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domenica 23 dicembre 2018

Seguo le stelle e inciampo nel pianto di un Dio neonato

"Durante il tempo che precedeva il Natale, passavo lunghi momenti davanti al presepio a guardare la Madonna e, ai suoi piedi il Neonato.
Un’immagine così semplice segna la vita.
Permette un giorno di cogliere che, attraverso il Cristo, Dio stesso è venuto in mezzo a noi.
La notte di Natale andavo in chiesa. 
Quando avevo cinque o sei anni abitavamo un paesino in montagna e bisognava camminare nella neve.
Poiché ero il più giovane, mio papà mi teneva per mano. Mia mamma, mio fratello maggiore e le mie sette sorelle mi seguivano.

Mio padre mi indicava nel cielo aperto la stella dei pastori che gli stessi Magi avevano visto.
Quelle immagini mi ritornano in mente quando si legge il testo dell’apostolo Pietro dove scrive: “Guardate a Cristo come luce che brilla nella notte, finché non splenda il giorno e non si levi nei vostri cuori la stella del mattino”.

- Frère Roger -




Un altro Natale è possibile: ci può essere ancora un Buon Natale!
Con il Natale la vita vince nonostante tutto.


"Ogni bimbo che nasce è il segno che Dio non si è ancora stancato dell'umanità". (Tagore)

Viola, la perla bianca di Chiara nata nel cuore della ricca Brianza ha davanti a sé ottanta anni di vita (se tutto va bene) e una dote iniziale di 25.000 euro.
Njeri, la perla nera di Rachele, nata nella baracca di Korogocho ha davanti a sé quaranta anni di vita (se tutto fila liscio) e una dote iniziale di soli 250 euro.
Due mondi, due bimbe, divise da un invisibile muro di vetro.

La prima, Viola, fa parte del 20% dell'umanità che si "pappa" l'83% delle risorse mondiali. La seconda, Njeri, fa parte dell'oltre un miliardo di "esuberi umani" che devono accontentarsi dell' 1,4% delle risorse, costretti a vivere con meno di 1 dollaro al giorno: sono gli innocenti di cui si rinnova la strage oggi: e Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perché essi non ci sono più.
Milioni di bimbi muoiono di fame, malattie, aids: un bimbo muore di fame ogni due secondi, 11 milioni ne muoiono all'anno per malattie meno gravi di un raffreddore, centinaia di milioni non inizieranno neanche la prima elementare.
Due mondi, due Natali.

Il nostro è il Natale dell'opulenza, delle luci, dei regali del consumismo degli affari. E' un business senza fine, è uno shopping anche di domenica. Questo sfavillio di luci natalizie sembra un meraviglioso "acquario" in cui guizzano costosissimi pesciolini esotici. A scrutarlo centinaia di milioni di bimbi dal volto scuro che guardano affascinati l'acquoso ed esotico luccichio. 
Fino a quando la parete di vetro proteggerà il banchetto degli esotici pesciolini?
Per assicurarci che la parete di vetro sia davvero infrangibile e ci protegga eternamente da quei visi sognanti di bimbi affascinati noi investiamo somme astronomiche in armi: Usa ed Europa nel 2003 programmano di spendere 750 miliardi di dollari.
Un altro Natale non solo è possibile ma è urgente e necessario!

Boicottiamo il Natale dei pesciolini esotici: il Natale dei consumi, dei regali, degli affari, un Natale "pagano" che ha ben poco da spartire con quel Bimbo che nasce in una mangiatoia alla periferia dell'impero, fuori dell'acquario anche lui indistinguibile volto nero in mezzo agli altri volti scuri.
Diciamo no al consumismo vieppiù indotto e incentivato e diciamo sì alla festa natalizia della famiglia allargata a nonni, cugini, zii, nipoti ma anche alla famiglia dell'immigrato che lavora per noi o che ci è più vicino.
Diciamo no al decadente e ripetitivo tango di regali, e diciamo sì ad un consumo critico, al regalo fatto in casa con amore e con le proprie mani, o a quello equo e solidale di lavoro fatto "in dignità".
Diciamo no alla stupida pervasività televisiva e diciamo sì alle relazioni umane in famiglia, ritornando a raccontarci gioie e dolori e a riprendere confidenza con l'immaginario, la fiaba prendendo a cuore anche la bellezza del celebrare insieme il fascino del Natale.
Diciamo no alla violenza e alla guerra e diciamolo con fierezza, e diciamo sì alla pace e alla nonviolenza con evidenza mettendo bandiere arcobaleno ai nostri balconi e camminando con uno "straccetto bianco di pace". Solo così il Natale ritornerà ad essere la festa della vita che farà rifiorire la speranza di un altro mondo possibile.
Coraggio, dunque, ci può ancora essere un Buon Natale!



- Padre Alex Zanotelli -






Seguo le stelle e inciampo nel pianto di un Dio neonato.
Mi guida l’odore della vita che irrora la notte.
Mi precede il grido della donna che feconda la polvere scura.
Seguo le stelle per portare tesori da nulla alla carne bambina che guarisce il male del mondo..



Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it


venerdì 14 settembre 2018

Esaltazione della Santa Croce di Gesù, 14 settembre

LA CROCE , già segno del più terribile fra i supplizi, è per il cristiano l'albero della vita, il talamo, il trono, l'altare della nuova alleanza. 
Dal Cristo, nuovo Adamo addormentato sulla croce, è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa. 
La croce è il segno della signoria di Cristo su coloro che nel Battesimo sono configurati a lui nella morte e nella gloria. 
Nella tradizione dei Padri la croce è il segno del figlio dell'uomo che comparirà alla fine dei tempi. 
La festa dell'esaltazione della croce, che in Oriente è paragonata a quella della Pasqua, si collega con la dedicazione delle basiliche costantiniane costruite sul Golgota e sul sepolcro di Cristo. (Mess. Rom.)

Nel martirologio romano la Festa della esaltazione della Santa Croce, viene celebrata il giorno dopo la dedicazione della basilica della Risurrezione eretta sul sepolcro di Cristo; viene esaltata e onorata come trofeo della sua vittoria pasquale e segno che apparirà in cielo ad annunciare a tutti la seconda venuta del Signore.

La festa in onore della Croce venne celebrata la prima volta nel 335, in occasione della “Crucem” sul Golgota, e quella dell'"Anàstasis", cioè della Risurrezione. La dedicazione avvenne il 13 dicembre. Col termine di "esaltazione", che traduce il greco hypsòsis, la festa passò anche in Occidente, e a partire dal secolo VII, essa voleva commemorare il recupero della preziosa reliquia fatto dall'imperatore Eraclio nel 628. Della Croce trafugata quattordici anni prima dal re persiano Cosroe Parviz, durante la conquista della Città santa, si persero definitivamente le tracce nel 1187, quando venne tolta al vescovo di Betlem che l'aveva portata nella battaglia di Hattin.
La celebrazione odierna assume un significato ben più alto del leggendario ritrovamento da parte della pia madre dell'imperatore Costantino, Elena. 
La glorificazione di Cristo passa attraverso il supplizio della croce e l'antitesi sofferenza-glorificazione diventa fondamentale nella storia della Redenzione: Cristo, incarnato nella sua realtà concreta umano-divina, si sottomette volontariamente all'umiliante condizione di schiavo (la croce, dal latino "crux", cioè tormento, era riservata agli schiavi) e l'infamante supplizio viene tramutato in gloria imperitura. 
Così la croce diventa il simbolo e il compendio della religione cristiana.
La stessa evangelizzazione, operata dagli apostoli, è la semplice presentazione di "Cristo crocifisso". 

Il cristiano, accettando questa verità, "è crocifisso con Cristo", cioè deve portare quotidianamente la propria croce, sopportando ingiurie e sofferenze, come Cristo, gravato dal peso del "patibulum" (il braccio trasversale della croce, che il condannato portava sulle spalle fino al luogo del supplizio dov'era conficcato stabilmente il palo verticale), fu costretto a esporsi agli insulti della gente sulla via che conduceva al Golgota. 

Le sofferenze che riproducono nel corpo mistico della Chiesa lo stato di morte di Cristo, sono un contributo alla redenzione degli uomini, e assicurano la partecipazione alla gloria del Risorto.



XII Stazione – Gesù muore in Croce

"Non possiamo dimenticare a quale prezzo siamo stati salvati, ogni giorno.
Il sacrificio non è un'obiezione,
neanche la sconfitta umana è un'obiezione,
ma è la radice della Resurrezione,
è la possibilità di una vita vera.
L'avvenimento che riaccade qui ed ora,
se è innanzitutto un fatto -
un fatto che non si può ridurre a nulla,
che non si può censurare,
che non si può più cancellare -
se è innanzitutto un fatto,
è un fatto per te,
che ti interessa supremamente.
È un fatto per te! Per te, per me, per me!
"Per te" è la voce che si sprigiona dal cuore del Crocifisso.
"Per me" è l'eco che ne soffre il cuore mio, la coscienza mia.
Tutto cadrebbe nella morte senza questa voce, senza questa Presenza.

- Don Luigi Giussani - 
Egli solo è – Via Crucis – ed. S. Paolo



Nel marzo del 1641, i pirati turchi, in una delle loro scorribande, fecero prigioniero un cavaliere portoghese, di cui non si conosce il nome, proveniente dall’India, e lo condussero ad Algeri. 
Costui aveva acquistato a Goa, in India, un artistico crocifisso in avorio, pregevole opera scolpita da un valente artista convertito delle Indie Portoghesi, ed intendeva portarlo in patria. 
La cattura glielo impedì e l’immagine sacra cadde in mano ai maomettani, e fu esposta nelle piazze di Algeri, dove il Crocifisso subì nel suo simulacro un secondo martirio: fu oggetto di ingiurie, bestemmie e derisioni, e fu colpito con lance e pugnali, di cui sono ancora visibili i segni. 
Allora avvenne il miracolo, attestato dai documenti autentici dell’epoca, che impressionò profondamente gli animi degli islamici: alla presenza di centinaia di persone, comparvero sul crocifisso delle gocce di sangue che sgorgarono dal volto, dalle mani, dalla ferita del costato e dalle scalfitture prodotte dai pugnali. A tutte queste vicende aveva assistito padre Michelangelo di Gesù (Marchese) missionario carmelitano scalzo ligure, schiavo anch’egli ad Algeri, e religioso di virtù eroiche. Egli, sottoponendosi a durissimo lavoro, riuscì a raccogliere la somma necessaria per acquistare il crocifisso miracoloso.
Quando nel 1643 padre Michelangelo fu liberato portò con sé in Italia il crocifisso che offrì in dono al Preposito Generale dei Carmelitani scalzi, il genovese padre Paolo Simone Rivarola che lo destinò al Deserto di Varazze, dove giunse nel 1646 e dove venne religiosamente conservato. 


Crocefisso ligneo, San Pietro in Pietracuta, RM
O Croce Santa, la vista della quale ci ricorda un'altra croce, quella sulla quale Nostro Signore Gesù Cristo ci ha strappati con la sua morte alla morte eterna, nella quale stavamo precipitando miseramente, risuscitandoci alla vita eterna perduta per il peccato, adoro, venero, glorifico in te la Croce che rappresenti e, in essa, il misericordioso Signore. 
Per essa egli compì la sua opera di misericordia. 
O amabile Croce, in cui sono salvezza, vita, e resurrezione nostra! 
O legno prezioso per il quale fummo salvati e liberati! 
O simbolo di cui Dio ci ha segnati! 
O Croce gloriosa della quale soltanto dobbiamo gloriarci! 
Come ti lodiamo? Come ti esaltiamo? 
Con quale cuore ti preghiamo? Con quale gioia ci glorieremo di te? 
Per te è spogliato l'inferno; è chiuso per tutti coloro che in te sono stati riscattati. 
Per te i demoni sono terrificati, compressi, vinti, schiacciati. 
Per te il mondo è rinnovato, abbellito, in virtù della verità che splende e della giustizia che regna in Lui. 
Per te la natura umana peccatrice è giustificata: era condannata ed è salvata; era schiava del peccato e dell'inferno ed è resa libera; era morta ed è risuscitata. 
Per te la beata città celeste è restaurata e perfezionata. 
Per te Dio, Figlio di Dio, volle per noi obbedire al Padre fino alla morte (Fil 2,8-9). 
Per questo egli, elevato da terra, ebbe un nome che è al di sopra di ogni nome. Per te egli ha preparato il suo trono (Sal 9,8) e ristabilito il suo regno. Sia su di te e in te la mia gloria, in te e per te la mia vera speranza. 
Per te siano cancellati i miei peccati, per te la mia anima muoia alla sua vita vecchia e sorga a vita nuova, la vita della giustizia. 
Fa', te ne prego, che, avendomi purificato nel battesimo dai peccati nei quali fui concepito e nacqui, tu ancora mi purifichi da quelli che ho contratto dopo la nascita alla seconda vita, e che per te io pervenga ai beni per i quali l'uomo è stato creato per il medesimo Gesù Cristo nostro Signore, cui sia benedizione nei secoli.

- Sant’Anselmo -



Buona giornata a tutti. :-)






mercoledì 9 maggio 2018

Le Beatitudini - papa Benedetto XVI

Le Beatitudini vengono non di rado presentate come l'antitesi neotestamentaria al Decalogo, come, per così dire, l'etica più elevata dei cristiani nei confronti dei comandamenti dell' Antico Testamento. 
Questa interpretazione fraintende completamente il senso delle parole di Gesù. 
Gesù ha sempre dato per scontata la validità del Decalogo (cfr. per es., Mc 10,19; Lc 16,17); il Discorso della montagna riprende i comandamenti della Seconda tavola e li approfondisce, non li abolisce (cfr. Mt 5,21-48); ciò si opporrebbe diametralmente al principio fondamentale premesso a questo discorso sul Decalogo: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla Legge neppure un iota o un segno, senza che tutto sia compiuto» (Mt 5,17s). 
Su questa frase, che solo in apparenza è in contraddizione con il messaggio paolino, dovremo tornare dopo il dialogo tra Gesù e il rabbino. Intanto è sufficiente notare che Gesù non pensa di abolire il Decalogo, al contrario: lo rafforza.
Ma allora che cosa sono le Beatitudini? Anzitutto, esse si inseriscono in una lunga tradizione di messaggi veterotestamentari, quali troviamo, per esempio, nel Salmo 1 e nel testo parallelo di Geremia 17,7 s: «Benedetto l'uomo che confida nel Signore...». Sono parole di promessa, che nello stesso tempo contribuiscono al discernimento degli spiriti e diventano così parole guida. 
La cornice data da Luca al Discorso della montagna chiarisce la destinazione particolare delle Beatitudini di Gesù: «Alzati gli occhi verso i suoi discepoli...». 
Le singole affermazioni delle Beatitudini nascono dallo sguardo verso i discepoli; descrivono per così dire lo stato effettivo dei discepoli di Gesù: sono poveri, affamati, piangenti, odiati e perseguitati (cfr. Le 6,20ss).
Sono da intendere come qualificazioni pratiche, ma anche teologiche, dei discepoli - di coloro che hanno seguito Gesù e sono diventati la sua famiglia.
Tuttavia la situazione empirica di minaccia incombente in cui Gesù vede i suoi si fa promessa, quando lo sguardo su di essa si illumina a partire dal Padre. 
Riferite alla comunità dei discepoli di Gesù, le Beatitudini rappresentano dei paradossi: i criteri mondani vengono capovolti non appena la realtà è guardata nella giusta prospettiva, ovvero dal punto di vista della scala dei valori di Dio, che è diversa dalla scala dei valori del mondo. Proprio coloro che secondo criteri mondani vengono considerati poveri e perduti sono i veri fortunati, i benedetti, e possono rallegrarsi e giubilare nonostante tutte le loro sofferenze. 
Le Beatitudini sono promesse nelle quali risplende la nuova immagine del mondo e dell'uomo che Gesù inaugura, il «rovesciamento dei valori».
Sono promesse escatologiche; questa espressione tuttavia non deve essere intesa nel senso che la gioia che annunciano sia spostata in un futuro infinitamente lontano o esclusivamente nell' aldilà. Se l'uomo comincia a guardare e a vivere a partire da Dio, se cammina in compagnia di Gesù, allora vive secondo nuovi criteri e allora un po' di éschaton, di ciò che deve venire, è già presente adesso. A partire da Gesù entra gioia nella tribolazione.
I paradossi presentati da Gesù nelle Beatitudini esprimono la vera situazione del credente nel mondo, quale è stata ripetutamente descritta da Paolo alla luce della sua esperienza di vita e di sofferenza da apostolo: «Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!» (2 Cor 6,8-10). «Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi...»(2 Cor 4,8-10). 
Quello che nelle Beatitudini del Vangelo di Luca è parola di conforto e di promessa, in Paolo è l'esperienza vissuta dell'apostolo. Paolo si sente «messo all'ultimo posto» come un condannato a morte, che è diventato spettacolo per il mondo, senza patria, insultato, calunniato (cfr. 1 Cor 4,9-13). E nonostante ciò egli fa l'esperienza di una gioia infinita; proprio come colui che si è consegnato, che ha dato via se stesso per portare Cristo agli uomini, egli fa esperienza dell'intima connessione di croce e risurrezione: noi siamo messi a morte «perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale» (2 Cor 4,11). 
Nei suoi inviati Cristo continua a soffrire, il suo posto è sempre la croce. Ma tuttavia Egli è irrevocabilmente il Risorto. E anche se l'inviato di Gesù in questo mondo è ancora immerso nella passione di Gesù, vi è tuttavia percepibile lo splendore della risurrezione che procura una gioia, una «beatitudine» più grande della felicità che egli poteva aver provato prima su vie mondane. 
Solo adesso egli sa che cos'è la vera «felicità», la vera «beatitudine», e, allo stesso tempo, riconosce quanto fosse misero ciò che, secondo i criteri comuni, deve essere considerato come soddisfazione e felicità.
Nei paradossi dell' esperienza di vita di san Paolo, che corrispondono ai paradossi delle Beatitudini, si manifesta la stessa realtà che Giovanni aveva espresso in modo ancora diverso, qualificando la croce del Signore come «elevazione», intronizzazione nelle altezze di Dio. 
Giovanni riunisce in una sola parola croce e risurrezione, croce ed elevazione, perché per lui in realtà l'una è inseparabile dall' altra. La croce è l'atto dell' «esodo», l'atto di quell' amore che si prende sul serio fino all' estremo e va sino «alla fine» (Gv 13,1), e per questo essa è il luogo della gloria, il luogo del vero contatto e della vera unione con Dio, che è Amore (cfr. 1 Gv 4,7.16). In questa visione giovannea è quindi ultimamente condensato e reso accessibile alla nostra comprensione ciò che significano i paradossi del Discorso della montagna.
[…]

Ma ora si pone la questione fondamentale: è giusta la direzione che ci indica il Signore nelle Beatitudini e nei moniti a esse contrapposti? 
È davvero male essere ricchi, sazi, ridere, essere apprezzati? Per la sua rabbiosa critica del cristianesimo Friedrich Nietzsche ha fatto leva proprio su questo punto. Non sarebbe la dottrina cristiana che si dovrebbe criticare: sarebbe la morale del cristianesimo che bisognerebbe attaccare come «crimine capitale contro la vita». E con «morale del cristianesimo» egli intende esattamente la direzione che ci indica il Discorso della montagna.
«Quale è stato fino ad oggi sulla terra il più grande peccato? Non forse la parola di colui che disse: "Guai a coloro che ridono!"?». E contro le promesse di Cristo dice: noi non vogliamo assolutamente il regno dei cieli. «Siamo diventati uomini - vogliamo il regno della terra».
La visione del Discorso della montagna appare come una religione del risentimento, come l'invidia dei codardi e degli incapaci, che non sono all' altezza della vita e allora vogliono vendicarsi esaltando il loro fallimento e oltraggiando i forti, coloro che hanno successo, che sono fortunati. All'ampia prospettiva di Gesù viene contrapposta un'angusta concentrazione sulle realtà di quaggiù: la volontà di sfruttare adesso il mondo e tutte le offerte della vita, di cercare il cielo quaggiù e in tutto ciò non farsi inibire da nessun tipo di scrupolo.
Molto di tutto questo è passato nella coscienza moderna e determina in gran parte il modo in cui oggi si percepisce la vita. 
Così il Discorso della montagna pone la questione dell' opzione fondamentale del cristianesimo e, da figli del nostro tempo, avvertiamo la resistenza interiore contro quest'opzione - anche se non siamo insensibili di fronte all' elogio dei miti, dei misericordiosi, degli operatori di pace, degli uomini sinceri. Dopo le esperienze dei regimi totalitari, dopo il modo brutale con cui essi hanno calpestato gli uomini, schernito, asservito, picchiato i deboli, comprendiamo pure di nuovo coloro che hanno fame e sete di giustizia; riscopriamo l'anima degli afflitti e il loro diritto a essere consolati. 
Di fronte all' abuso del potere economico, di fronte alla crudeltà del capitalismo che degrada l'uomo a merce, abbiamo cominciato a vedere più chiaramente i pericoli della ricchezza e comprendiamo in modo nuovo che cosa Gesù intendeva nel metterci in guardia dalla ricchezza, dal dio Mammona che distrugge l'uomo prendendo alla gola con la sua mano spietata gran parte del mondo. 
Sì, le Beatitudini si contrappongono al nostro gusto spontaneo per la vita, alla nostra fame e sete di vita. 
Esigono «conversione» - un'inversione di marcia interiore rispetto alla direzione che prenderemmo spontaneamente. Ma questa conversione fa venire alla luce ciò che è puro, ciò che è più elevato, la nostra esistenza si dispone nel modo giusto.
 
Il mondo greco, la cui gioia di vivere si rivela in modo meraviglioso nell' epopea omerica, era tuttavia profondamente consapevole del fatto che il vero peccato dell'uomo, la sua minaccia più intima è la hybris: l'autosufficienza presuntuosa, in cui l'uomo eleva se stesso a divinità, vuole essere lui stesso il suo dio, per essere completamente padrone della propria vita e sfruttare fino in fondo tutto ciò che essa ha da offrire. 
Questa consapevolezza che la vera minaccia per l'uomo consiste nell'autosufficienza ostentata, a prima vista così convincente, viene sviluppata nel Discorso della montagna in tutta la sua profondità a partire dalla figura di Cristo.
Abbiamo visto che il Discorso della montagna è una cristologia nascosta. Dietro di essa c'è la figura di Cristo, di quell'uomo che è Dio, ma che proprio per questo discende, si spoglia, fino alla morte sulla croce. 
I santi, da Paolo a Francesco d'Assisi fino a madre Teresa, hanno vissuto questa opzione mostrandoci così la giusta immagine dell'uomo e della sua felicità. In una parola: la vera «morale» del cristianesimo è l'amore. 
E questo, ovviamente, si oppone all' egoismo - è un esodo da se stessi, ma è proprio in questo modo che l'uomo trova se stesso. 
Nei confronti dell'allettante splendore dell'uomo di Nietzsche, questa via, a prima vista, sembra misera, addirittura improponibile. Ma è il vero «sentiero di alta montagna» della vita; solo sulla via dell' amore, i cui percorsi sono descritti nel Discorso della montagna, si dischiude la ricchezza della vita, la grandezza della vocazione dell'uomo.

- papa Benedetto XVI -
dal Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger, ed. Rizzoli 2007


Buona giornata a tutti. :-)






mercoledì 28 marzo 2018

Da: "L'amicizia di Cristo" - Robert Hug Benson

Un’ora circa è passata... Le urla e le bestemmie dei due ladri torturati muoiono in gemiti, e i gemiti nel silenzio della consunzione e nel silenzio la Grazia di Dio e le abitudini del passato hanno operato insieme.
Uno di loro, a lato, è ancora attanagliato dal suo dolore, e lo riacutizza, e lo contrasta, e si adagia in questo modo e in quest’altro, cercando di lenirlo; l’altro invece comprende che oltre il suo dolore c’è qualche cos’altro nell’universo, che il suo dolore non può essere il principio e la fine di tutte le cose.
Di tanto in tanto riesce ad afferrare qualche sguardo, torcendo in qua e in là il capo, attraverso il sangue accecante e le lacrime, attraverso la nuvola di polvere sollevata dalla folla impetuosa, di un Altro che pende nel mezzo. Anche il suo compagno lo ha veduto, ma ha veduto la sua pazienza solo come un rimprovero al suo tormento... «Se tu sei Cristo, salva te stesso e noi» (Lc 23, 39). 

Eppure egli vede qualche cosa di più che un fallimento e una tragedia: egli forse ha udito la prima Parola che gemette quando i chiodi lo perforarono; e per questo dettaglio, e quello, e l’altro, la sua mente ottenebrata - la mente di bambino selvatico - cominciò dolorosamente a lavorare.
Ed anche la Grazia cominciò a lavorare nelle sue misteriose operazioni, su questa mente piccola e rachitica, come un raggio di sole in un vicolo sporco... Con tutta la nostra teologia noi non conosciamo quasi nulla dei procedimenti divini; noi conosciamo solo alcune condizioni, una frazione dei suoi effetti; abbiamo balbettato qualche cosa delle sue opere e niente più. 

Questo, comunque, noi sappiamo: che l’uomo a cui la Grazia venne non era del tutto egoista, che c’era in lui sufficiente ricettività perché la Grazia potesse penetrarvi.

I. Così, a poco a poco, la verità (non osiamo dire tutta la verità esplicita) cominciò a filtrare, quella ottenebrata intelligenza cominciò a ricevere barlumi, che venivano, andavano e ritornavano, del supremo fatto che i colti Farisei trascurarono... cominciò a comprendere che il Criminale non era del tutto un Criminale, che la corona di spine non era solo un dileggio, che l’iscrizione della Croce nascondeva qualche cosa oltre l’irrisione... 
Il Dolore è mago strano quando la Grazia vi sta di dietro, un iniziatore ai segreti, un Sommo Sacerdote che regala e dispensa misteri sconosciuti a coloro che non hanno sofferto...
Almeno conosciamo che il ladro parlò (un miracolo più grande che l’asina di Balaam), che un assassino riconobbe il Signore della Vita, che un bugiardo disse la verità, che un fuorilegge si sottomise al Re. «Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo regno».
Egli domanda, la minima cosa che si poteva chiedere, cioè che un Re il quale tra qualche giorno entrerà nel regno non si dimentichi totalmente di una creatura come Disma, che una volta soffrì al suo fianco.
Né vi soggiunge dubbioso «Se tu sei il Cristo» ma esplicitamente lo chiama «Signore». Né domanda per il proprio sollievo «Salva Te stesso e noi», ma solo per un futuro ricordo: Un giorno, quando sarà, ricòrdati di me...
E, dopo la parola, avviene il miracolo che accade sempre quando l’anima comincia con umiltà di prendere il posto più basso.
Appena avremo imparato ad essere servi, riceveremo il posto e il nome di Amici. «Amico, vieni più avanti...» (Lc 14, 10). «Non vi chiamo più servi... poiché vi ho chiamato amici» (Gv 15, 15). Egli, difatti, è l’unico cui servire è regnare, il cui servizio è perfetta libertà. «Oggi stesso tu sarai con me in Paradiso» (Lc 23, 43).

- Robert Hug Benson -

da: L'amicizia di Cristo

Mattia Trotta, Il buon ladrone


I fatti essenziali della vita di Gesù non appartengono solo al passato, ma sono presenti, in modi diversi, in tutte le generazioni. E così anche nel nostro tempo, negli ultimi duecento anni, osserviamo la stessa cosa. 
Ci sono grandi dotti, grandi specialisti, grandi teologi, maestri della fede, che ci hanno insegnato molte cose. Sono penetrati nei dettagli della Sacra Scrittura, della storia della salvezza, ma non hanno potuto vedere il mistero stesso, il vero nucleo: che Gesù era realmente Figlio di Dio, che il Dio trinitario entra nella nostra storia, in un determinato momento storico, in un uomo come noi. 
L’essenziale è rimasto nascosto! Si potrebbero facilmente citare grandi nomi della storia della teologia di questi duecento anni, dai quali abbiamo imparato molto, ma non è stato aperto agli occhi del loro cuore il mistero. Invece, ci sono anche nel nostro tempo i piccoli che hanno conosciuto tale mistero. […] 
Potremmo elencarne tanti! Ma da tutto ciò nasce la questione: perché è così? 
È il cristianesimo la religione degli stolti, delle persone senza cultura, non formate? 
Si spegne la fede dove si risveglia la ragione? 
Come si spiega questo? Forse dobbiamo ancora una volta guardare alla storia. Rimane vero quanto Gesù ha detto, quanto si può osservare in tutti i secoli. 
E tuttavia c’è una “specie” di piccoli che sono anche dotti. 
Sotto la croce sta la Madonna, l’umile ancella di Dio e la grande donna illuminata da Dio. 
E sta anche Giovanni, pescatore del lago di Galilea, ma è quel Giovanni che sarà chiamato giustamente dalla Chiesa “il teologo”, perché realmente ha saputo vedere il mistero di Dio e annunciarlo: con l’occhio dell’aquila è entrato nella luce inaccessibile del mistero divino. 
Così, anche dopo la sua risurrezione, il Signore, sulla strada verso Damasco, tocca il cuore di Saulo, che è uno dei dotti che non vedono. Egli stesso, nella prima Lettera a Timoteo, si definisce “ignorante” in quel tempo, nonostante la sua scienza. 
Ma il Risorto lo tocca: diventa cieco e, al tempo stesso, diventa realmente vedente, comincia a vedere. Il grande dotto diviene un piccolo, e proprio per questo vede la stoltezza di Dio che è saggezza, sapienza più grande di tutte le saggezze umane.

- papa Benedetto XVI - 

 Omelia, Cappella Paolina, 1° dicembre 2009




“Dalla croce lo sguardo è più puro.
Regalami il tuo sguardo al buon ladrone.
E guardami così, mio Signore.
Voglio solo stare con te.
Non voglio sentirmi importante,
né inserirmi in alcun posto.
La mia anima sogna il cielo che è infinito.
La mia vita è così piccola stesa sulla riva.
Sogno il mare che accarezza la mia barca.
Ho tanti progetti custoditi nel profondo.
Te li offro.
È vero, sogno in grande.
E la mia vita è meravigliosa com’è, lo so.
Ma continuo a sognare in grande.
Ti offro la rinuncia a ciò che avrebbe potuto essere,
a ciò che può essere.
Ma il mio cielo è nella mia vita di ora.
E una e mille volte,
in tutte le circostanze della mia vita,
scelgo te.
Tu, Gesù, scegli me.
Non voglio desiderare quello che non ho”.


Buona giornata  a tutti. :-)









martedì 27 marzo 2018

La leggenda di Marcus il centurione

Marcus era un centurione e ormai da 30 anni si trovava alle dipendenze di Pilato. Di condannati ne aveva visti tanti, ma nessuno come questo Galileo. «Con tutte le torture che gli sono state fatte dovrebbe essere già morto… e invece mantiene sempre la calma, pur tra inaudite sofferenze… e poi… mi ricorda qualcuno…».
Intanto Gesù fu caricato della croce e il triste corteo si avviò verso il Calvario. Ad un tratto lungo la strada apparve una Donna. «E’ la madre del condannato», sussurrò qualcuno. 
Marcus si voltò ed ebbe un sussulto: come un lampo il passato gli tornò davanti agli occhi.
Era un giovane soldato, appena giunto dall’Italia, quando venne mandato con dei colleghi in Galilea a causa di una sommossa. 
Come gli altri soldati era un prepotente: entrava nei villaggi e saccheggiava le case senza aver rispetto per nessuno. 
Un giorno la sua guarnigione rimase senza viveri e i soldati decisero di prendere con la violenza un po’ di provviste. Gridando e schiamazzando misero in subbuglio il paesino di Nazaret: le urla delle donne e il pianto dei bambini, invece di impietosirli, li facevano divertire.
Mancava ancora una casetta: Marcus fu il primo ad entrare; ma si fermò di colpo. All’interno non c’era niente di strano: solo una donna con un bambino; eppure l’atmosfera era talmente soprannaturale che i soldati entrando rimanevano ammutoliti. 
Marcus una volta aveva visto da vicino Cesare, eppure da quei due si irradiava una maestà ben superiore a quella dell’imperatore.
Con una voce dolcissima e molto calma la Signora domandò: «Avete bisogno di qualcosa?». I soldati si guardavano imbarazzati. Marcus si fece coraggio e rispose: «Avremmo bisogno di un po’ di cibo, ma non vorremmo essere di disturbo…». 
La Donna si rivolse al bambino: «Gesù, vai a prendere un po’ di provviste». Il bambino subito si alzò e corse in dispensa. Quando tornò aiutò la Mamma a preparare tanti fagottini quanti erano i soldati. Infine, la Donna distribuì le provviste a ciascuno di loro.
Pur essendo molto giovane, tutti ebbero l’impressione di trovarsi di fronte alla propria madre.
Marcus non aveva più dimenticato quello sguardo e adesso era sicuro di riconoscerlo in quella Donna.
«Il condannato dev’essere quel bambino!». Era la prima volta che provava compassione per un condannato.
Un pensiero gli si affacciò alla mente: «Quest’uomo ha affermato di essere Figlio di Dio… E se fosse vero?». La Donna intanto seguiva il Figlio con una compostezza e una dignità che ferivano profondamente il cuore del buon centurione.
Arrivarono sul Calvario e dopo tre ore di tremenda agonia, alla morte di Gesù Marcus cadde in ginocchio ed esclamò: «Costui era veramente Figlio di Dio!», e così dicendo gli tornarono alla mente le Sue ultime parole: «Donna ecco tuo Figlio»: solo allora capì che si trattava di una Maternità universale ed ebbe un sussulto: era proprio questa l’impressione che aveva avuto quando aveva visto la Donna per la prima volta.




«Se avesse guardato Gesù negli occhi come ha fatto Pietro (Lc 22,61), Giuda sarebbe stato l’amico della misericordia di Dio»

- Madre Teresa di Calcutta - 



Una preghiera a Gesù Crocifisso

O Gesù, mi fermo pensoso
ai piedi della Croce:
anch’io l’ho costruita con i miei peccati!
La tua bontà, che non si difende
e si lascia crocifiggere, è un mistero
che mi supera e mi commuove profondamente.
Signore, tu sei venuto nel mondo per me,
per cercarmi, per portarmi
l’abbraccio del Padre.
Tu sei il volto della bontà
e della misericordia:
per questo vuoi salvarmi!
Dentro di me ci sono le tenebre:
vieni con la tua limpida luce.
Dentro di me c’è tanto egoismo:
vieni con la tua sconfinata carità.
Dentro di me c’è rancore e malignità:
vieni con la tua mitezza e la tua umiltà.
Signore, il peccatore da salvare sono io:
il figlio prodigo che deve tornare, sono io!
Signore, concedimi il dono delle lacrime
per ritrovare la libertà e la vita,
la pace con te e la gioia in te.
Amen.

- Card. Angelo Comastri -


Buona giornata a tutti. :-)