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sabato 23 dicembre 2017

Buon Natale dal Cardinale Carlo Maria Martini

Oggi il Natale ha quasi perduto il suo senso originario. 
Lo «celebrano» anche uomini di altre religioni. 
Perfino parecchi non credenti vivono in questo giorno una qualche forma di liturgia profana. Non v’è alcuno che rifiuti per Natale qualche dono o almeno una buona cena. 
Per questo non parlo volentieri del Natale. Da quando ho conosciuto un po’ meglio la Sacra Scrittura, è la Pasqua che mi attrae e mi pone dinnanzi a un preciso programma di vita. 
Benché il Natale sia una splendida manifestazione della gloria di Dio in Cristo e del suo amore per noi, i discorsi che si fanno a partire dal Natale sanno spesso di buonismo e di speranza a buon mercato. 
Essi sono un segno di poca lealtà con se stessi e con gli altri. Infatti diciamo delle cose che non sono vere e a cui nessuno crede. 
Ci auguriamo a vicenda lunga vita, felicità, successo, ci facciamo doni che vogliono dire l’affetto che ci portiamo, ma per lo più sappiamo che non è così. 
La prima lettera espone bene questo stato di cose. 
Il Natale fa emergere le storture della politica, la gravissima crisi  economica che stiamo attraversando, le violenze quotidiane fisiche e psicologiche. 
E si potrebbero aggiungere tante altre cose ancora. Molti uomini e donne attendono in questo giorno qualcosa, un evento o magari una persona che li tiri su, che restituisca loro l’ottimismo ingenuo che hanno irrevocabilmente perduto; qualcosa di nuovo e di grande, che potrebbe farli tornare indietro. 
Ma questa speranza è fallace, perché si basa solo sulle nostre forze e dimentica lo Spirito di Dio, il solo capace di aiutarci in maniera efficace. 
Dopo i giorni delle feste tutto ritorna più o meno come prima. 
È come un dirsi reciprocamente «ce la faremo», pur sapendo tutti che non è vero. 

Per vivere bene il Natale e ricavarne quel conforto che è giusto attendersi
da questa festa, è necessario sforzarsi di capire ciò che viene detto nei Vangeli. In essi, soprattutto nel Vangelo secondo Luca, emerge un progetto di uomo che vive il dono di Dio nella meraviglia, nella gratitudine e nel distacco. 
Questo uomo nuovo può essere o un semplice come i pastori o uno studioso
come i Magi. Tutti sono chiamati a partecipare all’esperienza dei pastori a cui fu detto: «Vi annunzio una grande gioia» (Lc 2,10). 

Chi partecipa di questa gioia, si difenderà da quel pericolo che è il Natale del consumismo, che ci impone di non sfigurare davanti ad amici e parenti con costosi regali. 
Pur avendo la coscienza che molte famiglie fanno fatica a far quadrare il bilancio del mese, si continua a spendere denaro pubblico e privato nella maniera più folle. 
Si tratta di una gioia semplice, intima, che può convivere anche con momenti di sofferenza e di strazio. 

Il bambino Gesù è l’immagine di questa fiducia e abbandono alla Provvidenza. Qui va ricordata la parola di Gesù: «chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10,15). 
Se noi riusciamo ad affidarci alla Provvidenza di Dio, accettiamo ogni cosa con fiducia, perché fa parte del disegno del Padre. 
Il Natale guarda alla Pasqua e il presepio contiene allusioni alla morte e risurrezione di Gesù. Esse erano presenti nella riflessione dei Padri. 

Così, ad esempio, il tema del legno della croce veniva ricordato dalla culla di legno in cui giace Gesù. Le pecore offerte dai pastori ricordano l’agnello immolato.
Anche la Madre che si curva sul Figlio ci richiama alla pietà di Maria che tiene tra le braccia il Figlio morto. 
La liturgia ambrosiana si esprime così:
«L’Altissimo viene tra i piccoli, si china sui poveri e salva». Dunque, il senso del Natale ci riporta al centro della nostra redenzione e ci procura una
gioia che non avrà mai fine. Un simile atteggiamento positivo può convivere anche con grandi dolori e penosi distacchi. So bene che questi sentimenti di
dolore sono i segni di grandi ferite, che si riaprono soprattutto in questi giorni. Quando si vede a tavola un posto vuoto, riemerge il mistero del Crocefisso con le sue piaghe.
 
Ci sarebbe ancora da trattare di come il presepio può essere contemplato anche da non credenti e da atei. Io penso che questo fascino derivi dall’atmosfera profondamente umana che in esso si respira.
 
Una umanità che sa guardare anche al lato invisibile della realtà e si compendia nella preghiera «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama» . Buon Natale a tutti!

- Cardinale Carlo Maria Martini - 
da: “Corriere della Sera” del 23 dicembre 2010





Abbiamo bisogno di tempi, di silenzio, di calma, di preghiera, perché soltanto così possiamo affrontare le responsabilità che ci vengono date. Per questo vi ricorderete cosa ho detto in molte occasioni: lavorare meno e lavorare meglio e riposarsi un po' di più.  


- card. Carlo Maria Martini - 




Il Natale è assolutamente inadatto al mondo moderno.
Presuppone la possibilità che le famiglie siano unite,
o si riuniscano, e persino che gli uomini e le donne
che si sono scelti si parlino.
Il Natale continua a ergersi dritto, integro e spiazzante.
Il Natale giudica il mondo moderno, perciò vogliono che se ne vada.
  
- Gilbert Keith Chesterton -


Buona giornata a tutti. :-)












venerdì 22 dicembre 2017

Dio in fasce - Federico Garcia Lorca

E così, Dio scomparso, che voglio averti.
Piccolo cembalo di farina per il neonato.
Brezza e materia unite nell'espressione esatta
per amor della carne che non sa il tuo nome.
E così, forma breve d'inefferabile rumore,
Dio in fasce, Cristo minuscolo ed eterno,
mille volte ripetuto, morto, crocifisso,
dall'impura parola dell'uomo che suda.

- Federico Garcia Lorca -

Dipinto :Andrea Mantegna – Adorazione dei pastori

E’ Natale ogni volta
che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano.
E’ Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l’altro.
E’ Natale ogni volta
che non accetti quei principi
che relegano gli oppressi
ai margini della società.
E’ Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.
E’ Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.
E’ Natale ogni volta
che permetti al Signore
di rinascere per donarlo agli altri.

- Madre Teresa di Calcutta - 





Caro Gesù, vieni, nasci ancora una volta,
nasci nella nostra famiglia,
nei problemi e nelle preoccupazioni del nostro oggi,
nei litigi e nella mancanza di dialogo,
nelle separazioni e nelle divisioni.
Nasci, abbiamo bisogno di Te per restare uniti.

Caro Gesù, vieni, nasci ancora una volta,
nasci nella nostra famiglia,
nella mancanza di lavoro e nelle difficoltà economiche,
nel precariato dei nostri figli e nella paura per il futuro,
nella malattia e nella morte, quando ci toccano da vicino.
Nasci, abbiamo bisogno di te per continuare a sperare.

Caro Gesù, vieni, nasci ancora una volta,
nasci nella nostra famiglia,
nella mente e nel cuore di ogni suo membro,
nella concretezza e nella fatica dell’amore,
nei sogni e nei progetti di bene che desideriamo realizzare.

Nasci, abbiamo bisogno di te per essere felici.

- don Maurizio Mirilli -



Buona giornata a tutti. :-)

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giovedì 21 dicembre 2017

San Francesco d'Assisi ed il primo presepe - Tommaso Celano

84. La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo.
Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. 
Ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.
A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore. 

C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. 
Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». 
Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
85. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! 
Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. 
Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! 
La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. 
La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. 
I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. 
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
86. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. 
Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. 
E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.Vi si manifestano con abbondanza i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. 
Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. 
Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.

Tommaso da Celano racconta Greccio
Il testo integrale della Vita prima di Tommaso da Celano, sul presepio di Greccio, al cap. XXX.


«Francesco ci appare veramente il Serafico, cioè l’anima angelicata, che nella sua inenarrabile intensità mistica può condensare e rappresentare l’innumerevole anima cattolica del suo tempo, anelante alla rinunzia ma per arricchire con migliori tesori, al recesso, ma per uscirne, temprata, alla riconquista cristiana del mondo aberrante. 
Ecco la multiforme figura dell’Assisate: lui nudo davanti al padre avaro; lui cinto di rozza tonaca della stoffa incolore tessuta per i poveri, con una trama bianca e una nera; lui trafitto sul Golgota aretino dalle stimmate di Cristo; lui predicante la pace ai cittadini inferociti; lui che impone il disarmo personale ai suoi terziari, per cominciare da loro il disarmo morale della guerra endemica, lui che, acceso apostolo, va in Oriente in pieno Islam, e dice al Soldano le verità cristiane, gettando le basi di quella missione plurisecolare d’Oriente che ha per centro e monumento glorioso la Custodia di Terra Santa.»

- Monsignor Umberto Benigni -
da "Storia sociale della Chiesa" vol. 5


Buona giornata a tutti. :-)






mercoledì 20 dicembre 2017

Don Primo Mazzolari omelia Natale 1931

Arriviamo a questo Natale con due angosce nel cuore e vorremmo poterle deporle e guarire davanti al Presepio. Avremo la pace o la guerra?
Come si risolverà la crisi economica, che per alcuni di voi è perdita di guadagno e di ricchezza, per molti: disoccupazione, strettezze di ogni genere, fame? Cosa vi posso dire?
Come uomo, nulla… Come prete?
Come prete… ho il dovere di parlarvi e voi di ascoltare una parola chiara e audace, la quale non è la solita affermazione: si sta male e va male perché abbiamo abbandonato la strada della religione.
Se mi accontentassi di questa risposta, avreste ragione di non essere soddisfatti…
Perché si sta tanto male, oggi? Quasi tutti sono d'accordo nel dire che la colpa è delle barriere.
Quali barriere? Tutte: dalle doganali alle nazionali, dalle individuali alle collettive, anche quelle che sembrano giustificate dai sacri egoismi.
Trovata la causa, trovato il rimedio: demoliamo le barriere!
Parrebbe una cosa facile, invece, sia perché manchi la volontà o l'animo,
nessuno ci si prova, o trovandovisi non conclude.
Vedo gente che col pretesto di demolire qualche barriera ha finito per innalzare di nuove e di più gravi.
Cosa pensa la religione delle barriere?
Le barriere sono costruzioni umane: Dio non le ha volute, né comandate.
Dio non ha fatto le montagne, i fiumi, i mari, perché dividessero i popoli,
come, distribuendo variamente i suoi doni di fecondità, di forza, di intelligenza, non ha inteso che servissero come motivo di separazione e di differenza tra gli uomini.
Neppure il muro di casa o la cinta del campo, neppure la diversità degli usi,
del linguaggio, dei colori, niente è divisorio nel pensiero divino.
Quindi, la religione non approva nessuna barriera… Dove nascono le barriere?
Da una prima barriera, che a buon diritto porta il nome di originale:
quella che l'uomo ha innalzato tra se e Dio. Le rimanenti non sono che l'ombra di quella.
Non vedendo più Dio, l'uomo non ha più visto neppure il fratello e si è fatto furbo, padrone, prepotente, nemico.
Non vedendo più il padre, l'uomo ha cercato di diventare provvidenza a se stesso in qualunque modo…
Noi non siamo capaci di distruggere le barriere.
È l'opera delle nostre mani e ne siamo perdutamente innamorati.
Fu necessario che venisse Uno di là, Gesù Cristo a spezzare il muro…
Le barriere tra gli uomini cadranno soltanto quando, in unione col Cristo vorremo la ripresa in pieno dell'unità tra il cielo e la terra.
La nostra impotenza di mente, di volontà e di cuore può essere superata dalla forza che viene dal Signore.
Noi l'abbiamo, nelle nostre raffigurazioni lasciato allo stato di Bambino e di Crocifisso, cioè in una condizione di impotenza.
Ma pure in tale rappresentazione che dice la nostra mancata collaborazione e quindi la nostra grande responsabilità, Gesù Cristo ci parla e ci illumina, in quanto che in lui sofferente come Bambino e come Crocifisso, noi possiamo intravedere gli effetti spaventosi delle nostre divisioni, cioè dei nostri peccati.
Nel Presepio vediamo bambini di tutto il mondo che piangono di fame e di abbandono, sulla Croce i nostri compagni disoccupati, taglieggiati, oppressi e crocifissi.
Non ascoltate che vuole dimostrarvi che le barriere sono necessarie e che senza una guerra non si rimette a posto nulla…
Guardate il Presepio o il Calvario e troverete la risposta all'incosciente menzogna.
E con la risposta, una grande speranza, perché è dal Presepio e dal Calvario che incomincia la Redenzione. 

Sentitemi. Se un giorno fosse passato un bambino, chi avrebbe osato sparare?
Fra le trincee costruite dalla nostra cattiveria è passato e passa non soltanto nel giorno di Natale, Gesù, che ha il volto, gli occhi, la grazia incantevole dei nostri bambini.
Chi oserà sparargli contro?

- Don Primo Mazzolari -
omelia Natale 1931




"La stella di Betlemme è una stella che continua a brillare anche oggi in una notte oscura. ... Egli venne come la luce che illumina le tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolto. 
A quanti lo accolsero Egli portò la luce e la pace; la pace col Padre celeste, la pace con quanti come essi sono figli della luce e figli del Padre celeste, e la pace interiore e profonda del cuore ...
"E il Verbo si fece carne". Ciò è divenuto verità nella stalla di Betlemme "

(da "Mistero del Natale" di Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein)





Natale non è altro che questo immenso 
silenzio che dilaga per le strade, 
dove platani ciechi 
ridono con la neve 
altro non è che fondere a distanza 
le nostre solitudini, 
stendere nella notte un ponte d'oro. 
Sono qui col tuo dono che il mio illumina 
di dieci stelle-lune, 
guidandomi per mano 
dove vibra un riverbero 
di fuochi e di lanterne (verde e viola), 
di girandole e insegne di caffè. 
Un pino a destra 
per appendervi quattro nostalgie 
e la mia fede in te, bianca cometa 
in cima.


- Maria Luisa Spaziani - 


Buona giornata a tutti. :-)








martedì 19 dicembre 2017

Neve di Natale - Piero Gribaudi

Dicono che nei presepi la neve è fuori luogo, in quanto in Palestina ai tempi di Gesù non nevicava mai. 
Dicono che nei presepi la neve è un’invenzione tardiva, nata con i presepi edificati nei paesi ai piedi delle Alpi. 
Dicono che nei presepi la neve è inutile folclore senza senso. E invece non è così. Ce lo assicura questa fiaba.
Quella Notte Santa, dopo che la stella, i pastori, l’asino e il bue, Giuseppe e Maria e il Bambino si furono addormentati, una nuvola passò nel cielo di Betlemme, venuta anch’essa ad adorare il Bambino Gesù. Ma, non vedendo alcun segno del Grande Evento, ebbe un brivido e si mise a piangere; ed il suo brivido fu così intenso che, invece che gocce d’acqua, pianse fiocchi di neve. Quasi nessuno li vide, poiché al primo sorger del sole il lieve manto bianco si era già disciolto. Ma nulla accade mai per caso, e quegli occhi cambiarono la vita di un uomo.
Un uomo solo agli occhi del Signore è importante quanto l’umanità intera. Specialmente se quell’uomo è un grande peccatore, di quella specie che Dio predilige in modo specialissimo: senza speranza. 
Il Signore vuole infatti essere Lui l’unica speranza, e niente lo attrae di più che un uomo disperato. 
E quell’uomo aveva mille e una ragione per essere disperato. 
Aveva completamente sciupato la sua vita: invece di edificare aveva distrutto, invece che seminare vita aveva cosparso di morte il suo cammino. Se ne era convinto quella sera, quando, tornando al suo castello sulle colline di Betlemme, aveva incrociato per strada due viandanti, un uomo e una donna incinta, che al suo passaggio si erano fermati sul ciglio della strada guardandolo in viso intensamente, come nessuna persona del luogo avrebbe osato fare. 
Uno sguardo accogliente, buono, innocente, fiducioso; per lui, intollerabile. Lo sguardo della donna, poi, luminoso per l’imminente parto, gli era entrato nell’intimo del cuore ridestandolo da un lungo letargo. 
Per quei due poveracci avrebbe voluto provare disprezzo e scherno, ma non ci riuscì. 
E quando gli augurarono, chinandosi  lievemente, pace e salute, tentò invano di colpirli al volto con la frusta; il suo cavallo ebbe uno scarto e s’inerpicò violento verso i colli. 
Quello sguardo conteneva tutti gli sguardi delle donne violentate, degli uomini rapiti, dei bimbi sgozzati nella sua vita; non poteva essere diversamente, dato che continuava a rimestargli l’anima e, più passavano le ore, più gli pesava sul cuore come un macigno. 
La notte, poi, quegli occhi che recavano in sé cento altri occhi, lo scrutavano con tale intensità da ogni angolo della sua camera, che l’uomo dubitò di perder la ragione. 
Estrasse una fune a cappio e si apprestò al gesto che da tempo meditava. Fu a quel punto che un gran fiocco di neve entrò da una feritoia della torre e andò a posarsi sul lume, spegnendolo. Come risucchiati dall’improvviso buio, centinaia e poi migliaia di occhi lo seguirono. L’uomo sentiva che mille brevi gelide carezze gli si posavano sulle mani e sul volto, ma non riusciva a capire di che si trattasse. 
Di colpo, ebbe una certezza: erano gocce di sangue, spruzzi di tutto quel sangue un tempo così caldo ed ora così freddo sparso ovunque dalla sua crudeltà. 
L’uomo riaccese il lume e rimase folgorato: tutto, intorno a sé, non aveva il colore purpureo del suo peccato ma quello, lontanissimo nel tempo, della sua innocenza, l’immacolato bianco delle lenzuola che sua madre gli rimboccava la sera dandogli il bacio della buona notte. L’uomo si precipitò a cavallo verso la vallata puntando sicuro, nei chiaroscuri della notte, là dove il bianco era più luminoso. E mentre tutti dormivano, nella santa grotta, e la neve lentamente si scioglieva, egli silenziosamente scioglieva il suo pianto verso Colui che lo aveva talmente amato da preparargli in dono la neve.

- Piero Gribaudi -
da: "Fiabe della Notte Santa", Effatà Editrice



“Vi annunzio una grande gioia… oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore: Cristo Signore” (Lc 2,10-11). 

Questa notte abbiamo riascoltato le parole dell’Angelo ai pastori, ed abbiamo rivissuto il clima di quella Notte santa, la Notte di Betlemme, quando il Figlio di Dio si è fatto uomo e, nascendo in una povera grotta, ha posto la sua dimora fra noi. 
In questo giorno solenne risuona l’annuncio dell’Angelo ed è invito anche per noi, uomini e donne del terzo millennio, ad accogliere il Salvatore. 
Non esiti l’odierna umanità a farlo entrare nelle proprie case, nelle città, nelle nazioni e in ogni angolo della terra! 
E’ vero, nel corso del millennio da poco concluso e specialmente negli ultimi secoli, tanti sono stati i progressi compiuti in campo tecnico e scientifico; vaste sono le risorse materiali di cui oggi possiamo disporre. 
L’uomo dell’era tecnologica rischia però di essere vittima degli stessi successi della sua intelligenza e dei risultati delle sue capacità operative, se va incontro ad un’atrofia spirituale, ad un vuoto del cuore. 
Per questo è importante che apra la propria mente e il proprio cuore al Natale di Cristo, evento di salvezza capace di imprimere rinnovata speranza all’esistenza di ogni essere umano. 

Messaggio Urbi et Orbi di sua Santità Benedetto XVI, Natale 2005



“Svegliati, uomo: poiché per te Dio si è fatto uomo” (Sant’Agostino, Discorsi, 185). Svegliati, uomo del terzo millennio! 
A Natale l’Onnipotente si fa bambino e chiede aiuto e protezione. Il suo modo di essere Dio mette in crisi il nostro modo di essere uomini; il suo bussare alle nostre porte ci interpella, interpella la nostra libertà e ci chiede di rivedere il nostro rapporto con la vita e il nostro modo di concepirla. 
L’età moderna è spesso presentata come risveglio dal sonno della ragione, come il venire alla luce dell’umanità che emergerebbe da un periodo buio. Senza Cristo, però, la luce della ragione non basta a illuminare l’uomo e il mondo. Per questo la parola evangelica del giorno di Natale - “Veniva nel mondo / la luce vera, / quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9) – echeggia più che mai come annuncio di salvezza per tutti. “Nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (Cost. Gaudium et spes, 22).
La Chiesa ripete senza stancarsi questo messaggio di speranza, ribadito dal Concilio Vaticano II che si è concluso proprio quarant’anni or sono. 


Messaggio Urbi et Orbi di sua Santità Benedetto XVI, Natale 2005




Con i pastori entriamo nella capanna di Betlemme sotto lo sguardo amorevole di Maria, silenziosa testimone della nascita prodigiosa. Ci aiuti Lei a vivere un buon Natale; ci insegni a custodire nel cuore il mistero di Dio, che per noi si è fatto uomo; ci guidi a testimoniare nel mondo la sua verità, il suo amore, la sua pace. 
- papa Benedetto XVI - 
Messaggio Urbi et Orbi - Natale 2005


Buona giornata a tutti. :-)





lunedì 18 dicembre 2017

Angelo nel Paese al contrario - Mons. Mario Delpini

Nel suo vario viaggiare Angelo capitò persino in un paese che era il Paese al contrario. E’ uno strano paese dove tutto avviene al contrario.
Per esempio i ragazzi, invece che giocare di giorno e dormire di notte, di giorno, dormono e non combinano niente, poi, quando scende la notte e fa anche freddo, si agitano e si eccitano per andare a divertirsi: sarà strano, ma è così che capita nel Paese al contrario.
Per esempio, gli adulti, invece che decidere e chiedere ai figli di obbedire, chiedono ai figli che cosa vogliono e obbediscono: che si tratti del vestito da mettere o di che cosa mangiare a cena o di che cosa fare il mattino della domenica non sono i figli a obbedire ai genitori, ma tutto al contrario, sono i genitori a obbedire ai figli.
Fanno da autisti, da camerieri, da personale di pulizia: e un Paese al contrario.
Da una parte del paese c’è gente magra, patita, affamata e al mercato non si può andare: non c’è niente e, se anche ci fosse qualche cosa, chi avrebbe i soldi?
Dall’altra parte del paese c’è gente grassa, sazia e i mercati traboccano di mercanzia, tanto che finiscono per buttarne via una gran quantità. Una delle leggi del Paese al contrario infatti è: chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane. L’Angelo si stupiva, ma che farci? E’ un Paese al contrario.
La cosa più buffa è che invece di essere i ragazzi a divertirsi per insegnare al pappagallo a parlare, sono i pappagalli a insegnare a parlare ai bambini. I pappagalli sanno poche parole, parole brevi, dal suono ben chiaro. Le parole che i pappagalli insegnano ai bambini sono: io! no! uffa!
Nel Paese al contrario i bambini non sanno canzoni, non imparano poesie, non raccontano storie. Dicono soltanto tre parole: io! no! uffa!
Si alzano al mattino e prima ancora di vedere se c’è il sole o se piove, già seminano malumore per tutta la casa: uffa!
Incontrano la mamma o il papà o la sorella o il compagno di scuola o il cane. Ma non salutano, non ascoltano quello che hanno da dire, non si interessano di quello che capita. Piuttosto si rinchiudono nella solitudine come fosse una fortezza. Dicono sempre e solo: io!
Se qualcuno li invita, se ricevono una proposta, se una voce li chiama, la risposta è chiara e precisa: no!
Forse è per questo che nel Paese al contrario non c’è mai un bel sole, ma sempre una foschia, come se nell’aria abitassero la noia, la rabbia, la solitudine.
L’Angelo, che non aveva mai visto un Paese al contrario, si trovava a disagio, ma che poteva fare? L’avevano mandato lì apposta per invitare gli abitanti alla festa di Natale! La sua missione si rivelava un fallimento perché le risposte degli abitanti erano solo: io! no! uffa!
L’Angelo allora inventò una stella mai vista, una stella che insieme con la luce lasciava una scia di stupore che incantava i bambini annoiati, ed ecco che, non si sa come, invece di ripetere le parole imparate dal pappagallo, gridarono: evviva!
La stella mai vista non solo irradiava luce e stupore, ma al suo passaggio c’era come un mormorio di un vento leggero, una voce amica, che era come un invito: volete venire con me? Ed ecco i bambini, non si sa come, invece di ripetere le parole imparate dal pappagallo, gridarono: si!
La stella mai vista non solo irradiava luce e stupore e una voce amica, ma seminava nei cuori una specie di tenerezza, un desiderio di amicizia, un interesse commosso per i volti e le storie, per le lacrime e i sorrisi degli altri. Ed ecco che i bambini, non si sa come, invece di ripetere le parole imparate dal pappagallo cominciavano ogni frase con un pronome che non si usava nel Paese al contrario. Dicevano infatti: noi.
Fu così che il Paese al contrario cominciò a trasformarsi in un Paese come Dio comanda, proprio a partire dalle parole nuove.
Invece di seminare noia e scontento dicendo: “uffa!”, il mattino era accolto con un sorriso: “Evviva! Una giornata da vivere! Evviva, il bene da fare! Evviva, amici da incontrare”, cioè la gioia.
Invece di provocare rabbia e disappunto, dicendo: “no!”, ogni invito al bene ascoltava la risposta incoraggiante: “Si, vengo. Si ci sto. Si, grazie”, cioè la vocazione. Invece di isolarsi in solitudini deprimenti, dicendo sempre: “io”, anche le imprese più audaci diventavano possibili, anche le fatiche più aspre diventavano sopportabili, perché si diceva: “Noi. Noi insieme possiamo rimettere diritto anche il Paese al contrario”, cioè la fraternità.
E’ per questo che l’Angelo inventò la stella cometa.

- Mons. Mario Delpini - 
Arcivescovo di Milano 
Da “Un Angelo in paese” Storie di Natale per famiglie, Mons. Mario Delpini


  
Ci sono state molte discussioni sulla stella cometa. 
Gli astronomi l’hanno cercata nel cielo; i pittori l’hanno immaginata nei quadri di Natale; i bambini l’hanno aspettata come fosse l’apparire di un angelo simpatico.
A me sembra però che la stella sia come una gioia sorprendente che raggiunge le persone, anche quando non se l’aspettano e persino quando pensano di non meritarla. 
Una gioia sorprendente. 
E si lasciano convincere che il bene è meglio del male, che abitare in un Paese come Dio comanda è meglio che abitare in un Paese al contrario. Per dirla proprio in confidenza, io credo che la stella cometa sia la gioia che Gesù regala a Natale.



Padre nostro che sei nei cieli
Benedici questa casa e noi che ci abitiamo!

Infondi in ciascuno di noi la tua gioia,
perché anche da questa casa si diffonda una piccola luce
e tutti quelli che amiamo ne ricevano consolazione,
perché viene il tuo Regno, viene Gesù.

Conforta le nostre tristezze,
asciuga le nostre lacrime,
abita le nostre solitudini,
Perché viene il tuo Regno, viene Gesù.

Vieni in aiuto alle nostre debolezze,
incoraggia la nostra risposta alla tua vocazione,
sostieni la nostra perseveranza,
Perché viene il tuo Regno, viene Gesù. Amen

Buon Natale 2017

+ Mario Delpini

Arcivescovo


Buona giornata a tutti. :-)