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venerdì 12 giugno 2015

Notte – Charles Peguy -

Non mi piace chi non dorme, dice Dio..
Il sonno è l’amico dell’uomo.
Il sonno è l’amico di Dio.
Il sonno è forse la mia più bella creatura.
E io stesso mi sono riposato il settimo giorno.
Chi ha il cuore puro, dorme. E chi dorme ha il cuore puro.
E’ il grande segreto per essere instancabili come un bambino.

La pigrizia.
Non è un più grande peccato dell’inquietudine.
E della disperazione e della mancanza di fiducia in me.
Non parlo, dice Dio, di quegli uomini che non lavorano e non dormono.
Quelli sono peccatori, s’intende. E’ ben fatto per loro. 
Grandi peccatori. Non hanno che da lavorare.
Parlo di quelli che lavorano e non dormono.
Li compiango.

Innocenti nelle braccia della mia Provvidenza.
Hanno il coraggio di lavorare. Non hanno il coraggio di non far nulla.
Hanno la virtù di lavorare. Non hanno la virtù di non far nulla.
Di distendersi. Di riposarsi. Di dormire.
Disgraziati non sanno cos’è buono.
Governano benissimo i loro affari durante il giorno.
Ma non vogliono affidarmene il governo durante la notte.
Come se io non fossi capace di assicurarne il governo durante una notte.
Chi non dorme è infedele alla Speranza.
Ed è la più grande infedeltà.
Perché è l’infedeltà alla più grande Fede.
Poveri ragazzi amministrano nella giornata i loro affari con saggezza.
Ma venuta la sera non si risolvono, non si rassegnano ad affidarne il governo alla mia saggezza per lo spazio di una notte ad affidarmene il governo.
E l’amministrazione e tutto il governo.
Come se non fossi capace, forse, di occuparmene un po’.
Di farvi attenzione.
Di governare e amministrare e via discorrendo.
Ne amministro ben altri, poveracci, io governo la creazione, è forse più difficile.
Potreste forse senza gran (di) danno (-i) lasciarmi in mano i vostri affari, uomini saggi.
Sono forse saggio quanto voi.
Potreste forse rimettermeli per lo spazio di una notte.
Lo spazio che voi dormiate.
Infine.
E l’indomani mattina li ritrovereste forse non troppo sciupati.
L’indomani mattina non starebbero forse peggio.
Sono forse ancora capace di condurli un po’.

La saggezza umana dice: Non rimandare a domani ciò che puoi fare oggi stesso.
E io vi dico Colui che sa rimandare al domani è quello che è più gradito a Dio.
Colui che dorme come un bambino è anche colui che dorme come la mia cara Speranza.
E io vi dico:  rimandate a domani quelle preoccupazioni e quelle pene che oggi vi rodono e oggi potrebbero divorarvi.
Rimandate a domani quei singhiozzi che vi soffocano quando vedete l’ infelicità di oggi.
Quei singhiozzi che vi salgono e vi strangolano.
Rimandate a domani quelle lacrime che vi riempiono gli occhi e la testa.
Che v’inondano. Che vi cadono. Quelle lacrime che vi colano.
Perché da qui a domani, io, Dio, sarò forse passato.
La saggezza umana dice: disgraziato chi rimette a domani.
E io dico Beato, beato chi rimette a domani.
Beato chi rimette. Cioè Beato chi spera. E che dorme.

Perché sei tu che culli tutta la Creazione in un Sonno riparatore.
Come si adagia un bimbo nel suo lettino, come sua madre lo adagia e come sua madre lo rincalza e lo bacia (Non ha paura di svegliarlo. Dorme così bene.)
Come sua madre lo rincalza e ride e lo bacia in fronte scherzando.
E anche lui ride, ride in risposta dormendo.
Così, o notte, madre dagli occhi neri, madre universale, non più soltanto madre dei bimbi (è così facile) ma madre degli uomini stessi e delle donne, e questo è così difficile.

O Notte, o figlia mia Notte, tu la più religiosa delle mie figlie la più pia.
Delle mie figlie, delle mie creature colei che è più nelle mie mani, la più abbandonata.
Tu mi glorifichi nel Sonno ancor più di quanto tuo Fratello il Giorno mi glorifichi nel Lavoro.
Perché l’uomo nel lavoro non mi glorifica che per mezzo del suo lavoro.
E nel sonno sono io che glorifico me stesso per mezzo dell’abbandonarsi dell’uomo.
Ed è più sicuro, io ci so far meglio.

Notte tu sei la sola che fasci le ferite.
I cuori doloranti. Tutti scassati. Tutti smembrati.
O mia figlia dagli occhi neri, la sola delle mie figlie che sia, che io possa dire mia complice.
Che sia complice con me, perché tu ed io, io per mezzo tuo insieme facciamo cadere l’uomo nella trappola delle mie braccia e lo prendiamo un po’ per sorpresa.
Ma lo si prende come si può. Se qualcuno lo sa, quello sono io.

Tu che addormenti, tu che avvolgi già in un’Ombra eterna tutte le mie creature
Più inquiete, il cavallo focoso, la formica laboriosa, e l’uomo questo mostro d’inquietudine.
Da solo più inquieto di tutta la creazione tutta insieme.  

- Charles Peguy - 
da "Il portico del mistero della seconda virtù"





Una casa frana sempre e solo dall'interno.

 - Charles Peguy - 



"Il peccatore è parte integrante, pezzo integrante del meccanismo della cristianità. 
Nessuno è così competente come il peccatore in materia di cristianità. Nessuno, se non il santo. E in principio è lo stesso uomo. 
Il peccatore tende la mano al santo, dà la mano al santo, perchè il santo dà la mano al peccatore. 
E tutti insieme, l'uno con l'altro, l'uno tirando l'altro, essi risalgono fino a Gesù, fanno una catena che risale fino a Gesù. 
Chi non è cristiano è chi non dà la mano. 
Poco importa ciò che faccia in seguito di questa mano. 
Non si è cristiani perchè si è a un certo livello morale, intellettuale, anche spirituale. 
Si è cristiano perchè si è di una certa razza, di una certa razza che risale, di una certa razza mistica, di una certa razza spirituale e carnale, temporale ed eterna, di un certo sangue." 

 - Charles Peguy - 
da: "Un nuovo teologo, il signor Fernand Laudet"






Il mondo è pieno di persone oneste. Si riconoscono dal fatto che compiono le cattive azioni con più goffaggine.

 - Charles Peguy - 





Buona giornata a tutti. :-)



Ultim'ora: Bentornata Samantha!



giovedì 5 febbraio 2015

da:"Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare" - Franco Nembrini -

"...Che cosa era mancato nell’educazione che avevo ricevuto? Era successo ai miei genitori quel che sarebbe accaduto al padre di una mia alunna qualche anno dopo. Vi racconto brevemente l’episodio.
Una volta è venuto a trovarmi il papà di una mia alunna (un po’ strana, un po’ fuori di testa), molto preoccupato e addolorato per la figlia che lo faceva tribolare. Suonò il campanello quella sera a casa mia, cenammo insieme, e alla fine, affrontando il problema che gli stava a cuore scoppiò a piangere, si tirò su la manica della camicia facendomi vedere le vene e, quasi urlando disperatamente, mi disse (siccome aveva capito che tra me e sua figlia, invece, un po’ di feeling era nato, ci si intendeva, insomma), mi disse, battendosi la mano sul braccio: “Professore, io la fede ce l’ho nel sangue, ma non la so più dare a nessuno. Può farlo lei? Lei può farlo: lo faccia, per carità, perché io ce l’ho nel sangue, ma non la so più comunicare nemmeno a mia figlia”.
Ecco, lì m’è venuta l’idea che il problema della Chiesa fosse il metodo, la strada, che tutta la genialità del contributo che don Giussani offriva alla Chiesa e al mondo era questo: la scoperta che la fede, tornando ad essere un avvenimento presente, fosse finalmente dicibile, comunicabile.
Poi ho capito che tutto il dramma di quel genitore era questo: pensava che tra lui e sua figlia ci fosse una generazione di differenza, e invece s’erano infilati tra lui e sua figlia quattrocento anni, cinquecento anni di una cultura che aveva negato tutta la sua tradizione e le cose di cui lui viveva, e che televisione e scuola – dal secondo dopoguerra in poi – avevano infilato tra lui e sua figlia.
Ecco cosa era mancato ai miei genitori e a quel padre: la consapevolezza di questa distanza e il metodo, la strada per superarla. E la si poteva superare solo riproponendo il cristianesimo nella sua elementare radicalità: una presenza viva, capace di illuminare le contraddizioni dell’esistenza in modo convincente.
Non la soluzione dei problemi ma un nuovo punto di vista da cui affrontarli, non una teoria contrapposta ad altre teorie, ma, per dirla con Guardini “l’esperienza di un grande amore nel quale tutto diventa avvenimento nel suo ambito”

(Franco Nembrini)





“...che i bambini di oggi siano più intelligenti è una menzogna, sono solo iperstimolati dalla televisione e da tante altre cose, ma sono superficiali, non interiorizzano nulla, non hanno giudizi o criteri propri, sono totalmente nelle mani del potere, di chi grida di più, dei giornali che leggono, di quello che ascoltano. Così a trent'anni possono avere una certa opinione al mattino quando si alzano, possono aver cambiato opinione a mezzogiorno e averne un'altra ancora diversa alla sera. 
Il cuore dell'uomo desidera unicamente conoscere la verità, mentre questi ragazzi crescono in un relativismo che fa loro dire: «Beh, in qualunque caso la verità non esiste!». 
Il cuore dell'uomo ha la necessità di costruire qualcosa di buono, e invece questi ragazzi sono come impossibilitati a costruire, non portano a termine nulla, e per questo c'è uno scetticismo terribile e una paura grande ad affrontare la vita.”

- Franco Nembrini - 
"Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare"





"Ci servono amici per sostenere questo impegno, questo sforzo di un «io» che si addentra nel mondo. Se mi chiedessero qual è la ragione per cui Dio è venuto sulla terra, risponderei che è per dare la possibilità dell' amicizia tra gli uomini, qualcosa di apparentemente impossibile che comincia a essere possibile: «Vi ho chiamati amici!» (Gv 15, 15; tra l'altro nel Vangelo l'unico a cui Gesù si è rivolto chiamandolo direttamente «amico» è stato colui che lo ha tradito...).

- Franco Nembrini - 
Da "Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare"



«Le crisi di insegnamento non sono crisi di insegnamento; sono crisi di vita. Una società che non insegna è una società che non si ama, che non si stima; e questo è precisamente il caso della società moderna»

- Charles Peguy - 






Buona giornata a tutti. :-)






lunedì 15 settembre 2014

Una sedia ben fatta - Charles Peguy

Lo si creda o no, noi siamo stati allevati nel seno di un popolo allegro. 
Un cantiere era allora un luogo della terra dove gli uomini erano felici. 
Oggi un cantiere è un luogo della terra dove gli uomini recriminano, si odiano, si battono; si uccidono.
Ai miei tempi tutti cantavano. Nella maggior parte dei luoghi di lavoro si cantava; oggi vi si sbuffa. Direi quasi che allora non si guadagnava praticamente nulla. Non si ha l’idea di quanto i salari fossero bassi. Nondimeno tutti mangiavano. Anche nelle case più umili c’era una sorta di agiatezza di cui si è perduto il ricordo. 
Conti, non se ne facevano. Perché c’era poco da contare. Ma i figli potevano essere allevati. E se ne tiravano su. Era sconosciuta questa odiosa forma di strangolamento che oggi ci torce ogni anno di più. Non si guadagnava; non si spendeva; e tutti vivevano.(...)
Abbiamo conosciuto un onore del lavoro identico a quello che nel Medio Evo governava le braccia e i cuori. Proprio lo stesso, conservato intatto nell’intimo. 
Abbiamo conosciuto l’accuratezza spinta sino alla perfezione, compatta nell’insieme, compatta nel più minuto dettaglio. 
Abbiamo conosciuto questo culto del lavoro ben fatto perseguito e coltivato sino allo scrupolo estremo. Ho veduto, durante la mia infanzia, impagliare seggiole con lo stesso identico spirito, e col medesimo cuore, con i quali quel popolo aveva scolpito le proprie cattedrali.
Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. 
Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. 
La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. 
Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita dal profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali.
E sono solo io – io ormai così imbastardito – a farla adesso tanto lunga. 
Per loro, in loro non c’era allora neppure l’ombra di una riflessione. Il lavoro stava là. Si lavorava bene.
Non si trattava di essere visti o di non essere visti. Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto.

Charles Peguy

da "Il denaro",1913




"Tutti siamo responsabili della parola di Dio a noi affidata. Non basta che essa venga scritta nei libri, che venga ripetuta in modo estremamente espressivo. Essa deve vivere in noi e portare frutto nella vita quotidiana."

- Stefan Wyszynski -




"Semina un po', semina molto, il grano della speranza. Semina il tuo sorriso, la tua energia, il tuo coraggio, il tuo entusiasmo. Semina tutto quello che c'è di bello in te, le più piccole cose, i nonnulla: ogni granellino arricchirà un piccolo angolo della terra."

Alessandra Martini






"Il mezzo migliore per farsi amare è di amare; ed essere amati è il mezzo per veder seguiti i propri esempi, ascoltate le proprie parole, efficaci i propri consigli, credute le proprie affermazioni, adottate le proprie credenze."

- Charles de Foucauld - 




Fidarci di te 

Dio mio,
alle volte devo fare
un pezzo di strada con qualcuno,
ascoltare, incoraggiare,
aprirgli gli occhi
sul tuo mondo meraviglioso.

Egli, talvolta,
non ne percepisce neppure il fascino,
per qualcosa che tristemente ha perduto
o sogna qualcosa di impossibile.

Signore,
aiutaci a fidarci di te,
della tua provvidenza.
Guardandoci, fa' che ci sentiamo privilegiati,
appagati e pieni di gratitudine.

Nel tuo amore c'è tutto ciò
di cui abbiamo bisogno.

- Elke Fischer - 







Buona giornata a tutti :-)