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sabato 11 giugno 2011

Marinai d’acqua dolce – Paolo Curtaz (don)

Vangelo: Mc 4, 35-41
Dal vangelo secondo Marco
In quel giorno, verso sera, disse Gesù ai suoi discepoli: «Passiamo all'altra riva».
 E lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca.
C'erano anche altre barche con lui.
Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena.
Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva.
Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che moriamo?».
Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!».
Il vento cessò e vi fu grande bonaccia.
Poi disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro:
«Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?».

L’altra riva
Gesù chiede ai suoi discepoli di passare all’altra riva, di attraversare il lago.
Tutti noi, ad un certo punto, avvertiamo l’esigenza di passare all’altra riva.
Non pensate subito alla morte, per favore. Nella vita dobbiamo, più volte, confrontarci con il bisogno di senso e pienezza che ci travolge, proprio quando pensiamo di avere capito, di essere arrivati.
Gesù stesso ci provoca, ci chiede di passare all’altra riva, di non sederci, di non abituarci, di accettare il cambiamento. La fede non è una solenne anestesia, ma un continuo stimolo al cambiamento, alla conversione. Contrariamente a ciò che pensa la maggioranza, nulla è più fluido e dinamico del discepolato, perché seguiamo colui che non ha dove posare il capo.
Quando pensiamo di essere arrivati, nella vita e nella fede, il Signore ci spinge a prendere il largo.
Qual è la riva che ancora dobbiamo raggiungere?

Così com’è
Quell’annotazione birichina di Marco mi ha sempre fatto sorridere: lo presero con sé, così com’era, sulla barca.
Se vogliamo davvero passare all’altra riva, fare un percorso serio, anche doloroso se necessario, ma vero, un percorso di crescita umana e di vita interiore, dobbiamo prendere Gesù così com’è. Non quello tarocco dei politicamente corretti che ogni due settimane scoprono il vero volto di Gesù tenuto nascosto dalla perfida Chiesa (che dite, è la trama del Codice da Vinci? Ops!), né quello zuccheroso ed evanescente della devozione, ma quello crudo e faticoso professato dai cristiani.Pazienza se è un po’ scomodo, questo Dio, pazienza se non sempre mi dice delle cose gradevoli. Preferisco un Dio urticante e onesto ad uno carezzevole e falso.
Abbiate il coraggio di prendere il Signore così com’è, non come vi piacerebbe che fosse!

Tempeste
È proprio quando abbiamo deciso di rischiare, di lanciarci, di prendere Gesù così com’è sulla nostra barca che si scatena la tempesta. Mannaggia: proprio in quel momento!
Ci sono momenti nella vita in cui abbiamo l’impressione di affondare, travolti dal dolore o dai nostri sbagli. Pensavamo di averle viste tutte e invece no, ecco un dolore più forte, una prova insostenibile, malgrado tutti i nostri sforzi, magari sinceri.
E ci viene voglia di morire, di non esserci, di non essere mai esistiti.
Succede così anche agli apostoli: al discepolo il dolore non viene evitato.
Anzi: anche la fede viene travolta dalle acque.
Dio c’è sì, ci credo, ma ora non so proprio dove sia, non so proprio cosa faccia.
Egli è presente, ma, ora, la sua presenza è flebile, a volte addirittura ho l’impressione che non gli importi nulla del mio dolore. Alcuni giungono a pensare che sia Dio a inviare il dolore, come una prova che ci purifica.
(Ci purifica da cosa, scusate? Le persone escono dalle prove della vita quasi sempre peggiorate!)Perché succede? Non lo so, né lo sanno Pietro e Marco, che scrivono il racconto.
Dicono solo che, nella fatica, Dio dorme.
Dorme, ma sta sulla barca per condividere fino in fondo il nostro destino.
Dorme, e non interviene perché vuole lasciare alla nostra dignità, alle nostre capacità, il compito di arrangiarsi nelle difficoltà della vita. Perché chiediamo aiuto a Dio in situazioni in cui potremmo forse intervenire noi? Perché non ci fidiamo di questo Dio che conosce le nostre sofferenze e sa placare la tempesta?
Dio ci rende capaci di attraversare il mare in tempesta.
Egli è con noi, anche quando non interviene.

E la fede?
“Non avete ancora fede?”.
No Signore, non quanta ci servirebbe per attraversare il mare in tempesta.
Spesso la nostra minuscola fede è legata ad un patto assicurativo: se va tutto bene Dio esiste, ma se le cose si storcono, ecco che Dio mi appare come un sadico onnipotente che non si cura di me.
Se la mia vita funziona Dio è buono, se la mia vita è tribolata Dio è malvagio.
Gesù è venuto a portarci un’altra notizia, un volto diverso di Dio: il volto di un Dio che condivide, di un Dio che sa, di un Dio che soffre, che conosce la tempesta, ma non ne ha paura.
Fidiamoci, amici, anche se la barca fa acqua. Guardiamo solo di aver preso sulla barca Gesù così com’è, senza volerlo cambiare come piacerebbe a noi.

Marinai inesperti
Molte volte l’immagine della barca è stata usata per descrivere la comunità cristiana che deve attraversare i marosi della storia. E quanta acqua ha imbarcato la Chiesa!
Difficoltà interne causate dalla povertà interiore e dalla nostra mancanza di fede; difficoltà esterne da chi non digerisce la Chiesa e la vuole affondare o, meglio, vuole affondare l’immagine deforme di Chiesa che ha nella sua testa...
Eppure, malgrado noi cristiani, il sogno di Dio che è la Chiesa dimora, esiste, raduna uomini e donne di culture diverse nell’unica speranza, nell’unico Signore.
Lo Spirito assiste chi si affida a lui, e guida la sua Chiesa.
A noi la scelta: possiamo restare a riva e commentare sarcastici vedendo i pescatori faticare, o salire sulla barca e attraversare il mare.
Io ho scelto: sono salito sulla barca che è la Chiesa.
Anche se a volte paia che dorma, Gesù naviga con noi.

(Paolo Curtaz)
http://www.paolocurtaz.it/



Cristo e la tempesta, 1914
Giorgio de Chirico (1888,Volos - 1978, Roma)
Musei Vaticani, Roma

mercoledì 3 novembre 2010

Caro Tommaso - (don) Paolo Curtaz -

Caro Tommaso,
fa strano scriverti una lettera, ma ho deciso, dopo tanti anni, di schierarmi formalmente e solennemente dalla tua parte. 
Mi spiego meglio. Ogni anno, dopo l'ebbrezza della festa di Pasqua, puntualmente ti ritroviamo con il Vangelo che ti riguarda. 
San Giovanni ci dice che il fatto, o meglio il fattaccio, è accaduto otto giorni dopo l'apparizione di Gesù a porte chiuse nel Cenacolo, la sera di Pasqua. Ora: sono stufo di vederti descritto come un incredulo. 
Su di te abbiamo addirittura composto un proverbio "Tommaso, che non ci crede se non ci mette il naso" e, così, sei arrivato fino a noi con la falsa nomea di incredulo.
E' il nostro consueto modo di leggere il Vangelo, col cervello in stand-by, ascoltando come se fosse una pia ed edificante tavoletta, senza la voglia di approfondire ciò che dovrebbe  nutrire la nostra vita e la nostra fede.
Eppure, Tommaso, leggendo bene il racconto di Giovanni, si capisce subito che tu al Rabbi ci avevi creduto, fin troppo, più degli altri. D'altronde, le uniche due volte in cui si parla di te nel Vangelo, ha dimostrato fegato ed entusiasmo.
La prima volta Gesù decise di salire a Gerusalemme, ignorando la pessima aria che tirava. Il rischio era reale: Gesù era malvisto dal Sinedrio che già complottava per farlo arrestare; malgrado questo, il Maestro decise di rischiare. Tu, Tommaso, dicesti: "Andiamo a morire con lui!" (Gv 11,16).
Poco dopo quando Gesù parlò del suo destino, e chiese di essere seguito, tu gli chiedesti: "Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?" al che, Gesù ti rispose "Io sono la via, la verità e la vita" (cfr Gv 14,5-6).
Poi, quelle maledette quarantotto ore. 
Tutti voi, Tommaso, eravate impreparati, straniti, distratti. La croce vi era piombata addosso come un treno in corsa, vi aveva spezzato l'anima, aveva travolto tutto. Non foste capaci di fare il benché minimo gesto, nessuna reazione, solo la paura e il dolore, la disperazione senza fine. Incredulo, tu? Andiamo! Piuttosto credulone, con l'entusiasmo che ti contraddistingueva fra i dodici.
Sai, Tommaso, mi sono riconosciuto molte volte in te; ti ho visto nel volto di molti fratelli scoraggiati e delusi dopo aver dato l'anima per un sogno, un progetto. Più voli in alto e più –cadendo- ti fai del male. La croce, per te inattesa, aveva inchiodato il tuo Maestro e la tua vita, messo fine al tuo sogno.
E ti vedo –sbalordito, attonito- che ascolti i tuoi compagni.
Le tue ferite sanguinano copiosamente e questi –gioiosi- ti raccontano di averlo visto vivo, risorto. Non sai capacitarti di quello che dicono, e –soprattutto- di chi te lo dice.
Giovanni, che c'era, ha scritto solo la prima parte di ciò che hai detto: la frase durissima del "Non crederò" –per pudore, Giovanni è cortese e delicato- e non ha riportato le tue altre frasi, dette con la voce rotta dalla rabbia e dalla voglia di piangere.
Ma io le conosco e riporto la parte censurata:
"Tu Pietro? Tu Andrea?…. e tu Giacomo? Voi mi dite che lui è vivo?
Siamo scappati tutti, come conigli; siamo stati deboli, non abbiamo creduto!
Eppure, lui ce l'aveva detto, ci aveva avvisati. Lo sapevamo che poteva finire così, e non gli siamo stati vicini, non ne siamo stati capaci. Ora, proprio voi, venite a dirmi di averlo visto, vivo? Non, non è possibile….come faccio a credervi?"
Sai, Tommaso: hai ragione.
Incontro spesso cristiani come te, feriti dalla pessima testimonianza di noi discepoli, scandalizzati dal baratro che mettiamo tra la nostra fede e la nostra vita, increduli a causa della nostra piccolezza. Noi, discepoli del Maestro, che invece di essere trasparenza del Risorto diventiamo filtro, e facciamo emergere le nostre fragilità, piuttosto che la luce luminosa che ci ha avvolti e cambiati.
Quanti ne conosco come te Tommaso!  Brava gente scossa dall'atteggiamento di un prete despota, giovani turbati dalle nostre comunità fiacche, cercatori di Dio scoraggiati dal nostro poco entusiasmo…..
Ma –e questo è stupefacente- Giovanni ci dice che otto giorni dopo eri ancora con loro.
Non li hai mollati, come a volte vedo fare, non ti sei sentito superiore, migliore, a parte. Hai voluto condividere la tua amarezza con loro, non hai pensato di fare una Chiesa alternativa, non ti sei sentito molto "liberal" e all'avanguardia. Come frate Francesco poverello farà, hai voluto convertire la Chiesa dal di dentro, senza uscirne.
E hai fatto benissimo: apposta per te è venuto il Maestro; vedi come ti ama?
Lo vedi ora; è lì, apposta per te. Ti mostra le sue piaghe, il costato.
Poi sorride e ti parla.
Lo so bene, Tommaso, e scusa se noi predicatori facciamo dei commenti discutibili: quella frase bellissima non è un rimprovero, Gesù non ti sta rinfacciando la tua incredulità, macché.
Le sue parole sono un immenso gesto d'amore. Mostrando le palme delle mani trafitte, ti sussurra: "Tommaso, so che hai sofferto tanto, Guarda: anch'io ho sofferto……"
E ti sei arreso, finalmente.
Hai lasciato la diga del pianto rompere gli argini, ti sei lasciato travolgere dall'amore e dalla fede, ti sei buttato in ginocchio e tu, primo tra i dodici, hai osato dire ciò che nessuno prima aveva osato neppure pensare: Gesù è Dio.


Preghiera a Tommaso.
Senti, Tommaso, io ti voglio un sacco di bene e ti ringrazio per la tua fede cristallina.
Non credo sia un caso il fatto che il nostro comune amico Giovanni ti abbia soprannominato "didimo", cioè gemello: davvero mi assomigli. Voglio affidarti, caro mio gemello, tutti quelli che –come te- non si sono ancora arresi al Signore.
Tommaso, patrono degli sconfitti, prega per noi. Quando ci scandalizziamo dell'incoerenza della Chiesa, quando ci sembrano troppo grosse le sue fragilità, quando non ci sembra possibile che tanta gloria sia affidata a tanta povertà, prega per noi. Facci capire che uno dei modi per riconoscere la presenza del risorto, misterioso ospite delle nostre vite, ora, è anche la sofferenza. Facci comprendere che anche una vita sconfitta può incontrare la gloria del risorto, che il grande popolo dei perdenti ha un patrono e un Signore. Tommaso, nostro gemello, aiutaci ad osare anche quando sembra inutile, a fissare lo sguardo altrove quando la pesantezza della vita e del peccato ci schiantano a terra, a lavorare per la costruzione del Regno sapendo che il mondo è già salvo, ma non lo sa.


Don Paolo Curtaz (Omelia per la II domenica di Pasqua)


Grazie Elvira per aver inviato l'omelia e  la preghiera

 “Incredulità di San Tommaso” Michelangelo Merisi da Caravaggio


È conservato alla Bildergalerie nel parco di Sanssouci a Potsdam.




Buona giornata a tutti. :-)