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venerdì 7 ottobre 2016

7 Ottobre 2016 - 445° Anniversario della Battaglia di Lepanto e preghiera alla Vergine del Rosario

7 Ottobre 2016 - 445° Anniversario della Battaglia di Lepanto

Non ci si poteva esimere dal ricordare ancora questa data, solitamente taciuta dai media, ma anche dalla Chiesa recente, tutta presa a scusarsi anche di essersi difesa: ha mutato la vita nel nostro Continente a quel tempo, e per i secoli a venire; e, insieme, ci lascia misurare con inquietudine quanto la situazione nelle nostre terre sia mutata oggi, e di segno opposto.

7 ottobre 1571: San Pio V, il Papa di Lepanto



Da Ludwig von Pastor, “Storia dei Papi. Dalla fine del medio evo”, Desclée, Roma 1950, vol. 8, pp. 1566-1572

Con indescrivibile tensione aveva Pio V tenuto gli occhi rivolti all’Oriente. 
I suoi pensieri erano continuamente presso la flotta cristiana, i suoi voti la precorrevano di molto. Giorno e notte egli in ardente preghiera la raccomandava alla protezione dell’Altissimo. Dopo che ebbe ricevuto notizia dell’arrivo di Don Juan a Messina, il papa raddoppiò le sue penitenze ed elemosine. Egli aveva ferma fiducia nella potenza della preghiera, specialmente del rosario.
In un concistoro del 27 agosto Pio V invitò i cardinali a digiunare un giorno la settimana ed a fare straordinarie elemosine, solo colla penitenza potendosi sperare misericordia da Dio in sì grande distretta. Sua Santità – così notificò ai 26 di settembre del 1571 l’ambasciatore spagnuolo – digiuna tre giorni la settimana e dedica quotidianamente molte ore alla preghiera: ha ordinato anche preghiere nelle chiese. Per assicurare Roma da un’improvvisa irruzione di corsari turchi, il papa al principio di settembre aveva comandato che si terminasse la fortificazione di Borgo. Soltanto molto rare arrivavano notizie sull’armata cristiana e pertanto alla Curia si stava in penosa incertezza. Fu quindi come una liberazione l’apprendere finalmente ai primi di ottobre l’arrivo della flotta della lega a Corfù.
Giunta ai 13 di ottobre la nuova che la flotta turca trovavasi a Lepanto e che quella della lega si sarebbe messa in movimento il 30 settembre, non v’aveva dubbio che il cozzo era imminente. Il papa, sebbene fermamente fiducioso della vittoria delle armi cristiane, ordinò tuttavia straordinarie preghiere diurne e notturne in tutti i monasteri di Roma: egli poi in simili esercizi andava avanti a tutti col migliore esempio. La sua preghiera doveva finalmente venire esaudita. Nella notte dal 21 al 22 ottobre arrivò un corriere mandato dal nunzio a Venezia Facchinetti e rimise al cardinal Rusticucci che dirigeva gli affari della segreteria di Stato una lettera del Facchinetti contenente la notizia portata a Venezia il 19 ottobre da Giofrè Giustiniani della grande vittoria ottenuta presso Lepanto sotto l’ottima direzione di Don Juan. 



Il cardinale fece tosto svegliare il papa, che prorompendo in lagrime di gioia pronunziò, le parole del vecchio Simeone:”nunc dimittis servum tuum in pace”. Si alzò subito per ringraziare Iddio in ginocchio e poi ritornò in letto, ma per la lieta eccitazione non poté trovar sonno.


La mattina seguente si recò a S. Pietro per nuova calda preghiera di ringraziamento, ricevendo poscia gli ambasciatori e cardinali ai quali disse che ora dovevansi fare nel prossimo anno gli sforzi estremi per continuare la guerra turca. In quest’occasione egli alludendo al nome di Don Juan ripeté le parole della Scrittura: “fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Ioannes”. (…) Tanto Colonna quanto il papa avevano chiara coscienza di quanto mancasse ancora per raggiungere la grande meta dell’abbattimento della potenza degli ottomani: ambedue erano così concordi sui passi da intraprendersi che Pio V associò il suo esperimentato ammiraglio ai cardinali deputati per gli affari della lega, che dal 10 dicembre tenevano quasi ogni giorno coi rappresentati di Spagna, Requesens e Pacheco, e cogli inviati di Venezia due sedute, spesso della durata di cinque ore.
Sotto pena di scomunica riservata al papa tutto era tenuto rigorosissimamente segreto, perché il sultano aveva mandato a Roma degli spioni parlanti italiano. Nelle consulte ordinate dal papa nei mesi di ottobre e novembre era venuta in prima linea la provvista dei mezzi finanziari; ora trattavasi principalmente dello scopo dell’impresa da compiersi nella prossima primavera. E qui solo malamente i rappresentanti sia di Spagna, sia di Venezia potevano nascondere la gelosia e avversione, che nutrivano a vicenda. Gli interessi particolari dei due alleati emersero sì fortemente che venne messa in forse qualsiasi azione comune. 
I veneziani volevano servirsi della lega non solo per riavere Cipro, ma anche per fare nuove conquiste in Levante. Filippo II, invece, avverso ad ogni rafforzamento della repubblica di S. Marco, fece dichiarare dal Requesens che la lega doveva in primo luogo muovere contro gli stati berbereschi dell’Africa, perché questi tornassero in possesso della Spagna. In questa proposta i veneziani videro una trappola per impedirli dalla riconquista di Cipro ed esporli al pericolo di perdere anche Corfù mentre la loro flotta combatteva gli stati berbereschi pel re di Spagna. A Venezia ritenevasi ora sicuro che Filippo II volesse trarre il maggior utile possibile nel suo proprio interesse dalle forze della lega.
Non può dirsi con certezza quanto le lagnanze per ciò sollevate siano giustificate. Per giudicare rettamente il re di Spagna va in ogni modo tenuto conto del contegno della Francia, il cui governo fu abbastanza svergognato da proporre al sultano subito dopo la battaglia di Lepanto un’alleanza diretta contro la Spagna. Filippo II era perfettamente a giorno delle trattative che la Francia conduceva non solo col sultano, ma anche cogli ugonotti, i capi della rivoluzione neerlandese e con Elisabetta d’Inghilterra. In conseguenza egli doveva fare i conti con un contemporaneo attacco d’una coalizione franco-neerlandese-inglese-turca. Non fu pertanto solo gelosia verso Venezia quella che guidò il re cattolico. Del resto lo stesso Don Juan confessò ch’era contro il tenore del patto della lega rinunciare alla guerra contro il sultano a favore di un’impresa in Africa.
Di fronte al contrasto degli interessi spagnuoli e veneziani Pio V continuò a rappresentare la concezione più vasta e sommamente disinteressata: egli pensava alla liberazione di Gerusalemme, a cui doveva precedere la conquista di Costantinopoli. Ma, come scrisse Zúñiga all’Alba il 10 novembre 1571, un colpo efficace nel cuore della potenza ottomana era possibile soltanto in vista di un attacco contemporaneo e all’impensata per terra e per mare. Di qui i continuati sforzi di Pio V per arrivare a una coalizione europea contro i Turchi. Se a questo riguardo nulla era da sperarsi dalla Francia, che nel luglio aveva mandato un ambasciatore in Turchia, egli tuttavia sperava di guadagnare all’idea almeno altre potenze, prima di tutti l’imperatore, poi Polonia e Portogallo. A dispetto di tutti gli insuccessi finallora incontrati egli coi suoi legati e nunzi continuò a spingere sempre a questa meta.

Rivelazione di S. Pio V e vittoria della Lega Santa a Lepanto, Museo Naval, Madrid

Pio V cercava di utilizzare al possibile a questo riguardo il più leggero segno di buona volontà. Così prese occasione dalle frasi generiche, con cui Massimiliano II assicurò di essere disposto ad aiutare la causa cristiana, per dargli l’aspettativa da parte degli alleati di un aiuto di 20,000 uomini a piedi e di 2000 a cavallo. L’imperatore ringraziò ai 25 di gennaio del 1572 dell’offerta deplorando di non potere subito decidersi in un negozio di tale importanza. 
A Roma il duca di Urbino fece risaltare che c’era poco da sperare da Massimiliano ed anzi nulla dai principi tedeschi, specialmente dai protestanti. In un memoriale del papa del gennaio 1572 egli sostenne con buone ragioni l’idea che la guerra dovesse condursi là dove esercito e flotta potessero operare congiunte e dove «noi siamo padroni della situazione», quindi principalmente colla flotta in Levante. 
Se i Turchi venissero attaccati in Europa dall’imperatore e dalla Polonia, tanto meglio; ma la cosa principale è che si attacchi tosto, perché chi semplicemente si difende non combatte; chi vuole conquistare deve andare avanti risoluto.
La lega quindi si volga contro Gallipoli aprendosi così lo stretto dei Dardanelli. Ma per tale impresa era incondizionatamente necessaria una intesa della Spagna con Venezia, mentre invece i loro rappresentanti da mesi altercavano a Roma nel modo più spiacevole. Quando finalmente i veneziani fecero la proposta, conforme alle clausole del patto della lega del maggio 1571, di far decidere dal papa i punti contestati, anche la Spagna non osò fare opposizione.
Decise Pio V che la guerra della lega dovesse continuarsi nel Levante, che nel marzo la flotta pontificia si riunisse con la spagnuola a Messina e s’incontrasse con la veneta a Corfù, donde le tre forze unite dovevano procedere secondo gli ordini dei loro ammiragli, che gli alleati aumentassero, potendolo, le loro galere fino a 250 e procurassero secondo la proporzione prescritta nel patto della lega 32,000 soldati e 500 cavalieri oltre alla corrispondente artiglieria e munizioni e che alla fine di giugno dovessero trovarsi riuniti a Otranto 11,000 soldati (1000 pontifici, 6000 spagnuoli e 4000 veneziani). Ognuno degli alleati doveva preparare vettovaglie per sette mesi. Queste convenzioni vennero sottoscritte il 10 febbraio 1572.
Il 16 Pio V ammonì il gran maestro dei Gerosolimitani di tenere pronte le sue galere a Messina. I preparativi nello Stato pontificio, pei quali il denaro venne procurato principalmente col Monte della Lega, furono spinti avanti sì alacremente che nello stesso giorno si poté inviare ad Otranto 1800 uomini. A Civitavecchia erano pronte tre galere ed altre là erano attese da Livorno. Il papa era tutto pieno del pensiero della crociata: egli viveva e movevasi nel progetto, di cui fin dal principio era stato da solo l’anima.




Ti saluto, o Maria, nella dolcezza del tuo gioioso mistero e all'inizio della beata Incarnazione, che fece di te la Madre dei Salvatore e la madre dell'anima mia. Ti benedico per la luce dolcissima che hai portato sulla terra.
O Signora di ogni gioia, insegnaci le virtù che danno la pace ai cuori e, su questa terra, dove il dolore abbonda, fa che i figli camminino nella luce di Dio affinché, la loro mano nella tua mano materna, possano raggiungere e possedere pienamente la meta cui il tuo cuore li chiama, il Figlio del tuo amore, il Signore Gesù.

Ti saluto, o Maria, Madre del dolore, nel mistero dell'amore più grande, nella Passione e nella morte del mio Signore Gesù Cristo e, unendo le mie lacrime alle tue, vorrei amarti in modo che il mio cuore, ferito come il tuo dai chiodi che hanno straziato il mio Salvatore, sanguinasse come sanguinano quelli del Figlio e della Madre. Ti benedico, o Madre del Redentore e Corredentrice, nel purpureo splendore dell'Amore crocifisso, ti benedico per il sacrificio, accettato al tempio ed ora consumato con l'offerta alla giustizia di Dio del Figlio della tua tenerezza e della tua verginità, in olocausto perfetto.

Ti benedico, perché il sangue prezioso che ora cola per lavare i peccati degli uomini, ebbe la sua sorgente nel tuo Cuore purissimo. Ti supplico, o Madre mia, di condurmi alle vette dall'amore che solo l'unione più intima alla Passione e alla morte dell'amato Signore può far raggiungere.
Ti saluto, Maria, nella gloria della tua Regalità.

Il dolore della terra ha ceduto il posto a delizie infinite e la porpora sanguinante ti ha tessuto il manto meraviglioso, che si addice alla Madre dei Re dei re e alla Regina degli Angeli. Permetti che levi i miei occhi verso di te durante lo splendore dei tuoi trionfi, o mia amabile Sovrana, e diranno i miei occhi, meglio di qualsiasi parola, l'amore del figlio il desiderio di contemplarti con Gesù nell'eternità, perché tu sei Bella, perché sei Buona, o Clemente, o Pia, o Dolce Vergine Maria!




Buona giornata a tutti. :-)





sabato 3 settembre 2016

La profezia del beato Charles de Foucauld (1916): «Così l’islam ci dominerà»

Forse nessun europeo è stato così vicino ai musulmani d’Africa come il beato Charles de Foucauld (1858-1916), che a loro ha dedicato la vita fino al martirio. A distanza di quasi cent’anni, una sua lettera a René Bazin, scritta due mesi prima della morte, suona come una vera profezia che fa riflettere. Eccola:

"Ritengo che se, lentamente, dolcemente, i musulmani del nostro impero coloniale del Nord Africa non si convertono, sorgerà un movimento nazionalista simile a quello della Turchia. Si formerà un’élite intellettuale nelle grandi città, educata in Francia, ma senza lo spirito né il cuore francese, un’élite che avrà perso la fede islamica, ma che ne conserverà il nome per influenzare attraverso di essa le masse.

D’altra parte, la massa dei nomadi e dei contadini resterà ignorante e distante da noi, fermamente maomettana, portata all’odio e al disprezzo contro i francesi, contro la nostra religione, contro il nostro dominio, non sempre benevolo. Il sentimento nazionalista e barbaresco crescerà nell’élite colta. Quando troverà l’occasione, per esempio durante qualche situazione difficile per la Francia, interna o esterna, utilizzerà l’islam come una leva per sobillare le masse ignoranti e così cercare di creare un impero musulmano indipendente in Africa.

L’impero francese in Africa — Algeria, Marocco, Tunisia, Africa occidentale — ha 30 milioni di abitanti. Grazie alla pace, potrà averne il doppio in meno di cinquant’anni. Questa crescita demografica sarà accompagnata da un grande sviluppo materiale. I Paesi si arricchiranno, saranno solcati da ferrovie, popolati da persone agguerrite e addestrati all’uso dei nostri armamenti, guidati da un’élite educata nelle nostre scuole. O noi impariamo a fare i membri di questa élite dei francesi, oppure prima o poi ci cacceranno via.
E l’unico modo per diventare francesi è diventare cristiani.

Non si tratta di convertirli in un giorno, né tanto meno con la forza, ma dolcemente, in silenzio, con la persuasione, l’esempio, la buona educazione e l’istruzione, attraverso un contatto stretto e affettuoso. Questo è un lavoro soprattutto per i laici, che possono avere con i musulmani dei contatti assai più numerosi e più intimi che non i preti.

I musulmani possono diventare dei veri francesi?
Eccezionalmente sì, ma in generale no.
Molti dogmi fondamentali dell’islam si oppongono ai nostri principi. Con alcuni, e penso ai musulmani liberali che hanno ormai perso la fede, ci sono accomodazioni possibili. Ma con altri, e mi riferisco a coloro che aspettano il Madhì, non v’è nessuna possibilità di accordo. Escludendo i liberali, i musulmani credono che, giungendo i tempi del Giudizio Universale, verrà il Madhì che proclamerà una guerra santa per stabilire l’islam su tutta la terra, dopo aver sterminato o soggiogato tutti i non-musulmani.

Secondo la loro fede, i musulmani ritengono l’islam come la loro vera casa e i popoli non-musulmani come destinati a essere sopraffatti da loro o dai loro discendenti.
Considerano la sottomissione a una nazione non-musulmana come una situazione transitoria. La loro fede li assicura che usciranno vincitori da questo scontro con gli europei che oggi li dominano.
La saggezza consiglia loro di patire con calma questa prova: “Quando un uccello intrappolato si agita, perde le piume e si spezza le ali, invece se resta tranquillo sarà integro il giorno della liberazione”.

Loro possono preferire un Paese a un altro, come preferiscono la Francia alla Germania perché ci ritengono più miti; possono intrecciare amicizie con tale o tal’altro francese; possono combattere con grande coraggio per la Francia, per sentimento o per onore; possono dimostrare spirito guerriero, fedeltà alla parola, come d’altronde i mercenari dei secoli XVI e XVII.
Ma, di norma, esclusa qualche eccezione, finché saranno musulmani, non saranno dei veri francesi. Aspetteranno con più o meno pazienza il giorno del Madhì, quando allora attaccheranno la Francia.

Ecco perché sempre più musulmani algerini si mostrano così ansiosi di chiedere la cittadinanza francese. Come possono chiedere di far parte di un popolo straniero che sanno sarà irrimediabilmente sconfitto e sottomesso? Diventare francesi davvero, implicherebbe una sorta di apostasia, una rinuncia alla fede nel Madhì."

(Lettera del beato Charles de Foucauld a René Bazin, dell’Accademia Francese, 29 luglio 1916)





Il Sultano d'Egitto sottopose a Francesco D'Assisi un'altra questione: "II vostro Signore insegna nei Vangeli che voi non dovete rendere male per male, e non dovete rifiutare neppure il mantello a chi vuol togliervi la tonaca, dunque voi cristiani non dovreste imbracciare armi e combattere i vostri nemici".
Rispose San Francesco: "Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo. Il perdono di cui Cristo parla non è un perdono folle, cieco, incondizionato, ma un perdono meritato. 
Gesù infatti ha detto: "Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle ai porci, perché non le calpestino e, rivoltandosi, vi sbranino". 
Infatti il Signore ha voluto dirci che la misericordia va dispensata a tutti, anche a chi non la merita, ma che almeno sia capace di comprenderla e farne frutto, e non a chi è disposto ad errare con la stessa tenacia e convinzione di prima. 
Altrove, oltretutto, è detto: "Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te”. E, con questo, Gesù ha voluto insegnarci che, se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell'occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla fede e dall'amore del nostro Dio. 
Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo massima giustizia quando vi combattono, perché voi avete invaso delle terre cristiane e conquistato Gerusalemme, progettate di invadere l’Europa intera, oltraggiate il Santo Sepolcro, distruggete chiese, uccidete tutti i cristiani che vi capitano tra le mani, bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla sua religione quanti uomini potete. 
Se invece voi voleste conoscere, confessare, adorare, o magari solo rispettare il Creatore e Redentore del mondo e lasciare in pace i cristiani, allora essi vi amerebbero come se stessi". 

- Numero 2691 delle Fonti Francescane - 



“Dicono che Islam è una religione della pace. Ma cosa intende l’Islam con la parola “pace”? È semplice. Quando la società umana intera sarà sottomessa a un governo che applica senza modifiche la legge sociale divina e perfetta rivelata attraverso Maometto, cioè la Sharia, ci sarà grande pace. 
Ci offre la pace attraverso la sottomissione: in questo, sì, l’Islam è una religione di pace.
Allora, “Chi sei tu che mi sgozzi? Perché lo fai?”.
Perché speri che con questo sacrificio, con questa violenza tu possa portare il mondo a sottomettersi, e perciò a ottenere la pace.
Fratello, la pace non viene da lì, viene da un’altra parte.
La pace è un dono che Dio vuole darci, uno per uno, non come imposizione, ma come frutto di un rapporto con Lui.
Vieni con me, fratello, alla croce di Cristo dove il peccato e la morte sono stati sconfitti! 
Vieni con me a vedere la vera pace che ti porto, col mio sangue mischiato con quello di Cristo.”

- Don Vincent Nagle -

Da: www.ilsussidiario.net




Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 31 agosto 2016

Amico dell’ultimo istante – Testamento spirituale del Priore Christian-Marie De Chergé

“Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, mi piacerebbe che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era “donata” a Dio e a quel paese. Che essi accettassero che il Padrone unico di ogni vita non può essere estraniato da questa dipartita brutale. 
Che pregassero per me: come potrei essere trovato degno di questa offerta? 
Che sapessero associare questa morte a tante egualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.

La mia vita non ha prezzo più alto di un’altra. Non vale di meno né di più; in ogni caso, non ha l’innocenza dell’infanzia.

Ho vissuto abbastanza per considerarmi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che mi può colpire alla cieca.

Mi piacerebbe, se venisse il momento, di avere quello sprazzo di lucidità che mi permetterebbe di sollecitare il perdono di Dio e quello di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse ferito.

Non posso auspicare una morte così. Mi sembra importante dichiararlo. Infatti non vedo come potrei rallegrarmi del fatto che un popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio.

Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che forse chiameranno “la grazia del martirio”, doverla a un algerino, chiunque egli sia, soprattutto se questi dice di agire nella fedeltà a ciò che crede essere l’Islam. 
So bene il disprezzo del quale si è arrivati a bollare gli algerini globalmente presi.

Conosco bene anche le caricature dell’Islam che un certo islamismo incoraggia.  
E’ troppo facile mettersi la coscienza in pace identificando questa religione con gli integralismi dei suoi estremisti.

L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa, sono un corpo e un’anima.

Ho proclamato abbastanza, credo, davanti a tutti, quel che ne ho ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del Vangelo appreso sulle ginocchia di mia madre (tutta la mia prima chiesa), proprio in Algeria e, già allora, con tutto il rispetto per i credenti musulmani.

Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno considerato con precipitazione un “naïf” o un idealista: “ci dica adesso quel che pensa!”.  
Ma queste persone  devono sapere che la mia più lancinante curiosità verrà finalmente soddisfatta. Ecco che potrò, a Dio piacendo, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’Islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria del Cristo, frutti della sua passione, investiti dal dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre stabilire la comunione, ristabilire la rassomiglianza, giocando con le differenze.

Per questa vita perduta, totalmente mia, totalmente loro, rendo grazie a Dio che sembra averla voluta interamente per quella gioia, nonostante tutto e contro tutto.

In questo Grazie! In cui è detto tutto, ormai, della mia vita, comprendo certamente voi, amici di ieri e di oggi, amici di questa terra, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, centuplo accordato secondo la promessa!

E anche te, amico dell’ultimo istante, che non avrai saputo quel che facevi.  
Sì, anche per te voglio dire questo grazie e questo ad-Dio da te deciso. 
E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se lo vorrà Dio, nostro Padre comune. Amen! Inshallah!”


Diario, Algeri, 1° dicembre 1993  - Tibhirine, 1° gennaio 1994.


 - Padre Christian-Marie De Chergé -
http://www.monastere-tibhirine.org/



Nella notte fra il 26 e il 27 marzo del 1996 sette monaci trappisti del monastero di Notre-Dame de l’Atlas situato a Tibhirine, in Algeria, vennero sequestrati nel corso della sanguinosa guerra civile che fece decine di migliaia di morti nel paese nordafricano, per essere ritrovati uccisi il 21 maggio… Il Priore qualche tempo prima aveva scritto il testamento spirituale, sopra riportato, intuendo il precipitare degli eventi.
L’uccisione dei monaci fu rivendicata dai fondamentalisti islamici del Gia (Gruppo islamico armato) che annunciarono: "Ai monaci abbiamo tagliato la gola". Alla fine del mese di maggio ne furono ritrovati parzialmente i resti mortali.
Non si saprà forse mai se coloro che hanno assassinato i sette monaci fossero davvero militanti islamisti o provocatori del regime, ma la loro morte - come la loro vita – è stata vissuta da loro stessi e percepita nel mondo come un martirio.



"Un martire cristiano non è qualcosa di accidentale. Ancor meno il martirio del cristiano può essere il risultato della volontà dell'uomo di diventare un martire, a forza di volontà e di sforzi, così come un uomo, a forza di volontà e di sforzi, può diventare un capo. Un martire, un santo è sempre tale per volontà di Dio, per il suo amore verso gli uomini, che li avverte e li guida e li riconduce sui suoi sentieri.
Un martire non è mai frutto del progetto di un uomo, perché vero martire è colui che si fa strumento di Dio, che ha annullato la propria volontà nella volontà di Dio e, così facendo, non l'ha perduta ma ritrovata, poiché ha trovato la libertà nella sottomissione a Dio."

Dalla predica di San Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury, martire, 1118-1170, la mattina di Natale del 1170, nel testo teatrale “Assassinio nella Cattedrale” di T. S. Eliot


Buona giornata a tutti. :-)

venerdì 5 agosto 2016

Al tizio del piano di sopra - Charles Simic'

Capo di tutti i capi dell'universo.
Signor so-tutto, burattinaio intrigante,
e qualsiasi altra cosa tu sappia fare.
Avanti, smazza i tuoi zero questa notte.
Intingi nell'inchiostro code di comete.
Graffetta la notte con luci di stelle.

Meglio per te sarebbe leggere nei fondi di caffè,
o sfogliare l'Almanacco dell'Agricoltore.
Ma no! Ti piace darti arie,
e coltivare la tua rinomata serenità
mentre siedi alla grande scrivania
con niente di niente nel vassoio
della corrispondenza in arrivo o in partenza,
e tutta quell'eternità disseminata intorno.

Non ti fa accapponare la pelle
sentirli supplicare in ginocchio,
farfugliando tenere parole come se tu
fossi una bambola gonfiabile a grandezza naturale?
Di' loro di rimettersi in sesto e andare a letto.
Basta fingerti troppo occupato per notarlo.

Le tue mani sono vuote e così i tuoi occhi.
Niente su cui apporre la tua firma,
anche se tu sapessi quale nome darti,
o credessi a quelli che continuo a inventare
mentre per te scarabocchio quest'appunto nel buio.

Charles Simic'

da "Hotel Insonnia", Adelphi Milano, 2002

1° luglio 2016 - Strage a Dacca. 20 morti, 9 erano italiani

Salmo

Ci hai messo un bel po' a deciderti,
oh Signore, su questi pazzi
che governano il mondo. Arrivano dovunque
e i loro artigli devono averti spaventato.

Uno di loro mi scovò con la sua ombra.
Il giorno si era fatto freddo. Ondeggiai
fra il terrore e il coraggio
nell'angolo più buio della stanza di mio figlio.

Ho cercato con i miei occhi, Te in cui non credo.
Ti impegni a rendere graziosi i fiori,
a far sì che gli agnelli non smarriscano la madre,
o forse nemmeno di questo ti curi?

Era primavera. Gli assassini con un'aria sportiva
e allegra, e le tue divinità
al loro fianco per accertarsi
che i nostri addii venissero pronunciati bene.

- Charles Simic' -
da "Hotel Insonnia", Adelphi Milano, 2002






Gli Orrori del nostro tempo ci faranno provare nostalgia di quelli del passato.


- Charles Simic' -

Dal libro: Il mostro ama il suo labirinto


Quello che succede oggi non trovatelo naturale!!!


Buona  giornata a tutti. :-)













domenica 17 luglio 2016

Il nemico che trattiamo da amico di Oriana Fallaci (1)

Ora mi chiedono: "Che cosa dice, che cosa ha da dire, su quello che è successo a Londra?". Me lo chiedono a voce, per fax, per email, spesso rimproverandomi perché finoggi sono rimasta zitta. 
Quasi che il mio silenzio fosse stato un tradimento. E ogni volta scuoto la testa, mormoro a me stessa: cos'altro devo dire?!? 
Sono quattr'anni che dico. 
Che mi scaglio contro il Mostro deciso ad eliminarci fisicamente e insieme ai nostri corpi distruggere i nostri principii e i nostri valori. 
La nostra civiltà. 
Sono quattr'anni che parlo di nazismo islamico, di guerra all'Occidente, di culto della morte, di suicidio dell'Europa. 
Un'Europa che non è più Europa ma Eurabia e che con la sua mollezza, la sua inerzia, la sua cecità, il suo asservimento al nemico si sta scavando la propria tomba.
Sono quattr'anni che come una Cassandra mi sgolo a gridare "Troia brucia, Troia brucia" e mi dispero sui Danai che come nell'Eneide di Virgilio dilagano per la città sepolta nel torpore. 
Che attraverso le porte spalancate accolgono le nuove truppe e si uniscono ai complici drappelli. 
Quattr'anni che ripeto al vento la verità sul Mostro e sui complici del Mostro cioè sui collaborazionisti che in buona o cattiva fede gli spalancano le porte. Che come nell'Apocalisse dell'evangelista Giovanni si gettano ai suoi piedi e si lasciano imprimere il marchio della vergogna. 
Incominciai con "La Rabbia e l'Orgoglio". 
Continuai con "La Forza della Ragione". 
Proseguii con "Oriana Fallaci intervista sé stessa" e con "L'Apocalisse". 
E tra l'uno e l'altro la predica "Sveglia, Occidente, sveglia". 
I libri, le idee, per cui in Francia mi processarono nel 2002 con l'accusa di razzismo-religioso e xenofobia. 
Per cui in Svizzera chiesero al nostro ministro della Giustizia la mia estradizione in manette. 
Per cui in Italia verrò processata con l'accusa di vilipendio all'Islam cioè reato di opinione. (Reato che prevede tre anni di galera, quanti non ne riceve l'islamico sorpreso con l'esplosivo in cantina). 
Libri, idee, per cui la Sinistra al Caviale e la Destra al Fois Gras ed anche il Centro al Prosciutto mi hanno denigrata vilipesa messa alla gogna insieme a coloro che la pensano come me.
Cioè insieme al popolo savio e indifeso che nei loro salotti viene definito dai radical-chic "plebaglia-di-destra". 
Sì, è vero: sui giornali che nel migliore dei casi mi opponevano farisaicamente la congiura del silenzio ora appaiono titoli composti coi miei concetti e le mie parole. Guerra-all'Occidente, Culto-della-Morte, Suicidio-dell'Europa, Sveglia-Italia-Sveglia. 
Sì, è vero: sia pur senza ammettere che non avevo torto l'ex segretario della Quercia ora concede interviste nelle quali dichiara che questi-terroristi-vogliono-distruggere-i-nostri-valori, che questo- stragismo-è-di-tipo-fascista-ed-esprime-odio-per-la-nostra-civiltà". 
Sì, è vero: parlando di Londonistan, il quartiere dove vivono i ben settecentomila musulmani di Londra, i giornali che prima sostenevano i terroristi fino all'apologia di reato ora dicono ciò che dicevo io quando scrivevo che in ciascuna delle nostre città esiste un'altra città.
Una città sotterranea, uguale alla Beirut invasa da Arafat negli anni Settanta. 
Una città straniera che parla la propria lingua e osserva i propri costumi, una città musulmana dove i terroristi circolano indisturbati e indisturbati organizzano la nostra morte. 
Del resto ora si parla apertamente anche di terrorismo-islamico, cosa che prima veniva evitata con cura onde non offendere i cosiddetti musulmani moderati. 
Sì, è vero: ora anche i collaborazionisti e gli imam esprimono le loro ipocrite condanne, le loro mendaci esecrazioni, la loro falsa solidarietà coi parenti delle vittime. Si, è vero: ora si fanno severe perquisizioni nelle case dei musulmani indagati, si arrestano i sospettati, magari ci si decide ad espellerli. Ma in sostanza non è cambiato nulla. 
Nulla. Dall'antiamericanismo all'antioccidentalismo al filoislamismo, tutto continua come prima. Persino in Inghilterra. Sabato 9 luglio cioè due giorni dopo la strage la BBC ha deciso di non usare più il termine "terroristi", termine-che-esaspera-i-toni-della-Crociata, ed ha scelto il vocabolo "bombers". 
Bombardieri, bombaroli. Lunedì 11 luglio cioé quattro giorni dopo la strage il Times ha pubblicato nella pagina dei commenti la vignetta più disonesta ed ingiusta ch'io abbia mai visto. Quella dove accanto a un kamikaze con la bomba si vede un generale anglo-americano con un'identica bomba. Identica nella forma e nella misura. Sulla bomba, la scritta: "Killer indiscriminato e diretto ai centri urbani". 
Sulla vignetta, il titolo: "Spot the difference, cerca la differenza". Quasi contemporaneamente, alla televisione americana ho visto una giornalista del Guardian , il quotidiano dell'estrema sinistra inglese, che assolveva l'apologia di reato manifestata anche stavolta dai giornali musulmani di Londra. E che in pratica attribuiva la colpa di tutto a Bush. 
Il-criminale, il- più-grande-criminale-della-Storia, George W. Bush. "Bisogna capirli" cinguettava "la politica americana li ha esasperati". 
Se non ci fosse stata la guerra in Iraq...". (Giovanotta, l'11 settembre la guerra in Iraq non c'era. L'11 settembre la guerra ce l'hanno dichiarata loro. Se n'è dimenticata?). E contemporaneamente ho letto su Repubblica un articolo dove si sosteneva che l'attacco alla subway di Londra non è stato un attacco all'Occidente. E' stato un attacco che i figli di Allah hanno fatto contro i propri fantasmi. Contro l'Islam "lussurioso" (suppongo che voglia dire "occidentalizzato") e il cristianesimo "secolarizzato". 
Contro i pacifisti indù e la-magnifica-varietà-che-Allah-ha-creato. Infatti, spiegava, in Inghilterra i musulmani sono due milioni e nella metropolitana di Londra non-trovi-un-inglese-nemmeno-a-pagarlo-oro. 
Tutti in turbante, tutti in kefiah. 
Tutti con la barba lunga e il djellabah. 
Se-ci-trovi-una-bionda-con-gli-occhi-azzurri-è-una-circassa" . (Davvero?!? Chi l'avrebbe mai detto!!!)
Nelle fotografie dei feriti non scorgo né turbanti né kefiah, né barbe lunghe né djellabah. E nemmeno burka e chador. 
Vedo soltanto inglesi, come gli inglesi che nella Seconda Guerra Mondiale morivano sotto i bombardamenti nazisti. 
E leggendo i nomi dei dispersi vedo tutti Phil Russell, Adrian Johnson, Miriam Hyman, più qualche tedesco o italiano o giapponese. 
Di nomi arabi, finoggi, ho visto soltanto quello di una giovane donna che si chiamava Shahara Akter Islam. 


dal Corriere della Sera, 16 luglio 2005 pagg. 8 e 9


Riflessioni di un padre: uno che non esita a indicare una strada.

“In questo mondo dove tutto si dissolve e la solitudine domina la vita dei singoli e della società, condannandola a un processo segnato dalle diverse patologie - la più tremenda delle quali è la violenza - bisogna decidersi a non puntellare l’impero.
I primi cristiani non puntellarono l’impero ma fecero semplicemente un’altra cosa: fecero il cristianesimo.
Affermarono che Cristo, vivente tra loro nel mistero della Chiesa, era l’unica vera risposta sulla vita dell’uomo e del mondo. Forti di questa certezza la testimoniarono con la loro vita, quindi non semplicemente parlando di Dio, perché di Dio parlano anche gli atei, e neppure genericamente parlando del trascendente, ma del Dio di Gesù Cristo, che in Gesù Cristo si è fatto carne e storia.”
“Investiamo il mondo di una presenza forte e mite. Forte perché certa che Dio ha vinto, ha già vinto in Cristo - e questa vittoria non sarà eliminata da nessuna forza diabolica - ma anche mite, perché questa nostra vita nuova è una proposta di libertà che rivolgiamo alla libertà di ogni uomo e donna che vive accanto a noi.”

Mons. Luigi Negri
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa

                                                                                                                                                              





























... Contro l’ISIS o qualsivoglia gruppo jihadista, non esiste un fronte compatto semplicemente perché non esiste più nulla che abbia deciso di sopravvivere. L’Occidente e l’Europa in particolare hanno gettato la spugna, rinunciando a se stessi e alla loro identità.
È avvenuto nemmeno troppo lentamente nell’ultimo mezzo secolo, in un silenzio compreso tra la malizia ideologica e la non curanza diffusa.
Qualcuno dirà che l’identità è un concetto superato, frutto di un mondo obsoleto e che l’unico valore in cui riconoscersi è la mescolanza delle identità stesse. Con queste premesse frutto di cinquant’anni di masochismo, ogni dibattito è inutile.
Le esplosioni e la morte normale nel cuore d'Europa non derivano da armi ma dalla stanchezza di esistere.
Sono il suicidio di una società che non riconosce a se stessa un cammino storico, un’evoluzione avvenuta intorno a principi oggettivi e inalienabili. Dall’Editto di Costantino, alla Magna Carta, dalla Rivoluzione Francese alle ideologie del Novecento: per millenni l’Occidente ha proposto formule spesso in contrasto tra loro, ma comunque focalizzate essenzialmente su se stesso e sul suo futuro.
Cosa è rimasto di questo? Cosa siamo stati capaci di costruire negli ultimi decenni pensando alle generazioni che verranno?

- Giampiero Venturi -


Sono immagini molto forti!!!

https://youtu.be/eMLvu26gx7k

https://www.facebook.com/darya.koka1/videos/1247352308609158/