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domenica 22 aprile 2018

22 aprile Giornata di Preghiera per le vocazioni - Dalla lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale di papa Benedetto XVI

Il Curato d’Ars era umilissimo, ma consapevole, in quanto prete, d’essere un dono immenso per la sua gente: “Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare a una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina”. 
Parlava del sacerdozio come se non riuscisse a capacitarsi della grandezza del dono e del compito affidati a una creatura umana: “Oh come il prete è grande!... Se egli si comprendesse, morirebbe... Dio gli obbedisce: egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce e si rinchiude in una piccola ostia...”. 
E spiegando ai suoi fedeli l’importanza dei sacramenti diceva: “Tolto il sacramento dell’Ordine, noi non avremmo il Signore. 
Chi lo ha riposto là in quel tabernacolo? Il sacerdote. 
Chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il sacerdote. 
Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. 
E se quest’anima viene a morire [per il peccato], chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il sacerdote... Dopo Dio, il sacerdote è tutto!... Lui stesso non si capirà bene che in cielo”. 
Queste affermazioni, nate dal cuore sacerdotale del santo parroco, possono apparire eccessive. In esse, tuttavia, si rivela l’altissima considerazione in cui egli teneva il sacramento del sacerdozio. 
Sembrava sopraffatto da uno sconfinato senso di responsabilità: “Se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo: non di spavento, ma di amore... 
Senza il prete la morte e la passione di Nostro Signore non servirebbero a niente. 
È il prete che continua l’opera della Redenzione sulla terra... 
Che ci gioverebbe una casa piena d’oro se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? 
Il prete possiede la chiave dei tesori celesti: è lui che apre la porta; egli è l’economo del buon Dio; l’amministratore dei suoi beni... 
Il prete non è prete per sé, lo è per voi”. […]

[L’esempio del Curato d’Ars] induce a evidenziare gli spazi di collaborazione che è doveroso estendere sempre più ai fedeli laici, coi quali i presbiteri formano l’unico popolo sacerdotale e in mezzo ai quali, in virtù del sacerdozio ministeriale, si trovano “per condurre tutti all’unità della carità, ‘amandosi l’un l’altro con la carità fraterna, prevenendosi a vicenda nella deferenza’ (Rm 12,10)”. 
È da ricordare, in questo contesto, il caloroso invito con il quale il Concilio Vaticano II incoraggia i presbiteri a “riconoscere e promuovere sinceramente la dignità dei laici, nonché il loro ruolo specifico nell’ambito della missione della Chiesa… 
Siano pronti ad ascoltare il parere dei laici, considerando con interesse fraterno le loro aspirazioni e giovandosi della loro esperienza e competenza nei diversi campi dell’attività umana, in modo da poter insieme a loro riconoscere i segni dei tempi”.
Ai suoi parrocchiani il santo Curato insegnava soprattutto con la testimonianza della vita. Dal suo esempio i fedeli imparavano a pregare, sostando volentieri davanti al tabernacolo per una visita a Gesù Eucaristia. “Non c’è bisogno di parlar molto per ben pregare” – spiegava loro il Curato – “Si sa che Gesù è là, nel santo tabernacolo: apriamogli il nostro cuore, rallegriamoci della sua santa presenza. È questa la migliore preghiera”.[…]
Era convinto che dalla Messa dipendesse tutto il fervore della vita di un prete […]. 
Questa immedesimazione personale al Sacrificio della Croce lo conduceva – con un solo movimento interiore – dall’altare al confessionale. 
I sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli nei riguardi di questo sacramento. 
Al tempo del santo Curato, in Francia, la confessione non era né più facile, né più frequente che ai nostri giorni, dato che la tormenta rivoluzionaria aveva soffocato a lungo la pratica religiosa. Ma egli cercò in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai suoi parrocchiani il significato e la bellezza della Penitenza sacramentale, mostrandola come un’esigenza intima della Presenza eucaristica. 
Seppe così dare il via a un circolo virtuoso. Con le lunghe permanenze in chiesa davanti al tabernacolo fece sì che i fedeli cominciassero ad imitarlo, recandovisi per visitare Gesù, e fossero, al tempo stesso, sicuri di trovarvi il loro parroco, disponibile all’ascolto e al perdono. 
In seguito, fu la folla crescente dei penitenti, provenienti da tutta la Francia, a trattenerlo nel confessionale fino a 16 ore al giorno. Si diceva allora che Ars era diventata “il grande ospedale delle anime”. 
“La grazia che egli otteneva [per la conversione dei peccatori] era sì forte che essa andava a cercarli senza lasciar loro un momento di tregua!”, dice il primo biografo. 
Il santo Curato non la pensava diversamente, quando diceva: “Non è il peccatore che ritorna a Dio per domandargli perdono, ma è Dio stesso che corre dietro al peccatore e lo fa tornare a Lui”. 
“Questo buon Salvatore è così colmo d’amore che ci cerca dappertutto”.

Tutti noi sacerdoti dovremmo sentire che ci riguardano personalmente quelle parole che egli metteva in bocca a Cristo: “Incaricherò i miei ministri di annunciare ai peccatori che sono sempre pronto a riceverli, che la mia misericordia è infinita”. 
Dal santo Curato d’Ars noi sacerdoti possiamo imparare non solo un’inesauribile fiducia nel sacramento della Penitenza che ci spinga a rimetterlo al centro delle nostre preoccupazioni pastorali, ma anche il metodo del “dialogo di salvezza” che in esso si deve svolgere.

- Papa Benedetto XVI -



"Molti lamentano la scarsità delle vocazioni ...
Non sarebbe più urgente, nell’attesa del rifiorimento delle vocazioni, usare ragionevolmente i preti, di cui ancora, grazie a Dio, si dispone?
Le vocazioni non si rarefanno per il duro del vivere sacerdotale, ma per la mancanza d’impegno, anche umano del servizio che viene richiesto.
Vi sono vicarie o decanati, che occupano dieci, venti sacerdoti per presidiare minuscole parrocchie; essi vivono nell’indigenza e nell’isolamento, consumati dall’indifferenza e dall’ostilità della gente, cui molte volte non riescono più a dare una parola viva e un’assistenza efficace. Quando viene la domenica, pesantezza e amarezza reciproca: senza contare le vertigini che dà la solitudine." 

- Don Primo Mazzolari - 


Buona giornata a tutti. :-)





giovedì 29 marzo 2018

Lavanda dei piedi, capovolgimento della vita - don Primo Mazzolari


«Io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto» (Giovanni 13,15)


Un lontano mi scrive parole, che, se non mi sorprendono, mi fanno soffrire.

«Non parteciperò al rito del giovedì santo. La lavanda mi ha sempre inchiodato. Forse passa per quest'impressione incancellabile il filo che mi tiene ancora avvinto, in un certo senso, alla chiesa. Ma se ci tornassi quest'anno con l'animo che mi hanno fatto gli avvenimenti all'insaputa di me stesso, mi verrebbe la tentazione di gridare anche contro di voi, che pur mostrate di capire tante cose: capite voi quello che fate? - Forse non l'avete mai capito: certo, adesso, non lo capite più. Quell'azione è un capovolgimento della vita e voi ne fate un rito».

Amico caro e lontano, nella mia chiesa non si fa la funzione del Mandato, ma il vangelo che lo racconta, lo leggo ugualmente a bassa voce - il tono dell'indegnità che si confessa - davanti al cenacolo, dopo l'Ufficio delle tenebre, quando non ci si vede più e ci si può vergognare di noi stessi senza falsi pudori. Lo leggo per me e, se vuoi, anche per te e per qualcun altro che soffre come noi, quantunque le parole decisive non si possano leggere che per sé.

- don Primo Mazzolari -
da: Scritti



«Gesù sapendo che era venuta per lui l'ora di passare da questo mondo al Padre»...

Per un cristiano non ci sono ore inconsapevoli; ogni ora segna il transito dal mondo al Padre, dal terrestre allo spirituale, dal parziale all'universale, dal temporale all'eterno.
Il distacco, che prepara il transito, non può avvenire che per un accrescimento d'amore, vale a dire nella luce della carità del Padre, che non conosce limiti. «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine».
Un «passaggio» o una «conversione» che diminuisse le affezioni naturali e ci sottraesse alle parziali emozioni che tali affetti giustamente ci comandano, non sarebbe un'ascensione.
Si sale verso il Padre, con cuore purificato, ma non separato. 
Il nostro vero patrimonio umano ce lo portiamo con noi per accrescerne il valore nella santità.
Niente ci deve impedire di portare «sino alla fine», nella pienezza della carità, i nostri vincoli umani: neanche la presenza del traditore, neanche la possibilità di piegare per altre vie le resistenze delle creature.
Proprio quando Gesù sa che «il diavolo aveva già messo in cuore» a Giuda Iscariota di tradirlo, quando ha la certezza che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che stava per ritornare a Dio «...si levò da tavola, depose le sue vesti e preso un asciugatoio, se ne cinse...».
Facendosi uomo aveva preso «la forma del servo». Ma nessuno se n'era accorto fino a quel momento, tanto era in alto il Maestro nella sua così comune umanità. 
Operava grandi miracoli, si trasfigurava sul monte, predicava con autorità mai vista, parlava come un profeta non aveva mai parlato.
Gli uomini avevano bisogno di vedere il servo, in una forma evidente, inequivocabile. L'amore ve l'avrebbe fissato per sempre e in un gesto che sfida le false grandezze e le false dignità create dal nostro orgoglio.
«Si levò da tavola, depose le sue vesti, e preso un asciugatoio se ne cinse. Poi mise dell'acqua in un catino, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio».
Non ha cominciato né da Pietro né da Giovanni; forse da Giuda, per subito gustare l'estrema ripugnanza di servire l'inservibile, di amare l'inamabile.
Quando arriva a Pietro si sente dire: - Tu Signore, lavare i piedi a me? - 
Pietro misurava soltanto la propria miseria, e non poneva l'occhio sul mandato di carità che lo avrebbe impegnato come seguace di Cristo, per tutta la vita.
- Tu non sai ora quello che io faccio, ma lo capirai dopo. - 
Capiva il fatto dell'umiliazione, non capiva la lezione che il Maestro intendeva dargli attraverso il mistero dell'umiliazione. Pietro voleva aver parte con Cristo immaginando chi sa quali ricompense; per questo era disposto a farsi lavare anche le mani e il capo. Neanche il primo degli apostoli sapeva che l'unica condizione per aver parte con lui, è legata, più che a una lavanda materiale, alla continuazione di quella carità che il Cristo veniva istituendo con un atto quasi sacramentale.
«Come dunque ebbe loro lavato i piedi ed ebbe riprese le sue vesti, si mise di nuovo a tavola, e disse loro: - Capite quel che vi ho fatto?».
E poiché gli apostoli non capivano l'istituzione della carità, che doveva precedere di poco l'istituzione del sacramento della carità, il Maestro è costretto a continuare la lezione.
«Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene perché lo sono. Se dunque io che sono il Signore e Maestro v'ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Poiché io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come v'ho fatto io».
L'istituzione dell'eucaristia si chiude con parole quasi eguali: - Fate questo in memoria di me. -
I cristiani di tutti i tempi hanno trovato più facile ripetere la presenza eucaristica della presenza della carità, dimenticando che non si può capire una mensa dalla quale, almeno uno, dietro l'esempio del Maestro, non si alzi per continuare nel mondo quella carità che è il fermento celeste del pane del mistero.

- don Primo Mazzolari -
da: Scritti

Milano - Chiesa del Santo Sepolcro - Lavanda dei piedi - Terracotta del 1500


Amico lontano e caro, non ti dico: torna anche quest'anno al rito del Mandato. Non ti dico neppure: non chiederti se noi comprendiamo quello che il Cristo ha fatto.
Appunto perché hai l'impressione che nelle nostre chiese ciò che tu giustamente chiami il capovolgimento sia in pericolo di diventare una semplice «forma rituale», io ti scongiuro di non fermarti quest'anno nella navata della tua chiesa, spettatore indeciso e indisposto. 
Portati avanti, fino alla tavola eucaristica per «levarti» subito dopo la comunione, non come un commensale qualunque, ma come un servo dell'Amore che deve cambiare il mondo.
I «capovolgimenti» non si attendono, si fanno. «Se sapete queste cose, siete beati se le fate».

- don Primo Mazzolari -
da: Scritti



Siamo qui

Siamo qui, Signore Gesù.
Siamo venuti come colpevoli che ritornano
al luogo del loro delitto.
Siamo venuti come colui che ti ha seguito,
ma ti ha anche tradito,
tante volte fedeli e tante volte infedeli.
Siamo venuti per riconoscere il misterioso rapporto
tra i nostri peccati e la tua Passione,
l'opera nostra e l'opera tua.
Siamo venuti per batterci il petto
e domandarti perdono,
per implorare la tua misericordia.
Siamo venuti perché sappiamo che tu puoi,
che tu vuoi perdonarci
perché hai espiato per noi.
Tu sei la nostra redenzione e la nostra speranza.


                                                       - Papa Paolo VI - 

da: "La vita in Cristo e nella Chiesa", maggio 2014, pag. 53



Mentre il sole volge alla fine del suo corso e la luce del tramonto cede il posto alla tenebra, i colori del crepuscolo risplendono sulla comunità radunata nel cenacolo antico e nuovo: l’ora è giunta.
Radunati intorno all’altare per celebrare la Santa Cena, inebriati dal profumo del balsamo che sale dal Sacro Crisma, contempliamo nell’Eucarestia il nostro Salvatore, che lava i nostri piedi ed offre la sua vita.
Non teme il tradimento del nostro peccato, come non esitò di fronte a quello di Giuda, si dona pienamente e totalmente: tutto se stesso per noi, per sempre, perché Egli è l’Amore incondizionato.
Nel silenzio della Chiesa, muta di fronte ad un gesto così alto di donazione, nessuna parola.
L’attenzione è tutta verso quel tabernacolo in cui è presente l’Amato e la mente torna alle parole di Didaché: «Come questo pane spezzato era disperso sui monti e, raccolto, è divenuto uno, così la tua Chiesa sia raccolta dalle estremità della terra nel tuo regno» (IX, 4).

- Padre Giuseppe Midili - 




sabato 24 marzo 2018

Il vecchio violino - don Bruno Ferrero

Ad una vendita all'asta, il banditore sollevò un violino.
Era impolverato, graffiato e scheggiato.
Le corde pendevano allentate e il banditore pensava non valesse la pena di perdere tanto tempo con il vecchio violino, ma lo sollevò con un sorriso.
"Che offerta mi fate, signori?" gridò.
"Partiamo da...50 euro!".
"Cinquantacinque!" disse una voce.
Poi sessanta.
"Sessantacinque!" disse un altro.
Poi settanta.
"Settanta euro, uno; settanta euro, due; settanta euro...".
Dal fondo della stanza un uomo dai capelli grigi avanzò e prese l'archetto.
Con il fazzoletto spolverò il vecchio violino, tese le corde allentate, lo impugnò con energia e suonò una melodia pura e dolce come il canto degli angeli.
Quando la musica cessò, il banditore, con una voce calma e bassa disse:
"Quanto mi offrite per il vecchio violino?".
E lo sollevò insieme con l'archetto.
"Cinquecento, e chi dice mille euro? Mille!
E chi dice millecinquecento?
" Millecinquecento, uno...millecinquecento, due...millecinquecento e tre... aggiudicato!" Disse il banditore.
La gente applaudì, ma alcuni chiesero:
"Che cosa ha cambiato il valore del violino?".
Pronta giunse la risposta:
"Il tocco del Maestro!".

Se in qualche circostanza della vita ci si ritrova come vecchi violini, inutili, impolverati, graffiati e scheggiati; niente paura.
Abbiamo una certezza: siamo in grado di fare cose meravigliose.
Basta "il tocco del Maestro"....

- don Bruno Ferrero - 




Talvolta si tende a circoscrivere il termine «carità» alla solidarietà o al semplice aiuto umanitario. 
E’ importante, invece, ricordare che massima opera di carità è proprio l’evangelizzazione, ossia il «servizio della Parola».

- papa Benedetto XVI - 
Messaggio per la Quaresima 2013


 Cristo salvezza

Le orecchie del mio cuore,
Signore, sono davanti a te.
Aprile e dì all'anima mia:
io sono la tua salvezza.

Rincorrerà questa voce
e così ti raggiungerà;
tu non nascondermi il tuo volto:
che io muoia,
per non morire e contemplarlo.
Dillo, che io lo senta.

Signore, sono io che ti faccio morire,
eppure oso guardarti.

Pietro ti guarda e si salva
il buon ladrone ti guarda e si salva
il centurione ti guarda e si salva.

I farisei non hanno guardato Gesù,
Giuda ha baciato Gesù senza guardarlo

Io ti faccio morire, ma ti guardo.

Voglio che tu mi apra la piaga del tuo cuore,
perché mi ci nasconda dentro,
che i tuoi angeli dischiodano le tue braccia,
perché esse mi sollevino sopra la mia polvere di peccato,
che essi distacchino i tuoi piedi benedetti,
perché mi conducano lontano
(da) in questo mondo che non vuol credere al tuo amore.

- don Primo Mazzolari -


Buona giornata a tutti. :-)







mercoledì 20 dicembre 2017

Don Primo Mazzolari omelia Natale 1931

Arriviamo a questo Natale con due angosce nel cuore e vorremmo poterle deporle e guarire davanti al Presepio. Avremo la pace o la guerra?
Come si risolverà la crisi economica, che per alcuni di voi è perdita di guadagno e di ricchezza, per molti: disoccupazione, strettezze di ogni genere, fame? Cosa vi posso dire?
Come uomo, nulla… Come prete?
Come prete… ho il dovere di parlarvi e voi di ascoltare una parola chiara e audace, la quale non è la solita affermazione: si sta male e va male perché abbiamo abbandonato la strada della religione.
Se mi accontentassi di questa risposta, avreste ragione di non essere soddisfatti…
Perché si sta tanto male, oggi? Quasi tutti sono d'accordo nel dire che la colpa è delle barriere.
Quali barriere? Tutte: dalle doganali alle nazionali, dalle individuali alle collettive, anche quelle che sembrano giustificate dai sacri egoismi.
Trovata la causa, trovato il rimedio: demoliamo le barriere!
Parrebbe una cosa facile, invece, sia perché manchi la volontà o l'animo,
nessuno ci si prova, o trovandovisi non conclude.
Vedo gente che col pretesto di demolire qualche barriera ha finito per innalzare di nuove e di più gravi.
Cosa pensa la religione delle barriere?
Le barriere sono costruzioni umane: Dio non le ha volute, né comandate.
Dio non ha fatto le montagne, i fiumi, i mari, perché dividessero i popoli,
come, distribuendo variamente i suoi doni di fecondità, di forza, di intelligenza, non ha inteso che servissero come motivo di separazione e di differenza tra gli uomini.
Neppure il muro di casa o la cinta del campo, neppure la diversità degli usi,
del linguaggio, dei colori, niente è divisorio nel pensiero divino.
Quindi, la religione non approva nessuna barriera… Dove nascono le barriere?
Da una prima barriera, che a buon diritto porta il nome di originale:
quella che l'uomo ha innalzato tra se e Dio. Le rimanenti non sono che l'ombra di quella.
Non vedendo più Dio, l'uomo non ha più visto neppure il fratello e si è fatto furbo, padrone, prepotente, nemico.
Non vedendo più il padre, l'uomo ha cercato di diventare provvidenza a se stesso in qualunque modo…
Noi non siamo capaci di distruggere le barriere.
È l'opera delle nostre mani e ne siamo perdutamente innamorati.
Fu necessario che venisse Uno di là, Gesù Cristo a spezzare il muro…
Le barriere tra gli uomini cadranno soltanto quando, in unione col Cristo vorremo la ripresa in pieno dell'unità tra il cielo e la terra.
La nostra impotenza di mente, di volontà e di cuore può essere superata dalla forza che viene dal Signore.
Noi l'abbiamo, nelle nostre raffigurazioni lasciato allo stato di Bambino e di Crocifisso, cioè in una condizione di impotenza.
Ma pure in tale rappresentazione che dice la nostra mancata collaborazione e quindi la nostra grande responsabilità, Gesù Cristo ci parla e ci illumina, in quanto che in lui sofferente come Bambino e come Crocifisso, noi possiamo intravedere gli effetti spaventosi delle nostre divisioni, cioè dei nostri peccati.
Nel Presepio vediamo bambini di tutto il mondo che piangono di fame e di abbandono, sulla Croce i nostri compagni disoccupati, taglieggiati, oppressi e crocifissi.
Non ascoltate che vuole dimostrarvi che le barriere sono necessarie e che senza una guerra non si rimette a posto nulla…
Guardate il Presepio o il Calvario e troverete la risposta all'incosciente menzogna.
E con la risposta, una grande speranza, perché è dal Presepio e dal Calvario che incomincia la Redenzione. 

Sentitemi. Se un giorno fosse passato un bambino, chi avrebbe osato sparare?
Fra le trincee costruite dalla nostra cattiveria è passato e passa non soltanto nel giorno di Natale, Gesù, che ha il volto, gli occhi, la grazia incantevole dei nostri bambini.
Chi oserà sparargli contro?

- Don Primo Mazzolari -
omelia Natale 1931




"La stella di Betlemme è una stella che continua a brillare anche oggi in una notte oscura. ... Egli venne come la luce che illumina le tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolto. 
A quanti lo accolsero Egli portò la luce e la pace; la pace col Padre celeste, la pace con quanti come essi sono figli della luce e figli del Padre celeste, e la pace interiore e profonda del cuore ...
"E il Verbo si fece carne". Ciò è divenuto verità nella stalla di Betlemme "

(da "Mistero del Natale" di Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein)





Natale non è altro che questo immenso 
silenzio che dilaga per le strade, 
dove platani ciechi 
ridono con la neve 
altro non è che fondere a distanza 
le nostre solitudini, 
stendere nella notte un ponte d'oro. 
Sono qui col tuo dono che il mio illumina 
di dieci stelle-lune, 
guidandomi per mano 
dove vibra un riverbero 
di fuochi e di lanterne (verde e viola), 
di girandole e insegne di caffè. 
Un pino a destra 
per appendervi quattro nostalgie 
e la mia fede in te, bianca cometa 
in cima.


- Maria Luisa Spaziani - 


Buona giornata a tutti. :-)








lunedì 11 settembre 2017

Le beatitudini - Primo Mazzolari

...oggi leggo le beatitudini... leggo, non predico. 
Le beatitudini non si predicano: non sono per gli altri. 
Nessuno può darle a parole. 
Se le predico, tutti notano che io ne sono fuori. 
Cristo no, lui solo parla dal di dentro di ogni beatitudine: lui povero, mite, pacifico, misericordioso, lui il percosso, il morente... 
Che non si possano predicare l'ho capito bene in un lontano Ognissanti, quando mi fu imposto dietro minaccia: Tu prete oggi non predicherai... E quel giorno il prete ha letto soltanto: ma nel leggere egli piangeva e gli altri piangevano. 
Le parole che hanno la virtù di far piangere, o di gioia o di vergogna, non si predicano...

- don Primo Mazzolari -





"Uomini non ci si improvvisa, e nella lotta politica italiana ciò che più dolorosamente sorprende è appunto la mancanza dell'uomo; non dell'uomo grande, di cui non vogliamo neanche sentir parlare, ma dell'uomo reale, col suo modesto, insostituibile corredo di qualità morali [...]"





Beatitudini per il nostro tempo

Beati quelli che sanno ridere di se stessi:
non finiranno mai di divertirsi.
Beati quelli che sanno distinguere un ciottolo da una montagna:
eviteranno tanti fastidi.
Beati quelli che sanno ascoltare e tacere:
impareranno molte cose nuove.
Beati quelli che sono attenti alle richieste degli altri:
saranno dispensatori di gioia.
Beati sarete voi se saprete guardare con attenzione 
le piccole cose e serenamente quelle importanti:
andrete lontano nella vita.
Beati voi se saprete apprezzare un sorriso 
e dimenticare uno sgarbo:
il vostro cammino sarà sempre pieno di sole.
Beati voi se saprete interpretare con benevolenza 
gli atteggiamenti degli altri anche contro le apparenze:
sarete giudicati ingenui ma questo è il prezzo dell'amore.
Beati quelli che pensano prima di agire e pregano 
prima di pensare: eviteranno tante stupidaggini.
Beati soprattutto voi che sapete riconoscere il Signore 
in tutti coloro che incontrate:
avete trovato la vera luce e la vera pace.


Buona giornata a tutti. :-)





lunedì 17 aprile 2017

Pace a voi, il saluto di Cristo risorto ai suoi discepoli - Papa Francesco

«Pace a voi!»: è il saluto che Cristo porta ai suoi discepoli; è la stessa pace, che attendono gli uomini del nostro tempo. Non è una pace negoziata, non è la sospensione di qualcosa che non va: è la sua pace, la pace che proviene dal cuore del Risorto, la pace che ha vinto il peccato, la morte e la paura. 
È la pace che non divide, ma unisce; è la pace che non lascia soli, ma ci fa sentire accolti e amati; è la pace che permane nel dolore e fa fiorire la speranza. 
Questa pace, come nel giorno di Pasqua, nasce e rinasce sempre dal perdono di Dio, che toglie l'inquietudine dal cuore. 
Essere portatrice della sua pace: questa è la missione affidata alla Chiesa il giorno di Pasqua. 
Siamo nati in Cristo come strumenti di riconciliazione, per portare a tutti il perdono del Padre, per rivelare il suo volto di solo amore nei segni della misericordia.

- Papa Francesco - 
Omelia Festa della Divina Misericordia, 3 aprile 2016


Allora ecco quello che io propongo: Che tutte le Nazioni decidano che ogni anno, in occasione di una Giornata Mondiale della Pace esse preleveranno dai loro rispettivi bilanci ciò che costa loro un giorno di armamento, e lo metteranno in comune per lottare contro le carestie, i tuguri e le grandi endemie che decimano l'umanità. 
Un giorno di guerra per la Pace... 
Si penserà forse che io non sono molto esigente... 
Ma questa prima riconversione di armi di morte in opere di vita sarà un gesto risonante, capace di abbozzare la salvezza di una umanità che, con le mani legate e la bocca cucita, si precipita impotente, verso la fossa comune. Disarmate per poter amare. 

- Raoul Follereau - 


No alla bomba!

Il dubbio non è di oggi e non sono neanche il primo a pensarlo: oggi, però, me lo trovo davanti con volto nient’ affatto accademico: oggi c’è nell’angoscia in chi pensa col cuore. Lo so purtroppo che il finire della storia difficilmente è regolato dai contemplatori: so pure che, nonostante il costo crescente del progresso, la più stupida delle religioni, noi continueremo su questa strada della speranza di pagare un giorno un po’ meno le nostre comodità: ma so pure che comodità non vuol sempre dire vivere da uomini.
E se esiste una intraducibilità, non è ragionevole che, dimenticando per un attimo la lusinga dell’utile immediato, misuriamo la pericolosità del nostro «vivere civile». Non c’è scoperta che non sia stata usata male e che il mal uso di essa non sia pesantemente ricaduto sull’uomo. Mi dispenso dalla documentazione. La colpa è dell’uomo che non vuole usarne bene. Sì, la colpa è nostra: ma constatare un fatto non vuol dire spiegarlo. C’è da vedere come mai non abbiamo saputo finora ovviare il grosso guaio di farci del male con le nostre mani: se ne possediamo la capacità; se è giusto che per un breve utile, limitato anch’esso a pochi, ci portiamo dietro, quasi fossimo dei condannati, non la croce ma il capestro di questa civiltà.
Prima di rispondere conviene riproporre, in termini semplici e reali, il problema dell’uomo e del suo destino. 

Il problema è grosso e le risposte sono molte. Senza pretendere d’imporre la mia, immagino che nessuna creatura ragionevole sia disposta ad accettare per sé e per i suoi una condizione umana, in cui un breve quasi ebbro respiro venga fatalmente scontato da una sorte paurosa, che scardina e inghiotte le cose nostre.
Che piacere può dare una casa a dieci piani, se la so destinata a rovinare sotto un tappeto di bombe col rischio di rimanervi sepolto con la mia famiglia? 

È da meno di una tenda o di un capanno di cocomeraio, ove, in qualche modo, mi riparo dalle intemperie e posso stare al sicuro dalle insidie degli uomini troppo intelligenti. Chi non farebbe volentieri senza aeroplani? 
I modesti servizi che hanno reso e che potranno rendere non compensano le rovine e i massacri che hanno causato. 
La prima bomba atomica distrugge Hiroshima, avanti di garantire «la pace». D’accordo. 
Ma se non riesco a guarirmi e queste scoperte provocano ed eccitano la mia sonnecchiante malvagità, non sarebbe da savio rinunciarvi, fino a quando almeno mi sentirò più padrone di me? Non è giusto che si spezzi una macchina per il solo fatto che ci abbiamo cavato un guaio.
Rinnoviamo l’uomo. Questa sarebbe la vera soluzione: meglio, l’impegno da prendere. Ma oggi, l’uomo ne ha le capacità? Ragionando concettualmente, non ne dovrei dubitare: ma davanti ai fatti, mi faccio estremamente cauto. Finora, e sono anni e anni, nonostante il molto predicare, abbiamo piuttosto peggiorato. Due guerre di inaudita barbarie teorica, in un quarto di secolo, e rivoluzioni altrettanto distruttrici, non bastano a farci persuasi che le autoblinde, i carri armati e adesso le bombe atomiche non servono la libertà e l’indipendenza, ma le tirannie e le dittature? Gli ordigni non ne hanno colpa, è vero: ma se ci mettono in tentazione di far male, perché fabbricarli? 

Almeno, fino a quando saremo in condizione d’animo di usarne senza nocumento. Come un tempo c’erano mostri naturali contro cui l’uomo primitivo dovette lottare fino al loro sterminio, così vi sono oggi mostri artificiali contro cui bisogna insorgere, non essendo capaci di domarli.
Si salveranno le invenzioni che riusciremo a rendere umane, come si sono salvati gli animali che l’uomo ha saputo addomesticare. Meno potenti e un po’ più uomini. È duro riconoscere che siamo gente limitata e che abbiamo bisogno di un limite anche al genio. Ma non si mortifica il genio: si ferma l’uomo sulla linea dell’uomo. Quante rovine e asservimenti in terra d’uomo, col pretesto di farci grandi! Vogliamo scuotere anche le catene di questa disumana grandezza che ha bisogno di miracoli fatturati e di troppi schiavi.
Che ne faremo di questi mostruosi strumenti della nostra civiltà meccanica? Li metteremo in un museo, accanto ai dinosauri antidiluviani: e quando saremo veramente fratelli tra di noi, se ce ne resterà il gusto, li tireremo fuori.


- Don Primo Mazzolari - 
Fonte:  Avvenire  4 aprile 2009

Buona giornata a tutti. :-)




sabato 8 aprile 2017

La tua morte, o Gesù, è una storia di mani - don Primo Mazzolari

La tua morte, o Gesù, è una storia di mani.
Una storia di povere mani, che denudano, inchiodano, giocano a dadi, spaccano il cuore.
Tu lo sai, tu lo vedi, o Signore.
Prima di giudicare, però, pensiamoci.
Ci sono dentro anche le nostre mani.
Mani che contano volentieri il denaro, mani che legano le mani agli umili, mani che applaudono le prepotenze dei violenti, mani che spogliano i poveri, mani che inchiodano perché nessuno contenda il nostro privilegio, mani che invano cercano di lavare le proprie viltà, mani che scrivono contro la verità, mani che trapassano i cuori.
La tua morte è opera di queste mani, che continuano nei secoli l'agonia e la passione.
Se potessimo dimenticare queste mani, se ci fosse un'acqua per lavare queste mani.
Per dimenticare le mie mani, ho bisogno di guardare altre mani, di sostituire le mie mani spietate con le mani misericordiose della Madonna, della Maddalena, di Giovanni, del Centurione che si batte il petto...


- don Primo Mazzolari -
Fonte:  Preghiere, ed. La Locusta



particolare del quadro "La deposizione Borghese" di Raffaello Sanzio: il gioco delle mani tra la Maddalena e Gesù è uno dei punti poeticamente più alti e commoventi del quadro. C’è delicatezza e un equilibrio che contrastano con il senso freddo di morte che pervade il corpo di Gesù.

Raffaello Sanzio
Deposizione Borghese (1507)
Villa Borghese, Roma, Italy

 Simone di Cirene, su, dagli una mano! Sì, tu, e più presto che puoi! 
Egli obbedisce, ma arriccia il naso. Di certo non si sarebbe offerto. 
Non sa l'onore che gli tocca; si è trovato lì, ed ebbe fortuna. 
Porterà la croce, brontolando, a malincuore, ma la croce lo ricambierà largamente.  

- Primo Mazzolari - 

Il bacio di Giuda (1303-1305)
Giotto (1267-1337)
Cappella degli Scrovegni, Padova (Italy)


Cristo, mio redentore.
Sono libero quando
accetto la libertà degli altri.
Sono libero quando
riesco ad essere persona.
Sono libero quando
non credo nell'impossibile.
Sono libero se la mia
unica legge è l'amore.
Sono libero quando credo che Dio
è più grande del mio peccato.
Sono libero quando
solo l'amore riesce a incantarmi.
Sono libero se mi accorgo
che ho bisogno degli altri.
Sono libero quando sono capace
di ricevere la felicità
che mi regalano gli altri.
Sono libero se solo la verità
può farmi cambiare strada.
Sono libero se posso
rinunciare ai miei diritti.
Sono libero quando amo il bene
del mio prossimo
più della mia stessa libertà.

- don Primo Mazzolari -



Buona giornata a tutti. :-)

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