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domenica 19 febbraio 2017

Inginocchiarsi - don Romano Guardini

Cosa fa una persona quando s'inorgoglisce? Si drizza, alza il capo, irrigidisce le spalle e l'intera figura. Tutto in essa dice: «Io sono più grande di te! Io sono da più di te!».
Quando uno invece è di umile sentimento e si sente piccolo, china il capo, la sua persona si rattrappisce: egli «si abbassa». Tanto più profondamente, quanto più grande è colui che gli sta dinanzi; quanto meno egli sente di valere agli stessi propri occhi.
Ma quando mai percepiamo noi più chiaramente la nostra pochezza di quando stiamo dinanzi a Dio? Al grande Iddio che era ieri come è oggi, tra secoli e millenni! Al grande Iddio che riempie questa stanza e l'intera città ed il vasto mondo e l'incommensurabile cielo stellato, dinanzi a cui tutto è come un granello di sabbia! Al Dio santo, puro, giusto, infinitamente sublime...
Come è grande Lui... e come son piccolo io! Così piccolo che non posso neppure mettermi a confronto con Lui, che dinanzi a Lui sono un nulla! 
Non è vero - e vien con tutta evidenza da sé - che non si può stare da superbi dinanzi a Lui? Ci si «fa piccoli»; si vorrebbe impicciolire la propria persona, perché essa non si presenti così, con tanta presunzione: l'uomo s'inginocchia.
E se al suo cuore questo non basta ancora, egli può inoltre prostrarsi.
E la persona profondamente chinata dice: «Tu sei il Dio grande, mentre io sono un nulla!». Quando pieghi il ginocchio, non farlo né frettolosamente né sbadatamente. Dà all'atto tuo un'anima!
Ma l'anima del tuo inginocchiarti sia che anche interiormente il cuore si pieghi dinanzi a Dio in profonda reverenza. Quando entri in chiesa o ne esci, oppure passi davanti all'altare, piega il tuo ginocchio profondamente, lentamente; ché questo ha da significare: «Mio grande Iddio!...».

Ciò infatti è umiltà ed è verità ed ogni volta farà bene all'anima tua.

- Don Romano Guardini -
Da: “I santi segni (originale 1927), in Romano Guardini, Lo spirito della liturgia, Morcelliana, Brescia, 1980, pp. 140-141


“In generale l’uomo non prega volentieri. E’ facile che egli provi, nel pregare, un senso di noia, un imbarazzo, una ripugnanza, una ostilità addirittura. Qualunque altra cosa gli sembra più attraente e più importante. 
Dice di non aver tempo, di aver impegni urgenti, ma appena ha tralasciato di pregare, eccolo mettersi a fare le cose più inutili.
L’uomo deve smettere di ingannare Dio e se stesso.
E’ molto meglio dire apertamente:
“Non voglio pregare”.

- Don Romano Guardini - 



“La preghiera è un anelito, un sussulto 
del cuore, è un soffio che non sai di dove viene e non sai dove va.
La preghiera è un  incontro, a volte uno scontro, spesso un’attesa.
E’ il pianto di Pietro al canto del gallo,
è lo stabat di Maria ai piedi della croce.
La preghiera è un attimo di eterno,
è una scelta d’amore,
è un bacio che accarezza un viso.
La preghiera è un ricordo e un progetto,
è un grido ed è silenzio.
Sono le lacrime di chi piange per chi non piange,
sono le suppliche della terra, le lodi della Chiesa.
La preghiera è il nostro respiro, la nostra vita, il nostro tutto.
Non c’è uomo che non prega,
c’è solo un uomo che non sa di pregare”.


Buona giornata a tutti. :-)




giovedì 19 gennaio 2017

Il Segno della Croce - don Romano Guardini

Quando fai il segno della croce, fallo bene. Non così affrettato, rattrappito, tale che nessuno capisce cosa debba significare.

No, un segno della croce giusto, cioè lento, ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all'altra. Senti come esso ti abbraccia tutto? 
Raccogliti dunque bene; raccogli in questo segno tutti i pensieri e tutto l'animo tuo, mentre esso si dispiega dalla fronte al petto, da una spalla all'altra. Allora tu lo senti: ti avvolge tutto, corpo ed anima, ti raccoglie, ti consacra, ti santifica.

Perché? Perché è il segno della totalità ed è il segno della re­denzione. 
Sulla croce nostro Signore ci ha redenti tutti. Mediante la croce Egli santifica l'uomo nella sua totalità fin nelle ultime fibre del suo essere.

Perciò lo facciamo prima della preghiera, affinché rimanga in noi quello che Dio ci ha donato. Nella tentazione, perché ci irrobustisca. Nel pericolo, perché ci protegga. Nell'atto della be­nedizione, perché la pienezza della vita divina penetri nell'anima e vi renda feconda e consacri ogni cosa.

Pensa quanto spesso fai il segno della croce. E il segno più santo che ci sia. Fallo bene: lento, ampio, consapevole. Allora esso abbraccia tutto l'essere tuo, corpo ed anima, pensieri e volontà, senso e sentimento, agire e patire, e tutto vi viene irrobustito, segnato, consacrato nella forza di Cristo, nel nome del Dio uno e trino.

- don Romano Guardini -
Fonte: “Lo spirito della liturgia. I Santi Segni”. Ed.Morcelliana 2005




Inginocchiarsi 

Quando pieghi il ginocchio non farlo nè frettolosamente nè sbadatamente. 
Dà all’atto tuo un’anima. 
Ma l’animo del tuo inginocchiarti sia tale che anche interiormente, il cuore si pieghi dinnanzi a Dio in profonda riverenza. 
Quando entri in chiesa o ne esci oppur passi davanti all’altare piega il tuo ginocchio profondamente lentamente; che questo ha da significare Mio grande Dio!!!. 
Ciò infatti è umiltà è verità ed ogni volta farà bene alla tua anima” 

- don Romano Guardini -




Il coraggio di osare

Signore Gesù, fammi conoscere chi sei.
Fa sentire al mio cuore la santità che è in te.
Fa' che io veda la gloria del tuo volto.
Dal tuo essere e dalla tua parola,
dal tuo agire e dal tuo disegno,
fammi derivare la certezza che la verità e
 l'amore sono a mia portata per salvarmi.
Tu sei la via, la verità e la vita.
Tu sei il principio della nuova creazione.
Dammi il coraggio di osare.
Fammi consapevole del mio bisogno di conversazione,
e permetti che con serietà lo compia,
nella realtà della vita quotidiana.
E se mi riconosco, indegno e peccatore,
dammi la tua misericordia.
Donami la fedeltà che persevera e la fiducia che comincia
sempre, ogni volta che tutto sembra fallire.

- don Romano Guardini - 




Buona giornata a tutti. :-)




sabato 5 dicembre 2015

Il senso del messaggio del Natale – don Romano Guardini -

Che cosa significa dunque Natale? Ora dobbiamo avanzare verso il nucleo della fede cristiana, poiché la risposta può essere data solo se si parte da esso.

Anche sull'essenza del cristianesimo esistono definizioni annacquate e corrotte; e anche da esse devono venir purificate le parole, perché il cristiano possa render loro onore. 
Il cristianesimo non è la religione dell'amore del prossimo, o dell'interiorità, o della personalità o di quant'altro di questo genere si possa ancora dire. Naturalmente, in tutto ciò v'è qualcosa di esatto, ma come un secondo aspetto, che acquisisce il suo senso solo quando è chiaro ciò che è primo e autentico. Ma questo significa che nella Rivelazione Dio manifesta se stesso in un modo in cui nessuna esperienza psicologica o comprensione filosofica può manifestarlo.

L'Antico Testamento ci mostra un avvenimento possente: come Dio s'attesti, in quanto è Colui il quale è, indipendente di fronte a tutto ciò che si chiama «mondo». «Io sono Colui che io sono», Egli risponde sull'Oreb all'uomo Mosè, che gli chiede il suo nome (Es 3, 14). Questo nome è dunque «Colui che sono». Quel concetto che ogni essere rivendica per sé e vuol dire solo che esso è, invece di non essere, il più universale e perciò il più semplice, è per Lui «nome», espressione della sua unicità. 
Quale abisso di pensiero che la parola «Io sono» sia nome di Dio, che come tale non spetta ad alcun altro essere! 
Infatti il mondo non «è» in senso puro e semplice, ma è in virtù di Lui: da Lui creato, totalmente e assolutamente e senza alcun dato previo. 
Creato in pura libertà, senza costrizione, foss'anche soltanto tale da trovarsi solo in Dio. 
Esso è «davanti» a Lui; provenendo da Lui e a Lui diretto.

Questo Dio è Uno - per il motivo che Egli è realmente «Dio», che non può stare mai al plurale. 
Attraverso il corso della Rivelazione antico testamentaria il messaggio dell'uno e unico Dio viene continuamente proclamato e sostenuto contro resistenze, che fiaccherebbero ogni energia diversa da quella del suo Spirito. Sostenuto in un ambiente, in cui da ogni punto di vista psicologico e storico dovrebbe essere impossibile. Infatti l'ambito di vita del popolo ebraico si trovava nelle sfere d'influenza delle più poderose civiltà e culture politeistiche: quella egiziana, quella babilonese, quella assira, quella persiana, infine quella greca e romana. 
Fu assolutamente un miracolo - prendendo la parola nel senso netto e genuino - che questa fede non abbia potuto essere sradicata da alcunché. 
Qui tutte le linee di collegamento col mito vennero troncate. 
Il mito infatti parla della divinità del mondo, che si presenta in forme sempre nuove; al contrario la fede in Dio propria della Rivelazione antico testamentaria confessa l'assoluta sovranità del Dio Uno, cui appartiene ogni attributo di divinità.

Ma poi avviene qualcosa di misterioso. Nella Rivelazione neotestamentaria, nella coscienza di Gesù, nel modo in cui Egli parla di Dio, tratta con Lui, rapporta a Lui la propria esistenza, si fanno chiare distinzioni che non hanno relazione con nulla di mitico. 
Questo Dio è l'Uno e Unico, ma non è solitario. 
In Lui v'è un mistero di comunione, v'è «Io» e v'è «Tu», e i nomi che Gesù cita per indicarli sono «Padre», «Figlio» e «Spirito Santo». 
Questi nomi non hanno relazione di sorta con le rappresentazioni di generazioni del mito, con i suoi dèi-padri e dèi-figli, ma esprimono ciò che sta al di sopra d'ogni concepire ed esprimere. Non è lecito però abbandonarli, poiché Dio stesso ce li ha dati, e sono le porte d'accesso al suo mistero.

Ora ci viene rivelato che questo Figlio è entrato nel mondo. Ma ciò in un senso inaudito. Non solo per via psicologica, nell'animo di una persona pia profondamente dotata; non solo in termini spirituali, nei pensieri di una grande personalità; realmente, storicamente invece, così da produrre l'unità personale con un essere umano. 
Dio s'è fatto uomo, figlio di una madre umana, uno di noi, ed è rimasto ciò che Egli è eternamente, Figlio del Padre nel ciclo. Egli, che come Dio era in tutto, ma sempre «dall'altro lato del confine», nell'eterno riserbo, è venuto al di qua del confine, ed è stato ora presso di noi, con noi.

Di questo evento parla il Natale. Questo è il suo contenuto, questo soltanto. Tutto il resto - la gioia per i doni, l'affetto della famiglia, il rinvigorirsi della luce, la guarigione dall'angustia della vita riceve di là il suo senso. Quando quella consapevolezza però svanisce, tutto scivola sul piano meramente umano, sentimentale, anzi brutalmente affaristico.

Sì deve dire ancora qualcosa, e mi auguro che il lettore, associandosi a me col suo pensiero, aiuti a far sì che divenga chiaro. Quando sentiamo di ciò che è così inaudito; di un agire divino, che non conosce alcun esempio; che non ha nulla, proprio nulla in comune con i miti del connubio d'una divinità con una donna terrena; che invece è qualcosa di assolutamente unico, il cui concetto viene accolto solo dalla sua Rivelazione propria, e con le sue parole si può esprimere - allora ci chiediamo involontariamente: perché ciò avviene? Se la parola dell'Incarnazione di Dio deve essere intesa così come ce la dice il Nuovo Testamento: perché Dio agì così? In assoluto, può Egli fare una cosa del genere? Tale enunciazione è compatibile con il concetto puro di Dio? O significa, come anzi si afferma continuamente, appunto una ricaduta nel mito?

Quale aspetto prende allora il concetto «puro» di Dio cui ci si riferisce quando si vuole giudicare un'enunciazione religiosa? È quell'idea, a far emergere la quale si sono sforzati due millenni e mezzo di pensiero occidentale: l'idea dell'Assoluto. Di quell'essere, di quell'ente, che è immune da ogni limitazione; eterno, infinito, perfetto in ogni direzione che si possa escogitare. Così è Dio, dice la metafisica, e ha ragione. L'idea con cui pensiamo Dio - cerchiamo di pensarlo - in realtà può essere soltanto la più nobile. Dio è l'Assoluto. Ma è solo questo? Un Dio soltanto Assoluto può farsi uomo? Nella serietà e nella verità, come lo intende il Nuovo Testamento? A questo interrogativo non potremo rispondere altrimenti che con un «no». Con tale immagine di Dio non si può collegare una vicenda del genere. Così sembra che siamo posti di fronte a una difficile decisione: quella di eliminare l'Incarnazione, per preservare la sovranità di Dio - o invece, per mantenere la sua pensabilità, di assumere un'essenza di Dio che possa semplicemente unirsi col mondo, e allora saremmo nel mito.

Proprio qui sta il centro del significato della Rivelazione. L'alternativa non è: l'Assoluto - o il mito. Dio non è, come ha detto Pascal, il «Dio dei filosofi»; dunque colui che sarebbe rinchiuso entro i concetti di necessità propri dell'assolutezza, e dal quale si dovrebbe staccare, in quanto priva di senso, un'idea come quella dell'Incarnazione. Non è però nemmeno un nume mitico, che possa entrare in tutti i possibili legami e trasformazioni. Egli è se stesso, e respinge qualsiasi subordinazione ai nostri concetti. No, l'alternativa, davanti alla quale siamo posti, o, detto più esattamente, la decisione da cui tutto dipende, è questa: se nella nostra vita vogliamo avere una reale Rivelazione o no. 
Se nel nostro pensare vogliamo partire dal giudizio di Dio o dal nostro proprio. 
In una parola: se vogliamo credere o essere increduli.

La Rivelazione ci dice: tu non puoi determinare se l'Incarnazione di Dio sia possibile partendo da te stesso, da nessun criterio terreno, fosse anche il più alto; devi invece accogliere nella fede che essa sia avvenuta, e giudicare movendo da essa. Tu non puoi dire partendo da te stesso come sia costituito, di che tipo sia il Dio «puro», ma devi percepire nella fede chi Egli manifesti d'essere, e pensarlo in corrispondenza a tale manifestazione. Allora ti renderai conto interiormente che Dio è appunto «Colui che attua l'Incarnazione». Il fatto dell'Incarnazione è esso stesso Rivelazione, anzi quella autentica e colmante. Essa dice: Dio è tale da essere in grado di farsi uomo. Egli è tale che, ai suoi occhi, per parlare col linguaggio della Genesi, è «cosa buona» e «molto buona» compierla (Gv 1, 10.12.18.25.31). Ma il motivo, di cui si parla così alla leggera, cioè che Dio lo fa per amore, anzi che Egli è Colui che ama in senso puro e semplice - risulta chiaro solo in ragione di questo, e viene così espresso: quell'intento, per il quale Dio attua l'inaudito fatto dell'Incarnazione - appunto ciò è l'amore. L'amore, di cui parla la Rivelazione, non è un valore etico universale; non è un orientamento, in sé determinato, del voler bene o della bontà, non un sentimento del cuore umano direttamente comprensibile, o che altro si voglia. La parola «amore» non è qui in assoluto un concetto, bensì un nome: un nome per indicare qualcosa che esiste solo una volta, e precisamente per designare l'intendimento di Dio. Per coglierlo, non si può partire da criteri preesistenti, ma ci si deve inserire in quelle vicende, in cui si compie la Rivelazione, e lo si deve pensare nelle parole, che questa stessa fornisce. Allora ha inizio la metànoia, la svolta o conversione dello spirito. Tutto si cambia, tutto diventa giusto, si rettifica, e si schiudono pensieri d'una grandezza e intimità a un tempo che, come dice Paolo, «superano ogni comprensione» (Fil 4, 7).

È questo ciò che proclama a noi il messaggio di Natale, quando ci stanchiamo delle realtà apparenti e fallaci e vogliamo ascoltare quanto è autentico.

(don Romano Guardini)

Romano Guardini, Natale e Capodanno. Pensieri per far chiarezza,  Morcelliana, 1994, pp.




"Non più silenzio, chiacchiere senza fine. Si parla sempre, a voce alta, profusamente. Si parla, si scrive, si ascolta su tutto. 
Non c'è più nulla di santo; non ha più senso, non esiste più una sicura zona di silenzio, non conta più niente, neppure la cosa più degna di venerazione. 
Si parla di tutto riducendo a pezzi e frammenti ogni oggetto, senza rispetto né vergogna: nei giornali, nella società, nelle sale di adunanze. 
Si allineano ogni sorta di parole: quelle elevate, quelle acute, quelle sagge e profonde, quelle ribelli, quelle commoventi, tutte."


- don Romano Guardini - 



Tocca il mio animo col soffio della tua eternità, affinché io compia bene la mia opera nel tempo e possa un giorno portarla nel tuo regno eterno»

- Romano Guardini -
Preghiere teologiche


Buona giornata a tutti. :-)






  

lunedì 22 settembre 2014

La croce è troppo pesante - Don Romano Guardini -

Signore, 
la Croce è troppo pesante per Te 
e tuttavia Tu la porti 
perché il Padre lo vuole, per noi. 
Il suo carico 
è superiore alle Tue forze 
e tuttavia Tu non la rifiuti. 
Cadi, ti rialzi e prosegui ancora. 
Insegnami a capire 
che ogni vera sofferenza 
presto o tardi, in un modo
o nell’altro 
risulterà alla fine troppo pesante 
per le nostre spalle, 
perché non siamo creati per 
il dolore, ma per la felicità. 
Ogni Croce sembrerà superiore alle forze. 
Sempre si udirà il grido stanco 
e pieno di paura: “Non ne posso più!”. 
Signore, aiutami in quell’ora 
con la forza della Tua pazienza e del Tuo Amore 
affinché non mi perda d’animo. 
Tu sai quanto grande può essere 
il peso di una Croce. 
Non ci imputare il diventar deboli, 
ma aiutaci a rialzarci. 
Rinnovami nella pazienza, 
infondimi la Tua forza nell’anima. 
Allora mi rialzerò di nuovo, 
accetterò il mio peso e andrò oltre.

- don Romano Guardini -
In "L'essenza del Cristianesimo"



Felice Casorati

Se talvolta la noia attraversa la nostra solitudine, non è forse perché viviamo in compagnia del nostro io e non in compagnia di Dio che ci abita?



- Eugenie Smet -





"Abbiamo di Dio una falsa e povera immagine; e ci è difficile obbedire al primo comandamento (“Amerai Dio con tutto il cuore”) perchè ci sta di fronte un Dio assai poco amabile. Temibile piuttosto, onnipotente, sapiente architetto, sommo regolatore ed anche grande punitore. Non è amabile un Dio cosiffatto. E infatti non lo amiamo. Lo temiamo, lo rispettiamo, lo ammiriamo; ma l'amore – l'amore appassionato e passionale di cui parla la Bibbia – è un'altra cosa; e noi difficilmente riusciamo a riferirlo a lui. A questo punto c'è da chiederci se siamo cristiani , o addirittura se possiamo essere cristiani, finchè permane in noi un'idea di Dio che ci rende tanto arduo – addirittura quasi impossibile – quel primo comandamento dell'amore. Noi amiamo Dio e siamo cristiani nella misura in cui quell'idea si dissolve e ad essa ne subentra una più consona alla realtà del Dio – Amore...”

Adriana Zarri
da: "In quale Dio crediamo"



Il volto di Cristo rappresenta per sempre l’icona vivente dell’amore. 
Questo volto dei volti, questo volto di un uomo, sfigurato per amore e trasfigurato dall’amore, è il volto stesso di Dio. 



(Olivier Clement)





Buona giornata a tutti :-)




domenica 27 luglio 2014

La santa libertà dei Figli di Dio - Don Romano Guardini -

Quando creasti l’uomo tu, o Signore, gli desti la libertà.
Quel che vive altrimenti è legato alle leggi della natura.
La pianta cresce come deve 
e l’animale segue la necessità del suo essere;
all’uomo invece hai dato il segreto dell’intimo principio.
Egli può agire da sé: così il suo fare gli appartiene 
e nel suo fare possiede se stesso.
In questa libertà doveva servirti, 
ma egli l’ha usata per ribellarsi contro di te.
Allora essa si è corrotta ed egli è diventato schiavo. 
Tu però non l’hai abbandonato a se stesso.
Hai mandato tuo Figlio nel mondo 
ed egli ha annunziato all’uomo una libertà nuova e più alta.
Egli chiama ciascuno di noi e gli porge la mano,
affinché creda in lui, 
gli obbedisca e vinca così la schiavitù.
Dammi il tuo Spirito affinché io intuisca 
la divina libertà in cui sta il Cristo
e senta il desiderio della «gloriosa libertà dei Figli di Dio», 
che egli solo è in potere di dare.
Io sono in questo mondo ed esso mi spinge e mi lega;
sono pieno delle forze della mia natura 
ed esse mi agitano e mi illudono.
Mi dia lo Spirito la persuasione 
che io sono chiamato all’eterna libertà in te.
Egli mi aiuti nelle esigenze 
e nei bisogni d’ogni ora a lottare per essa 
e a far posto alla sua santità.
E in ogni concatenazione di eventi, 
in ogni miseria e apparente inutilità
mi doni l’indomita speranza di quel giorno, 
nel quale cadranno tutti i lacci
ed io sarò partecipe della «santa libertà dei Figli di Dio». Amen.


- Don Romano Guardini - 



Un cannibale è ingenuo: prima mangia qualche missionario, poi, avendo provato che in fin dei conti non sono così buoni da mangiare come lo sono da sentire, si mette ad ascoltarne la predicazione.

Ma con uno scristianizzato è molto dura: crede di sapere già chi è Cristo e quindi non ti ascolta più.
È la peggiore ignoranza!
Non quella del primitivo che sa di ignorare e giunge già alla sapienza più feconda, che è quella dell'ascolto. 
Ma quella del mezzo-sapiente, che crede di sapere mentre non sa, e quindi ignora di ignorare.

- Fabrice Hadjaji -
Come parlare di Dio oggi?


«Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua. Però riconosco che la gioia non si vive allo stesso modo in tutte le tappe e circostanze della vita, a volte molto dure. 
Si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto. 
Capisco le persone che inclinano alla tristezza per le gravi difficoltà che devono patire, però poco alla volta bisogna permettere che la gioia della fede cominci a destarsi, come una segreta ma ferma fiducia, anche in mezzo alle peggiori angustie: 
Sono rimasto lontano dalla pace, ho dimenticato il benessere. 
Questo intendo richiamare al mio cuore, e per questo voglio riprendere speranza. 
Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie. Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà. 
È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore.»

(dalla Lettera Apostolica "Evangelii Gaudium" di Papa Francesco, 2013)




"Tanto il credente quanto l’incredulo, ognuno a suo modo, condividono dubbio e fede, sempre che non cerchino di sfuggire a se stessi e alla verità della loro esistenza. 
Nessuno può sfuggire completamente al dubbio, ma nemmeno alla fede; per l’uno la fede si rende presente contro il dubbio, per l’altro attraverso il dubbio e sotto forma di dubbio."


- Joseph Ratzinger -
Introduzione al cristianesimo, 2005

























Buona giornata a tutti :-)

sabato 22 marzo 2014

La solitudine della fine sarà tremenda - don Romano Guardini -

Il patrimonio culturale della Chiesa non potrà sfuggire alla generale decadenza della tradizione e là dove esso ancora sussisterà sarà assalito da molti problemi. Ma per quanto concerne il dogma, è essenziale alla sua natura il sopravvivere ad ogni mutamento di tempi, poiché esso è fondato nel sovratemporale; si può tuttavia supporre che di esso si avvertirà in modo particolare il carattere di guida della vita. 
Quanto più il cristianesimo si affermerà di nuovo come cosa non spontanea ed automatica, e si distinguerà decisamente dalla dominante concezione non-cristiana della vita, tanto più emergerà nettamente nel dogma, accanto all’ elemento teoretico, quello pratico ed esistenziale. 
Non c’è certamente bisogno che io sottolinei che non intendo con ciò alcuna «modernizzazione»; nessuna attenuazione qualsiasi né di contenuto, né di valore. Al contrario il carattere di incondizionata assolutezza della sua espressione e del suo imperativo si accentueranno più fortemente. 
E in questa assolutezza si avvertiranno la definizione dell’esistenza e l’orientamento della condotta.
Così la fede sarà capace di resistere nel pericolo. 
Nel rapporto con Dio emergerà decisamente l’elemento dell’obbedienza. Obbedienza pura, la quale sa che si tratta delle cose supreme, che solo per l’ubbidienza possono realizzarsi. Non perché l’uomo sia «eteronomo», ma perché Dio è santità assoluta. 
Un atteggiamento assolutamente non-liberale dunque, orientato con assolutezza verso l’assoluto, ma nella libertà, e per questo distinto da tutte le violenze. 
Questa assolutezza non è una resa alla forza fisica o psichica del comando: ma l’uomo per essa accoglie nel suo atto la qualità del comando divino. 
E questo suppone la maturità del giudizio e la libertà dell’opzione.
Ed una fiducia che solo qui è possibile. Non fiducia in un ordine razionale del tutto, o in un principio ottimistico di benevolenza, ma in Dio, nella sua realtà e nella sua azione, in Dio, che è all’ opera ed agisce. Se non sbaglio, l’Antico Testamento va assumendo un significato particolare: esso mostra il Dio vivente, che spezza e irrompe sia attraverso l’incantesimo mitico del mondo sia attraverso le potenze politiche pagane della terra, e l’uomo credente che, accettando l’Alleanza, si ricollega a questa azione di Dio. 
E si comprenderà l’importanza di questo. 
Quanto più crescono le forze anonime, tanto più la «vittoria che vince il mondo» [1 Gv. 5,4], la fede, si attua in una conquista di libertà, nell’accordo della libertà donata all’uomo e della libertà creatrice di Dio. 
E nella fiducia in ciò che Dio fa non soltanto nel suo operare, ma nel suo agire. 
È singolare questo presentimento di possibilità divine, in mezzo alla crescente oppressione del mondo!
Questo incontro di assolutezza e di personalità, di incondizionatezza e di libertà, renderà il credente capace di resistere, senza luogo e senza rifugio, e di riconoscere la direzione. Lo renderà capace di accedere ad un rapporto diretto con Dio, attraverso tutte le situazioni della violenza e del pericolo; e di rimaner persona vivente nella crescente solitudine del mondo futuro, solitudine proprio in mezzo alle masse ed alle organizzazioni.
Se comprendiamo esattamente i testi escatologici della Sacra Scrittura, la fiducia ed il coraggio formeranno il carattere proprio della fine dei tempi. L’ambiente della cultura cristiana, l’appoggio della tradizione perderanno vigore. 
Questo sarà uno degli elementi di quello scandalo, del quale è detto che «se fosse possibile, anche gli eletti vi soccomberebbero» (Mt. 24, 24).
La solitudine nella fede sarà tremenda. 
L’amore scomparirà dalla condotta generale (Mt. 24, 12). 
Non sarà più compreso, e diverrà tanto più prezioso, nel suo passare da un solitario ad un altro solitario: forza del cuore che discende immediatamente dall’ amore di Dio, quale si è rivelato in Cristo. Forse si farà una esperienza tutta nuova in questa carità: della sua sovrana originalità, della sua indipendenza dal mondo, del mistero del suo supremo perché. 
Forse la carità acquisterà una profondità d’intimità mai prima esistita. Qualche cosa di ciò che si esprime in quelle parole che sono la chiave a comprendere il messaggio di Gesù sulla Provvidenza: che le cose si trasformano per l’uomo che ha come suo primo pensiero la volontà ed il Regno di Dio (Mt. 6, 33).
Questo carattere escatologico si rileverà, io penso, nel futuro atteggiamento religioso. Non intendiamo con ciò annunciare alcuna facile Apocalisse. Nessuno ha il diritto di dire che la fine si avvicina, quando Cristo stesso ha dichiarato che solo il Padre conosce le cose della fine (Mt. 24, 36). 
E se qui si parla di un avvicinarsi alla fine, lo si intende in senso essenziale, non temporale: la nostra esistenza giunge al traguardo della opzione assoluta e delle sue conseguenze: delle possibilità più alte e dei pericoli estremi.

don Romano Guardini
La fine dell’epoca moderna, Morcelliana, Brescia, 1984


“...L'uomo deve riconoscere la piena misura delle proprie responsabilità ed assumerla. Ma per poter far questo, deve riconquistare il giusto rapporto con la verità delle cose, con le esigenze del suo io più profondo, infine con Dio. Altrimenti soccomberà al suo proprio potere e quella "catastrofe globale", diverrà inevitabile..."

don Romano Guardini


"Si costituisce una forma di vita non cristiana, anzi per molti aspetti anti-cristiana, che si impone in modo così conseguente da apparire normale; e sembra un abuso l’esigenza della Chiesa che vuole che la vita sia determinata dalla rivelazione. 
Lo stesso credente accetta questa situazione quando pensa che le cose della religione costituiscano un settore a sé (…).
La conseguenza è che da un lato si afferma una esistenza profana, autonoma, staccata da influenze cristiane dirette, e dall’ altro nasce un cristianesimo che imita in uno strano modo questa autonomia".

Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, Morcelliana, Brescia 1984




"Il mondo moderno, lo spirito moderno, laico, positivista e ateo, credono di essersi liberati di Dio e in realtà, per chi vuole oltrepassare le formule, mai l’uomo è stato tanto imbarazzato da Dio.
Quando l’uomo si trovava in presenza degli dei, poteva più nettamente rimanere uomo. Essendo Dio al proprio posto di Dio, il nostro uomo poteva rimanere al proprio posto di uomo. Con una ironia veramente amara, è proprio nell’ età in cui l’uomo crede di essersi sbarazzato di tutti gli dei
che lui stesso non si mantiene più al suo posto di uomo, e che, al contrario, si trova ingombrato da tutti gli dei. Di fronte allo zero-Dio il vecchio orgoglio fa il suo lavoro, lo spirito umano ha perso il suo equilibrio, la bussola è impazzita"

Charles Péguy, "Zangwill"


...E per dire la verità, se cerco di immaginare un po' come sarà in Paradiso, mi sembra sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia. Così, in questo contesto di fiducia, di gioia e di amore eravamo felici e penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo senso spero di andare "a casa", andando verso l'"altra parte del mondo".

papa Benedetto  XVI - dalla "Festa delle Testimonianze" Parco di Bresso Milano 02 giugno 2012



Buona giornata a tutti :-)

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