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domenica 5 aprile 2020

Non una dieta né astinenza triste. Purificarsi per essere più liberi di Gianfranco Ravasi

«Abbà Eulogio diceva al suo discepolo: Figlio, poco alla volta, esercitati a restringere il tuo ventre, grazie al digiuno. 
Infatti, come un otre disteso diventa più sottile, così ugualmente il ventre quando riceve molto cibo. Ma se ne riceve poco, si riduce ed esige sempre poco». 
Questa parabola dei Padri del deserto egiziano illustra in modo pittoresco la genesi ascetica del digiuno. 
Da questa radice universale si è ramificata una prassi religiosa che ha i suoi vertici nel Kippur ebraico, la grande giornata penitenziale, totale astensione alimentare, sessuale e lavorativa, nel Ramadan islamico, uno dei "cinque pilastri" della fede musulmana, e soprattutto nell'ininterrotta tradizione cristiana. 
La secolarizzazione moderna ha ridotto questo atto spirituale prima ancora che corporale alla dieta o alla platealità di certi digiuni politici più spettacolari che genuini o, peggio ancora, al dramma dell'anoressia. 
In realtà tutte le grandi religioni sono fermamente convinte che digiunare è un atto di sua natura simbolico, nel senso più genuino del termine. 
Pensiamo solo alla lapidaria e incisiva dichiarazione di Isaia: «È questo il digiuno che il Signore vuole: sciogliere le catene inique, togliere i legami dal giogo, rimandare liberi gli oppressi, spezzare ogni giogo, dividere il pane con l'affamato, introdurre in casa i miseri, i senza tetto, vestire uno che vedi nudo, non distogliere gli occhi da quelli della tua carne» (58, 6-7). 
Oppure si pensi all'ironia di Gesù nei confronti di un'astinenza meramente ritualistica che ti fa «assumere un'aria malinconica, sfigurare la faccia» a cui egli oppone paradossalmente «il profumarsi la testa e il lavarsi il viso» (Matteo 6, 16-17) perché il digiuno non sia farsa ma decisione intima che esprime autodisciplina, liberazione dal consumismo, dall'egoismo, dalla logica del possesso, dalle false necessità, ma anche purificazione dello spirito, controllo di sé, dominio dei sensi. 
Gli stessi Padri del deserto non esitavano a dichiarare che «è meglio bere vino con umiltà che bere acqua con orgoglio». 
Lo stesso islam con la voce di uno dei suoi grandi maestri mistici, al-Ghazali (1058-1111), ammoniva che il vero digiuno è astenersi dai peccati della lingua e degli altri membri, anzi è liberarsi da «tutto ciò che non è Dio». 
Persino la tradizione indù con Gandhi - che aveva dimostrato anche l'efficacia "politica" del digiuno - si muoveva in questa linea: «Il digiuno non ha senso se non educa alla sobrietà e se non è accompagnato da un costante desiderio di autodisciplina. Colui che ha soggiogato i sensi è il primo e più importante tra gli uomini. Tutte le virtù risiedono in lui». 
È, in questa luce, che il digiuno per la pace voluto da Giovanni Paolo II assume un segno universale esteriore perché l'umanità ne riscopra il valore esistenziale ultimo di purificazione da quel male estremo che è l'odio, la violenza, la guerra e ritrovi la purezza della fraternità solidale, della condivisione e dell'amore. Un'arma non offensiva che si erge contro le armi degli eserciti con una sua potenza trascendente, personale e sociale.

- cardinale Gianfranco Ravasi - 



Nel Salmo 50 (51), che è una supplica penitenziale, noi troviamo il senso di Dio e il senso del peccato, l’orrore per il male commesso e la speranza del perdono di Dio, la miseria umana e la misericordia divina.
La supplica penitenziale è espressione di un cammino penitenziale: la penitenza scaturisce dal pentimento, è legata alla "conversione", produce una progressiva purificazione del cuore, è funzionale alla carità: «Beato colui che digiuna per nutrire il povero» (Origene).
La vita cristiana è una penitenza permanente perché è una conversione continua e perché Cristo ha detto a chi vuol seguirlo di «prendere ogni giorno la propria croce». 
Il valore della penitenza è di estrema attualità: la pratica della penitenza oggi promuove una cultura alternativa all’edonismo imperante; costituisce un rimedio all’attuale fragilità della persona che non è stata educata al sacrificio; educa alla tolleranza, alla capacità di «portare gli uni i pesi degli altri»; riforma la società dell’opulenza educando alla sobrietà, all’apertura ai bisogni dell’altro, al "digiuno" del cibo sovrabbondante, delle parole inutili, degli spettacoli fatui, delle spese superflue. 
Di questa penitenza abbiamo bisogno.

- Mons. Giuseppe Greco - 


Buona giornata a tutti. :-)






sabato 4 aprile 2020

Il digiuno: frutto di umiltà

«Finchè l’uomo non diventa umile, non prende la paga della sua opera. 
La ricompensa non è data all’opera, ma all’umiltà. La ricompensa non è per la virtù né per la fatica che si sopporta nel praticarla, ma per l’umiltà che nasce da ambedue» (Isacco il Siro).

Non si vivono gli impegni quaresimali nella pretesa di dover meritare una ricompensa. Si tratta piuttosto di percorrere un cammino di penitenza e di digiuno che ha come suo frutto quella diminuzione di sé che ci rende bisognosi della salvezza di Dio.
A guidarci nel deserto quaresimale è la penitenza stessa del Battista, che deve diminuire perché Cristo cresca. 
Il fariseo della parabola di Luca digiuna ma si sazia di fatto del proprio io e del proprio orgoglio spirituale (Lc 18,9-14). 
Il pubblicano che vive l’umiltà del riconoscersi peccatore riceve il perdono e la salvezza: può saziarsi di Dio.
Digiuniamo per ricordare che non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. 
Si digiuna, non solo del cibo ma di tutto ciò che nutre il nostro orgoglio, per giungere a quell’umiltà che purifica il nostro desiderio e ci fa comprendere che la vera fame che deve abitare la nostra vita è la fame di Dio.
La fame di essere suoi figli. 
Ed è figlio colui che non si procura da solo il pane per la propria vita, ma sa attenderlo dalle mani del Padre. 
Come Gesù, mite e umile di cuore perché può dire «tutto mi è stato dato dal Padre mio» (Mt 11,27). 
Digiunare conduce alla vita, facendoci morire a noi stessi per ricevere la vita nuova donataci dalla Pasqua di Gesù.


- fr. Luca Fallica -
Comunità monastica Ss. Trinità di Dumenza


Noi ti benediciamo, o Dio, in questo giorno che comincia, per il periodo santo della Quaresima, che tu ci concedi in preparazione alla Pasqua. 
Portaci, attraverso il digiuno, ad avere fame di te e a non essere schiavi delle creature. 
Insegnaci, attraverso la pratica dell'astinenza, a dividere i nostri beni con coloro che ne hanno bisogno. 
Aiutaci, attraverso la preghiera e il silenzio, a trovare nella croce di tuo Figlio il nostro riposo e la nostra gioia 

(Pensieri di Fenelon per la Quaresima)





Buona giornata a tutti. :-)