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domenica 6 settembre 2015

I Have the Dream - Don Tonino Bello -

Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica dalle lunghe maniche. 
I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non potevano parlargli amichevolmente. 
Ora Giuseppe fece un sogno e lo raccontò ai fratelli, che lo odiarono ancora di più. (...) I suoi fratelli andarono a pascolare il gregge del loro padre a Sichem. Allora Giuseppe andò in cerca dei suoi fratelli e li trovò a Dotan. 
Essi lo videro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono di farlo morire. Si dissero l’un l’altro: "Ecco, il sognatore arriva! Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in qualche cisterna! Poi diremo: una bestia feroce l’ha divorato! Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni !". (...) Il suo padrone si accorse che il Signore era con lui e che quanto egli intraprendeva il Signore faceva riuscire nelle sue mani. (...)
Ora, in una medesima notte, il coppiere e il panettiere del re d’Egitto, che erano detenuti nella prigione, ebbero tutti e due un sogno, ciascuno il suo sogno, che aveva un significato particolare. 
Alla mattina Giuseppe venne da loro e vide che erano afflitti. Allora interrogò gli eunuchi del faraone che erano con lui in carcere nella casa del suo padrone e disse: "Perché quest’oggi avete la faccia così triste?". Gli dissero: "Abbiamo fatto un sogno e non c’è chi lo interpreti".

(...) Al termine di due anni, il faraone sognò di trovarsi presso il Nilo. 

Ed ecco salirono dal Nilo sette vacche, belle di aspetto e grasse e si misero a pascolare tra i giunchi. Ed ecco, dopo quelle, sette altre vacche salirono dal Nilo, brutte di aspetto e magre, e si fermarono accanto alle prime vacche sulla riva del Nilo. Ma le vacche brutte di aspetto e magre divorarono le sette vacche belle di aspetto e grasse. E il faraone si svegliò. Poi si addormentò e sognò una seconda volta: ecco sette spighe spuntavano da un unico stelo, grasse e belle. Ma ecco sette spighe vuote e arse dal vento d’oriente spuntavano dopo quelle. Le spighe vuote inghiottirono le sette spighe grosse e piene. Poi il faraone si svegliò: era stato un sogno. 
Alla mattina il suo spirito ne era turbato, perciò convocò tutti gli indovini e tutti i saggi dell’Egitto. Il faraone raccontò loro il sogno, ma nessuno lo sapeva interpretare al faraone. (...)
Allora il faraone convocò Giuseppe. Lo fecero uscire in fretta dal sotterraneo ed egli si rase, si cambiò gli abiti e si presentò al faraone. (...) 
Allora Giuseppe disse al faraone: "Il sogno del faraone è uno solo: quello che Dio sta per fare, lo ha indicato al faraone. Le sette vacche belle sono sette anni e le sette spighe belle sono sette anni: è solo un sogno. E le sette vacche magre e brutte, che salgono dopo quelle, sono sette anni e le sette spighe vuote, arse dal vento d’oriente, sono sette anni: vi saranno sette anni di carestia. 
È appunto ciò che ho detto al faraone: quanto Dio sta per fare, l’ha manifestato al faraone. Ecco stanno per venire sette anni, in cui sarà grande abbondanza nel paese d’Egitto e la carestia consumerà il paese. 
(Gen. 37,3-5.12.17-20 ; 40,5-8; 41,1-8.14.25-30)




Carissimo Giuseppe, la domanda la giro a te, che te ne intendi: se, cioè, la razza dei sognatori sia utile all’umanità oppure va combattuta, proprio per quella carica di fuga che il sogno sembra favorire. Quando me la son sentita rivolgere io, me la son cavata con una citazione di lusso: "Troppi uomini pratici mangiano il pane intriso col sudore della fronte del sognatore". 

Ti piace? È di Kahil Gibran, un poeta delle tue parti, libanese per la precisione. Il quale, nello scriverla, deve aver pensato a te. Anzi, la frase mi sembra così pertinente con la tua storia, che potrebbe far benissimo da titolo ai capitoli trentasette e seguenti della Genesi, in cui si racconta del tuo mestiere di inguaribile sognatore. 
Dei dodici, eri il figlio prediletto di Giacobbe. E si capisce perché: gli eri nato in vecchiaia. Tra le tante attenzioni, quando eri ancora giovanetto, tuo padre volle confezionarti lui stesso una tunica dalle maniche lunghe. 
Non l’avesse mai fatto! Ogni volta che, con quell’abito firmato, comparivi in mezzo ai fratelli sbracati sotto gli ardori della canicola, li facevi crepare d’invidia. Un giorno, il vaso traboccò per via di certi sogni che ti mettesti a raccontare. 
Tutto elegante, che sembravi uscito da una "boutique" di via Veneto, parlavi di covoni di grano che si inchinavano davanti al tuo e di undici stelle che, insieme col sole e con la luna, si prostravano di fronte a te. 
I tuoi fratelli, allora, non ne poterono più. Che il vecchio padre, rincitrullito dall’arteriosclerosi, stravedesse per te, potevano anche sopportarlo. Ma che tu, servendoti dei sogni, ti mettessi a prevedere future egemonie su di loro, era proprio il colmo. 
Se ti avessero potuto ammazzare con una randellata, l’avrebbero fatto seduta stante. Comunque, pensarono bene di rinviare la vendetta a un’occasione più propizia. Per il momento si limitarono a mandarti un sacco di accidenti a te, alla tua tunica, ai tuoi sogni. E chi sa che non scrissero sui muri sotto casa, perché tuo padre potesse vedere: abbasso il visionario! La storia sappiamo tutti come andò a finire. Che quei praticoni dei tuoi fratelli, grevi di asprigni sudori di campo, dopo aver complottato per farti fuori: Ecco, il sognatore arriva! 
Orsù uccidiamolo...così vedremo che ne sarà dei suoi sogni! 
Ti vendettero a dei mercanti ismaeliti, i quali ti condussero in Egitto dove facesti fortuna. Finché un giorno in Egitto, essendo scoppiata la carestia, non ci arrivarono anche loro, morti di fame, alla ricerca disperata di frumento. 
E, senza saperlo, finirono col mangiare il pane che proprio tu, grazie a una irresistibile carriera originata dalla tua esperienza in materia di sogni, eri riuscito a mettere da parte. Morale della favola? Non bisogna sparare sui sognatori. Perché, a dispetto di ogni realismo scientifico che pretende di far tenere a ogni costo i piedi per terra, coloro che oggi camminano con la testa per aria saranno gli unici ad aver ragione domani. Grazie, sognatore.

Ma torniamo in Egitto, dove, all’improvviso, smettesti di sognare per conto tuo, e cominciasti a fare l’interprete dei sogni per conto terzi. 

Dunque: inizialmente le cose si misero abbastanza bene, perché andasti a finire, come uomo di fiducia, nella casa di un pezzo grosso della corte. 
La corte vera, però, fu quella che ti fece la moglie del principale. 
Poverina, bisogna capire anche lei :eri bello di forma e avvenente di aspetto e non seppe resistere al tuo fascino. Finché un giorno, avendo tu respinto energicamente certe sue spudorate profferte, si sentì ferita nell’orgoglio di donna e, girando la frittata, fu lei che ti accusò di violenza presso il marito. 
Il quale non si fece pregare due volte e ti spedì per direttissima in prigione. 
In quel tempo, come oggi da noi a San Vittore, le patrie galere dovevano traboccare di detenuti eccellenti, se è vero che, tra gli altri, c’erano anche il capo dei coppieri e il capo dei panettieri del faraone. 
Due gerarchi di tutto rispetto. 
Con la differenza, però, che essi erano andati a finire in carcere, non per storie di bustarelle, ma per aver contestato in pubblico la prepotenza del re. 
Una notte, l’uno e l’altro fecero un sogno così strano, che la mattina seguente alla tua domanda perché mai avessero quella faccia da funerale, essi risposero: Abbiamo fatto un sogno e non c’è chi lo interpreti! 
Quella frase mi rotola sull’anima come un macigno. 
Perché sintetizza il grido di tutti gli oppressi. 
Di tutti i prigionieri del regime. 
Di tutti i violentati dai sistemi di potere. 
Di tutte le vittime dei palazzi. 
Di tutti coloro, cioè, che abitano i sotterranei della storia, ai quali l’ingiustizia subìta non impedisce di sognare, ma che non trovano sulla loro strada gente capace di decifrare i loro sogni. 
Quella frase mi scomoda, perché mi fa capire quanto sia sacrilego il mio scettico sorriso di fronte alle utopie dei poveri, nella cui anima, anche d’inverno, fioriscono grappoli di speranze, con tutte le variazioni sul tema del celebre "I have the dream" di Martin Luther King: 
"Ho il sogno che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli degli antichi schiavi e i figli degli antichi schiavisti saranno capaci di sedere insieme alla tavola della fratellanza. 
Ho il sogno che un giorno anche lo stato del Mississippi, uno stato soffocante per l’afa dell’oppressione, sarà trasformato in un’oasi di pace e di giustizia. Ho il sogno che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per il contenuto del loro carattere. 
Ho il sogno...". 
Quella frase mi torna in mente ogni volta che, a uno a uno, se ne vanno i vecchi profeti, e all’orizzonte non si vedono discepoli che ne ereditino il mantello, e lasciano sia pure per poco lo sgomento del vuoto, e i poveri sembrano rimanere più soli. 
Allora, ti confesso, anche a me nasce un sogno nel cuore: quello di una Chiesa più audace, che si decida a scendere nelle carceri degli uomini e, organizzando la speranza degli ultimi, smetta di essere la notaia dell’ineluttabile, e divenga finalmente ministra dei loro sogni. I have the dream!

Ed eccoci giunti al terzo atto della tua carriera, che ti vide interprete non più dei tuoi sogni, e neppure dei sogni degli ultimi, ma interprete dei segni inviati dal cielo ai potenti della terra. Mi riferisco alla ben nota storia delle vacche grasse e delle vacche magre, che apparvero in sogno al faraone, con la simmetrica riproposizione, nel corso della stessa notte, delle spighe piene e delle spighe vuote. Un rompicapo preoccupante per il re e per tutta la sua corte. Quali presagi si nascondevano sotto i simboli di quelle sette vacche floridissime, divorate in un baleno da altrettante vacche, orride e macilente, comparse tra i giunchi del Nilo? E quale lettura dare al sogno delle sette spighe, turgide e splendenti, inghiottite all’improvviso da altrettante spighe vuote e bruciate dal vento? Fu così che si ricordarono di te, che marcivi in prigione. Qualcuno parlò delle tue abilità divinatorie, e al faraone che volle interpellarti di persona, tu spiegasti il mistero senza frasi di comodo. Gli dicesti che vacche grasse e spighe gonfie rappresentavano l’abbondanza dei beni e lo sperpero delle risorse ambientali, di cui gli Egiziani, se non si fosse intervenuti per tempo, avrebbero pagato lo scotto con durissimi anni di carestia, simbolizzati appunto dalle vacche magre e dalle spighe vuote. Poi aggiungesti, con accenti profetici, che bisognava correre ai ripari. Che bisognava ridurre i consumi. Che era necessario cambiare la politica sull’impiego delle energie. Che era indispensabile frenare la corsa allo spreco. Che non era possibile portare avanti i folli parametri del dispendio dei beni naturali non rinnovabili a cui la terra veniva sottoposta. Che, insomma, solo con una intelligente strategia di recupero delle risorse, e con un forte programma di risanamento dei guasti ambientali, si poteva preservare il futuro dalla tragedia della fame. Tu almeno, dai sotterranei della storia (oggi si direbbe: dai Sud della terra), dalla parte degli ultimi, dalle postazioni dei diseredati, le cose le vedevi così. Il faraone diede ascolto alla voce dei poveri. E fu la salvezza per tutti. Caro Giuseppe, come sono cambiati i faraoni di oggi! Non sono più disponibili a dare ascolto ai profeti del sottosuolo. Sorridono sui loro vaticini. E non sanno che farsene delle loro previsioni sui disastri dell’habitat o sui buchi dell’ozono, sull’effetto serra o sulle piogge acide, sulle deforestazioni dell’Amazzonia o sul degrado atmosferico, sulle scorie radioattive o sull’inquinamento delle acque, sull’abuso della biotecnologia o sulla desertificazione della terra... 

Gli interpreti dei sogni ci sono ancora oggi. Ma sono ridotti a funzione di grillo parlante. 
Per i potenti, quello che conta è stabilire il primato dell’economia sull’uomo, preferire la salvaguardia del mercato alla salvaguardia della natura, difendere il sistema consolidato della finanza sul patto generazionale che ci obbliga a consegnare ai posteri una terra abitabile. 
Ti è giunta eco di "Eco 92" di Rio de Janeiro? 
Hai sentito le tesi allucinanti dei moderni faraoni? Anche lì si è agitato lo spettro delle vacche magre. E sai qual è stata la risposta? "Ma quali vacche magre d’Egitto"!

- Don Tonino Bello -
Tratto da: “Ad Abramo e alla sua Discendenza”



"Per i poveri anche una sagrestia può bastare! Solo allora potremo celebrare liturgie vere e riti credibili. 
E le ostie consacrate avranno finalmente il gusto del grano e il sapore della libertà".

- don Tonino Bello -



"Voglio dirvi questo: non vendetevi a nessuno. Anche a costo di morire di fame. Resistete tenacemente alle lusinghe di chi pensa di manipolarvi il cervello comprandovi con quattro soldi".

- don Tonino Bello -




Buona giornata a tutti. :-)






sabato 14 febbraio 2015

Non t'amo più - Evgenij Evtusenko

Non t'amo più... E' un finale banale.
Banale come la vita, banale come la morte.
Spezzerò la corda di questa crudele romanza,
farò a pezzi la chitarra: ancora la commedia perché recitare!
Al cucciolo soltanto, a questo mostriciattolo peloso,
non è dato capire
perché ti dai tanta pena e perché io faccio altrettanto.
Lo lascio entrare da me, e raschia la tua porta,
lo lasci passare tu, e raschia la mia porta,
C'è da impazzire, con questo dimenio continuo...
O cane sentimentalone, non sei che un giovanotto...
Ma io non cederò al sentimentalismo.
Prolungar la fine equivale a continuare una tortura.
Il sentimentalismo non è una debolezza, ma un crimine
quando di nuovo ti impietosisci, di nuovo prometti
e provi, con sforzo, a mettere in scena un dramma
dal titolo Ottuso "Un amore salvato".
E' fin dall'inizio che bisogna difendere l'amore
dai "mai" ardenti e dagli ingenui "per sempre!".
E i treni ci gridavano: "Non si deve promettere!".
E i fili fischiavano "Non si deve promettere!".
I rami che s'incrinavano e il cielo annerito dal fumo
ci avvertivano, ignoranti presuntuosi,
che è ignoranza l'ottimismo totale,
che per la speranza c'è più posto senza grandi speranze.
E' meno crudele agire con sensatezza 
e giudiziosamente soppesare gli anelli
prima di infilarseli, 
secondo il principio dei penitenti incatenati.
E' meglio non promettere il cielo e dare almeno la terra,
non impegnarsi fino alla morte, 
ma offrire almeno l'amore d'un momento.
E' meno crudele non ripetere "ti amo", quando tu ami.
E' terribile dopo, da quelle stesse labbra
sentire un suono vuoto, la menzogna, la beffa, la volgarità
quando il mondo falsamente pieno, apparirà falsamente vuoto.
Non bisogna promettere... L'amore è inattuabile.
Perché condurre all'inganno, come a nozze?
La visione è bella finché non svanisce.
E' meno crudele non amare, quando dopo viene la fine.
Guaisce come impazzito il nostro povero cane,
raspando con la zampa ora la mia, ora la tua porta.
Non ti chiedo perdono per non amarti più. 
Perdonami d'averti amato.

- Evgeniij Evtusenko -




Parlo dell’amore che dà la vista ai ciechi. Che è più forte dell’angoscia. Dell’amore che infonde un senso alla vita, che non obbedisce alle leggi del degrado e della rovina, che ci fa crescere e non conosce confini. Parlo del trionfo dell’uomo sull’egoismo e sulla morte.

da "L’arte di ascoltare i battiti del cuore" di Jan-Philipp Sendker



Ci sono certi sguardi di donna che l'uomo amante non scambierebbe con l'intero possesso del corpo di lei. Chi non ha veduto accendersi in un occhio limpido il fulgore della prima tenerezza non sa la più alta delle felicità umane. Dopo, nessun altro attimo di gioia eguaglierà quell'attimo.

da "Il piacere" di Gabriele D’Annunzio



L’amore è passione, ossessione, qualcuno senza cui non vivi. 
Io ti dico: Buttati a capofitto! Trovati qualcuno che ami alla follia e che ti ami alla stessa maniera! 
Come trovarlo? Be’, dimentica il cervello e ascolta il cuore. Io non sento il tuo cuore perché la verità, tesoro, è che non ha senso vivere se manca questo. Fare il viaggio e non innamorarsi profondamente, beh, equivale a non vivere. Ma devi tentare perché se non hai tentato non hai mai vissuto.

"Vi presento Joe Black" – di Martin Brest


L’amore guarda non con gli occhi ma con l’anima e perciò l’alato Cupido viene dipinto cieco. 

da "Sogno di una notte di mezza estate" di William Shakespeare



"Perderai qualcuno e non potrai vivere senza, il tuo cuore sarà malridotto e la cattiva notizia è che non ne uscirai mai completamente dalla perdita di qualcuno che ami. Ma c’è anche una buona notizia. Loro vivranno per sempre nel tuo cuore spezzato. E andrai avanti. Sarà come avere avuto una gamba rotta che non andrà più perfettamente, e ti continuerà a fare male quando farà freddo, ma riuscirai a danzare anche zoppicando."

- Anne Lemott -



L'amore è sempre paziente e gentile, non è mai geloso. L'amore non è mai presuntuoso o pieno di se, non è mai scortese o egoista, non si offende e non porta rancore. L'amore non prova soddisfazione per i peccati degli altri ma si delizia della verità. È sempre pronto a scusare, a dare fiducia, a sperare e a resistere a qualsiasi tempesta.

"Bibbia", lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi






Buona giornata a tutti. :-)






giovedì 24 luglio 2014

L'Amicizia - Tahar Ben Jelloun

L’amicizia è una religione senza Dio né Giudizio finale.
E non c’è neppure il diavolo.
Una religione che non è estranea all’amore.
Ma un amore dove la guerra e l’odio sono proscritti, dove il silenzio è possibile.
Potrebbe essere lo stato ideale dell’esistenza.
Uno stato tranquillo. Un legame necessario e raro.
Non sopporta impurità alcune.
L’altro, di fronte, la persona che si ama, non è solamente uno specchio che riflette, è anche l’altro se stesso sognato.
L’amicizia perfetta dovrebbe essere una sorta di solitudine felice, spurgata dai sentimenti d’angoscia, di rifiuto e di isolamento.
Non si tratta di una semplice storia di sdoppiamento nella quale l’immagine di sé sarebbe passata attraverso un filtro, un esame che dovrebbe ingrandire i difetti e le carenze e ridurre le qualità.
Lo sguardo dell’amico dovrebbe riconsegnarci la nostra immagine considerata in modo esigente.
L’amicizia allora consisterebbe in questa reciprocità senza sfasature, guidata dallo stesso principio di amore: il rispetto che ciascuno deve a se stesso se vuole che gli altri glielo ricambino, naturalmente.


- Tahar Ben Jelloun -





Amicizia

Sorveglia le tue amicizie,
perché vivano fino a sera.
E' questa l'ora in cui le saprai
meglio gustare.

Ti accorgerai che l'amicizia
è una delle maggiori gioie
concesse agli uomini.

E comprenderai che il miglior modo
per trovarla, è offrirla,
perché fiorisce quasi sempre
là dove l'hai seminata.




«Se hai criticato un amico a tu per tu, non temere perché potete riconciliarvi; invece se l’hai insultato con arroganza, se hai tradito le sue confidenze o l’hai attaccato a tradimento, qualsiasi amico se ne andrà» 

(Siracide 22,21-22)



«L’amico ama in ogni circostanza; è nato per essere un fratello nella avversità». 

(Proverbi 17,17)


«Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio.» 

(Gv 15,15)
























Non rimpiango le persone che ho perso col tempo, ma rimpiango il tempo che ho perso con certe persone, perchè le persone non mi appartenevano, gli anni si.

- Carl Gustav Jung - 



Buona giornata a tutti :-)

mercoledì 9 ottobre 2013

Dal Cantico dei Cantici, IV, 1-16 -




Come sei bella, amica mia, come sei bella!
Gli occhi tuoi sono colombe,
dietro il tuo velo.
Le tue chiome come un gregge di capre,
che scendono dalle pendici del Galaad.
I tuoi denti come un gregge di pecore tosate,
che risalgono dal bagno;

tutte procedono appaiate,

e nessuna è senza compagna.
Come un nastro di porpora le tue labbra
e la tua bocca è soffusa di grazia;
come spicchio di melagrana la tua gota
attraverso il tuo velo.





Come la torre di Davide il tuo collo,
costruita a guisa di fortezza.
Mille scudi vi sono appesi,
tutte armature di prodi.
I tuoi seni sono come due cerbiatti,

gemelli di una gazzella,

che pascolano fra i gigli.




Prima che spiri la brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
me ne andrò al monte della mirra
e alla collina dell’incenso.
Tutta bella tu sei, amica mia,
in te nessuna macchia.



Vieni con me dal Libano, o sposa,
con me dal Libano, vieni!
Osserva dalla cima dell’Amana,
dalla cima del Senir e dell’Ermon,
dalle tane dei leoni,
dai monti dei leopardi.
Tu mi hai rapito il cuore,
sorella mia, sposa,
tu mi hai rapito il cuore
con un solo tuo sguardo,
con una perla sola della tua collana!





Quanto sono soavi le tue carezze,
sorella mia, sposa,
quanto più deliziose del vino le tue carezze.
L’odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi.
Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa,
c’è miele e latte sotto la tua lingua
e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano.
Giardino chiuso tu sei,
sorella mia, sposa,
giardino chiuso, fontana sigillata.





I tuoi germogli sono un giardino di melagrane,
con i frutti più squisiti,
alberi di cipro con nardo,
nardo e zafferano, cannella e cinnamomo
con ogni specie d’alberi da incenso;

mirra e aloe

con tutti i migliori aromi.
Fontana che irrora i giardini,
pozzo d’acque vive
e ruscelli sgorganti dal Libano.
Levati, aquilone, e tu, austro, vieni,
soffia nel mio giardino,
si effondano i suoi aromi.
Venga il mio diletto nel suo giardino
e ne mangi i frutti squisiti.

Cantico dei Cantici, IV, 1-16
Fonte: La sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, 1974 Roma,




Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l'amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l'amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio

Cantico dei Cantici 8:6-7


Buona giornata a tutti. :-)