutt'intorno nella speranza di rivederlo o alla ricerca di un suo segno.
Passando di mano in mano, i trenta sicli giunsero fin sulla maestosa soglia del Tempio di Gerusalemme, dove un sacerdote si incaricò di custodirli.
Anche se intimoriti da quel luogo, così silenzioso e insolito per loro, i trenta fratellini pensarono che un po' di pace non guasta mai e oziarono tranquilli in attesa del loro destino.
L'appuntamento non si fece attendere a lungo. Qualche sera dopo, infatti, il piccolo scrigno nel quale erano custoditi si riaprì e di loro fu fatta una piccola manciata da consegnare a un uomo chiamato Giuda.
Curiosi com'erano, vollero subito sapere che cosa quell'uomo aveva dato in cambio del loro valore e, ormai più furbi del più furbo dei mercanti, tesero occhi e orecchie intuendo, dal bisbigliare delle voci nell'ora già tarda, che la merce doveva essere "interessante".
Udirono così di essere stati barattati con la vita di un uomo.
Erano stati scambiati con ogni sorta di merce e di servizi, ma quello mai! Un vero disonore! Per la prima volta furono percorsi dalla collera, dal violento desiderio di non dover essere passivi attori di un simile vergognoso misfatto: ma come fare?
Erano disperati e rimpiansero il giorno in cui qualcuno li aveva tratti da un informe amalgama d'argento.
L'uomo che li aveva appena ricevuti si stava intanto dirigendo con passo veloce verso la periferia della città. Non li aveva riposti nella tasca ma li teneva stretti in una mano. Ne percepivano l'acre odore di sudore e il fremito dell'ansia che percorreva le lunghe e forti dita.
A poca distanza da loro altri passi stavano avvicinandosi, accompagnati da un rumore metallico di armi che urtano fra loro intonando il lugubre canto della morte.
A un tratto tutto intorno si fece più calmo, mentre la brezza notturna accarezzava con grazia lieve quello che pareva il palcoscenico di un dramma. L'uomo si fermò e improvvisamente aprì la mano, come se si fosse accorto solo in quel momento di tenere stretta lava incandescente.
I nostri impauriti amici si ammassarono l'uno sull'altro nell'erba umida guardandosi intorno. Erano in un boschetto di ulivi e proprio lì, di fronte a loro, lo videro. Era proprio l'uomo del mercato!
Anche lui li sfiorò con gli occhi tristi e a loro parve uno sguardo pieno di comprensiva connivenza. Solo allora compresero quanto fosse stato necessario il loro scomodo e involontario ruolo affinché tutto acquistasse il proprio significato.
Da allora trenta piccoli denari furono riuniti per sempre nel simbolo stesso del Tradimento.

- Leggenda medievale - 
da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 


Buona giornata a tutti. :-)




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mercoledì 15 maggio 2019

Gli inganni della mente

Girovagando per il mondo, a Gesù venne un'idea per mettere alla prova il suo amico Pietro.
«Ascolta, Pietro: ti piacerebbe avere un bel cavallo sul quale percorrere senza fatica lunghi tragitti?»
«Altrochè!» rispose Pietro di rimando. «Ho sempre sognato un destriero che obbedisca solo al mio richiamo e mi trasporti veloce come il vento». 
Già si immaginava ergersi impettito su un gran cavallo bianco, poi guardò il Signore, forse un po' vergognandosi di quel pensiero che lui certamente aveva letto nella sua mente.
«E allora, sai cosa ti propongo? Avrai quel cavallo se sarai capace di recitare tutto di fila un Padre nostro senza mai distrarti per un solo attimo.»
A Pietro non parve vero. Che ci voleva! Gli sembrava fin troppo facile come compito per un regalo così prezioso.
«Oh certo, non ci sono problemi, figurarsi, è dagli anni della nostra amicizia sulla terra che mi insegnasti questa preghiera e io da allora l'ho sempre recitata, e tu sai quanto tempo è passato!»
«Bene, Pietro, allora siamo d'accordo: tu reciterai il Padre nostro senza mai distrarre la tua mente e il cavallo sarà tuo» disse Gesù tutto serio.
A Pietro non parve vero e senza aspettare un solo istante cominciò la sua orazione. Si fosse almeno concentrato un po'!... 
Macchè, via con il Padre nostro.
«Padre nostro che sei nei cieli, venga il tuo regno... acciderba con un cavallo attraverserei tutto un regno... sia fatta la tua volontà... tutto è sua volontà, forse anche il fatto che io abbia un cavallo..., come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano... anch'io darei ogni giorno la biada al mio cavallo. .. rimetti a noi i nostri debiti, così come noi li rimettiamo ai nostri debitori... non dovrei neppure fare un debito per avere questo cavallo.. .non ci indurre in tentazione...»
E qui Pietro si fermò, conscio solo in quel momento di quale tiro birbone gli aveva giocato la mente!
«Pietro, Pietro, dopo tanto tempo ancora non hai imparato che il cavallo più difficile da domare è proprio la nostra mente.»
«Perdona, Signore, ma è stato senza che io me ne accorgessi. 
D'ora innanzi sarò molto più consapevole che non sempre io sono padrone della mia volontà, ma che la mente può in un attimo portarmi dove lei vuole.»
«Non c'è problema, Pietro» rispose Gesù. «Certo è che oggi tu ci hai rimesso un cavallo».

- Leggenda popolare apocrifa greco-romana -
da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 



Buona giornata a tutti. :-)








sabato 16 marzo 2019

L'incontro - Antica leggenda giudeo-cristiana

A Gerusalemme era festa. La gente percorreva le strade vociando, bancarelle cariche di merce punteggiavano qua e là la città come piccole aiuole fiorite e i bambini, eccitati da quell'atmosfera gioiosa, correvano rimbalzando fra un richiamo e l'altro dei genitori. 
Uno di loro, approfittando della confusione, si allontanò in fretta. Era un bimbetto di sette anni, magro e scuro di pelle, con grandi occhi neri in perenne movimento. Scrutava ogni cosa, curioso di quel mondo a lui ancora sconosciuto. Tutto lo interessava e la sua voglia di sapere gli era valsa il soprannome di "Perché".
Ogni creatura incontrata sulla sua strada si trasformava subito in una domanda, perenne angoscia per chi gli stava intorno.
Tutto per lui poteva essere fonte di conoscenza e, di domanda in domanda, finiva sempre per allontanarsi da casa, come un piccolo esploratore mai sazio di nuove avventure.
Quel giorno stava seguendo uno strano cane zoppicante che sembrava, come lui, all'inseguimento di un non ben identificato oggetto misterioso.
Gira di qua, svolta di là, il cane e il suo piccolo inseguitore si trovarono sulle
colline, in un piccolo podere chiamato Orto del Getsemani.
Si faceva sera e le prime ombre rendevano la caccia ancora più interessante.
Il cane aveva allungato l'andatura e ora il piccolo "Perché" stentava a stargli dietro. Con rammarico gli pareva ormai di aver perso le sue tracce quando, a un tratto, ritrovò la sua pelosa preda tutta scodinzolante ai piedi di un uomo, seduto lì, tutto solo.
L'uomo accarezzava il cane lentamente come se avesse la consapevolezza che quel gesto non sarebbe stato mai più ripetuto.
«Ciao, signore, è tuo il cane?» chiese il bimbo arrivando di corsa tutto trafelato.
«No» rispose lui, accorgendosi solo in quel momento del sopraggiungere del piccolo.
«Perché stai qui, mentre tutti sono in città per la festa?»
L'uomo sembrava sorpreso di quell'incontro imprevisto, titubante fra disagio e accoglienza.
Ci pensò un po', poi sorrise e gli disse: «Perché qui aspetto mio padre».
«Ma io non vedo tuo padre: è molto vecchio?»
«È molto vecchio e molto giovane.»
«Come può essere vecchio e giovane?»
«Tu una volta eri piccolo, oggi sei molto giovane, poi diventerai un uomo e, in un futuro ancora più lontano, sarai molto vecchio; lui invece in ogni istante è già tutta la sua vita.»
«Oh, mi piacerebbe conoscere tutta la mia vita!» rispose il bambino convinto. Poi ci ripensò: «Se sapessi cosa mi accadrà domani, forse non farei quello che faccio, ma qualcosa d'altro. Che dici?».
«Oh certo, piccolo, ma se tu non facessi quello che stai facendo, anche quello che ti accadrà domani sarà diverso!»
«Uh, com'è complicato! Allora cosa devo fare?»
«Fai bene quello che ti chiede ogni momento; al resto ha già pensato Dio.»
«In questo momento sto bene qui con te, e tu?»
«Anch'io in questo momento sto bene qui con te.»
«E domani tu cosa farai?»
«Quello che Dio vorrà.»
«Allora perché sei triste? Dio non vuole per te una cosa bella?»
«Dio non prevede cose belle o brutte, lui non pensa come noi.»
«Allora quello che noi pensiamo non è mai quello che pensa Dio?»
«No, non è mai la stessa cosa.»
«Perché?»
«Perché la nostra mente è piccola e vede entro piccoli confini, mentre Dio non ha nessun confine, per lui non esiste tempo e non esiste spazio.»
«Non riesco a immaginare nulla così come tu dici.»
«Certo, è per questo che devi fidarti di lui.»
Il cane si era rialzato e dimenava la coda guardando ansioso ora Gesù e ora il suo piccolo inseguitore, nella speranza che uno di loro lo facesse giocare.
«Ma tu, come ti chiami?»
«Gesù di Nazareth.»
«Hai bambini?»
«Si, tanti.»
«E quanti?»
«Questa notte guarda il cielo: ogni stella è un mio bambino.»
Il piccolo "Perché" non parve affatto sorpreso da quella risposta, come ogni fanciullo aveva il dono di penetrare la realtà attraverso una porta fatata, oltre la quale le stelle non sono più stelle ma palpitanti creature e ogni parola possiede un magico significato.
«Sarebbe bello giocare lassù con i tuoi bambini... Come posso arrivarci?»
«Vieni qua in braccio a me e chiudi gli occhi» gli rispose Gesù.
Accoccolato su quelle ginocchia, il bimbo fu trasportato in un luogo talmente fantastico che mai poté descriverlo ad altri, ma che mai cessò di ricercare per tutto il resto della sua vita.
Si faceva buio, ma "Perché" non voleva lasciare il nuovo amico.
«Ora vai, piccolo mio, i tuoi genitori ti staranno cercando» gli disse Gesù dolcemente, staccandosi a malincuore da quell'ultimo tenero incontro.
«Gesù, quando potrò rivederti ancora?»
«Quando vorrai chiudi gli occhi, dimentica il mondo che ti circonda e mi troverai.»
Il piccolo "Perché" correva verso casa allargando le braccia come un uccellino nel vento, ogni tanto si girava per gridare il suo saluto, il cane lo seguiva saltellando festoso e Gesù li guardava pensoso finché scomparvero all'orizzonte.

- Antica leggenda giudeo-cristiana -

da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 

Sandro Botticelli, Orazione nell'orto, 1500 ca, Granada, Cappella Reale

Buona giornata a tutti. :-)







mercoledì 20 febbraio 2019

L'uomo che perse e riacquistò la parola

Accadde un pomeriggio, quando tutta la gente del villaggio, radunata davanti al tempio, aspettava l'offerta all'altare del profumo, nel tempio del Signore.
In quella quieta giornata, all'apparenza come tante altre nel regno di Erode re di Giudea, al vecchio e saggio sacerdote Zaccaria accadde ciò che sto per narrarvi.
Il nostro sacerdote apparteneva alla nobile famiglia di Abia ed era sempre vissuto in quella dolce terra dove il sole, i profumi e la calda sabbia rendono l'orizzonte perennemente sfocato e ciò che ti circonda pieno di luce.
Fin dalla fanciullezza Zaccaria era stato attratto dal fascino del tempio, dal quale udiva uscire il lento salmodiare degli anziani e nel quale egli percepiva battere il cuore del suo villaggio.
Sedotto da quello che per lui era un magico incanto, Zaccaria crebbe forte nel sapere e nella fede fino a diventare egli stesso custode di quel tempio tanto amato.
Per lunghi anni con lui visse la sua compagna, Elisabetta, piena di bellezza e di grazia, e la loro unione, con l'andare del tempo, divenne l'esempio citato ad ogni coppia di giovani sposi.
Si può pensare che Zaccaria fosse veramente un uomo appagato avendo accumulato sapere, saggezza e pace nella sua casa. Ma mai nell'uomo alberga la totalità: così anche a lui mancava un pezzetto di felicità.
Infatti, il grande desiderio che la vita non gli aveva concesso di realizzare era la nascita di un figlio.
Probabilmente così aveva scelto il Signore, pensava Zaccaria, trovando conforto solo in questa riflessione, oppure semplicemente così aveva architettato la natura, rendendo sterile Elisabetta.
Va da sé che il nostro devoto sacerdote si guardava bene dal muovere rimprovero a chicchessia e, anno dopo anno, aveva visto svanire ogni sua speranza di paternità.
Nel giorno di cui stiamo narrando toccava proprio a Zaccaria officiare un rito di offerta nel tempio ed egli vi si stava recando con l'usuale devozione, ringraziando più per quanto nella sua lunga vita aveva ricevuto che rimpiangendo ciò che non gli era stato concesso.
Sul piccolo spiazzo sabbioso scambiò alcune parole amichevoli e si fermò a bere un mestolo d'acqua fresca dal pozzo, usanza che acquistava un particolare significato per ogni uomo di quell'arida regione.
Era quello un momento di convivenza e partecipazione molto caro a Zaccaria, che ogni giorno ascoltava con comprensione e saggezza sia le confidenze sia le richieste di consiglio da parte della popolazione del villaggio.
Giunta l'ora di officiare il rito e lasciato fuori il mondo, il sacerdote entrò tutto solo nell'avvolgente aroma di olio e incenso che avevano il buon profumo di Dio e della sua pace.
Grande fu quindi il suo stupore nel percepire, proprio accanto all'altare, una presenza che non avrebbe dovuto esserci.
Chi mai aveva osato entrare nel tempio prima di lui, sconvolgendo l'usanza?
Si voltò deciso da quella parte e rimase impietrito. Non vi erano dubbi: quello che vedeva non poteva che essere un angelo di grande bellezza, fatto di infiniti pulviscoli di luce iridescente, come un raggio di sole che sciabola improvvisamente in una stanza.
Abituato all'attenta lettura delle Sacre Scritture, Zaccaria seppe subito che un Messaggio divino stava attraversando la sua strada e che lui nulla contava né poteva fare in quell'attimo.
Anche il grande angelo sapeva, nella sua profonda conoscenza dell'uomo, che il vecchio sacerdote aveva paura di quell'apparizione che, benché conosciuta sui libri, era ignota alla sua consapevolezza, e subito lo rassicurò.
«Non temere, Zaccaria, perché io sono un angelo del Signore e ti dico che il tuo desiderio è stato esaudito. Tu avrai la gioia di un figlio che si distinguerà fra gli uomini, gli darai nome Giovanni e il suo cammino sulla terra sarà ricordato nel tempo.»
Nel preciso istante in cui quelle parole furono pronunciate, la mente del sacerdote si frappose velocissima fra lui e il volere divino. Cosa suggerì? Nessuno lo sa: forse un pensiero d'orgoglio per essere in quell'attimo un prediletto o forse il dubbio sulla possibilità che la previsione dell'angelo si avverasse.
Certo fu che la bocca di Zaccaria si aprì in una risposta che forse il suo cuore non avrebbe dato: «Ma come è possibile quello che mi stai dicendo? Io e mia moglie siamo ormai anziani e lei mai poté concepire un figlio!».
«Io sono Gabriele e sto davanti a Dio, raccolgo i suoi voleri e li paleso agli uomini; ma tu non hai avuto abbastanza fiducia nella sua onnipotenza e così perderai quella parola che più di ogni altra cosa serve all'uomo per manifestare pensieri ed emozioni. D'ora innanzi tu sarai muto». 
E così dicendo lo sfiorò con le ali, spargendo intorno a sé miriadi di coriandoli luminosi.
Come era apparso in un turbinio di luce, Gabriele sparì, portandosi via la voce di Zaccaria che rimase lì stupefatto, sconvolto e turbato, ma ormai incapace di condividere con altri ciò che aveva visto e udito.
Uscito dal tempio, lo accolse il tranquillo parlottare della gente che aspettava di poter a sua volta entrare. Tutti si sarebbero aspettati una delle sue solite frasi cordiali, e invece niente... solo silenzio... silenzio assoluto.
Zaccaria era pallido e sudato. Il suo imbarazzo, di fronte a tanti occhi che lo guardavano, era davvero grande, ma così era accaduto e lui nulla poteva fare né, soprattutto, dire.
In paese, tutti s'interrogavano sull'improvviso mutismo del sacerdote, chiedendosi se per caso non avesse visto cose talmente inenarrabili da togliergli addirittura la favella e qualcuno sussurrava: «A volte Dio si mostra, ma non essendoci parola appropriata per esprimere ciò che accade in quel momento, non rimane che il silenzio».
Passarono i mesi e quanto era stato predetto si avverò. 
A Zaccaria ed Elisabetta nacque un bimbo e il sacerdote esultò nel suo cuore, non potendo esprimere la sua immensa gratitudine al Signore con alcuna parola.
I due genitori furono festeggiati come mai era successo nel villaggio: quella nascita era un vero prodigio!
II figlio di Elisabetta e Zaccaria fu portato al tempio, affinché Dio lo accogliesse ufficialmente fra il numero dei suoi figli terreni. Non rimaneva dunque che una domanda: come avrebbero chiamato il bimbo?
«Giovanni, dovrà chiamarsi Giovanni!»
Chi aveva pronunciato con tanta forza quel nome? Tutti si voltarono verso di lui e Zaccaria, più stupito degli altri, si accorse di aver ritrovato la parola proprio nel momento giusto per rispettare il volere dell'angelo.
«Giovanni, sì, sarà Giovanni il suo nome» ripeteva fuori di sé dalla gioia, riascoltando il suono di quelle parole che uscivano dalla sua bocca.
«Dio mio, quanto sei grande!» esclamò a un tratto Zaccaria a gran voce. Egli era felice per quel bimbo che gli era appena stato donato, ma soprattutto lo era per l'incontenibile emozione esplosa in quel grido d'amore.
In quel momento, se qualcuno dei presenti avesse avuto occhi buoni per vedere, si sarebbe accorto di una miriade di pulviscoli luminescenti che andava scomponendosi nella luce del sole.

- Dai Vangeli apocrifi - 
da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 





Risveglia il mio spirito, Signore.
Apro il libro della mia esistenza
Davanti a te, Mio Dio.
Gusto la tua dolce presenza
E ascolto il mormorio dello Spirito
Che parla e risveglia il mio intimo.
Donami di vivere nella costante ricerca
Del senso più profondo della vita
E di saper discernere
Dove lo Spirito orienta il mio cammino.

- suor Anna Maria Vissani - 
da: "La preghiera che è in te", ed. Velar, Elledicì


Buona giornata a tutti. :-)