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giovedì 31 agosto 2017

L’Inquietudine del cuore - Card. Carlo Maria Martini


Ascoltare le domande vere

1. Vorrei farmi tuo compagno di strada: ascoltare le domande vere del tuo cuore, confessarti le mie. Questo è importante: non è possibile trovare e dare risposte, se non si sono riconosciute le domande. Una "regola di vita" vorrebbe anzitutto essere un tentativo di dare risposte a domande vere (o forse, più modestamente, l’indicazione di un tracciato, lungo il quale cercare e incontrare risposte vere).

La domanda radicale: la morte

2. Provo, dunque, a mettere in gioco fino in fondo me stesso, ad aprire il mio cuore: se vi guardo dentro, trovo tante gioie e dolori e tante domande aperte, che forse sono anche le tue. Come stanno insieme i dolori e le gioie della vita? Quando si pensa a tante sofferenze della gente (e me ne giungono gli echi ogni giorno e ogni ora), qualunque godimento, anche il più legittimo e semplice, sembra scolorire, appare come stonato. Perché invece ha senso? come si conciliano le gioie autentiche di questo mondo con le prospettive di morte? perché la morte nel mondo? perché, se è vero che Dio ci ha salvato, non ci ha liberato dalla necessità di morire? e, dietro la morte, tutti i dolori e le angosce dell’esistenza umana: perché questo immenso cumulo di violenze, ingiustizie e solitudini? Sembra che il non senso l’abbia vinta su tutti i fronti: fare i conti con la miseria che copre la terra significa riconoscere la grande difficoltà che tutti incontriamo nel renderci padroni della complessità, nel trovare ragioni che giustifichino la fatica di vivere.

Il silenzio di Dio

3. Perché il Signore sembra tacere? Perché Lui, che è l’Onnipotente, non si manifesta con lo splendore della Sua verità e lo sfolgorìo della sua onnipotenza? perché quella Sua apparente indifferenza davanti alla quotidiana commedia e tragedia della nostra vita? E' proprio vero che Gli stiamo a cuore? Che siamo importanti per Lui? Tutti e ciascuno? Non stupirti che sia anch’io a farmi queste domande: me le porto dentro e ogni giorno inquietano la mia fede e mi rendono pensoso e in ricerca. 
Anche nel cuore del Vescovo abitano gli interrogativi che ci fanno umani, così fragili davanti alla vita, alla malattia, alla morte.

Dall’interrogare all’essere interrogati

4. A pensarci bene, tutte le domande che ho ricordato sono rivolte a Dio: è per noi quasi spontaneo chiederGli conto e ragione di questo mondo. 
Se Dio c’è, è Lui che lo ha voluto, così come esso è. 
E tuttavia, non è forse la critica smaliziata del pensiero moderno che si è abituata a chiamarLo in giudizio davanti alla clamorosa smentita che il dolore del mondo darebbe della Sua provvidenza e del Suo amore? 
In questo siamo un po’ tutti figli dell’epoca moderna, della sua ragione cosiddetta "adulta ed emancipata". 
E se provassimo a capovolgere la domanda, a passare dall’interrogare all’essere interrogati? 
E se consentissimo a Dio di porci Lui le Sue domande?

L’invadenza dell’Io

5. Mi chiedo allora quali potrebbero essere le domande di Dio: se penso al Suo giudizio, se mi immagino davanti a Lui, al Suo sguardo penetrante e creatore, non posso non riconoscere come il mio cuore sia mosso tante volte da motivazioni spurie, o, per dirla tutta, da un’invadenza dell’Io, che vuole stare al centro e misurare su di sé tutte le cose, e perfino l’agire di Dio! 
Anche per un’epoca come la nostra, che non percepisce la consistenza e la drammaticità del peccato, non dovrebbe essere difficile riconoscere le conseguenze di questa invadenza nella vita degli uomini: penso alla fatica che tutti facciamo ad uscire dalle pastoie delle nostre motivazioni egoistiche; penso alla facilità con cui ci lasciamo prendere da logiche particolaristiche, incapaci come siamo di guardare al di là del nostro piccolo calcolo. 
Le domande che Dio ci fa sono spirito e vita, perché ci invitano a riconoscere le ragioni del nostro disagio di vivere e della nostra mancanza di felicità e di pace anzitutto in noi stessi, nella fatica e nella paura di amare che ci portiamo dentro, nel sospetto di non essere amati, nella diffidenza di fronte a ogni atteggiamento di amore gratuito.

La perdita dell’ingenuità

6. E’ così che capisco la verità su me stesso: è come un prendere coscienza del proprio egoismo e della propria fragilità, che fa cadere l’ingenua magia di pensare che bastino le buone intenzioni per cambiare il mondo e la vita. 
C’è veramente una differenza stridente fra l’altezza dei buoni propositi e la presenza del male e dell’egoismo in ciascuno di noi: forse è questo ciò che Dostoevskji chiamava "l’abisso dei doppi pensieri". 
Fai qualcosa di bene e t’accorgi che dentro il tarlo del tuo Io non ti abbandona. 
T’accorgi che è sempre grande la potenza del peccato. 
Gli alti e i bassi si susseguono con un’impressionante frequenza: e non solo sul piano psicologico, ma su quello più profondo delle scelte del cuore, degli orientamenti della vita.

La via più difficile

7. Certo, occorre imparare a convivere con noi stessi, ad accettare questa permanente instabilità psicologica e spirituale. Ma ciò esige di capirne il perché, domandandoci come anche attraverso questo cammino contorto Dio ci ami e voglia farci suoi figli. Accettare che dalla morte venga la vita ci ripugna: eppure deve essere proprio così, se il Signore ci lascia in questa lotta, che sembra pervadere l’universo intero. 
Forse, però, è proprio questa ripugnanza ad accettare e scegliere la via dell’amore fino alla morte che mostra al tempo stesso la condizione tragica del peccato e il bisogno che noi tutti abbiamo di imparare ad amare con un aiuto che ci venga dall’alto: in questo senso, la fatica a credere che un Dio sia morto in croce è la riprova della necessità di questa morte. 
Il cristianesimo non è la risposta banale alla domanda del dolore e della morte, una risposta che giustifichi tutto o tutto copra sotto l’incomprensibile giudizio divino. 
Il cristianesimo è la "lectio difficilior", la via più difficile, che prende sul serio la condizione universale di morte e di peccato, e proprio così annuncia la compassione di un Dio che si fa carico di questa morte e di questo peccato per sollevare e salvare ciascuno di noi.

Il Dio "sofferente" e la legge della croce

8. Il passo ulteriore è dunque arrivare a intuire che Dio sta dalla nostra parte e partecipa al dolore per tutto questo male che devasta la terra. Egli non se ne sta come uno spettatore disinteressato o un giudice freddo e lontano, ma "soffre" per noi e con noi, per le nostre solitudini incapaci di amare, perché Lui ci ama. La "sofferenza" divina non è incompatibile con le perfezioni divine: è la sofferenza dell’amore che si fa carico, la "com-passione" attiva e libera, frutto di gratuità senza limiti. Sempre più, nel cammino della vita, sotto i colpi di luce del Vangelo, il Dio di Gesù Cristo mi è apparso come il Dio capace di tenerezza e di pietà fino al punto da "soffrire" per i peccati del mondo. 
Un Dio tenero come un Padre e una Madre, che non rinnega mai i suoi figli. 
Un Dio umile, che manifesta la Sua onnipotenza e la Sua libertà proprio nella sua apparente debolezza di fronte al male. 
Un Dio che per amore accetta di subire il peso del nostro peccato e del dolore che esso introduce nel mondo. 
Proprio così, però, nella morte di Gesù sulla croce, Dio ci insegna a trarre il bene dal male, la vita dalla morte. Appare allora contraddittorio il nostro continuo voler essere gratificati da tutti e da tutto, a cominciare da Dio, mentre lo contempliamo crocifisso. 
Come vorrei che tutti a questo punto capissero che il mistero di un Dio morto e risorto è la chiave dell’esistenza umana e il succo del Vangelo e della nostra fede! Eppure contro questa roccia del "mistero pasquale" vanno a cozzare tutte le onde delle nostre resistenze, mentre diciamo con Pietro: "Dio te ne scampi, Signore: questo non ti accadrà mai!" (Mt 16,22). 
Eppure proprio qui si ricongiungono i nodi del rapporto che lega morte e vita, dolore e gioia, fallimento e successo, frustrazione e desiderio, umiliazione ed esaltazione, disperazione e speranza. 
Quando la "legge della Croce" ci tocca, ci sconvolge e ne siamo profondamente turbati: ma solo qui si attua la piena liberazione dal male, fino ad accettarne le conseguenze su di sé per perdonarlo e superarlo, come ha fatto Gesù sulla croce.

Arrendersi a Dio

9. Per sciogliere l’apparente assurdità della vita non c’è allora che una via possibile: rimettermi continuamente di fronte ad essa, senza sfuggirvi, e arrendermi contemporaneamente senza riserve nelle mani del Dio umile e sofferente, del "Dio crocifisso". Solo abbandonandomi perdutamente a Lui, solo capitolando nelle sue mani potrò riprendere nelle mie il bandolo della matassa intricata della vita. Dio è il Mistero santo, Gesù Cristo in croce è la Custodia silenziosa, in cui riposa il senso della vita e della storia, il senso del mondo.

Dal riconoscimento alla riconoscenza

10. Come arrivo a questa conclusione così certa e definitiva? come la luce del Vangelo raggiunge e afferra quotidianamente la mia vita? come avviene che ancora e sempre di nuovo questa luce getti sprazzi sulle mie domande, e mi aiuti a vivere e ad illuminare per me e per gli altri la fatica di vivere? 
Posso rispondere solo così: io mi sento amato, sommamente, da Qualcuno più grande di noi tutti. Mi sento chiamato e attratto, come uno che non può fare a meno di Dio, del Dio di Gesù Cristo. 
Anche se difficile e contrastata, sento e so che questa scelta è l’unica valida. Non è volontarismo: è riconoscimento. 
Riconosco che al termine di tutte le mie domande senza risposta c’è il suo Mistero santo, e c’è precisamente come il Signore Gesù ce lo ha rivelato sulla Croce: mistero di amore infinito che si consegna, Trinità dell’Amante, dell’Amato e dell’Amore, che ci accoglie nel Suo grembo, e ci custodisce negli abissi di amore della Sua vita. 
E il riconoscimento si trasforma in riconoscenza: sono grato al mio Dio perché mi so amato da Lui, "nascosto con Cristo in Dio" (Col 3,3), anche quando non riesco a sentirlo con i miei poveri sensi umani.

Nella Chiesa

11. Mi potresti obiettare: "Ma questa è la tua esperienza, non la mia. 
Tu sei un privilegiato. Per me non è così. 
Se puoi, insegnami come si fa a vivere la propria vita in Dio". 
Vorrei allora risponderti che proprio per questo ho scritto questa Regola di vita, per dirti in forma semplice e breve dove è possibile incontrare il Dio che è il nostro Tutto, il Dio della compassione e della misericordia, il Dio che si fa compagno del nostro dolore e ci aiuta a portarne il peso, dandogli senso. Questo Dio puoi trovarLo nella Chiesa: nel suo annuncio, che è il Vangelo di Gesù e dei fatti storici e indubitabili della sua vita; nei suoi Sacramenti, che sono la presenza sensibile di Lui, che si è offerto per noi alla morte e ci ha donato la vita; nella compagnia di quanti, credendo, sono stati resi fratelli e sorelle nello Spirito di Gesù e - pur con tutti i loro limiti - si sforzano ogni giorno di imparare a credere, sperare ed amare. 
Il dono di Dio è ricevuto e trasmesso nella Chiesa, Suo popolo: ed è in essa che ci si accorge che la vita vera viene dal di fuori, da Dio, in un contesto ragionevole, serio, segnato dalla fragilità, ma significativo e liberante. 
Nella Chiesa mi riconosco amato e reso capace di amare, nonostante me stesso, le mie contraddizioni e paure. 
Credo veramente che anche per te possa essere così. 
Perciò voglio parlarti di ciò che questa Chiesa - la nostra, cattolica e ambrosiana al tempo stesso - ci trasmette (traditio); di come noi riceviamo in essa il dono dall’alto (receptio); di come a nostra volta possiamo trasmettere ad altri con gratuità quanto gratuitamente abbiamo ricevuto (redditio). 
Prova ad ascoltarmi: rivolgo anche a te la parola di Gesù ai primi due discepoli: "vieni e vedi"...

- Cardinale Carlo Maria Martini -
da: "Parlo al tuo cuore"Ed. Centro Ambrosiano



Buona giornata a tutti. :-)








martedì 22 novembre 2016

Il Padre nostro - card. Carlo Maria Martini

Nel vangelo secondo Luca, gli apostoli chiedono a Gesù: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni Battista ha insegnato ai suoi discepoli» 
(Luca 11, 1).
Osserviamo anzitutto che la domanda degli apostoli non nasce all’inizio del loro incontro con Gesù, bensì più tardi, quando si accorgono, quando vedono che Gesù prega, si ritira a pregare.
Analogamente, la nostra domanda sulla preghiera nasce quando vediamo altri pregare intensamente, quando nella preghiera comune ci accorgiamo che intorno a noi c’è una qualità di preghiera che ci affascina e vorremmo fare nostra.

Gesù rispose ai discepoli "Quando pregate dite così":

Padre nostro che sei nei cieli, 
sia santificato il tuo nome; 
venga il tuo regno; 
sia fatta la tua volontà, 
come in cielo così in terra. 
Dacci oggi il nostro pane quotidiano, 
e rimetti a noi i nostri debiti 
come noi li rimettiamo ai nostri debitori, 
e non ci indurre in tentazione, 
ma liberaci dal male» (Matteo 6, 9-13).

Preghiera semplicissima, che abbiamo imparato a recitare fin da bambini, eppure ricchissima. In essa c’è la scoperta della parola “Padre”, Dio Padre come nuovo orizzonte della vita. E, dalla scoperta della paternità di Dio, ci porta a comprendere che il “Padre nostro” riassume il progetto di Dio su di noi.
Il testo è diviso chiaramente in due parti. 
Le parole sono elementari – nome, Regno, sia santificato, volontà, pane, peccati, tentazioni – e nello stesso tempo non sono completamente spiegabili e vanno quindi vissute come mistero. 
Per esempio, che cosa significa pane quotidiano? 
Il  termine greco, che traduciamo con “quotidiano”, fa discutere da secoli gli esegeti: c’è chi traduce l’aggettivo con “oggi”, chi con “domani”. Forse il senso più ovvio è, appunto, “quotidiano”, ma non ne abbiamo la certezza filologica. Così pure è strana l’espressione: “sia santificato il tuo nome”. 
E, ancora, “non ci indurre in tentazione”, che può essere male interpretata, quasi che sia Dio a indurci in tentazione. 
Di fatto, il “Padre nostro” contiene delle affermazioni allusive a tutta la realtà del regno di Dio; recita delle parole che danno una sintesi dell’ insegnamento di Gesù e, per comprenderle a fondo, dovremmo rileggere buona parte del vangelo. 
A noi, però, preme capire che cosa ha voluto insegnarci Gesù, quali sono i contenuti che Gesù vuole da ogni nostra preghiera. 
Dire “Padre” non significa fare uno sforzo di immaginazione o avere una certa idea di Dio, bensì entrare nel modo di pregare di Gesù che sempre si rivolge a Dio chiamandolo “Padre”. 
Vuol dire che l’invocazione “Padre” è l’atmosfera della preghiera, l’orizzonte nel quale la preghiera si compie. 
Tale orizzonte, che è suo, Gesù ce lo mette nel cuore, ce lo dona, ce lo comunica. Dire “Padre”, ci rende disponibili, fiduciosi, abbandonati, sicuri di essere ascoltati, ci fa superare paure e incertezze. 
Con “venga il tuo Regno” esprimiamo l’augurio, l’ansia per la manifestazione di quella realtà che indichiamo con il nome “Regno” e che può essere espressa in mille altri modi: giustizia, fraternità, trionfo della vita, sconfitta della morte, situazione dove non ci saranno né lacrime né lutti, capacità di conoscerci e di amarci fino in fondo, pienezza del Corpo di Cristo realizzata nella Chiesa, unità vera tra tutti gli uomini e tutti i popoli.
Con questa espressione noi anticipiamo e attendiamo il progetto di Dio nella storia. 
Il tuo Regno, non il regno di Dio che io mi immagino, ma quello che il Padre prepara, mi dona, mi mette nelle mani, mi fa realizzare giorno dopo giorno. 
Il progetto di Dio ha delle caratteristiche di pienezza, assolutezza, purità, chiarezza, luminosità, che possono essere soltanto sue. 
Noi le intuiamo quando cerchiamo di realizzarle, perché il Regno si concretizza nella figura del nostro progetto umano, nella nostra figura di Chiesa, di rapporti fraterni vissuti nella pienezza evangelica, nella nostra figura di costruzione del mondo nuovo. 
Ma è il tuo, o Padre! Noi lo accettiamo da te e tu ce lo riveli sempre più grande, sempre più elevato delle nostre richieste umane.
Nella dinamica tra il regno quale progetto che noi costruiamo quotidianamente, e il Regno che Dio ci dà e che è più grande del nostro progetto, la preghiera ci rende attivi. 
Ci fa disponibili, pronti all’ eventuale conflitto che si potrebbe determinare tra il regno come lo vediamo noi e il Regno come Dio ce lo dona nella sua infinita e misteriosa sapienza. E il conflitto che si è realizzato, per esempio, nella preghiera di Gesù al Getsémani: «Padre, non la mia volontà, ma la tua si compia», venga non il mio regno, ma il tuo. Quindi, l’espressione “venga il tuo Regno” ci forma allo spirito battesimale : con essa entriamo nella realtà vissuta del nostro Battesimo.
Ci domandiamo: ma che cosa occorre perché venga il Regno, perché il progetto di Dio si realizzi? che cosa occorre perché tale realizzazione sia efficace e possibile? A ciò risponde la seconda parte della preghiera.
 Se avessimo composto noi il “Padre nostro” avremmo certamente scritto una lunga lista di condizioni esterne e interne. Gesù, invece, ne menziona tre. Perché il Regno si realizzi, abbiamo bisogno di perseverare nell’oggi attraverso il pane quotidiano. 
Abbiamo bisogno di molta misericordia e di perdono reciproco, mediante la capacità di accoglierci e il perdono che Dio dà alle nostre continue cadute e incapacità nella realizzazione del Regno. 
Abbiamo bisogno del sostegno di Dio per non cedere alla tentazione quando viene la prova e il Regno sembra oscurarsi intorno a noi. Nella prima parte del “Padre nostro” eravamo descritti come desiderosi anticipatori del Regno: “Venga, sia santificato, sia fatta la sua volontà”; nella seconda parte siamo descritti come poveri pellegrini del Regno .
Possiamo paragonare questi momenti della preghiera con i sentimenti che abbiamo nel cuore. Abbiamo nel cuore, come parola fondamentale rivolta a Dio, l’appellativo di Padre e lo ripetiamo con fiducia, con abbandono, con tenerezza.
Recitando il “Padre nostro” potremmo sostare a lungo su questa semplicissima parola: Padre, come faceva santa Teresa di Gesù Bambino.
Abbiamo nel cuore, come desiderio fondamentale, la pienezza del progetto di Dio a cui la nostra vita è chiamata a dedicarsi, attraverso il Battesimo e la presenza in tutte le realtà di questo mondo, in ogni forma di servizio ai fratelli, alla Chiesa, alla società.
Abbiamo nel cuore un umile sentire di noi che ci fa domandare nella preghiera cose essenziali e adatte alla nostra debolezza.
Uniamoci a tutti i fratelli e le sorelle che, insieme con noi, soffrono particolarmente debolezza e povertà sulla via del Regno. Penso a coloro che sono vittime di violenza, a coloro che hanno una vita anche familiare faticosa, quasi al limite dell’intollerabile, ai numerosi malati. Al bisogno che tanta gente ha del pane quotidiano della speranza, di quel respiro di forza che permette di vivere la giornata accogliendola.
Ci sono poi coloro che mancano della prospettiva del Regno, che non credono a un progetto di Dio nella loro vita e perciò non hanno un futuro, non sanno dove dirigersi, non hanno niente che li attragga o che li spinga a impegnarsi per un domani migliore.
Impariamo a pregare per tutti, preghiamo con tutti, soprattutto con chi incontriamo ogni giorno e che vorremmo fare entrare nel nostro desiderio e, attraverso l’invocazione del Padre, renderli partecipi di questa stupenda preghiera e del senso della paternità di Dio che Gesù ci dona di vivere.
La preghiera del “Padre nostro”, così come abbiamo cercato di comprenderla, ci ha mostrato come dev’essere ogni nostra preghiera.

– Rivolgerci con Gesù, nella grazia dello Spirito, al Padre, offrendogli ciò che siamo, tutta la nostra vita: è ciò che accade nell’Eucaristia in ogni celebrazione liturgica della Chiesa.
– Avere presente il mirabile disegno di salvezza di Dio, disegno nel quale si inserisce la nostra storia personale e che si è rivelato pienamente nel mistero pasquale di Gesù crocifisso e risorto. In tale disegno, la preghiera ha lo scopo, e lo ripeto, di condurci verso la carità operosa, perché Dio è mistero di Amore, di Carità.
– Credere che Dio esaudirà le nostre preghiere se fatte nel nome di Gesù, conformandoci, immedesimandoci nella sua condizione di Figlio e se hanno come richieste, come contenuti, i desideri del Regno, il desiderio di compiere la volontà del Padre, di lasciarci guidare dallo Spirito Santo.

- card. Carlo Maria Martini - 
Tratto da : Ritrovare se stessi – “Un percorso Quaresimale”


Le divisioni tra i cristiani, mentre feriscono la Chiesa, feriscono Cristo, e noi divisi provochiamo una ferita a Cristo: la Chiesa infatti è il corpo di cui Cristo è capo. 
Sappiamo bene quanto stesse a cuore a Gesù che i suoi discepoli rimanessero uniti nel suo amore. Basta pensare alle sue parole riportate nel capitolo diciassettesimo del Vangelo di Giovanni, la preghiera rivolta al Padre nell'imminenza della passione: «Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi» 
(Gv 17,11).

- Papa Francesco -
Udienza Generale, 8 ottobre 2014




Padre nostro invisibile che sei nei cieli
sia santificato in noi il tuo Nome
perché tu ci hai santificato
attraverso il tuo Spirito Santo.
Venga su di noi il tuo regno,
regno promesso agli amanti del tuo Amore.
La tua forza e le tue benevolenze
riposino sui tuoi servi
qui nel mistero e là nella tua misericordia.
Dalla tua tavola inesauribile
dona il cibo alla nostra indigenza
e accordaci la remissione delle colpe
perché tu conosci la nostra debolezza.
Noi ti preghiamo:
salva coloro che hai plasmato
e liberali dal maligno che cerca chi divorare.
A te appartengono il regno
e la potenza e la gloria, o Signore:
non privare della tua bontà i tuoi santi.

dal Breviario Caldeo



Buona giornata a tutti. :-)



domenica 30 ottobre 2016

O Signore, tu ci scruti e ci conosci – Cardinale Carlo Maria Martini

O Signore, tu ci scruti e ci conosci,
sai quanto siamo incapaci di comprendere il tuo e il nostro mistero.
Conosci la nostra incapacità
a parlare di queste cose con verità.
Ti chiediamo, o Padre,
nel nome di Gesù:
manda a noi il tuo Spirito
che scruta le profondità dell’uomo
e sa cosa c’è dentro di noi
perché ci renda capaci di conoscerci
come siamo conosciuti da te
nelle profondità del nostro male,
con amore e con misericordia.
Fa che noi guardiamo con occhio vero ciò che c’è in noi di peso,
opacità e opposizione a te;
fa che sappiamo guardarlo
nella luce misericordiosa
che viene dalla morte e risurrezione del tuo Figlio,
Gesù Cristo nostro Signore,
che con lo Spirito vive e regna con te per tutti i secoli.
Amen.

(+ Cardinale C. M. Martini)





 Se non si comprende che è male la corsa all'autonomia, al piacere sfrenato, alla droga, alla ricchezza, alla carriera, al potere, se non si coglie come, da tutto questo, derivi una tremenda disumanità, non si porrà mai fine all'oppressione e alle sofferenze degli altri. 

- Cardinale Carlo Maria Martini - 
Da: “Geremia” Editore, San Paolo Edizioni



 È Dio che plasma una diocesi, che plasma la Chiesa e noi dobbiamo lasciarci modellare. La sua misericordia sa recuperare l'argilla ributtata nella massa fangosa per realizzare il capolavoro che vuole, per recuperarci al suo amore.  

Cardinale Carlo Maria Martini
Da: “Geremia” Editore, San Paolo Edizioni


Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 28 settembre 2016

Intercedere: farsi carico dell'altro – cardinale Carlo Maria Martini

Dall'inizio desidero dirvi di non aspettarvi da me una lezione formale.
Io sono troppo avanti negli anni per questo tipo di esercizio, e per molto tempo ho lasciato il regolare contatto con la letteratura scientifica.
Dunque, posso solo offrirvi alcuni pochi pensieri che mi aiutano nella preghiera quotidiana. Per questa ragione, pur tenendo come sottofondo l'intera problematica dell'intercessione, il mio preciso oggetto sarà la preghiera di intercessione.
Mi baso in particolare su due scritti che costituiscono la mia principale fonte di ispirazione: la Bibbia Ebraica o Tanach e il Secondo Testamento, chiamato anche il Nuovo Testamento.
Desidero iniziare con le parole di Gesù tratte dall'Evangelo di Luca (Lc 10,21): «Ti ringrazio, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agl'intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così è piaciuto a te».
Testi simili a questo si trovano anche nella Tanach, precisamente in Isaia 29,14: «Perirà la sapienza dei suoi sapienti e scomparirà l'intelligenza degli intelligenti», o in Isaia 19,11-12: «Certamente stolti sono i prìncipi di Tanis, i più sapienti dei consiglieri del faraone formano un consiglio stupido. 

Come potete dire al faraone: "Io sono discepolo dei sapienti, discepolo di antichi regnanti"? Dove sono dunque i tuoi sapienti? Ti annuncino e facciano conoscere ciò che progettò il Signore degli eserciti a proposito dell'Egitto».
Dietro a queste istanze vi è una opposizione: da una parte, il dotto e il sapiente che pretendono di capire e, dall'altra, i piccoli e i fanciulli che sono immagine del popolo pronto ad accettare le cose del regno di Dio con la semplicità di un bambino.
Nel suo duro linguaggio Paolo afferma: «Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo non conobbe Dio con la sapienza, piacque a Dio di salvare quelli che credono con la stoltezza della predicazione» (1 Cor 1,21).

1. Il sapiente e il dotto
Con questa distinzione in mente, consideriamo dapprima il sapiente ed il dotto. Penso che la preghiera di intercessione è tra le cose che queste persone sono inclini a considerare come insignificanti e persino assurde.
Anche noi a volte apparteniamo a questa categoria, quando pensiamo che la preghiera di intercessione rimanga come sospesa nell'aria senza produrre frutto, o quando la consideriamo di seconda classe, come devozionale, da compiersi semmai nei ritagli di tempo.
Certamente il dotto ed il sapiente non obbietteranno al primitivo significato latino del termine «intercedere», che è «camminare nel mezzo», pronto ad aiutare ciascuna delle due parti o ad interporsi in favore di una di loro. Potrebbero anche non obbiettare all'intercessione compiuta da una persona verso un preciso uomo o donna o gruppo di persone. Vi sono molti esempi in questo, nell'antica letteratura ed altrettanto nella Bibbia.
Là, ad esempio, Giuseppe domanda al capo dei coppieri del re d'Egitto di ricordarsi di lui quando costui sarà uscito di prigione ed a parlare in suo favore al Faraone (Gen 40,14) (il capo dei coppieri dimenticò poi di compiere ciò quando fu liberato e reintegrato nel suo lavoro!).
Un uomo ed una donna possono parlare a nome di un altro uomo, o donna che sia, ad una terza persona affinché quest'ultima cambi i propri progetti e una sapiente intercessione può aiutare a trovare e a compiere una giusta decisione o a rovesciare una decisione sbagliata.
Ma Dio non pone in essere decisioni sbagliate, e quindi, quando noi veniamo alla preghiera di intercessione (cioè «stare alla presenza di Dio per un'altra persona») domandiamo forse a Lui di intervenire e modificare la situazione di quell'uomo o donna? Qui il sapiente e il dotto pongono molte obbiezioni. Come può Dio essere mosso a cambiare il suo modo di pensare e correggere una decisione sbagliata? La mente di Dio non è forse immodificabile dall'inizio?
Notiamo che questa obbiezione può essere portata a riguardo di ogni preghiera di petizione, ma essa diventa molto forte nel caso dell'intercessione, che è preghiera di petizione per altri. Infatti Dio generalmente dona un aiuto con la libera collaborazione della persona interessata. Quale può essere allora il senso dell'intrusione di altre persone? 



2. I piccoli
Ma contro il sapiente e il saggio stanno i piccoli, che ricevono dall'alto il dono dell'intercessione e danno grande valore a questo atteggiamento che è lo stare davanti a Dio per altri.
Esso è presente in molti esempi biblici, da Abramo che pregò per scongiurare la punizione di Sodoma (Gen 18,22-32), a Mosè che intercedette per l'intero popolo di Israele (Es 32,11-13), ed anche per un solo individuo come sua sorella Miriam (Nu 12,13); da Samuele che, nonostante l'avvenuta rottura col popolo, promise di continuare ad intercedere per esso (1 Sam 12,23), a Davide che pregò per la vita di suo figlio (2 Sam 12,16-17); da Amos che pregò il Signore Dio di perdonare Giacobbe perché "egli è così piccolo" (Amos 7,1-6), a Geremia che disse al popolo di pregare per il benessere della città in cui erano stati deportati (Ger 29,7) e così in molte altre situazioni.
Se noi potessimo considerare anche la letteratura intertestamentaria, questi esempi si moltiplicherebbero.
Questa attitudine la sento personalmente di grande interesse perché, dopo molti anni dedicati allo studio e all'insegnamento e a un ministero pubblico, ho deciso di vivere gli ultimi giorni della mia vita qui, a Gerusalemme, in una incessante intercessione per i bisogni delle mie sorelle e dei miei fratelli della Chiesa di Milano, che ho avuto l'onore di servire come Arcivescovo per più di ventidue anni, e per tutto il mondo e specialmente per le persone con le quali vivo, ricordando le parole dell'apostolo Paolo: «I giudei prima, e poi i greci». La preghiera di intercessione è dunque la mia prima priorità, la mia principale quotidiana occupazione. Come allora io posso praticarla se è considerata insignificante ed anche assurda?
Penso che questa sera siamo chiamati ad entrare nel cuore dei piccoli e degli umili, nel cuore cioè della grande intercessione che abbiamo menzionato or ora, cosicché possiamo intravedere quanto essi hanno compreso del valore di questa preghiera. 


3. Una rete di relazioni
Parto dallo scritto di una giovane ragazza ebrea, Etty Hillesum, morta ad Auschwitz nel 1943 all'età di ventinove anni.
All'inizio degli orrori della Shoah, quando ormai regnava confusione e terrore fra gli Ebrei in Olanda riguardo alla loro sorte, il giorno 11 di luglio del 1942 (quel giorno era Shabbat), ella scrisse nel suo Diario: «Se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio».
E il giorno successivo, di domenica, ella scrive una lunga preghiera nel suo diario, oltre ad altri pensieri: «Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dovere aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi... Sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch'esse fanno parte di questa vita? E quasi ad ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all'ultimo la tua casa in noi».
Etty Hillesum scrisse questa pagina quando viveva il difficile passaggio dall'ateismo alla fede e scopriva a poco a poco lo sconosciuto volto di Dio. Ma queste parole, che possono creare sospetto alle menti formate in teologia, contengono una grande verità: Dio vuole farci attenti al nostro prossimo. Dio vuole non solo chiamarci alla solidarietà, la quale è definita come «un accordo generale tra tutte le persone di un gruppo o tra gruppi differenti poiché hanno un comune scopo» (cf. Longman, Dictionary of Contemporary English). Dio vuole molto più di questo, egli desidera un reale interessarsi degli uni per gli altri, un aversi a cuore, ad immagine della cura di Dio per ognuno di noi. Egli è sempre pronto a porre ad ognuno di noi il primordiale interrogativo che fu posto a Caino: «Dov'è tuo fratello Abele?» (Gen 4,9).
Per questo il Signore spesso non mostra il suo volto, ma splende nell'aiuto dato ad un altro. Ciò è chiaramente espresso nella parabola dell'ultimo giudizio, nel vangelo di Matteo (25,31.46), dove il Signore dice a quelli che hanno aiutato il prossimo: «Tu l'hai fatto a me» (25,40).
Egli è presente in ogni opera amorevole, in tutti i gesti di perdono, nell'impegno di coloro che lottano contro la violenza, l'odio, la carestia, la sofferenza e via di seguito.
Come dice Sant'Agostino: «Non rattristatevi o lamentatevi perché nasceste in un tempo dove non potete più vedere Dio nella carne. Egli infatti non ti tolse questo privilegio. Come egli dice: Qualunque cosa voi fate ai miei fratelli, l'avete fatta a me».
Coloro che hanno il dono dell'intercessione vedono la luce di Dio nel volto di ogni essere umano. In altre parole noi possiamo dire che costoro considerano il mondo come una grande rete di relazioni (nel linguaggio dei computers il web), dove ciascuno è dipendente dagli altri.
Tutto ciò è espresso con forza nelle parole dello staretz Zosima, una delle figure chiave del capolavoro di Dostoevskij, I fratelli Karamazov.
Queste sono le parole di padre Zosima: «Amate il popolo di Dio. Noi non siamo più santi della gente del mondo perché siamo venuti qui e ci siamo chiusi fra queste mura, ma anzi chiunque è venuto qui, già per il fatto di esserci venuto, ha riconosciuto in se stesso di essere peggiore della gente del mondo e di ogni uomo sulla Terra? E quanto più a lungo vivrà un monaco fra le sue quattro mura, tanto più profondamente dovrà rendersene conto.
Poiché in caso contrario non valeva la pena che venisse quaggiù. Ma quando riconoscerà non solo di essere peggiore di tutta la gente del mondo, ma anche di essere colpevole di fronte a tutti gli uomini, sulla Terra intera, di tutti i peccati universali e individuali, solo allora sarà raggiunto il fine della nostra unione.
Giacché sappiate, miei cari, che ciascuno di noi è colpevole di tutto e per tutti sulla Terra, questo è indubbio, non solo a causa della colpa comune originaria, ma ciascuno individualmente, per tutti gli uomini e per ogni uomo sulla Terra. Questa consapevolezza è il coronamento della vita di un monaco e anzi di ogni uomo sulla Terra.
Poiché i monaci non sono uomini diversi dagli altri, ma sono soltanto come dovrebbero essere tutti sulla Terra. Unicamente allora il nostro cuore si abbandonerà a un amore infinito, universale, che non conosca mai appagamento.
Allora ciascuno di noi avrà la forza di conquistare con il suo amore il mondo intero e di purificare con le proprie lacrime tutti i peccati?».
Ed egli così conclude: «Non siate superbi. Non siate superbi con i piccoli, non siate superbi nemmeno con i grandi. Non odiate chi vi respinge e disonora, chi vi ingiuria e calunnia. Non odiate gli atei, né i cattivi maestri e i materialisti, neppure i malvagi fra loro ? per non parlare dei buoni giacché ve ne sono molti di buoni, specialmente ai nostri tempi.
Ricordateli così nella vostra preghiera: "Salva, o Signore, tutti coloro per i quali nessuno prega, salva anche quelli che non ti vogliono pregare".
E aggiungete anche: "Non per orgoglio ti prego, o Signore, perché anch'io sono un vile peggio di tutto e di tutti?"».
Certamente questa interdipendenza, questa profonda e necessaria interconnessione, per cui ognuno di noi è vincolato a tutti gli altri, è una profondo mistero spirituale, che sarà manifestato nella sua pienezza nell'ultimo giorno, quando la realtà di questo mondo sarà resa chiara a tutte le nazioni; quando?
Ricordando le parole del profeta Isaia?
Il Signore «distruggerà su questo monte il velo posto sulla faccia di tutti i popoli» (Is 25,7), allora noi potremo capire quanto tutto è stato tessuto e tenuto insieme dal Signore di tutti e che noi abbiamo formato insieme un grande web di relazioni reciproche.
Oggi noi siamo chiamati a riconoscere poco alla volta questa mutua appartenenza, che caratterizza tutti i nostri atti, secondo il comandamento: «Tu amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lev 19,18).
Noi siamo chiamati ad osservare questo comandamento non solo attraverso le nostre azioni, ma anche nella preghiera di intercessione.




4. La preghiera di intercessione
Come spiegare ciò? Abbiamo visto che Dio stesso mostra nella Bibbia quanto egli abbia a cuore la preghiera di intercessione. Ma in questa preghiera noi non stiamo tentando di cambiare la mente di Dio.
Secondo la comune interpretazione teologica, il significato della preghiera di petizione e di quella di intercessione, non è di ottenere un cambiamento della volontà di Dio, ma di far sì che la creatura abbia parte ai doni di Dio.

Dio ci concede di desiderare quanto egli vuole donarci.
Ma noi abbiamo notato che vi è molto di più. Vi è il fatto di una mutua responsabilità, che deve essere espressa non solo attraverso l'agire, ma anche per mezzo della preghiera. Dio ci vuole gli uni per gli altri, egli desidera che mostriamo per gli altri interesse, compassione, carità, mutuo aiuto, amore in ogni cosa. Dio vuole creare una grande unità nell'umanità, attraverso l'essere gli uni per gli altri, come Lui è misteriosamente in se stesso un perpetuo dono di sé.
Così una piena comunione è realizzata tra gli esseri umani. Coloro che possono fare qualcosa per gli altri nel senso fisico, materiale, sono chiamati a farlo. Tutti gli altri sono invitati a unire la loro preghiera in una grande intercessione. Perciò la risposta soddisfacente riguardante la necessità della preghiera di intercessione sta nel mistero del piano di Dio, che vuole questa profonda comunione tra tutti i suoi figli. E Dio lo vuole perché egli è così, colui che dà se stesso, che ha cura degli altri, che li ama fino alla morte (cf. Gv 13,1).
Certamente l'intercessione presuppone che la persona che la compie sia accetta al Signore, sia in un certo qual senso suo amico, come è detto di Abramo, a cui Dio non volle nascondere nulla di quanto stava per fare (cf. Gen 18,17). L'intercessore è qualcuno che sceglie di vivere secondo il progetto di Dio, che spera fermamente che esso si verifichi anche negli altri. È una persona che ha cura realmente dei suoi fratelli e delle sue sorelle e desidera che essi vivano secondo la volontà di Dio. Perciò la presenza di molti intercessori è anche un mezzo per realizzare una comunità che corrisponda al piano di Dio e promuovere il lavoro di riconciliazione tra individui, popoli, culture e religioni e tra l'uomo e il suo Dio.
Queste sono alcune delle ragioni per cui mi sento inclinato alla preghiera di intercessione. Naturalmente so bene che la mia preghiera è molto povera, pigra, spesso piena di distrazioni. Ma non di meno la considero come un piccolo rigagnolo, che fluisce dentro il grande fiume che è l'intercessione della Chiesa e delle persone buone di tutta l'umanità.
Questo grande fiume di intercessione fluisce e si immerge, per me come cristiano, nel grande oceano dell'intercessione di Cristo, che «vive sempre per intercedere» a nostro favore (cf. Eb 7,25; Rom 8,34). Così la mia piccola intercessione è parte di un grande oceano di preghiera in cui il mondo viene immerso e purificato.
Lo stesso grande scrittore della fine del diciannovesimo secolo che ho citato prima, Dostoevskij, ci ha dato nello stesso libro una commovente descrizione della preghiera di intercessione. Lo staretz Zosima dice a un giovane: «Ragazzo, non scordare la preghiera. Nella tua preghiera, se è sincera, trasparirà ogni volta un nuovo sentimento e una nuova idea che prima ignoravi e che ti ridarà coraggio; e comprenderai che la preghiera educa. Rammenta poi di ripetere dentro di te, ogni giorno, anzi ogni volta che puoi: "Signore, abbi pietà di tutti coloro che oggi sono comparsi dinanzi a te". Poiché a ogni ora, a ogni istante migliaia di uomini abbandonano la loro vita su questa Terra e le loro anime si presentano al cospetto del Signore e quanti di loro lasciano la Terra in solitudine, senza che lo si venga a sapere, perché nessuno li piange né sa neppure se abbiano mai vissuto. Ma ecco che forse, dall'estremo opposto della Terra, si leva allora la tua preghiera al Signore per l'anima di questo morente, benché tu non lo conosca affatto né lui abbia conosciuto te. Come si commuoverà la sua anima, quando comparirà timorosa dinanzi al Signore, nel sentire in quell'istante che vi è qualcuno che prega anche per lei, che sulla Terra è rimasto un essere umano che ama pure lei. E lo sguardo di Dio sarà più benevolo verso entrambi, poiché se tu hai avuto tanta pietà di quell'uomo, quanto più ne avrà Lui, che ha infinitamente più misericordia e più amore di te. Egli perdonerà grazie a te».





5. Sommario in 6 punti
Possiamo ora sintetizzare ciò che abbiamo cercato di dire.

1. La preghiera di intercessione appare come un non senso per le persone che guardano solo a questo mondo e che misurano ogni cosa col metro dell'efficienza materiale e del frutto visibile.

2. La preghiera di intercessione è un dono dello Spirito di Dio che lavora per l'unità del piano divino per l'umanità. Questa preghiera è pregna di significato e potente nella sua dinamica, specialmente nel campo della riconciliazione tra gli uomini e tra l'uomo e il suo Dio.

3. La preghiera di intercessione è una conseguenza della legge della mutua appartenenza e della mutua responsabilità.
Guarda all'unità del genere umano proponendo a ciascuno l'invito a partecipare alle difficoltà e ai drammi di ogni essere umano e a cooperare al piano di Dio per questo universo.

4. La preghiera di intercessione non consiste soltanto nel raccomandare a Dio le intenzioni di molta gente, ma anche nel domandare il perdono dei peccati dell'umanità e di ogni singola persona.

5. La preghiera di intercessione è una espressione della struttura dell'essere. In essa il primato non è quello della persona che è preoccupata della propria identità e benessere, ma quello della persona-in-relazione, che è ha a cuore il bene-essere degli altri. In questo modo nasce un sistema di relazioni attraverso il quale alcune persone possono portare i pesi degli altri e soffrire per essi. Questa legge è molto misteriosa e perciò non sempre considerata, ma è uno dei pilastri del piano di Dio. Da questa struttura dell'essere deriva anche la possibilità e il valore di un vero dialogo interreligioso, dove ciascuno accetta di riconoscere non soltanto il valore dell'altro, ma anche di soppesare con pace le critiche che vengono fatte alla propria tradizione.

6. Da tutto questo deriva la necessità e l'urgenza della preghiera di intercessione. Essa è necessaria perché corrisponde all'intimo dell'Essere divino e porta in questo mondo l'immagine del mondo a venire e del grande mistero che sarà rivelato alla fine dei tempi. È urgente, perché la necessità dell'umanità di superare oggi la violenza è terribilmente pressante e chiama all'azione tutta la gente di buona volontà.

- cardinale Carlo Maria Martini -

 Lectio a Gerusalemme
20 gennaio 2008



Buona giornata a tutti. :-)