lunedì 18 novembre 2019

Saturnino vola in Paradiso - leggenda medievale

Il Maligno stava scrutando con attenzione gli uomini sulla terra, attento come sempre alla possibilità di accaparrarsi qualche nuova anima.
Guarda di qua e guarda di là, fu attratto da una gran profusione di persone che stavano uscendo da una chiesa. Aguzzò ulteriormente lo sguardo tendendo le orecchie come due antenne e, in un baleno, fu come se lui stesso si trovasse in mezzo a quella gente.
Sentì quindi tutti gli elogi con cui chi aveva assistito alla funzione domenicale apostrofava il vescovo della città che, a quanto pareva, aveva appena tenuto uno dei suoi famosi sermoni.
Potete immaginarvi la curiosità di Satana. Chi era questo famoso predicatore sfuggito alle sue sgrinfie?
Si trattava di san Donato, vescovo di Arezzo, le cui argomentazioni, forgiate con voce possente, erano riuscite a sconfiggere i più grandi avversari della Chiesa.
Seduto nel suo antro fumoso, Satana cominciò a rimuginare sul da farsi, ma prima di prendere qualsiasi decisione volle sfogliare la grande enciclopedia in cui ogni anima veniva citata dettagliatamente.
Ecco cosa trovò alla voce "Anima di san Donato".

L'anima di questo soggetto possiede grande forza, la sua struttura è legata a un corpo altrettanto forte e robusto. Cresciuto in ambiente contadino, ne ha ereditato i saldi principi legati al rispetto della natura e dell'essere umano che da essa trae vigore.
Di temperamento focoso, Donato ama cimentarsi in qualsiasi tipo di disputa e non disdegna neppure qualche baruffa.
Questa anima non appartiene al tipo ascetico, considerando la sua permanenza sulla terra una palestra di prova per rinforzare se stessa e lo spirito che la guida.
L'uomo che ospita quest'anima apprezza i piaceri della compagnia, della buona tavola e del buon bere.
«Caspita!» pensò il diavolo. «Questo qui me lo lavoro io a dovere! Se il fiuto non m'inganna, il terreno è fertile per piantare le mie radici». E così si mise a considerare quale dei suoi aiutanti poteva impegnare in quell'opera.
Gli venne in mente un diavoletto decisamente maligno e furbo che, uscito a pieni voti dal corso di "tentatore", aveva già dato buona prova delle sue capacità.
Il Maligno fece così chiamare Saturnino, questo era il nome del diavoletto, e gli affidò il delicato incarico di circuire l'anima di Donato e di farne una sua conquista.
A Saturnino non parve vero di tenersi un po' in forma con le tentazioni che da qualche tempo non esercitava più, avendo avuto solo incarichi amministrativi.
Per prima cosa seguì Donato per diversi giorni, tenendosi però lontano da lui, anche a causa di quell'odore di zolfo che sempre gli rimaneva appiccicato addosso quando usciva dall'Inferno.
Poi, fattosi un'idea più precisa sul sant'uomo, preparò un dettagliato piano di attacco.
La prima mossa coinvolse l'ignara perpetua che da tanti anni provvedeva alla cura della canonica.
Teresa, ormai di mezza età, era rimasta vedova ancora giovane e aveva potuto allevare i tre figli grazie alla generosità del suo vescovo; così le era sembrato più che giusto rendersi utile occupandosi di lui come una affezionata sorella.
Donna di grande giudizio, aveva accudito Donato con la stessa dedizione con cui aveva cresciuto i suoi figli, né mai il suo sguardo si era posato su di lui con occhio diverso da quello di una madre.
Lo rispettava profondamente e lo ammirava per la forza con cui affrontava ogni problema della sua diocesi, occupandosi anche dei più piccoli dettagli.
Eccellente cuoca, Teresa indulgeva verso le golosità del suo benefattore e la tavola di Donato era rinomata per i manicaretti che la brava donna riusciva a preparare anche con poca spesa, senza contare che chiunque si trovasse nell'indigenza poteva sempre fare affidamento su quel generoso desco.
Saturnino pensò quindi di mettere in pratica una delle più antiche tentazioni: quella della sensualità femminile. Non diceva anche la Bibbia che la donna è la prima fonte di peccato?
Fu così che l'ignara Teresa finì preda di quel furbacchione.
Figurarsi la sorpresa di Donato quando una sera vide la sua brava perpetua presentarsi con il solito bicchiere di latte, ma...
Le vesti erano inequivocabilmente provocanti e, diciamolo fra noi, anche ridotte all'essenziale. I capelli, solitamente raccolti in una crocchia, facevano bella mostra, morbidamente sciolti sulle spalle; e quella voce suadente...
"Perbacco! Cos'è accaduto?" pensò sconcertato l'uomo.
Ma se Saturnino era furbo, il vescovo non era da meno. Senza lasciarsi trarre in inganno, Donato si alzò in piedi e, dall'alto della sua imponente mole, gridò con quanto fiato avesse in gola: «Fuori da lì, manigoldo!».
E, così dicendo, prese la scodella del latte, lo benedisse e si mise ad aspergere la donna e tutto quanto si trovasse lì intorno.
A contatto con il liquido benedetto Saturnino non poté resistere dal bruciore, gli sembrava di essere ustionato da olio bollente. Per tutti i diavoli, ma quello era peggio dell'Inferno!
Con un balzo uscì dalla donna, andando a nascondersi nel primo anfratto buio che trovò sulla sua strada. Bella figura aveva fatto! E ora, che avrebbe raccontato al suo signore?
Intanto, nella canonica, Teresa, tornata in sé, stava valutando la situazione con grande imbarazzo, non riuscendo a capire come mai si trovasse lì in quelle condizioni.
«Portami un'altra tazza di latte, per favore, e non preoccuparti» le disse gentilmente il vescovo: «non è successo niente, abbiamo solo ricevuto una visita inattesa, ma adesso è tutto sistemato».
Passò un po' di tempo e il nostro diavoletto si riprese alla grande dallo smacco e dallo spavento di quella sera.
Gironzolando intorno a Donato, in attesa di un momento favorevole per intervenire, gli si presentò ben presto l'occasione di introdursi nei suoi sogni. Quale momento migliore per trovare quell'uomo indifeso e vulnerabile?
Approfittando di un pisolino che il vescovo si era concesso dopo il pasto di mezzogiorno, si avvicinò cauto bisbigliandogli all'orecchio: «Ascolta la voce di un amico... Io posso darti potere e gloria... Abbandona la strada del bene ed entra a far parte dei servitori del mio signore: lui ti colmerà di tutto ciò che un uomo possa desiderare!».
Donato stava godendosi il sonnellino pomeridiano ma, messo in allerta dalla prima visita di quell'abitante degli inferi, non abbandonava mai completamente le sue difese.
Così, nella parte vigile della sua mente, suonò immediatamente un campanello
d'allarme: "Attento, si sente odore di zolfo!".
Il sant'uomo finse allora di russare rumorosamente, ma in realtà si stava preparando ad attaccare contando sulla sorpresa.
Infatti Saturnino si era messo tranquillo di fianco all'uomo addormentato e continuava imperterrito a sciorinare promesse e lusinghe.
D'un balzo Donato si alzò e, prendendo il diavoletto per gli zoccoli, cominciò a sbatacchiarlo di qua e di là come un tappetino; poi, con uno scatto veloce, inusuale per un uomo della sua mole, lo afferrò per la gola stringendo così forte che a Saturnino non rimase che chiedere indulgenza.
«Abbi pietà, buon vescovo» tossicchiava il miserello: «se mi lascerai andare, non ti importunerò mai più, parola di diavolo!».
Sbuffando come un mantice, Donato si accontentò di immergere il malcapitato nell'acquasantiera della sacrestia, dove lo lasciò in ammollo più morto che vivo.
Quando finalmente riuscì ad aggrapparsi ai bordi dell'ampio bacile, Saturnino trovò a malapena la forza per sgattaiolare fuori e raggiungere una buia grotta fuori città, direttamente collegata con le gallerie infernali e lì, finalmente, poté riprendere fiato e farsi curare dagli gnomi dell'oscurità.
Rimessosi in forze, il nostro diavolo pensò che forse sarebbe stato meglio lasciar perdere quella missione e starsene per un po' lontano da quei luoghi. 
A lui che importava di Donato e della sua virtù? Se la tenesse... in fondo Saturnino era sempre stato un assertore del libero arbitrio.
Ma non così la pensava Satana, che subito lo mandò a chiamare, minacciandolo di tremendi castighi se non gli avesse portato al più presto l'anima di quel cocciuto seguace della bontà e, pronunciando quella parola, storse la bocca in un terribile ghigno di disprezzo.
Tutto mogio, il nostro diavolo si rimise in cammino, ma l'antica baldanza era completamente svanita.
Magro da far pena, spelacchiato e in preda a frequenti tremori, Saturnino si aggirava per le strade di Arezzo indeciso sul da farsi.
Tanto per tenersi in allenamento, si nascondeva negli antri più scuri o agli angoli dei vicoli per balzar fuori all'improvviso e spaventare gli occasionali passanti, ma i più lo guardavano con disgusto, scambiandolo per un cane randagio, oltretutto un po' rognosetto.
Il suo orgoglio era profondamente ferito, doveva ad ogni costo raccogliere quello che rimaneva dell'antico vigore e affrontare nuovamente il vescovo. S'intrufolò nella sua casa e, approfittando della momentanea assenza di Teresa dalla cucina, cominciò con lo sbafarsi la rimanenza della cena; poi, rimuginando su quale tipo di tentazione mettere in atto, finì con l'intrufolarsi dentro un abito di Donato.
Era il mese di gennaio e quell'anno il freddo non scherzava; così Saturnino, abbondantemente rifocillato, finì con l'addormentarsi sodo e al calduccio.
Ma quando si risvegliò si trovò avvinghiato dalla stretta terrificante di quella che avrebbe dovuto essere la sua preda.
«Diavolaccio malefico» stava gridando Donato, «ti farò passare io la voglia di importunare i vescovi!».
Quindi lo portò sul campanile legandolo strettamente al batacchio della campana grande, così che ogni volta questa suonava il diavolo veniva scosso, urtato, tirato e frastornato come un cencio battuto sulla pietra.
I topi che abitavano la torre campanaria si chiesero ben presto che ci facesse lì quel coso e cominciarono a rosicchiare la corda che lo teneva legato, finché, finalmente, lo liberarono dall'incomoda situazione facendolo cadere con un tonfo sul pavimento. 
Per la prima volta Saturnino cominciava seriamente a dubitare sulla sua natura diabolica, eppure non voleva ancora darsi per vinto. Alla prima occasione scese cautamente nelle stanze di Donato e si nascose nella sua tabacchiera; così, quando questi ne sollevò il coperchio, balzò fuori con un urlo da far accapponare la pelle. Ma non era così facile intimorire un santo, e tanto meno quello.
«Sei dunque tornato, spiritello malvagio» gli disse, osservandone con soddisfazione l'aspetto malconcio. «Ora ti sistemo una volta per tutte, così potrai riferire al tuo padrone che con me non c'è niente da fare!».
Detto questo, Donato prese il diavolo per un orecchio e lo ficcò dentro il ripostiglio dove erano conservate tutte le preghiere che il vescovo aveva rivolto al buon Dio.
Questo fu il colmo! Saturnino strabuzzò gli occhi, si contorse in preda a spasimi atroci mentre le sue fibre erano sottoposte a inimmaginabili sconvolgimenti. Infine, al colmo della disperazione, svenne e tutto sprofondò in un grande silenzio.
A cominciare dal quel giorno il nostro diavoletto non osò più tormentare il santo né tanto meno tornare dal suo padrone, il maligno Signore delle Tenebre.
Si aggirava per la casa e per il giardino cercando di passare inosservato, sgattaiolava lungo i muri accontentandosi di qualche avanzo della cucina e di poter nascondersi in quel luogo che cominciava quasi a piacergli.
Intanto il tempo passava e Donato perdeva sempre più le sue forze avvicinandosi ormai alla vecchiaia.
Quando infine si ammalò, da quell'uomo robusto che era si ridusse in un letto preso da estrema debolezza.
Saturnino considerò allora che forse poteva essere giunto il tempo della sua rivincita e, avvicinandosi stancamente al capezzale del suo temuto antagonista, gli sussurrò con quel po' di voce che anche a lui era rimasta: «Dammi finalmente retta, io posso ridarti salute e giovinezza se tu ti affiderai al mio signore! Basta un tuo cenno, anzi il solo tuo desiderio, e potrai tornare quello di un tempo: giovane, forte e protetto dal più potente dei principi».
II santo guardò quel malconcio demonio spelacchiato e smunto, ormai sfinito dopo tante inutili lotte, e provò per lui una grande pietà.
«Ascolta, se il tuo padrone può fare tutto ciò che dici, per quale motivo non ne approfitti tu stesso?».
Saturnino non sapeva che rispondere, ma quelle parole lo fecero riflettere.
«Posso forse proporre io un patto a te» proseguì Donato con un filo di voce. «Non posso certo trasformarti così sui due piedi in un angelo, ma posso sottrarti al potere del tuo sgradevole padrone».
E visto che il diavoletto sembrava contento di quella proposta, Donato si rivolse al buon Dio affinché si prendesse cura Lui di quella creatura. 
In quello stesso istante, la sgraziata ombra scura che si trovava accanto al santo si trasformò per incanto in un grazioso e variopinto uccellino dal canto melodioso.
Per tutti i giorni in cui Donato giacque ammalato il piccolo animale non lasciò più la stanza, cercando di dare conforto al moribondo con il trillo del suo canto.
Passò poco tempo e il santo lasciò questa terra per raggiungere il Paradiso dove, statene pur certi, fece in modo che fosse chiamato anche un certo uccellino.

- Leggenda medievale - 

da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 





Buona giornata a tutti. :-)





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