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sabato 30 gennaio 2016

Il declino del coraggio - Aleksandr Solženicyn


"Il declino del coraggio è nell’Occidente d’oggi forse ciò che più colpisce uno sguardo straniero. Il coraggio civico ha disertato non solo il mondo occidentale nel suo insieme, ma anche ognuno dei paesi che lo compongono, ognuno dei suoi governi, ognuno dei suoi partiti, nonché, beninteso, l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Questo declino del coraggio è particolarmente avvertibile nello strato dirigente e nello strato intellettuale dominante, e da qui deriva l’impressione che il coraggio abbia disertato la società nel suo insieme. 
Naturalmente ci sono ancora numerose persone individualmente coraggiose, ma non sono loro a dirigere la vita della società. I funzionari politici e intellettuali manifestano questo declino, questa fiacchezza, questa irrisolutezza nei loro atti, nei loro discorsi e soprattutto nelle considerazioni teoriche che si premurano di esibire dimostrandovi che questo modo d’agire, che basa la politica di uno Stato sulla vigliaccheria e il servilismo, è pragmatico, razionale e giustificato da qualsiasi elevato punto di vista intellettuale e perfino morale lo si consideri. 
Questo declino del coraggio, che sembra talvolta arrivare fino alla perdita di ogni traccia di virilità, assume poi una particolare sfumatura ironica nei casi in cui i medesimi funzionari sono presi da subitanei accessi di braveria e intransigenza nei confronti dei governi senza forza, di paesi deboli che nessuno sostiene o di correnti condannate da tutti, che manifestamente non sono in grado di reagire in alcun modo. Ma la loro lingua si secca e le loro braccia si paralizzano di fronte ai governi potenti e alle forze minacciose, di fronte agli aggressori e all’Internazionale del terrore.

C’è bisogno di ricordare che il declino del coraggio è stato sempre considerato, sin dai tempi antichi, il segno precorritore della fine?"

- Aleksandr Solženicyn -
(discorso tenuto all'Università di Harvard l' 8 giugno 1978)




”…non si può dire amo i miei figli, 
permettendo alla società di farne man bassa, 
non si può dire: amo la mia famiglia,
ci tengo alla mia famiglia, 
permettendo al costume sociale di distruggerla. 
Occorre il coraggio 
di difendere questi riferimenti in pubblico associandosi 
perché senza l’associarsi la debolezza del singolo 
o del particolare è travolta da qualsiasi forma di potere..."

- don Giussani - 
Giussani, ai responsabili delle Famiglie, aprile 1993





NESSUNO DICA CHE NON SAPEVA


"A coloro che a partire da questa tolleranza vogliono procedere alla legittimazione di specifici diritti per le persone omosessuali conviventi, bisogna ricordare che la tolleranza del male è qualcosa di molto diverso dall'approvazione o dalla legalizzazione del male.
In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell'equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest'ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all'applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all'obiezione di coscienza".

(Congregazione per la Dottrina della Fede, considerazioni circa i progetti di riconoscimenti legale delle unioni tra persone omosessuali, Prefetto Card. Joseph Ratzinger, approvato dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, 3 giugno 2003)





Le prime esperienze emotive il bambino le vive durante la vita intrauterina. La sua qualità contribuisce a determinare il senso della fiducia che manifesterà verso il mondo esterno, in quanto l’amore materno innesca un dialogo emotivo, che viene trasmesso al feto attraverso i legami neuro-ormonali. Quindi, le emozioni materne, per esempio di gioia, serenità, paura, voglia di vivere, ecc. possono contribuire allo sviluppo emotivo del futuro bambino. Queste emozioni materne, costituiscono le primarie predisposizione della personalità che contribuiscono a determinare il temperamento del bambino.
«Se noi stacchiamo il fatto procreativo dalla relazione affettiva e sessuale si può ipotizzare un futuro in cui la produzione degli esseri umani avviene totalmente attraverso le macchine. Una volta combinato tecnicamente l’ovocita e lo sperma, si procederà a costruire artificialmente degli esseri umani. La scienza potrà arrivare a questo. Il problema non è impedirlo. La ricerca deve fare i suoi percorsi per capire quello che può della vita. Ma l’uomo non deve consentire che tutto ciò che è tecnicamente fattibile diventi lecito. [...] Il patrimonio genetico è un bene che appartiene alla collettività storica nella quale si è formato. Come debbono essere beni condivisi l’ambiente, le piazze delle città, aspetti della vita economico sociale, così ci sono questioni che riguardano la cultura e la antropologia che non possono essere a disposizione di una libertà senza limiti". 

- Pietro Barcellona - 





"Senza l’opera di trasmissione dei significati della vita, da una generazione all’altra, le nuove generazioni saranno solo dei barbari accampati nel nostro territorio. 
Non capiranno, non conserveranno e non trasmetteranno più niente di quello che ha alimentato la vita dei loro avi. 
E la vita perderà il suo fervore e il suo significato e il collegamento al nodo divino che unisce le cose.."

- Antoine de Saint Exupery - 






"La stepchild adoption mi vede assolutamente contrario, anzi mi domando perché proprio le donne di destra e sinistra non insorgano perché si faccia una legge molto punitiva sull'utero in affitto. 
Si combatte la prostituzione e non si capisce che in fondo la vendita dell'utero è una prostituzione forse ancora peggiore".

-Stefano Zecchi –

Scrittore, giornalista




NOI NO

Il grande mercato internazionale dei figli comprati con l'utero in affitto è la più barbara forma di schiavismo dei nostri tempi. Non è, solo, una questione legata alla dignità della donna, trasformata in produttrice di bambini da portar via; la pratica è barbara in sé, perché ha ad oggetto la fornitura di esseri umani. 
Gli esseri umani non si comprano, e nemmeno si regalano. 
Il mercato dei figli è la diretta conseguenza della distruzione della famiglia, che passa innanzitutto per la rottamazione, cioè abolizione, del matrimonio. In Italia si sta provando a legittimare questa pratica con l'approvazione delle cosiddette "unioni civili" tra persone dello stesso sesso, che prevedono la stepchild-adoption, cioè il riconoscimento della genitorialità al partner che non ha alcun legame biologico col bambino avuto appunto con utero in affitto. Nei prossimi giorni tenteranno di mascherare questa forma di adozione, che viola i diritti dei bambini, con l'etichetta di un "affido rinforzato". Si tratta di compromessi ipocriti che saranno spazzati via dal primo Tribunale. 
Una crepa nella diga, ed è solo questione di tempo. E di sentenze.

- Generazione Famiglia - La Manif Italia -


Buona giornata a tutti. :-)






martedì 24 novembre 2015

Chi ha ucciso la torta di mele? - Erma Bombeck

È una sensazione spaventosa svegliarsi una mattina e scoprire che mentre si dormiva si è passate di moda.
È quello che è successo a milioni di casalinghe, che un bel giorno si sono guardate allo specchio e hanno detto: «Abbassare il coperchio della tazza del cesso dieci volte al giorno non basta a realizzarmi».
Le donne erano stufe di schiacciare pulsanti. Per di più i pulsanti avevano cominciato a vendicarsi. 
Una mattina una casalinga di New York, mentre puliva il tappeto con l'aspirapolvere, si chinò a raccogliere un oggetto. I capelli rimasero imprigionati nella spazzola e la poveretta cadde a faccia in giù sull'elettrodomestico, subendo un elettrochoc alla parte sinistra della testa.
Così le casalinghe cominciarono a dubitare della validità della teoria formulata da un'associazione medica britannica, secondo la quale i lavori domestici erano il segreto della longevità femminile: tutto quel movimento prolungava la vita.
Un pomeriggio, mentre, inginocchiata sul pavimento, col peso di tutti i letti a castellosulla schiena, cercavo di infilare le assicelle nelle scanalature, mio marito mi chiese:
«Che cosa fai lì sotto?»
«La cura della giovinezza», dissi seccamente.
«Quegli aggeggi si spostano in continuazione», disse lui. «Perché non comperi delle assicelle più lunghe?»
«Erano più lunghe quando le abbiamo comprate», dissi io.
«Ricominci con quella tua assurda storia degli oggetti inanimati che crescono e rimpiccioliscono? Star chiusa qua dentro tutto il giorno ti fa male al cervello. Dovresti uscire di più. Quando finisci di sistemare tutta questa roba, perché non fai qualcosa che hai sempre desiderato di fare?»
Mi accovacciai per terra e mi misi a riflettere. 
Quello che avevo sempre desiderato di fare era scapparmene di casa. 
Sapete cosa voglio dire. Si segue una dieta ferrea per due settimane e si ingrassa di un chilo. 
Ci si spezza la schiena per riuscire ad andare a una svendita di biancheria e si scopre che sono rimaste solo lenzuola matrimoniali da sopra, o a una piazza da sotto, e federe formato gigante.
La vostra migliore amica (nella quale avete sempre riposto la massima fiducia) vi telefona per dirvi che è appena riuscita a scoprire come si fa il pane in casa. 
Qualche spiritoso ha scritto AIUTO nello strato di polvere che ricopre i tendaggi.
Il supermercato ha smesso di regalare le posate prima che abbiate completato il servizio, e vi accorgete, dopo aver passato quaranta minuti a stirarlo, che il vestito di lino vi sta stretto.
Siete bloccati nel traffico in una strada a senso unico e alla macchina davanti alla vostra si sgonfia una gomma. 
Quando la vostra vicina esce per andare in ufficio le gridate dietro: «Spero proprio che qualcuno abbia riempito di briciole di gomma la tua IBM».
E vi rendete conto di non farcela più.
Poi, un giorno, su una delle riviste più importanti, lessi un articolo dal titolo «È cominciata l'era delle donne».
Sopra l'articolo c'era la fotografia di una bionda bene in carne in un cantiere, circondata da un gruppo di uomini e intenta a spiegar loro i particolari di un progetto. Indossava un paio di scarpe in tinta con il caschetto giallo di Gucci. Nella seconda fotografia la medesima bionda, fasciata da un diafano pigiama, in piedi davanti a un fornello, sorvegliava sorridendo la cottura di un filet-mignon (ricetta a pagina 36), mentre il marito condiva l'insalata e i bambini preparavano amorosamente la tavola. 
Mi venne voglia di vomitare.
Anch'io volevo vivere nell'«era delle donne». (Anche se la mia «era» ormai non «era» più.) Immaginatevi un po'! Uscire tutte le mattine per recarsi in un ufficio tappezzato di moquette... mangiare pane fresco a colazione... usare un telefono luccicante invece che sporco di marmellata d'uva... profumarsi l'incavo delle ginocchia e far girare la testa ai fattorini.
E dissi a me stessa: «Basta. Se trovo una baby-sitter mi cerco un lavoro». 


Da: “Se la vita è un piatto di ciliegie, perché a me solo i noccioli?di Erma Bombeck, ed. Longanesi




Una volta presa la decisione, passai sei mesi a esaminare una serie di aspiranti baby­sitter. 
È deprimente rendersi conto che nessuno vuol fare a pagamento un lavoro che voi avete fatto gratis per anni. 
Una delle ragazze poteva lavorare solo fino all'ora in cui i ragazzi tornavano da scuola. Un'altra credeva nei sonnellini fino a trentacinque anni suonati e una terza venne a lavorare un giorno, poi se ne andò dicendo: «Ma lei si aspetta davvero che io continui a lavorare in una casa dove la caraffa dell'acqua sembra una di quelle palle di vetro con la neve dentro che cade quando le si capovolge?»
Le altre donne, scoprii in seguito, avevano lo stesso problema. 
Una mia amica, infermiera diplomata, raccontò una storia terribile. 
Aveva trovato una «perla» disposta a tenere i bambini purché le si dessero istruzioni precise. Il primo giorno la mia amica le lasciò il seguente biglietto:
Tony deve prendere un cucchiaino della medicina rosa che troverà in frigorifero alle otto, e un altro prima di colazione. Ha l'impetigine, quindi si lavi bene le mani con acqua e sapone e non lasci che gli altri bambini bevano nel suo bicchiere.
Paola deve prendere un cucchiaio della medicina arancione nella boccetta marrone alle otto, e un altro all'ora di colazione. Per colazione ci sono affettati di ogni tipo, marmellata, ecc.
Paola deve andare sul vasino ogni due o tre ore. C'è un vasino al piano di sopra e una seggiolina nella stanza dei giochi.
Il cane non deve mangiare la gomma da masticare. La adora, ma poi bisogna portarlo dal veterinario. Deve prendere una pillola (non anticoncezionale) al giorno, perché ha una leggera infezione. Chieda a Franco (che va e viene tutto il giorno) di tenerlo, quando gliela dà, perché c'è rischio di beccarsi un morso.
Se telefona qualcuno si faccia lasciare un messaggio. Non usi la tazza del bagno di servizio. L'acqua non scorre. Se ha bisogno di qualcosa, mi telefoni. Se le chiedono chi parla, dica una delle infermiere.
Quando tornò a casa, trovò la porta d'ingresso imbrattata di sangue d'agnello e un grosso cartello che metteva in guardia contro le malattie infettive. La baby-sitter se l'era squagliata.

Da: “Se la vita è un piatto di ciliegie, perché a me solo i noccioli?di Erma Bombeck, ed. Longanesi


Basta andare a lavorare una volta nella vita per scoprire che questa storia dell'«era delle donne» è una gran balla. Forse hanno scambiato le didascalie sotto le foto. Forse quella bionda indossava il pigiama diafano in ufficio e il caschetto giallo in casa. Dio sa se è necessario avere qualcosa in testa, quando te la martellano di urla tutto il giorno.
Dov'erano le fotografie di lei mentre corre intorno al tavolo della cucina in pantofole, con due costolette sotto le ascelle per scongelarle più in fretta, urlando come una pazza «Va bene, disgraziati, lo so che ci siete, sento il brontolio del vostro stomaco»? 
A sentire il giornalista, la soluzione del problema lavoro esterno - lavoro domestico stava in un programma scritto per tutti i membri della famiglia, nel quale si elencavano i doveri e le responsabilità di ciascuno. 
Alla madre restava così il tempo non solo di lavorare tutto il giorno fuori casa, ma anche di dipingere, cucirsi i vestiti da sé, andare a cavallo e candidarsi alle presidenziali.

Da: “Se la vita è un piatto di ciliegie, perché a me solo i noccioli?di Erma Bombeck, ed. Longanesi



Le cose non sono affatto così semplici. Una sera telefonai a casa e dissi: «Voglio parlare con papà».
«È dal dentista», disse mio figlio. «Stamattina si è spezzato un dente con il pane surgelato.»
«Ah! E a chi toccava sgelare il pane, secondo il programma?»
«A me, ma avevo dimenticato le chiavi, sono rimasto chiuso fuori e ho dormito da Michele. Anche il garzone del droghiere è rimasto chiuso fuori. 
Nel garage ci sono due casse di acqua minerale.» «Dov'è tua sorella?»
«Ho rifatto il letto con lei dentro. Non mi parla più. 
La lavatrice è piena di panni bagnati tutti macchiati di marrone. Stiamo sgelando le costolette sotto il tuo casco. Indovina chi ha dimenticato di metter fuori il cane tornando a casa? Quando torni?» «Domani. Sentite la mia mancanza?»
«No ma, stando al programma, domani i piatti toccherebbero a te.» 
Parità di doveri è la parola d'ordine del movimento di liberazione della donna. 

Da: “Se la vita è un piatto di ciliegie, perché a me solo i noccioli?di Erma Bombeck, ed. Longanesi



Comunque, ci sono alcune regole fondamentali, alle quali è necessario attenersi, quando la madre lavora fuori casa. Primo: quando rompere e quando non rompere. In altre parole, quando si può telefonare alla mamma in ufficio?
Esistono i casi di emergenza. Su questo non ci sono dubbi, ma bisogna pure cercare di stabilire alcuni criteri generali di guida.
Prima di telefonare alla mamma in ufficio, un bambino dovrebbe chiedersi: 
1) Le verrà un colpo quando le racconterò questa? 
2) Riuscirà a trovare un idraulico dopo le cinque? 
3) Metterà in atto la minaccia di trasferirsi in un'altra città e cambiare nome? Se le risposte sono «Sì, No, Sì», sarebbe bene che il bambino tentasse di inquadrare l'incidente nella giusta prospettiva.
Per esempio, se si tratta di un fatto di sangue, il suddetto bambino dovrebbe prendere in considerazione i seguenti particolari: si tratta di sangue suo? o del fratello? ce n'è molto? poco? sul divano senza fodere scozzesi? su quello da cinquecento dollari di cui i genitori stanno ancora pagando le rate? il sangue si fermerà? si è trattato di un incidente? di un dentino traballante? si può tacere e far finta che si tratti di una puntura di zanzara?
Un altro esempio: quando nel quartiere un bambino su due decide che la vostra casa è il posto ideale per giocare, perché non ci sono adulti in giro durante il giorno, vostro figlio dovrebbe chiedersi: «Voglio passare l'adolescenza chiuso nella mia stanza senza cibo e senza televisione? tengo veramente all'amicizia di un bambino che lancia i cubetti di ghiaccio al canarino? la mamma si accorgerà che abbiamo usato il frullatore per fare i coriandoli?» Altre situazioni sulle quali non lasciar adito a dubbi:
Quando un gruppo di bambini decide di lavare il gatto, lo mette nella lavatrice e vuole sapere che programma usare...  TELEFONARE IMMEDIATAMENTE. 
Quando lui e suo fratello stanno facendo a botte per l'ultima coca e lui vuole un parere autorevole su chi dovrebbe averla vinta... NON TELEFONARE. Quando un paio di uomini con un furgone gli dicono che la sua mamma vuole una fodera per il televisore, un posto sicuro in cui tenere l'argenteria, una bella pulita ai gioielli e una sistemata alla bicicletta a dieci marce, TELEFONARE ... E IN FRETTA. 
Quando sua sorella lo insegue per la casa con la canna per innaffiare i fiori e i mobili stanno stranamente diventando tutti bianchi, CORRERE.
Quando si annoia e non ha niente da fare e vuol solo scambiare due parole con qualcuno, TELEFONARE AL PADRE.

Da: “Se la vita è un piatto di ciliegie, perché a me solo i noccioli?di Erma Bombeck, ed. Longanesi




Per apprezzare fino in fondo sua moglie, ogni marito dovrebbe guidare almeno una volta una macchina piena di bambini.
Portare in giro i bambini è il ventiseiesimo tra i compiti preferiti da mio marito. Sta più o meno a metà tra il far colazione in una sala da tè e il lasciarsi cadere una palla da bowling sul piede.
«Ricordati», lo avvertii la prima volta che si accinse all'arduo compito, «sono bambini piccoli... non sacchi di patate. Questo vuol dire che devi fermare bene la macchina e scendere ad aprire la portiera. Non gridare, e assicurati che stiano tutti e sei vicino al finestrino. Che Dio te la mandi buona.» 
Un'ora e mezzo dopo, quando lo vidi entrare barcollando dalla porta, chiesi:
«Allora, perché ci hai messo tanto?»
«Per cominciare, quella peste con la bocca sporca di dentifricio non voleva salire in macchina. Ha detto che sua madre gli aveva raccomandato di non accettare mai passaggi da estranei. Poi il cartellino con il nome appuntato al vestito di Comesichiama è caduto e lei non sapeva più chi era. Debbie ha pianto per tre isolati perché aveva dimenticato il cestino della colazione sull'altalena. Cecilia... credo che si chiami così... quella che sta sempre ad abbottonarsi il golf nel tentativo di azzeccare l'asola giusta...» «Sì, è proprio Cecilia.»
«Mi ha detto che abitava nella gelateria all'angolo.» «Ma come mai ci hai messo tanto?»
«Michele. È stata tutta colpa di Michele. Ha detto che non sapeva dove abitava e così, per farmelo amico, gli ho dato un lecca lecca. Devo aver girato in tondo per almeno mezz'ora prima che si decidesse a dire: 'Ecco la mia casa'.
«Michele», ho detto, «siamo passati davanti a questa casa almeno venti volte. Perché non hai detto niente prima?»
«Perché», mi ha risposto, «non devo parlare con la bocca piena.»
C'è chi dice che responsabilizzando i bambini li si aiuta a crescere. C'è chi invece sostiene che si aiuta a crescere solo il premio dell'assicurazione. 


Buona giornata a tutti. :-)


martedì 29 settembre 2015

"Non abbiate mai paura di sbagliare, per i nostri figli siamo i migliori genitori possibili" - da: Franco Nembrini "Di padre in figlio - Conversazioni sul rischio di educare" -

"Ma se pensa ad una casa fondata sulla roccia, tuo figlio dice che è una roccia anche se sbagli, anche se non le indovini tutte. "

"...Tuo figlio, con quel tira e molla pazzesco per cui ti saltano i nervi e con il quale ti mette alla prova, vuol sapere se suo padre e sua madre stanno, restano, sono la roccia di cui lui ha bisogno. 
E su cosa è posta questa casa, se sulla roccia: lo vogliono sapere. 
E ti mettono alla prova, tirano, mollano per vedere se la corda si spezza, ma tu stai. 
Invece l’altro errore che facciamo per non lasciarli andare, cioè per non patir la ferita di questa libertà, l’altro ragionamento assolutamente sbagliato che facciamo, preoccupati come siamo della sorte dei nostri figli, è quello di chiudere la casa e di dire: «Vengo anch’io con te». 
Vengo anch’io così lo tengo d’occhio, così almeno è più vicino, è più sotto controllo. 
Ma pensate quel figliol prodigo se il giorno in cui si accorge di essere uno sciocco che si è ridotto a mangiare le carrube, che mangiano i porci, invece di un padre che lo aspetta dovesse avere il padre che è lì, poveraccio come lui, e la casa non c’è più. 
Che disperazione! Avere il desiderio di tornare a casa e tuo padre, per star con te, ha chiuso la casa e l’ha venduta, e non abbiamo più una casa. 
Non c’è più chi ci perdona! Come ne "I due orfani" di Pascoli, che Giussani ci ha insegnato a leggere. 
Non c’è più chi ci perdona; cioè non c’è più né un padre, né una madre, non siamo più di nessuno, siamo orfani appunto. 
I due errori: chiudere la casa per non farli uscire, oppure uscire con loro. 
Invece l’adulto è quello che sta. 
La mia povera mamma quando di dieci figli, uno lasciò la famiglia, il primo, per mesi, preparò un piatto in più e lo teneva in caldo. Dopo per dieci giorni noi dicevamo: «Mamma, è andato, è andato, piantala! È andato!» e lei serissima che ci diceva: «Potrebbe tornare questa sera. Potrebbe tornare stasera». e per mesi e mesi ha voluto preparare il posto per mio fratello, il primo, il posto tra quello del mio papà e quello del secondo figlio. Apparecchiava il posto perché sarebbe potuto tornare stasera. 
Questa è la statura dei nostri genitori! Ed è la statura che chiedono a noi i nostri figli. Gente che sta, che resta per la felicità che gode lui, per il bene che intravede lui, per la speranza che vive lui. 
Questa è l’unica cosa di cui hanno bisogno i nostri figli, e se è così scattano due o tre conseguenze che vi accenno soltanto. 
Per esempio, primo: non abbiate mai paura di sbagliare, per i nostri figli siamo i migliori genitori possibili. Se l’educazione è quel che ho detto, non c’è il problema della coerenza, dell’incoerenza: i tuoi figli non sono stupidi, sanno che sei incoerente e far finta di vendergli l’idea di un padre particolarmente buono, bravo, coerente è una cosa che non li convincerà, non ce la farete mai a fregarli; lo sanno troppo bene di che incoerenza siamo capaci; cioè lo sanno che siamo straccioni come loro, non li convincerete mai del contrario. 
I nostri figli non hanno bisogno della nostra coerenza in senso moralistico, hanno bisogno della nostra coerenza ideale, quella che Giussani ne "Il rischio educativo" chiama «funzione di coerenza» 
L’adulto, l’autorità dell’adulto la chiama «funzione di coerenza»: è questo stare che vi dicevo prima. Non abbiate paura di sbagliare perché i figli sanno che sbaglierete e vi perdoneranno molto più di quello che siete disposti a perdonargli voi; perché i nostri figli ci perdonano questo. Non ci perdonano il non coraggio, la non responsabilità di fronte al reale, la non certezza ultima rispetto al destino: questo non ci perdonano. Quando in sessanta metri quadrati voi costringete a vivere i dieci figli, da zero a quindici anni, è un bel macello. 
D’inverno poi, quando non si può uscire e andare all’oratorio! 
Per cui mio padre arrivava a casa la sera stanco dal lavoro e, a volte, era una specie di giungla, erano saltati tutti i paletti, e non gli restavano molte risorse poveretto! Magari mia mamma non stava bene, era incinta o allattava. 
Allora sfilava la cinghia dei pantaloni e pata-pim e pata-pum, chi ciapa ciapa e chi la dura scapa; nel senso che trovato un vetro rotto, due feriti, la moglie in lacrime, il bambino più piccolo che piange, non è che avesse il tempo di fare le indagini preliminari su chi fosse quella volta lì che aveva cominciato. 
Allora mi ricordo di quella volta che arrivo a casa da scuola, non faccio a tempo a togliermi lo zaino e appoggiarlo per terra, che dietro arriva mio padre. Vede un macello pazzesco, io non sono stato sufficientemente svelto quella volta ed è toccato a me: me ne ha date un sacco e una sporta. 
La mia povera mamma, che aveva anche un debole per me, è corsa in mio soccorso e lo ha fermato, ma me ne aveva già date abbastanza! Lo ha fermato e gli ha detto: «Ma Dario, Franco è rientrato in casa non c’entra niente!». 
Mio padre, serissimo, mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto: «Va bene, mettile vie per la prossima volta». 
Non gli è venuto il problema di dire: «O Dio! Adesso Franchino resterà traumatizzato dalle botte paterne immeritate!». 
Mi ha detto: «Mettile via per la prossima volta» e io vi assicuro che ho odiato fortemente i miei fratelli perché erano stati più veloci – solo per quello! – ma non mi ha attraversato neanche l’anticamera del cervello l’idea che mio padre non mi volesse bene. È un pensiero che nella vita non mi ha mai sfiorato, neanche in quel frangente dove aveva palesemente sbagliato; aveva peccato d’ingiustizia grave, almeno le botte a me erano sembrate gravi, nei miei confronti. 
È questo che intendo dire quando dico: «Non preoccupatevi». Anche tutta questa mania per cui dovremmo tutti avere lo psicologo fisso in casa! 
Nessuno è più capace di fare il padre, nessuna è più capace di fare la madre, al primo problema bisogna andare dall’esperto: l’ospedalizzazione del rapporto educativo a scuola e in famiglia. 
Bisogna avere tre lauree per tirar su un bambino! Basta con questa storia! Basta, perché siete i migliori genitori possibili e non preoccupatevi se sbagliate perché non è quello che traumatizza i bambini. 
Li traumatizza la sensazione di camminare sulle sabbie mobili, li traumatizza lo sguardo incerto di padri e madri quando si guardano, quando stanno a tavola, li traumatizza l’impressione che la loro casa sia costruita sulla sabbia e che basti un filo di vento per portar via tutto. 
Questo li spaventa la notte e non li fa dormire, anche se non urlano e non hanno gli incubi. Ma se pensa ad una casa fondata sulla roccia, tuo figlio dice che è una roccia anche se sbagli, anche se non le indovini tutte. 
Diversamente ci facciamo dei problemi pazzeschi: «Gli do una sberla o non gliela do? O Dio, ho letto che lo psicologo diceva che quel ragazzo si è buttato giù da un ponte perché ha preso quattro in matematica. Cosa devo fare? La Carla dice sempre il contrario di quello che dico io. Se gliele voglio dare, mia moglie dice di no; se non gliele voglio dare io lo vuole la moglie!». Dargliele e basta! Nell’incertezza io suggerisco di dargliele! Non è qui il problema! "

da: Franco Nembrini "Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare" Ed. Ares




"Ci si dimentica di chiedere l’obbedienza"

"...Anzi, datemi ancora due minuti perché volevo anche dire che secondo me moltissime difficoltà che oggi i genitori vivono nascono dal di dentro (le difficoltà hanno sempre un’origine, non cadono dal cielo e non sono casuali). Si tratta secondo me di una debolezza del genitore rispetto alla propria autorevolezza. 
Mi spiego: posso puntare il dito? Non lo punto mai una volta tanto lo faccio. Siete voi per primi che non credete alla vostra autorevolezza. 
Siete voi per primi che non date fiducia alle vostre certezze, al vostro compito. E questo se lo collegate al problema che dicevo prima, cioè che vi hanno proposto di essere solo curativi e capaci di rispondere ai bisogni, viene di conseguenza che un genitore non esprime più la propria autorevolezza. Moltissime difficoltà che ci sono oggi coi figli vengono da questa debolezza. 
I primi a dover riconoscere la vostra autorevolezza siete voi!
Essere genitori vi costituisce guida, faro di orientamento, capacità di decisione, capacità di rischiare, capacità di scegliere, di segnare il passo, di guidare nella realtà. Noi siamo lontani mille miglia dall’essere solo servizio ai figli. Una conseguenza di questa debolezza genitoriale è che ci si dimentica, dentro la famiglia, di educare all’obbedienza. L’atteggiamento di servizio al figlio non struttura l’obbedienza del figlio.
Ci si dimentica di chiedere l’obbedienza. 
E’ così difficile entrare in un legame che possa esaltare la crescita di un figlio e la propria. 
E’ così difficile entrare in un legame che dà la soddisfazione piena di essere dentro l’essere, dentro l’essere del figlio. Noi chiediamo di tutto ai nostri figli, ma non chiediamo la cosa fondamentale, cioè di essere figlio. E cosa fa un figlio? Obbedisce al genitore, ascolta il genitore, interiorizza il genitore. 
Se lo porta dentro. Io credo che molte difficoltà trovino nella debolezza dell’autorevolezza la loro radice, la loro origine."

(da una testimonianza della psicologa Vittoria Maioli Sanese)





"...Infine ci sono altre due lettere che mi hanno impressionato, Una dice:
" Ormai per me è tardi". Non potete dire così, nessuno di noi può dir così! 
Io conosco situazioni terribili, dolorosissime, che qualcuno vive con i figli; ma non possiamo dire " Ormai è tardi!". 
Noi siamo i tifosi di Nicodemo. il vecchio che va da Gesù di notte vergognandosi, e gli va a dire: " Ormai è tardi, sono vecchio"; e Gesù gli risponde che non è vero, è possibile ricominciare da capo ( come i nostri figli: " Papà, è possibile ricominciare da capo?" ).
" Gesù, è possibile rinascere di nuovo, può un vecchio come me ritornare nel ventre di sua madre? " Gesù gli ha risposto di sì, che è un dono che lo Spirito può dare, si può rinascere. Allora l'educatore è combattente sempre, è la madre trafitta dal male di suo figlio che però non demorde mai, non riesce a dire " Basta, non mi interessi" , qualunque cosa accada , fino all'ultimo respiro, suo figlio è suo figlio e ci crede e spera e prega perchè qualcosa possa accadere, qualcosa lo possa riprendere. 
L'insegnante è uguale. L' alunno che ti fa disperare, proprio il più duro di tutti, è quello cui dici:" Non ti mollo fino all'ultimo minuto dell'ultima ora di scuola del 12 giugno, tu sei mio e io sono qui per te e non cedo. Poi sarà quel che vorrai tu, quel che la tua libertà ti consentirà di essere, ma io sono qui, fino all'ultimo secondo dell'ultimo minuto dell'ultima ora di lezione": L'adulto, l'educatore non può mai dire." Per me ormai è tardi", non esiste!"

da: Franco Nembrini, "Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare", Ed. Ares




Buona giornata a tutti. :-)


venerdì 31 luglio 2015

da: "Guardare i volti di una classe è faticoso ma non mi stanca" - Alessandro D'Avenia

"Guardare tutti i volti di una classe ogni giorno in modo unico è faticoso, ma non stanca. 
Allattare il bimbo è faticoso, ma riempie. 
Questo guardare il rinnovarsi di tutte le cose che tocchiamo è ciò che abbiamo da dare ad un mondo stanco. 
Un cristiano che non prega (veglia) in ogni istante, attraverso ciò che sta facendo, rapidamente perde smalto, perché ha perso il suo legame con la fonte, con la vite/a. 
Non ha più nulla che lo rinnovi, non può vedere più nulla, perché non guarda più nulla. 
La meraviglia di una continua novità, quella che ci prende di fronte ad un panorama alla fine di una lunga camminata, quella che ci afferra nelle movenze della donna di cui ci innamoriamo, quella che ci spiazza nel sorriso di un bambino, è la possibilità data in ogni momento a ciascuno di noi. 
È quello che la strada chiede a quella donna affacciata al balcone nel quadro di Boccioni: dare senso e casa al caos di quella strada. 
Grazie a quel «guarda» ogni giorno mi stanco, ma non mi annoio. 
Ho il cuore e gli occhi pieni di una meraviglia che nessuno può strapparmi, perché non l’ho messa io nelle cose: il loro reale rinnovarsi è lì disponibile per i miei occhi liberati dalle squame. 
Il mio compito, a volte faticoso, è goderne. E poi raccontarla."

- Alessandro D'Avenia - 
Da: "Guardare i volti di una classe è faticoso ma non mi stanca"





Perché ripetiamo ancora ai maschi «non piangere come una femminuccia»? 
E come mai le femmine si sentono dire da parenti e insegnanti «una bambina non fa questo» se strillano troppo? 
Noi adulti non consentiamo ai bambini ed alle bambine di crescere secondo le loro inclinazioni; ma li ingabbiamo nei nostri schemi di virilità e femminilità. Sembriamo sicuri che sia utile dividere i giochi, i colori e le collane letterarie per maschi da quelle per femmine. 
Spesso indirizziamo i nostri figli persino nella scelta degli studi come quando scoraggiamo le femmine che vorrebbero occuparsi di fisica nucleare e i maschi attratti dall’insegnamento. 
Eppure il meglio che possa accadere nella vita è scegliere senza condizionamenti e che le scelte siano il frutto dei nostri desideri e non di pregiudizi e gabbie predefinite per sesso, orientamento sessuale, età ed etnia.

da: 27esimaora.corriere.it/




Concediamo ai bambini un tempo in cui il loro spirito possa svilupparsi senza la continua pressione di dover dimostrare di valere e di essere i migliori.



Una prova della correttezza del nostro agire educativo è la felicità del bambino.

 - Maria Montessori - 




Buona giornata a tutti. :-)