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mercoledì 6 marzo 2024

Le beatitudini oggi – don Tonino Bello

Ce l'hanno spiegata con mille sfumature, e vien quasi da pensare che ogni biblista abbia un suo modo di leggere questa pagina delle beatitudini: l'unica che vorremmo salvare, se di tutti i libri della terra si dovesse sottrarre all'incendio solo il Vangelo e di tutto il Vangelo si dovesse preservare dalle fiamme soltanto una sequenza di venti righe.

Si intuisce subito che queste parole pronunciate da Gesù nascondono promesse ultraterrene.

Alludono a quegli appagamenti di gioia completa che andiamo inseguendo da tutta una vita, senza essere riusciti mai ad afferrare per intero.
Fanno riferimento a quel senso di benessere pieno di gioia totalizzante che esiste solo nei nostri sogni.
Traducono, come nessun altro frasario umano, le nostre nostalgie di futuro, e ci proiettano verso quei cieli nuovi e terre nuove in cui la settimana si accorcia a tal punto da conoscere solo il sabato eterno.

Imprigionano il "non ancora" - sempre abbozzato e mai esploso pienamente - di quel "risus paschalis" che ora sperimentiamo solo nella smorfia delle nostre troppo rapide convulsioni di letizia per cedere subito il posto all'amarezza del pianto.

Non ci vuol molto a capire, insomma, che sotto queste sentenze veloci del discorso della montagna c'è qualcosa di grande. E che, di quel misterioso "regno dei cieli", la cosa più ovvia che si possa dire è che rappresenta il vertice della felicità.

Sì, Gesù vuol dare una risposta all'istanza primordiale che ci assedia l'anima da sempre. Noi siamo fatti per essere felici. La gioia è la nostra vocazione. 
E' l'unico progetto, dai nettissimi contorni, che Dio ha disegnato per l'uomo.
Una gioia raggiungibile, vera, non frutto di fabulazioni fantastiche, e neppure proiezione utopica del nostro decadentismo spirituale.

(Don Tonino Bello)
Fonte: Alle porte del regno




Amare è una parola sconvolgente: è interessarsi veramente a qualcuno;
è rispettarlo com’è, con le sue ferite, le sue tenebre e la sua povertà,
ma anche con le sue potenzialità, con i suoi doni nascosti;
è credere in lui;
è nutrire verso di lui una speranza folle;
è gioire della sua presenza e della bellezza del suo cuore,
anche se resta ancora nascosta. 

- Padre Jean Vanier -



Nella malattia

Signore Gesù, ti chiediamo di poter unire ai dolori della tua passione i dolori delle nostre malattie, affinché, riconciliati tutti gli uomini al Padre, per il tuo perdono si rinnovi nel cielo la festa della tua gioia per gli angeli e per i santi e qui sulla terra, per noi, giunga il dono della tua grazia e della tua pace. Amen.

- San Paolo VI -


Buona giornata a tutti :-)

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martedì 9 maggio 2023

Diventare pane - Jean Vanier

 Alcuni non vedono quale nutrimento potrebbero dare; non si rendono conto che loro stessi possono diventare pane per gli altri.
Non credono che la loro parola, il loro sorriso, il loro essere, la loro preghiera possono nutrire gli altri e dare loro fiducia.
Gesù ci chiama a dare la nostra vita per quelli che amiamo. 
È mangiando il pane cambiato nel Suo Corpo che diventiamo pane per gli altri. Altri invece, scoprono che il loro nutrimento è dare a partire da un paniere vuoto!
È il miracolo della moltiplicazione dei pani. “Signore, fa che non cerchi tanto di essere consolato quanto di consolare.”
 Sono sempre stupito di scoprire che quando mi sento molto vuoto all'interno di me, sono capace di dare una parola nutriente, o che essendo angosciato posso trasmettere la pace.
Solo Dio può fare miracoli simili.

- Jean Vanier -
Fonte: "La comunità luogo del perdono e della Festa", pag. 220



A volte incontro persone aggressive nei confronti della loro comunità.
La biasimano per la sua mediocrità. «La comunità non è sufficientemente nutriente: non mi dà ciò di cui ho bisogno.»
Sono come bambini che biasimano i loro genitori per tutto. Mancano di maturità, di libertà interiore e soprattutto di fiducia in loro stessi, in Gesù e nei loro fratelli e sorelle.
Vorrebbero un banchetto con un menù preciso e rifiutano le briciole date ad ogni istante.
Il loro ideale, le loro idee riguardo al nutrimento spirituale di cui dicono di aver bisogno, impediscono loro di vedere e di mangiare il nutrimento che Dio dà loro attraverso il quotidiano.
Non riescono ad accettare il pane che il povero, il loro fratello o la loro sorella, offre loro, attraverso il suo sguardo, la sua amicizia, la sua parola.
All'inizio la «comunità» può essere una madre che nutre. Ma col tempo, ognuno deve scoprire il suo proprio nutrimento attraverso le mille attività della comunità.
Può essere una forza data da Dio, che viene in aiuto alla sua debolezza e alla sua insicurezza per aiutarlo ad accettare la ferita della sua solitudine, del suo grido di sconforto. 
La comunità non può mai colmare questo sconforto che è inerente alla condizione umana. Ma può aiutarci ad accettarlo, può ricordarci che Dio risponde al nostro grido e che non siamo soli.
“Il Verbo si è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi» (Gv 1,4).
“Non temere, io sono con te» (Is 43,5).

Vivere in comunità è anche imparare a camminare da soli nel deserto, nella notte e nel pianto, mettendo la nostra fiducia in Dio nostro Padre.

- Jean Vanier -
Fonte: "La comunità luogo del perdono e della Festa", pagg. 220,221



Quando si è perduta la visione iniziale della comunità, quando ci si è allontanati dal punto di fedeltà, si può mangiare, mangiare cose spirituali, avere una spaventosa fame di spiritualità, senza essere nutriti.

Bisogna convertirsi, ridiventare come bambini, ritrovare la nostra chiamata iniziale e quella della comunità. Quando si comincia a dubitare di questa chiamata, questo dubbio si diffonde come un cancro capace di corrodere l'intero corpo. Occorre saper nutrire la nostra fiducia in questa chiamata. 

- Jean Vanier -
Fonte: "La comunità luogo del perdono e della Festa", pagg. 220,221



Buona giornata a tutti. :-)



martedì 11 gennaio 2022

Chiamati insieme così come siamo - Jean Vanier

Nelle comunità cristiane, Dio sembra compiacersi di chiamare insieme nella stessa comunità delle persone umanamente molto diverse, provenienti da culture, classi o paesi molto diversi. 
Le più belle comunità vengono giustamente da questa grande di­versità di persone e di temperamenti. 
Questo fatto obbliga ognuno a superare le sue simpatie e antipatie per amare l'altro con le sue diversità.
Queste persone non avrebbero mai scelto di vivere con le al­tre. Umanamente questa pare una sfida impossibile, ma è pro­prio perché è impossibile che abbiamo la certezza interiore che è Dio che le ha scelte per vivere in quella comunità. E allora l'impossibile diventa possibile. Esse non si appoggiano più sul­le loro proprie capacità umane o sulle loro simpatie, ma sul Pa­dre che le ha chiamate a vivere insieme. Egli darà loro a poco a poco quel cuore nuovo e quello spirito nuovo perché diventino tutte testimoni dell'amore. In effetti, più è umanamente impos­sibile, e più questo è un segno che il loro amore viene da Dio e che Gesù vive: "Tutti riconosceranno che siete miei discepoli dall'amore che avrete gli uni per gli altri" (Gv 13, 35).
Per vivere con lui, Gesù ha scelto, nella prima comunità degli apostoli, uomini profondamente diversi: Pietro, Matteo (il pub­blicano), Simone (lo zelota), Giuda... Non avrebbero mai cam­minato insieme se il Maestro non li avesse chiamati.
Non bisogna cercare la comunità ideale. 
Si tratta di amare quelli che Dio ci ha messo accanto oggi. Essi sono segno della presenza di Dio per noi. Avremmo forse voluto delle persone diverse, più allegre e più intelligenti. Ma sono loro che Dio ci ha dato, che ha scelto per noi. È con loro che dobbiamo creare l'unità e vivere l'alleanza.

- Jean Vanier - 
da: "La comunità luogo del perdono e della festa"


“Non di rado, nel mondo moderno, ci sentiamo perdenti. Ma l’avventura della speranza ci porta oltre. 
Un giorno ho trovato scritto su un calendario queste parole: «Il mondo è di chi lo ama e sa meglio dargliene la prova». 
Quanto sono vere queste parole! 
Nel cuore di ogni persona c’è un’infinita sete d’amore e noi, con quell’amore che Dio ha effuso nei nostri cuori, possiamo saziarla.”

+ card. François Xavier Nguyen van Thuân



"Come una sola sorgente può dare acqua a molti campi su una grande pianura, così la ricchezza di uno solo può salvare dalla miseria un gran numero di poveri, a meno che la parsimonia e l’avarizia di quest’uomo non faccia ostacolo, come un masso caduto nel ruscello ne cambia il corso. Non viviamo solo secondo la carne, viviamo secondo Dio."

- San Gregorio Nisseno -
 

"Carissimi, portate nel mondo digitale la testimonianza della vostra fede. Sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita! 
A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compito dell'evangelizzazione di questo continente digitale. sappiate farvi carico con entusiasmo dell'annuncio del Vangelo ai vostri coetanei" 

- papa Benedetto XVI -




Buona giornata a tutti. :-)

sabato 30 gennaio 2021

Il povero è un profeta - Jean Vanier

Mi ha scosso il fatto che il Padre, se davvero è nascosto nelle bel­lezze della creazione, nello splendore delle liturgie e nella saggezza dei teologi e dei sapienti, è anche nascosto nel corpo spezzato dei lebbrosi, dei malati, di quelli che soffrono. 
E nascosto dentro il bam­bino. «Chiunque accoglie uno di questi piccoli nel mio nome, è me che accoglie. 
E colui che mi accoglie, dice Gesù, accoglie colui che mi ha mandato» (cf. Lc 9,48). 
Chi è in grado di credere nel messaggio: l’Eterno, il Dio che tutto può, si trova nei piccoli, negli impotenti, negli oppressi e nei sofferenti di questo mondo, e vivere con loro è vivere con la Santa Trinità, Padre, Figlio e Spirito? 
Come Gesù è l’immagine del Padre, il bambino abbandonato, rifiutato è l’imma­gine di Gesù e, quando si stabilisce una relazione di fiducia con lui, si entra in confidenza con Dio. 
Ora, erano le nostre sofferenze che sopportava e i nostri dolori da cui era oppresso… ed è grazie alle sue piaghe che siamo guariti (cf. Is 53,4-5). 
Il povero è un profeta. Chiama al cambiamento, a un nuovo sti­le di vita. Chiama all’incontro e alla festa, alla condivisione, al per­dono. 
Il ricco ha paura e si rinchiude nella sua ricchezza e nella sua solitudine, nella sua iperattività e nel suoi divertimenti. 
Il ricco rifiuta il povero, perché quest’ultimo lo chiama a un in­contro di tenerezza, un «cuore a cuore». 
Il ricco non sa quanto sia in grado di rispondere a tale chiamata. 
Lui è capace, istruito, intelli­gente. Ha sviluppato le sue potenzialità e il suo ragionamento, ma non il suo cuore, che si è atrofizzato. 
Forse ha paura? 
Il «cuore a cuore» non è né sentimentalismo né emozione passeggera, né ro­manticismo, né esperienza di sessualità. È un incontro profondo, un impegno, una condivisione, un’idea vera dell’altro. 
È fatto di de­licatezza, di forza, di fiducia nel prossimo e di aver riconosciuto i doni che porta. 
Per uscire dalla sua solitudine, dalla prigione in cui si è rinchiu­so, il ricco ha bisogno del povero. Il pericolo che lo minaccia è quel­lo di bastare a se stesso e di rinchiudersi nella sua sicurezza, nelle sue conoscenze e nel suo potere. 
Il povero viene per disturbarle. Se lui si lasciasse disturbare, allora il miracolo può avvenire. 
Il povero s’intrufola attraverso le barriere della sua prigione. 
Lo sguar­do del povero penetra nel suo cuore per risvegliarlo alla vita. È l’in­contro. 
Il ricco scopre il proprio cuore che comincia a vibrare e ad amare, scopre le sue paure, le sue barriere, la ricerca di conforto e di sicurezza. 
Se il ricco, toccato al cuore, si lascia trascinare dall’appello del povero, scopre a poco a poco un potere, un’energia nascosta più profonda delle sue conoscenze e delle sue capacità d’azione. Scopre il potere del suo cuore, fatto per l’incontro, per il servizio e per es­sere segno dell’amore di Dio. 
Scopre il potere della tenerezza, della bontà, della pazienza, del perdono della gioia e della celebrazione! 
Una sorgente fino allora murata, comincia a zampillare.
(Jean Vanier)
Una porta di speranza, Milano 1998, pp. 59-61



Nel cuore del povero c’è un mistero. Gesù dice che tutto quello che si fa all’affamato, a chi ha sete, è nu­do, malato, in prigione, straniero, è a Lui che lo si fa: «Tutto quello che fai al più insignificante dei miei fra­telli, è a me che lo fai». 
Il povero, nella sua insicurez­za totale, nella sua angoscia e nel suo abbandono, s’identifica con Gesù. Nella sua povertà radicale, nel­la sua ferita evidente, si trova celato il mistero della presenza di Dio. 
Chi è senza sicurezza e angosciato ha certo bisogno di pane ma, attraverso questo pane, ha soprattutto bi­sogno di una presenza, di un altro cuore umano che gli dica: «Abbi coraggio; tu sei importante ai miei oc­chi e io ti amo; tu hai un valore; c’è una speranza». 
Egli ha bisogno di una presenza che gli riveli la mi­sericordia di Dio, Dio che è un Padre che ama e dà la vita. Tra Gesù e il povero c’è un’alleanza. Questo miste­ro è grande.

Jean Vanier



Quelli che si avvicinano al povero lo fanno dapprima in un de­siderio di generosità, per aiutarlo e soccorrerlo; si considerano dei salvatori e spesso si mettono su un piedistallo. 
Ma toccando il povero, raggiungendolo, stabilendo una relazione di amore e di fiducia con lui, il mistero si svela. 
Nel cuore dell’insicurezza del povero c’è una presenza di Gesù. È allora che essi scopro­no il sacramento del povero e che arrivano al mistero della com­passione. Il povero sembra spezzare le barriere della potenza, della ricchezza, della capacità e dell’orgoglio; fa fondere quei gusci che il cuore umano si mette intorno per proteggersi. Il po­vero rivela Gesù Cristo. Fa scoprire a chi è venuto per "aiutarlo" la sua stessa povertà e vulnerabilità; gli fa scoprire anche la sua capacità di amare, la potenza d’amore del suo cuore. Il povero ha un potere misterioso: nella sua debolezza, egli diviene capa­ce di toccare i cuori induriti e di rivelare loro le fonti d’acqua viva nascoste in loro. 
È la manina del bimbo di cui non si ha paura, che scivola attraverso le sbarre della nostra prigione d’egoismo. Egli arriva ad aprire la serratura. Egli libera. E Dio si cela nel bambino. 
I poveri ci evangelizzano. È per questo che sono i tesori della Chiesa

(Jean VANIER, La comunità, luogo del perdono e della festa, Milano 1991, 115s.)



Preghiera per la sera

Signore Gesù,
accendi la mia vita.
Aiutami a cambiare il male in bene.
Se nel mio cuore c'è odio
Tu indicami la strada del perdono.
Se il mio cuore è una tempesta
insegnami la pace e l'amore.
Riempi la mia vita di gioia, bontà,
disponibilità, pazienza e benevolenza.
La mia vita Gesù è luce degli occhi
e gioia del cuore.
Tu ascolti chi soffre, Tu aiuti chi spera,
Tu esaudisci chi chiede.
Ti chiedo, Gesù, accendi la mia vita
del tuo Amore. Amen.



                                                              Buona giornata a tutti :-) 

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venerdì 24 luglio 2020

Il povero, cammino d'unità - Jean Vanier

Diventare "un" corpo nella Città Santa, dove nessuno è escluso e dove l'ultimo e il più debole hanno il loro proprio posto.

Il povero, cammino d'unità

...E se oggi non possiamo bere tutti insieme allo stesso calice il sangue di Cristo, 
beviamo insieme allo stesso calice la sofferenza, 
la sofferenza della divisione, 
della divisione fra noi come della divisione 
fra noi e i poveri e i sofferenti. 
Che possiamo rinnovare, con una umiltà più grande, 
la nostra totale fede in Gesù, vita del mondo! 
Gesù, la notte in cui fu tradito, prese il pane, lo benedisse, lo spezzò, 
lo diede ai suoi discepoli e disse: 
"Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo".
Spezzò il pane, segno del suo corpo spezzato. 
Anche noi siamo il suo corpo spezzato. 
La Chiesa è spezzata: l'umanità è spezzata. 
Piangiamo e chiediamo perdono a Dio, 
chiediamo perdono gli uni agli altri, 
e a tutti gli uomini e le donne della terra, 
soprattutto ai più poveri e ai più deboli, 
per avere così spesso sfigurato il messaggio di Gesù. 
Lasciamo allora che si impossessi oggi del cuore di ciascuno di noi, 
lo benedica e lo spezzi, spezzando così la nostra durezza e il nostro orgoglio, 
e lo doni, rinato nell'amore e nell'umiltà, 
trasformato in sé dallo Spirito Santo, 
a tutti gli uomini e a tutte le donne e, in particolare, 
a chi è povero, isolato o perduto.
Ma noi, corpo spezzato, cerchiamo di diventare "un" corpo nella Città Santa, 
dove nessuno è escluso e dove l'ultimo e il più debole hanno il loro proprio posto.
È la nostra speranza per la vita e per la redenzione di tutti gli uomini e di tutte le donne. E questo si realizzerà quando diventeremo davvero figli suoi, 
che con una profonda fede in lui pregano davvero: 
"Padre nostro".

- Jean Vanier -


buona giornata a tutti. :-)




lunedì 6 luglio 2020

Vivono nell'angoscia e nel senso di colpa perché nessuno, nessuno ha mai detto loro che erano preziosi e importanti. - Jean Vanier

Io vivo con un popolo che non ha parola:
quelli che sono esclusi dagli affari del mondo,
che sono rifiutati, considerati come pazzi,
e che spesso sono lontani anche dalla "Buona Novella" di Gesù.
Sì, io voglio, in certo modo, essere solidale
con coloro che nel mondo sono esclusi a causa di un handicap fisico o mentale.
Voglio anche unirmi ai loro genitori che soffrono tanto profondamente.
E voglio parlare a nome di quelli che non hanno una casa.
Alcuni sono nelle prigioni dei nostri Paesi, in celle così piene da scoppiare,
condannati a causa della loro attività politica e della loro lotta per la giustizia, della loro fede in Gesù o delle loro azioni contro la legge.
Altri sono negli immensi campi per profughi;
altri ancora sono immigrati in terre straniere.
Voglio parlare a nome di quelli
che sono intrappolati nel mondo della droga, gli emarginati,
quelli che sono schiavi della prostituzione,
quelli che sono soli, i vecchi,
quelli che hanno fame, i lebbrosi, gli ammalati, i moribondi.
Voglio parlare a nome dei bambini che soffrono e, in modo particolare, di quei bambini che sono rifiutati ancor prima di nascere.
Voglio parlare a nome di tutti quelli che si sentono inutili, non voluti, un peso sulle spalle della società, un ostacolo per le persone cosiddette "normali", i ricchi.
I loro cuori sono feriti.
Vivono nell'angoscia e nel senso di colpa perché nessuno, nessuno ha mai detto loro che erano preziosi e importanti.

- Jean Vanier -
Il povero, cammino d'unità


Quando la religione cede il passo all'ideologia, e diventa disumana, allora l'uomo si è allontanato da Dio. E non Dio dall'uomo. 
Perché Dio ci ama. Sempre. Incondizionatamente. 
E il suo amore è a prescindere, per il solo fatto che tutti noi siamo figli suoi. 


- Alessandro Ginatta - 


Buona giornata a tutti. :-)








mercoledì 24 ottobre 2018

A tutti quelli che nella vita si sono persi un’occasione importante - Roberto Pellico

A quelli che si siedono nell’ultima fila per non essere osservati.
A chi quando gli fai un sorriso in ascensore abbassa lo sguardo e arrossisce.
A chi rimane digiuno ai buffet.
A quelli che non dicono niente quando qualcuno taglia la coda e passa avanti.
A quelli che si scusano anche quando non dovrebbero.
A chi è educato anche a costo di sembrare scemo.
A chi ha un’intelligenza arguta e sa riconoscere quando è il momento di non arrivare primo.
A tutti quelli che nella vita si sono persi un’occasione importante, perché un prepotente gliel’ha portata via.
A chi ha la risposta giusta e non alza la mano.
A quelli che ancora credono alla lealtà, a costo di essere sconfitti.
E niente.
Io vi vedo.
E siete proprio belli.


- Roberto Pellico - 




In una comunità ci sono anche delle "antipatie".

Ci sono sempre delle persone con le quali m'intendo, che mi bloccano, che mi contraddicono e soffocano lo slancio della mia vita e della mia li­bertà.
La loro presenza sembra minacciarmi, e provoca in me del­la aggressività, o una forma di regressione servile.
In loro presen­za sono incapace di esprimermi e di vivere.
Altri fanno nascere in me dei sentimenti d'invidia e di gelosia: sono tutto quello che io vorrei essere, e la loro presenza mi ricorda che io non lo sono.
La loro radiosità e intelligenza mi rimanda alla mia indigenza.
Altri mi chiedono troppo. Non posso rispondere alla loro incessante ri­chiesta affettiva. Sono obbligato a respingerli.

Queste persone so­no mie "nemiche"; mi mettono in pericolo; e anche se non oso ammetterlo, le odio. Certo, quest'odio è solo psicologico, non è ancora morale, cioè voluto. Ma lo stesso avrei preferito che queste persone non esistessero!

E naturale che in una comunità ci siano queste vicinanze di sensibilità come questi blocchi fra sensibilità diverse. Queste co­se vengono dall'immaturità della vita affettiva e da una quantità di elementi della nostra prima infanzia sui quali non abbiamo nessun controllo. Non si tratta di negarli.

Se ci lasciamo guidare dalle nostre emozioni, si costituiranno certo dei clan all'interno della comunità. Allora non ci sarà più una comunità, ma dei gruppi di persone più o meno chiusi su se stessi e bloccati nei confronti degli altri. Quando si entra in certe comunità, si sentono subito queste tensioni e queste guerre sot­terranee. 
Le persone non si guardano in faccia. Quando s'incro­ciano nei corridoi, sono come navi nella notte.

Una comunità non è tale che quando la maggioranza dei suoi membri ha deciso coscientemente di spezzare queste barriere e di uscire dal bozzo­lo delle "amicizie" per tendere la mano al "nemico".
Ma è un lungo cammino.
Una comunità non si fa in un giorno.
In realtà, non è mai fatta!
Sta sempre progredendo verso un amore più grande, oppure regredendo.

- Jean Vanier -


Buona giornata a tutti. :)











venerdì 5 ottobre 2018

Le persone hanno diritto ad avere un mucchio di tenebre dentro di sé, il diritto ad essere diversi - Jean Vanier

Una delle più grandi difficoltà della vita comunitaria è che si obbligano a volte le persone a essere diverse da quello che sono; si appiccica su di loro un ideale al quale devono conformarsi.  
Se non arrivano a identificarsi all’immagine che si fa di loro,  temono di non essere amati o almeno di dare una delusione.
Se ci arrivano, credono di essere perfetti. 
Ora, in una comunità, non si tratta di avere delle persone perfette.
Una comunità è fatta di persone legate le une alle altre, ognuna fatta di quel miscuglio di bene e di male, di tenebre e di luce, di amore e di odio. 
E la comunità non è che la terra in cui ognuno può crescere senza paura verso la liberazione delle forme d’amore che sono nascoste in lui. 
Ma non ci può essere crescita che si riconosce che c’è possibilità di progresso, e dunque che c’è ancora in noi una quantità di cose da purificare, tenebre da trasformare in luce, paure da trasformare in fiducia.

Spesso, nella vita comunitaria, ci si aspetta troppo  dalle persone, e s’impedisce loro di riconoscersi e di accettarsi così come sono.
Le si giudica molto presto, o le si classifica in categorie. 
Esse sono allora obbligare a nascondersi dietro una certa maschera. Ma loro hanno il diritto di essere brutte, e di avere un mucchio di tenebre dentro di sé, e angoli ancora induriti nel loro cuore in cui si nasconde la gelosia e perfino l’odio!
Queste gelosie, queste insicurezze sono naturali; non sono “malattie vergognose”. Esse appartengono alla nostra natura ferita. 
E’ la nostra realtà. 
Bisogna impararle ad accettarle, a vivere con esse senza drammi, e a poco a poco, sapendosi  perdonati, a camminare  verso la liberazione.

Io vedo nelle comunità certe persone vivere una specie di colpevolezza inconscia; hanno l’impressione di non essere quello che dovrebbero essere. Hanno bisogno di essere confermate e incoraggiate alla fiducia. 
Hanno bisogno di sentire che possono condividere anche la loro debolezza senza essere respinte.

- Jean Vanier -
Fonte: La comunità luogo del perdono e della festa



"Sotto un punto di vista generale, per un cattolico tutto è e deve essere cristiano: la vita individuale, la famiglia, l'attività economica, la concezione filosofica, la creazione artistica, l'arte politica, sì da non esservi nessun angolo del proprio essere che non sia impregnato di cristianesimo.
Pertanto, la specifica denominazione di cristiano messa a democratico o afferma una concezione di vita del cristiano o non ha significato. 
Peggio, quel democristiano può degenerare in demicristiano, in quanto una politica sporca infetta la fede e la pratica cristiana del soggetto infedele al suo ideale di vita" 

- Don Luigi Sturzo -



Perdonatevi scambievolmente in modo tale da dimenticare il torto ricevuto.
Il ricordo, infatti, della malizia dell’offesa è complemento di furore, è riserva di peccato, odio della giustizia, freccia arrugginita, veleno dell’anima, dispersione delle virtù, verme della mente, distrazione della preghiera, lacerazione delle suppliche rivolte a Dio, alienazione della carità, chiodo fisso nell’anima, iniquità sempre desta, rimorso continuo, morte quotidiana. Siffatto vizio è su tutti gli altri tenebroso e detestabile.
Allontanate, dunque, l’ira spegnete il ricordo del torto ricevuto poiché se il padre vive genera il figlio; chi invece ha carità rigetta ogni vendetta: in una parola, chi fomenta inimicizie aumenta a se stesso un inutile affanno.

- San Francesco di Paola -



Buona giornata a tutti. :)