lunedì 31 luglio 2017

Incontro di due mani e altre poesie - Juan Ramón Jiménez

Incontro di due mani

Incontro di due mani
in cerca di stelle,
nella notte!
Con che pressione immensa
si sentono le purezze immortali!
Dolci, quelle due dimenticano
la loro ricerca senza sosta,
e incontrano, un istante,
nel loro circolo chiuso,
quel che cercavano da sole.


Rassegnazione d’amore,
tanto infinita come l’impossibile!

- Juan Ramón Jiménez -



Fusione

Col nuovo mattino,
il mondo mi bacia
sulla tua bocca, donna.


- Juan Ramón Jiménez -





Ristagno

L’amore, tra me e me,
è così impalpabile, così sereno, così in sé,
come l’aria invisibile,
come l’acqua invisibile, tra la luna
del cielo
e la luna del fiume.


- Juan Ramón Jiménez -




Buona giornata a tutti. :-)

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domenica 30 luglio 2017

L'identità del cristiano: vivere per servire – Madre Anna Maria Canopi

Vivere per servire: ecco un ideale davvero bello per un cristiano! 
Ogni autentico servizio, infatti, ha la sua radice nel mistero di Cristo che per salvarci "pur essendo di natura divina..., spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo" (Fil 2, 6-7). Gesù è venuto sulla terra per insegnarci a servire. Egli è il nostro modello. 
Durante l'ultima Cena, dopo la lavanda dei piedi, disse ai suoi discepoli:
"Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. " (Gv 13, 12-15).
Conformarsi a Cristo significa, dunque, nelle situazioni in cui si vive e si lavora, saper dire con spontaneità: "Sono venuto per servire, non per essere servito" (cf Mt 20,28), "essere cioè sempre a disposizione per il bene degli altri", anzi, "diventare un bene per gli altri".
La differenza non è piccola: si tratta di passare dal fare qualcosa a favore dei fratelli, ad essere una persona per gli altri, come Gesù è "per noi".
Questo modo di porsi in relazione a Dio e al prossimo dona alla vita una dimensione nuova: in qualunque stato ci si trovi - consacrati o laici, soli o sposati, sani o malati - sempre si ha una missione da compiere, quella di donarsi. 
E poiché il donarsi implica l'impegno di una continua conversione per negarsi a se stessi, chi vive in tale dimensione interiore evita di entrare in competizione e in rivalità con i fratelli, non agisce sotto la spinta dell'ambizione e dell'egoismo, fugge l’ostilità, la violenza, l'aggressività, con tutte le tristi conseguenze che purtroppo si esibiscono sulla scena di questo mondo. Allora, anche se in apparenza non occupa un posto di rilevo nella società, il cristiano contribuisce veramente a costruire la "civiltà dell'amore"; là dove vive è una presenza di pace che diffonde attorno a sé carità e spirito di comunione, favorisce la collaborazione e la concordia a tutti i livelli, diventa fermento di giustizia, di santità.
L’ideale del servizio comporta inoltre altre conseguenze. 
Se uno vive in pace con gli altri non avanza diritti per sé, cerca piuttosto di mettersi nella prospettiva del "dovere". 
Oggi si parla facilmente di "diritti", ma si pensa meno al fatto che, se ogni persona ha il diritto di essere libera, di avere il necessario per vivere, ciò implica che io ho il dovere di fare per quella persona quanto occorre per il suo bene. 
Certamente si tratta di un atteggiamento da assumere reciprocamente, di una responsabilità comune. Quanto è importante la reciprocità! 
Tuttavia, per quanto ci riguarda, dobbiamo soprattutto preoccuparci di compiere il nostro dovere, cioè di servire gli altri con amore, in modo gratuito, anche se non riceviamo dagli altri il contraccambio. 
Anzi, quando tale disparità dovesse manifestarsi, proprio allora è il momento di vivere il Vangelo alla lettera, senza seguire la mentalità del mondo.
In altre parole, non si deve osservare soltanto la legge del "dare per ricevere", perché la nostra identità di uomini e di cristiani - se tali vogliamo essere - si caratterizza per un sovrappiù di amore, in forza del quale non si fa il bene per ricevere il contraccambio, ma lo si fa gratuitamente, comunque e sempre, senza paura di "perdere", poiché il bene che si fa ritorna sempre anche a chi lo compie: non è mai contro di noi. 
Anzi proprio quando gli altri non ci ricambiano, sul piano spirituale guadagniamo di più, perché diventiamo più conformi, più somiglianti a Cristo. 
E questo è il vero guadagno: la santità. 
Chi fa il bene ha già il suo premio, perché si realizza secondo il progetto di Dio. 
A poco a poco, nelle sue scelte, si trova a non essere più schiavo di un criterio puramente umano e utilitaristico o, peggio, schiavo delle proprie passioni, ma si eleva a un concetto della vita più nobile e spirituale, e ad acquistare la capacità di avere rapporti autentici e sereni con tutti.
Questo è tanto importante, soprattutto nel nostro tempo in cui, con lo sviluppo delle comunicazioni, e anche in conseguenza delle migrazioni dei popoli, chi si dedica agli altri viene spesso a trovarsi a contatto con molte persone di altra nazionalità e anche di diversa religione. 
È una bella testimonianza di gratuità aprirsi a tutti: ogni uomo merita di essere onorato, amato, servito, a qualunque popolo appartenga e qualunque sia la sua fede.
Quando questi incontri avvengono in uno spirito di autentica accoglienza e umanità, favoriscono decisamente il formarsi di relazioni fraterne e pacifiche, perché il bene donato suscita altro bene. 
In un mondo dominato dalla violenza, si tesse così silenziosamente una rete di amicizia, che dice con i fatti che tutti gli uomini sono davvero fratelli, figli di un unico Dio, tutti incamminati verso un unica meta. 
Tutti siamo poveri e deboli, ma se ci aiutiamo le fatiche del cammino si possono affrontare con maggiore fiducia: là dove uno cade, un altro è pronto a rialzarlo; quando ad uno viene meno il coraggio, chi gli è accanto diventa per lui un raggio di speranza. Anche questo è un servizio che siamo chiamati a renderci reciprocamente. 
E bisogna farlo con gioiosa disponibilità, sapendo che abbiamo sempre accanto a noi Gesù, nostro compagno di viaggio. 
Anzi, è lui stesso la Via. Guardando a lui, non si può più accontentarsi di arrivare soltanto "fino a un certo punto", perché egli non si è fermato lungo la salita del Calvario, ma ha servito l'umanità fino a salire sulla croce. 
Dal suo esempio nasce la forza di andare oltre le "convenienze" umane, accettando non solo la fatica, ma anche le umiliazioni che spesso il servizio comporta, accettandole come momenti di grazia, per liberarci dal terribile peccato di orgoglio che sempre c'insidia e spesso rovina anche il bene che possiamo compiere.
Per servire gli altri bisogna veramente farsi piccoli, umili, fino a sapersi inginocchiare davanti a loro, mettersi ai loro piedi. 
È difficile, perché il nostro io è duro a morire; ma in questo sacrificio non c'è tristezza, anzi proprio da esso scaturisce la vera gioia. 
Gesù stesso ha detto: "C’è più gioia nel dare che nel ricevere", e l'apostolo Paolo afferma: "Dio ama chi dona con gioia". 
Queste parole di vita sono da ricordare sempre.
Chi si fa "servo" per amore di Cristo e dei fratelli si trova libero e felice di godere, insieme con tutti, il tesoro del Regno dei Cieli.
Come cambierebbe il mondo se ogni mattino ciascuno di noi si proponesse di rivestirsi di Cristo assumendone i pensieri e i sentimenti per riprodurne le opere; se con risolutezza ci mettessimo al lavoro come buoni operai dicendo: "Per me servire è regnare: oggi voglio cominciare a vivere così!".

 - Madre Cànopi Anna Maria -
Fonte: Vita nostra



<<Corde tacito mens bene conscia conservat patientiam...>>
(da un inno per i martiri)

Il silenzio diventa forza
per portare la prova.
Il lamentarsi, il discutere,
il parlare delle difficoltà
fa invece diminuire le forze.
Di fronte alle prove personali,
prima di ribellarsi,
prima di ragionare sulla situazione,
bisogna mettersi in silenzio,
attendere umilmente
che Dio ci manifesti il suo disegno,
credendo di essere sempre e ancor più
nelle sue mani.


Buona giornata a tutti. :-)




sabato 29 luglio 2017

Le quattro candele

Questa è la storia di quattro candele che, bruciando, si consumavano lentamente.
Bruciavano e si consumavano inutilmente perché - dicevano loro –
“Nessuno si cura di  noi, nessuno approfitta della nostra luce e del nostro calore”.

Così si espresse la prima candela:
Io sono la Pace, gli uomini non riescono a mantenermi, penso proprio che non resti altro da fare che spegnermi”.
Così fu, e a poco a poco la candela si lasciò spegnere completamente.

Anche la seconda candela a poco a poco, vedendo spenta la prima candela, si lasciò prendere dallo sconforto e disse:
"Io sono la Fede, purtroppo non servo a nulla, gli uomini non ne vogliono sapere di me e perciò non ho motivo che resti accesa”.
Appena ebbe terminato di parlare, una leggera brezza soffiò su di lei e la spense.

Triste e sconsolata, la terza candela a sua volta disse:
"Io sono l'Amore. Non ho forza per continuare a rimanere accesa.
Gli uomini non mi considerano e non comprendono la mia importanza.
Essi odiano perfino coloro che più li amano, i loro familiari".
E, senza attendere oltre la candela si lasciò spegnere.

Inaspettatamente, un bimbo, in quel momento entrò nella stanza e vide le tre candele spente.
Impaurito per la semi oscurità disse:
"Ma cosa fate! Voi  dovete rimanere accese, io ho paura del buio".
E così dicendo scoppiò in lacrime.

Allora la quarta candela impietositasi, disse:
“Non temere, non piangere: finché io sarò accesa, potremo sempre riaccendere le altre candele. Io sono la Speranza”.

Con gli occhi gonfi e lucidi di lacrime, il bimbo prese la candela della Speranza e riaccese tutte le altre.

Che non si spenga mai la speranza dentro il nostro cuore…
E che ciascuno di noi possa essere lo strumento, come quel bimbo capace in ogni momento di riaccendere, con la sua speranza, la fede, la pace e l’amore.





La nostra vita acquista significato quando è innanzi tutto risposta viva alla chiamata di Dio. 
Ma come riconoscere una tale chiamata e scoprire ciò che Dio si aspetta da noi? 
Dio si aspetta che siamo un riflesso della sua presenza, portatori di una speranza del Vangelo. 
Chi risponde a questa chiamata non ignora le proprie fragilità, così custodisce nel suo cuore queste parole di Cristo: "Non temere, continua a fidarti!".

Frère Roger -


Buona giornata a tutti. :-)








venerdì 28 luglio 2017

I Tre Anziani - Lev Tolstoj (1886)

"E quando pregate, non moltiplicate vane parole, come i pagani, che credono di essere esauditi a forza di parole. Non siate simili a loro, poiché il Padre vostro sa di che cosa avete bisogno, prima che gliela chiediate" (Mt 6.7-8).

Una volta un vescovo navigava da Archangelsk verso la lavra Soloweski. Sulla stessa nave si trovavano anche dei viaggiatori che si recavano in pellegrinaggio dai pii monaci del monastero. Il vento era favorevole, il tempo sereno e l'acqua immobile. Alcuni pellegrini si erano messi da un po' a riposare, altri erano a colazione e altri ancora sedevano in gruppi chiacchierando tra loro. Anche il vescovo venne in coperta e si mise a passeggiare avanti e indietro sul ponte. Quando arrivò a prua, vide tutta una folla radunata insieme. Un giovane campagnolo faceva segno con la mano sopra il mare e stava raccontando qualcosa che attirava l'attenzione di tutti. Il vescovo si fermò e guardò anch'egli nella direzione indicata dall'uomo; ma non poté scorgere nulla e vide solo il mare che scintillava al sole. 
Allora si avvicinò e si mise ad ascoltare. Quando il campagnolo si accorse del vescovo, si tolse il berretto e tacque. 
Allora anche gli altri riconobbero il vescovo, si scoprirono il capo e lo salutarono con rispetto.
"Non dovete disturbarvi, fratelli" disse il vescovo "sono venuto anch'io a sentire ciò che tu, mio caro, stavi raccontando".
"Ci ha appena parlato degli anziani, il pescatore", spiegò un commerciante, meno timido degli altri .
"Di quali anziani?" domandò il vescovo, andando a sedersi su di una cassa presso il parapetto. "Raccontalo anche a me, ascolto. che cosa stavi indicando con la mano?".
"Là in lontananza si vede appena una piccola isola" disse il giovane campagnolo, e indicò verso destra. "Su quell'isola, tre anziani vivono soli soletti, per la salvezza della loro anima".
"E dov' è quest'isola?" chiese il vescovo. "Segua diritto la sua mano. Là c'è una nuvola, e più a sinistra in basso si vede una piccola striscia".
Il vescovo osservò attentamente. L'acqua brillava al sole, ma non riuscì a scorgere nulla, perché i suoi occhi non c'erano abituati.
"Non vedo nulla" ammise. "Ma che anziani sono questi che vivono sull'isola?"
"Uomini di Dio" suonò la risposta. "Ne avevo sempre sentito parlare, ma non avevo mai avuto l'occasione di vederli. L'estate scorsa però li ho visti con i miei occhi".
E il pescatore cominciò a raccontare come una volta era uscito a pesca ed era stato sospinto fin nei pressi di quell'isola, senza sapere dove fosse arrivato. 
Al mattino aveva fatto una passeggiata sull'isola e si era imbattuto in una capanna d'argilla. Davanti alla capanna aveva incontrato un anziano; poi ne erano usciti ancora altri due. 
Gli avevano dato da mangiare, gli avevano asciugato gli abiti e lo avevano aiutato a riparare la sua barca. "Che aspetto avevano?" chiese il vescovo.
"Uno è piccolo, curvo e decrepito. Porta una tonaca logora. Deve avere ben più di cento anni. La sua barba grigia è diventata ormai tutta verde, ma lui sorride continuamente e sembra sfolgorante come un angelo del cielo. 
Il secondo è un po' più grande, anche lui molto anziano e va in giro in un caffettano ridotto a brandelli. Ha una lunga barba grigio-giallastra ed è un uomo forte. Rovesciò la mia barca come un secchio, prima ancora che potessi venirgli in aiuto. Anche lui sembra allegro. 
Il terzo invece è un uomo gigantesco con una barba bianca come il chiaro di luna, e che gli arriva alle ginocchia, ma sembra triste, e le sopracciglia gli pendono giù sopra gli occhi. Va in giro tutto nudo e porta solo un grembiulino di rafia intorno alle reni.
"Che cosa ti hanno detto?" chiese il vescovo. "Facevano quasi tutto in silenzio e anche tra loro parlavano poco. Bastava che uno gettasse uno sguardo all' altro, e si erano già capiti. Chiesi a quello grande se vivessero là da molto. Fece un viso scuro e mormorò qualcosa come se fosse arrabbiato, ma il piccolo lo prese subito per la mano, sorrise e così anche quello fece di nuovo silenzio. L'anziano disse solo: 'Perdonaci!' e sorrise".
Mentre il campagnolo stava così raccontando, la nave era arrivata più vicino all'isola.
"Ora si può riconoscerlo proprio chiaramente" fece notare il commerciante. "Prego, Eminenza, guardi" si rivolse al vescovo e indicò col dito.
Il vescovo scrutò davanti a sé. Effettivamente, ora vide una piccola striscia nera: l'isola. Guardò attentamente, poi da prua si diresse verso poppa e si rivolse al timoniere.
"Che isola è" chiese "quella che si vede là?"
"Quella là? Non ha nome. Ce ne sono tante così".
"È vero" chiese ancora il vescovo "che là vivono tre anziani soli, per la salvezza della loro anima?"
"Così si racconta, Eminenza. Ma non so se sia vero. I marinai assicurano di averli visti. Ma può anche darsi che spaccino frottole".
"Sbarcherei volentieri sull'isola, per vedere gli anziani" disse il vescovo. "Si può fare?"
"Con la nave è escluso" disse il timoniere. "Eventualmente con una barca a remi. Ma deve prima parlarne con il capitano".
Chiamarono il capitano, e il vescovo disse: 
"Vedrei tanto volentieri i tre vecchi. Qualcuno mi ci potrebbe trasportare?"
Il capitano voleva cavarglielo dalla testa.
"Certo si potrebbe, ma perderemmo molto tempo. E se posso permettermi un'osservazione, Eminenza, non vale la pena vederli. Ho sentito dire da certe persone che sono degli anziani sciocchi, che non capiscono nulla e non spiccicano parola, come i pesci del mare".
"Li vedrei lo stesso volentieri" obiettò il vescovo. "Le ripagherò bene il tempo e la fatica e le chiedo di traghettarmici".
Non ci fu niente da fare. I marinai fecero tutto secondo gli ordini. La vela fu girata, la nave mutò direzione e si puntò sull'isola. Si portò a prua un sedile per il vescovo; questi vi si installò e si concentrò su quel che si riusciva a vedere. E tutti i compagni di viaggio vennero a disporsi intorno a lui e a spiare l'isola. Chi aveva lo sguardo più acuto poteva già riconoscere le rocce e indicava la 'capanna di fango. Un altro era riuscito a distinguere i tre anziani. Il capitano si portò agli occhi il cannocchiale, gettò uno sguardo e lo passò al vescovo.
"Davvero" disse "là sulla riva, a destra della grande roccia, stanno tre uomini".
Il vescovo puntò il canocchiale sul luogo indicato e vi guardò attraverso: effettivamente, sulla riva stavano tre uomini. Uno era molto grande, un altro più piccolo e il terzo piccolissimo. Stavano sulla riva e si tenevano per mano.
Ora il capitano si avvicinò al vescovo. "Qui la nave deve fermarsi, Eminenza. Come è suo desiderio, la faccio trasportare da qui con la barca. Intanto noi restiamo all'ancora qui".
Immediatamente si calò la fune, si gettò l'ancora e si ammainò la vela. Ci fu uno strattone, la nave oscillò leggermente. 
La barca fu calata, i remi innestati, e il vescovo scese la scala. Arrivato giù, si adagiò sul sedile, i marinai misero mano ai remi e puntarono sull'isola. Quando furono giunti a un tiro di sasso, poterono vedere con tutta chiarezza come i tre anziani stavano sulla riva: uno grande e nudo, con solo un grembiulino intorno ai fianchi, il secondo, più piccolo, nel suo caffettano sbrindellato, e il terzo decrepito e curvo nella sua tonaca logora. 
Così stavano là tutti e tre dandosi la mano.
La barca urtò contro la terra. I remi furono ritirati. Il vescovo scese.
I tre anziani fecero un inchino, il vescovo li benedisse e quelli si piegarono ancor più profondamente davanti a lui. E il vescovo cominciò a parlar loro così:
"Ho sentito" disse "che voi, tre anziani di Dio, vivete qui per la salvezza delle vostre anime e pregate Cristo nostro Signore per l'umanità. lo, indegno servitore di Cristo, per grazia di Dio sono chiamato a pascere le sue pecore sulla terra. Così ho voluto far visita anche a voi, veri servi di Dio, e darvi per quanto possibile un po' d'istruzione".
I tre anziani non dissero parola, sorrisero e si guardarono tra loro.
"Ditemi dunque" continuò il vescovo "come vivete per la salvezza della vostra anima e servite Dio nostro Signore?".
L'anziano di mezzo sospirò e guardò il piccolo decrepito. Il grande fece un viso triste e volse anch'egli lo sguardo al piccolo. E questi sorrise e disse:
"Non ce ne intendiamo affatto di servire Dio, o servo del Signore. Noi ci serviamo l'un l'altro procurandoci il pane quotidiano".
"Allora come pregate Dio?" chiese il vescovo. L'anziano disse:
"Preghiamo così:
Tre sei Tu, tre siamo noi. Abbi misericordia di noi, stacci vicino!"
Appena il più vecchio ebbe detto così, anche gli altri due levarono gli occhi al cielo, e tutti e tre dissero insieme:
"Tre sei Tu, tre siamo noi, abbia misericordia di noi, stacci vicino".
Il vescovo dovette sorridere e disse:
"Allora avete pur sentito qualcosa della Trinità. Ma così non potete pregare. Comunque sia, mi sono affezionato a voi, o anziani di Dio, e vedo che volete veramente servire Dio. Ma non sapete come si fa. 
Così non potete pregare. Ascoltatemi, ve lo insegnerò. E non sono le mie parole che vi insegnerò, ma le parole della sacra Scrittura. E in questo modo che il buon Dio stesso ha ordinato a tutti gli uomini di pregarlo".
E il vescovo cominciò a esporre agli anziani come Dio si era rivelato agli uomini. Parlò loro di Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito santo, e disse:
"E Dio Figlio scese sulla terra per salvare l'umanità e insegnò a noi tutti a pregare così: ascoltatemi e ripetete le mie parole".
E il vescovo cominciò a recitare il Padre Nostro. Uno degli anziani ripeté: Padre Nostro! E il secondo anziano ripeté: Padre Nostro! E anche il terzo ripeté: Padre Nostro!
"che sei nei cieli".
Gli anziani ripeterono: "che sei nei cieli". Ma quello di mezzo cambiò l'ordine delle parole e non riuscì a pronunziare bene la frase, e anche quello nudo non riusciva a ripeterla correttamente, perché la sua bocca era completamente coperta dalla barba così che non poteva parlare chiaramente. 
E anche quello vecchissimo, che non aveva più denti, mormorò qualcosa d'incomprensibile.
Il vescovo lo ripeté ancora e di nuovo gli anziani lo seguirono. Sedette su di una pietra, mentre gli anziani stavano in piedi davanti a lui e fissavano la sua bocca. Quando egli aveva pronunziato una parte di frase, essi la ripetevano. 
E così il vescovo trascorse con loro tutto il giorno, ripeté loro la stessa parola dieci, venti, anche cento volte, e gli anziani lo seguivano. Se facevano un errore, li correggeva e li faceva ricominciare da capo.
E il vescovo restò presso gli anziani finché ebbero imparato tutta la preghiera. Poterono dirla dietro a lui e infine anche recitarla a memoria. 
L'anziano di mezzo era riuscito a capirla per primo e la recitò tutta da solo. Il vescovo gliela fece dire un' altra volta, e poi ancora una, e così di nuovo finché anche gli altri impararono la preghiera completa.
L'oscurità cadeva e la luna saliva già sopra il mare, quando il vescovo si preparò a tornare alla nave. Prese congedo da loro ed essi s'inchinarono fino a terra davanti a lui. Li rialzò e li abbracciò uno per uno, ordinando loro di pregare nel modo che aveva loro insegnato, entrò nella barca e si fece ricondurre alla nave.
Mentre il vescovo tornava verso la nave, sentiva ancora sempre come i tre anziani pregavano a una voce il Padre Nostro. Quando ebbe raggiunto la nave, non sentì più le loro voci, ma li vedeva ancora in piedi sulla riva, al lume della luna. I tre anziani stavano ancora sempre nella stessa posizione: il piccolo in mezzo, il grande a destra e quello medio dalla parte sinistra. 
Il vescovo salì la scala e si portò in coperta. 
L'ancora fu levata, la vela spiegata, il vento vi soffiò e la nave si mise in movimento e proseguì il suo viaggio. Il vescovo andò a sedere presso il timone e tutti fissarono lo sguardo sull'isola. Dapprima si potevano ancora riconoscere i tre anziani, poi la loro immagine divenne indistinta e scomparvero dalla vista, e si vide ancora solo la striscia dell'isola, ma infine scomparve anche l'isola e restò solo il mare a scintillare alla luce della luna.
I pellegrini andarono a coricarsi e in coperta si fece completo silenzio. Solo il vescovo non trovava sonno. Sedeva là e guardava davanti a sé, sopra il mare, nella direzione in cui l'isola era scomparsa. Pensava ai buoni anziani, pensava a come si erano rallegrati una volta imparata la preghiera, e ringraziò Dio di averlo condotto là ad aiutare gli anziani e a insegnare loro la Parola di Dio.
Il vescovo dunque sedeva là, immerso nei suoi pensieri, guardando sopra il mare nella direzione in cui l'isola era scomparsa. Una luce vacillante si stendeva davanti ai suoi occhi. Ora qui, ora là il chiaro di luna faceva luccicare le onde. Improvvisamente, nel fascio di luce lunare vide brillare qualcosa di bianco. E un uccello, un gabbiano o una vela che biancheggia laggiù? Il vescovo appuntò lo sguardo con attenzione. "Dev'essere una barca a vela che ci segue. Ma ci viene dietro troppo veloce. Poco fa era ancora tanto, tanto lontana e ora è già così vicina. E non è una barca, perché una vela non ha quell'aspetto. E tuttavia ci si avvicina e ci raggiungerà subito".
Ma il vescovo non era in grado di riconoscere di che si trattasse. Una barca? Un uccello? Un pesce? Sembra un uomo, ma allora grande, grandissimo, e poi può forse un uomo correre sull' acqua? Il vescovo si alzò e si rivolse al timoniere.
"Guarda un po' là, caro amico" gli disse. "Che cos'è quello lì davanti?"
E mentre diceva così, lo vide a un tratto chiaramente: i tre anziani venivano correndo sull'acqua, e le loro barbe bianche scintillavano e luccicavano al chiaro di luna. E arrivavano così veloci come se la nave fosse stata ferma.
Il timoniere guardò dietro di sé, si spaventò e lasciò andare la barra, gridando a gran voce: "Signore Iddio! Gli anziani ci corrono dietro sul mare come sulla terraferma!"
Gli altri lo sentirono. Saltarono su e corsero in coperta. Ora tutti vedevano i tre anziani arrivare di corsa. Si tenevano per mano e i due laterali agitavano le braccia per far segno alla nave di fermarsi. Tutti e tre camminavano sull' acqua come sulla terraferma e avanzavano veloci senza muovere i piedi.
Ancora non si era potuto fermare la nave che già i tre anziani l'avevano raggiunta; salirono in coperta e dissero a una sola voce:
"Abbiamo dimenticato, dimenticato quel che tu, servo di Dio, ci avevi insegnato! Finché lo ripetevamo continuamente, lo sapevamo ancora; ma quando abbiamo smesso un momento, ci è uscita dalla memoria una parola, e una dietro l'altra ci sono sfuggite tutte. Ora non ne sappiamo più nulla. Insegnacelo di nuovo".
Il vescovo fece un segno di croce, s'inchinò profondamente davanti ai tre anziani e disse:
"Anche la vostra preghiera sale verso Dio, santi uomini di Dio. Io non ho nulla da insegnarvi. Pregate per noi poveri peccatori!"
E cadde in ginocchio davanti agli anziani. Gli anziani rimasero in silenzio. Poi si voltarono e tornarono indietro sul mare. E fin verso il mattino questo brillò e luccicò nella direzione in cui erano scomparsi.

- Lev Tolstoj -
(1886)


 Buona giornata a tutti. :-)







giovedì 27 luglio 2017

da: "Ortodossia" di Gilbert Keith Chesterton

"...e nella mia visione il carro celeste vola sfolgorante attraverso i secoli, mentre le stolide eresie si contorcono prostrate, e l’augusta verità oscilla ma resta in piedi."
"La Chiesa nei primi tempi fu superba e veloce come un cavallo da guerra; ma è assolutamente antistorico dire che essa seguì puramente la facile via diritta di una idea - come un volgare fanatismo. 
Essa deviò a destra e a sinistra con tanta esattezza da evitare enormi ostacoli; lasciò da un lato la grande mole dell’arianesimo, dall’altro tutte le forze del mondo che volevano rendere il Cristianesimo troppo mondano, un momento dopo troppo allontanato dal mondo.
La Chiesa ortodossa non scelse mai le strade battute, né accettò i luoghi comuni; non fu mai rispettabile. 
Sarebbe stato facile accettare la potenza terrena degli ariani; sarebbe stato facile, nel calvinistico diciassettesimo secolo, cadere nel pozzo senza fondo della predestinazione.
È facile esser pazzi; è facile essere eretici; è sempre facile lasciare che un’epoca si metta alla testa di qualche cosa, difficile è conservare la propria testa; è sempre facile essere modernisti, come è facile essere snob. Cadere in uno dei tanti trabocchetti dell’errore e dell’eccesso, che, da una moda all’altra, da una sètta all’altra, sono stati aperti lungo il cammino storico del Cristianesimo - questo sarebbe stato semplice.
È sempre semplice cadere: c’è un’infinità di angoli da cui si cade, ce n’è uno soltanto a cui ci si appoggia. 
Perdersi in un qualunque capriccio, dallo Gnosticismo alla Teosofia, sarebbe stato ovvio e banale. 
Ma averli evitati tutti è l’avventura che conturba; e nella mia visione il carro celeste vola sfolgorante attraverso i secoli, mentre le stolide eresie si contorcono prostrate, e l’augusta verità oscilla ma resta in piedi."

- Gilbert Keith Chesterton - 

da  "Ortodossia"





"Se parliamo di un pagano o di un agnostico, siamo invitati a ricordare che tutti gli uomini hanno una religione; se parliamo di un mistico o di uno spiritualista, siamo invitati a considerare quali assurde religioni certi uomini abbiano avuto. 
Possiamo fidarci della morale di Epitteto perché la morale è sempre la stessa; non dobbiamo fidarci della morale di Bossuet perché la morale è cambiata. 
È cambiata in duecento anni, non in venti secoli. 
La cosa cominciava a diventare allarmante. 
Sembrava non tanto che il Cristianesimo fosse così cattivo da riunire in sé tutti i vizi, quanto piuttosto che ogni bastone fosse buono per bastonare il Cristianesimo.
A che dunque somigliava questa cosa stupefacente che tanti erano così ansiosi di contraddire da non badare se contraddicendola contraddicevano se stessi? Da tutti i lati vidi la stessa cosa."


- Gilbert Keith Chesterton - 
da  "Ortodossia"



"La loro quotidiana offesa al Cristianesimo era che, mentre era stato la luce di un popolo, aveva lasciato tutti gli altri nell’oscurità; senonché era anche particolare vanto che la scienza e il progresso erano le scoperte di un solo popolo e che tutti gli altri erano immersi nelle tenebre. 
Quello che era un insulto per il cristianesimo doveva essere un elogio per loro, e sembrava esserci una strana malafede nella loro insistenza su queste due cose. "

- Gilbert Keith Chesterton - 
da  "Ortodossia"



Buona giornata a tutti. :-)









mercoledì 26 luglio 2017

Risposte vere, non vaghe consolazioni - Don Marino Gobbin

Nel momento della malattia al medico noi chiediamo precise diagnosi e terapie efficaci; a Dio domandiamo il «perché» dei momenti di sofferenza e la forza per affrontarli. 
Dio la risposta non ce la nega; il nostro problema è riuscire a capire le sue risposte, essere attenti a quando lui ci parla. 
Vorremmo tutti aiutarci a comprendere le risposte di Dio (che non sono sempre nella linea della guarigione). 
Quella che noi stiamo vivendo ora è solo la fase iniziale della nostra vita; la potremmo chiamare il tempo della nostra gestazione. 
Noi nasceremo pienamente quando usciremo dal grembo della storia (per ora siamo ancora chiusi dentro le coordinate del tempo e dello spazio). 
Il nostro rischio è pensare che tutta la vita sia quella che stiamo vivendo. 
Dio ha una visione completa della nostra storia e del suo destino; egli solo può valutare in senso corretto quello che stiamo vivendo. 
Lui soltanto può dirci il valore dei momenti che viviamo. 
E nella storia di Gesù,  Dio ci dà delle indicazioni splendide. 
Non dobbiamo aspettarci delle risposte, ma l’indicazione di piste per cercare delle risposte alle domande che la sofferenza ci fa nascere. 
E tutte le piste portano al «Figlio dell’Uomo», Gesù, e alla sua vicenda. 
Le sue parole hanno la forza di seduzione delle parole di Dio, i suoi gesti incantano come una carezza... la carezza di Dio. 
Sì, ecco l’altro aspetto che poteva essere enucleato a titolo di questa conversazione senza per questo né impoverirla, né irriderla: «La sofferenza, carezza di Dio». 
Una carezza dura,  impossibile comprenderla senza la luce della fede, ma nel momento in cui ci si apre a Dio tutto cambia… 
Una forza nuova, impossibile a noi mortali ci fa puntare in alto e allora ecco la santità, la gioia, la pace che va diffondendosi… 
Tutto ciò possiamo comprenderlo con questo piccolo e illuminante racconto…

- Don Marino Gobbin -
Una favola africana 




Ben Sadok, un uomo malvagio, passò per un’oasi. 
Aveva un carattere così stizzoso che non riusciva a stare a guardare niente di buono o di bello senza poi guastarlo. 
Al margine dell’oasi c’era una giovane palma nella fase più bella della sua crescita; essa punse il malvagio arabo negli occhi. 
Allora questi prese una pietra pesante e la pose sulla corona della giovane palma. Dopo questa prodezza se ne andò con un sorriso malvagio. 
La giovane palma si scrollò, si piegò, cercò di liberarsi dal peso. Ma invano. 
Il masso era proprio incastrato nella corona. Allora il giovane albero si ancorò più profondamente al suolo e spinse contro il masso di pietra. 
Affondò talmente tanto le sue radici che raggiunse una sorgente d’acqua nascosta, sollevò così il masso talmente in alto, che la sua corona superò ogni ombra. 
L’acqua dal basso e il calore del sole dall’alto fecero del giovane albero una palma maestosa. 
Dopo alcuni anni Ben Sadok ritornò, per rallegrarsi malvagiamente della palma nana. Cercò invano. Allora la palma più superba inchinò la sua corona mostrando il masso e disse: «Ben Sadok, ti devo ringraziare, il tuo masso mi ha reso forte». 




Grazie della Croce 

Signore, ti ringrazio perché mi hai chiamato a Te attraverso la sofferenza, 
hai posato il Tuo sguardo misericordioso su di me, 
Tu hai guardato la forza delle mie spalle e in base alla mia forza, 
mi hai affidato una Croce da portare. 
Il mio cuore non era preparato 
e per dieci anni ha vacillato sotto il suo peso 
facendomi sprofondare nel fango. 
La disperazione del dolore mi ha [abbruttito] facendomi valere niente. 
È bastato che Tu, Signore, 
venissi nel mio cuore hai dato la forza alle mie stanche spalle, 
mi hai aiutato a risollevare la pesante Croce, 
mi hai fatto uscire del fango… 
Sei Tu la mia forza, Signore. 
Più grande è stata la Croce è più grande è la gioia che mi dai Tu. 
Tu hai reso la mia Croce leggera e soave, Tu mi dai la gioia nel dolore. 
Grazie, o mio Signore. 

Nino Baglieri 
(11.9.1982)




Buona giornata a tutti. :-)






martedì 25 luglio 2017

La vita giocatevela bene di Tonino Bello

Questo bisogno profondo di felicità che voi avvertite nel cuore Ragazze e ragazzi che state sperimentando la soglia dei 18 anni, c’è una cosa che accomuna tutti quanti, il vescovo e voi, un adolescente e una donna anziana, i credenti e i non credenti, gli atei e i santi, le monache di clausura che si alzano nel cuore della notte in preghiera e coloro che nel cuore della notte fanno delle rapine a mano armata…tutti quanti: il bisogno profondo di felicità. Sperimentiamo davvero, credenti e non credenti, la verità delle parole che Sant’Agostino diceva, anche lui alla ricerca ansiosa di spezzoni di felicità, che potessero riempirgli il cuore: “Oh Dio, tu ci hai fatto per te e il nostro cuore è inquieto finché non trova riposo in te”. 
Se anche voi perseguite questo bisogno di felicità che avvertite nel vostro cuore, non andate ad appagarlo a cisterne screpolate, o a fontane inquinate, a bòtti che hanno il vino diventato ormai aceto…
Il nostro cuore è inquieto: abbiamo un’inquietudine profonda, ma c’è chi appaga questo suo desiderio di felicità bevendo a fontane inquinate: chi si tuffa nell’alcool, nella droga, chi si tuffa nel piacere, chi insegue sogni di grandezza, chi si lascia affascinare dal mito della bellezza, al punto che si dispera per esempio per avere i capelli ricci invece che lisci, lunghi invece che corti… 
C’è gente che pensa di appagare il desiderio di felicità buttandosi a capofitto in amori fluttuanti, che durano lo spazio di un’estate… 
Allora, questo bisogno di felicità ce l’abbiamo tutti quanti; alcuni lo appagano in questi modi, a volte effimeri. Per esempio un modo per appagare il bisogno di felicità è quello dei soldi: c’è della gente che è presa, strangolata dalla smania di possesso, di accumulare, di avere… è incredibile quanta gente c’è che per il denaro si vende l’anima, si spappola la vita, si sgretola la felicità domestica...
Non potrò mai dimenticare quando alcuni anni fa andai negli Stati Uniti, e una sera un uomo che ha fatto fortuna aveva voluto invitarmi, e io ho accettato; mi ha mandato una macchina lunga da qui fino in fondo lì, c’era tutto - mancava solo la vasca da bagno - mandò il suo autista personale… in una villa lussuosa con due o tre piscine… e quest’uomo a tavola che continuava a dirmi delle sue ricchezze che aveva in Florida, nel Massachussets… e quando disse poi che aveva intenzione di mettere lo sterzo d’oro, io gli accennai che sulla terra ci sono moltissimi poveri, lui mi guardò… e io sorrisi a sua figlia, aveva un volto bellissimo, stava proprio di fronte a me… anche la ragazza, che capiva l’italiano, mi ricambiò col sorriso. 
E poi qualche minuto dopo venne il cameriere, prese la ragazza, una ragazza paralitica, l’unica figlia che aveva… 
Dico, guarda un po’… questo è un uomo arrivato, un uomo ricchissimo, però ti accorgi che ha anche lui questa sofferenza… 
Ci sono per fortuna coloro che si accostano a fontane di acqua chiara e limpida: c’è qualcosa che scavalca gli appagamenti momentanei… 
Anche per ciò che riguarda la vostra vita affettiva, coltivate dei sogni bellissimi, trovare un compagno, una compagna che dia pienezza alla vostra esistenza, che dia il gaudio di vivere, su cui puntare, giocarsi tutta l’esistenza… 
E’ bellissimo, coltivate queste cose, e coltivatele in trasparenza, in purezza interiore, perché non c’è nessuna esperienza al mondo di quella che voi alla vostra età vivete: proiettare su di una creatura i sogni del vostro futuro. 
È bellissimo… 
Coltivate questi “sogni diurni”, coltivateli! 
Queste non sono utopie, sono “eu-topie”, non sono il “non-luogo” ma sono il “buon luogo”, il luogo dove veramente si sperimenta la felicità. 
Però ricordate anche che questa esperienza è contrassegnata dal limite, perché la ragazza che vi sta accanto nella vita può essere splendida, bellissima, come la diva più luminosa di Hollywood, degli schermi televisivi; quel ragazzo che vi sta accanto può essere più bravo, più svelto degli atleti più formidabili che vediamo ogni tanto ingombrare i nostri teleschermi, può essere intelligente… ma dopo ne sperimenti il limite, dopo un po’ ne sperimenti il limite grazie a Dio! 
Meno male che tutti hanno un limite… tutti hanno un limite… e qualche volta non c’è soddisfazione più grande, quando si leggono certi articoli su questo o su quell’altro personaggio, e ti accorgi che anche lui ha i suoi difetti… 
C’è il limite! Ragazzi, che cosa voglio dirvi con questo discorso? 
La vita giocatevela bene, non bruciatela. 
Ragazzi, ragazze, questo io vorrei dirvi: la vita giocatevela bene… non perché la si vive soltanto una volta… ma giocatevela bene! 
Qualche volta voi sapete che rischio correte? 
Che in questa vostra smania di libertà, di grandezza, di orizzonti larghi, invece che raggiungere gli orizzonti larghi vi incastrate nei blocchi… 
Qualche volta noi corriamo proprio questo rischio: andiamo alla ricerca di obiettivi che pensiamo ci debbano liberare e invece ci danno proprio la prigione… 
Vivetela bene la vostra vita… non bruciatela! 
E’ splendido, soprattutto se voi la vostra vita la mettete al servizio degli altri… non è la conclusione moraleggiante di un vescovo di passaggio che viene a rifilarvi degli scampoli di omelia che non è riuscito a riciclare in chiesa e allora viene a darle qui... no no… 
Sto dicendo davvero! 
Questo è un fatto umano. 
Io sono convinto che se voi la vostra vita la spendete per gli altri, la mettete a disposizione degli altri, voi non la perdete! 
Perderete il sonno, ma non la vita! La vita è diversa dal sonno. 
Perderete il denaro, ma non la vita! La vita è diversa dal denaro. 
Perderete la quiete, ma non la vita! La vita travalica la quiete, soprattutto la quiete sonnolenta ruminante del gregge… 
Perderete tantissime cose… 
Perderete la salute, ma non la vita! 
Abbiamo sentito una canzone qualche sera fa nella cattedrale di Terlizzi ad un incontro per i giovani… facemmo mettere una canzone di Zucchero che diceva: “… voglio amare fino a che il cuore mi faccia male…”. 
Io vi auguro, ragazzi, che voi possiate essere capaci di amare a tal punto che il cuore veramente vi faccia male! Lo dico a tutti, indipendentemente dalla vostra esperienza religiosa, anche se c’è qualcuno che è molto lontano… sono convinto che è una cosa che tocca anche loro, starei per dire soprattutto loro! Vi auguro che possiate veramente amare, amare la vita, amare la gente, amare la storia, amare la geografia, cioè la Terra… a tal punto che il cuore vi faccia male… e ogni volta che vedete non soltanto queste ignominie che si compiono, queste oppressioni crudeli, queste nuove Hiroshima e Nagasaki, questi nuovi campi di sterminio. 
Di fronte a queste cose voi potreste dire: “Ma noi cosa possiamo fare?” ma io credo che pure nel piccolo qualche cosa potreste fare: il rispetto… Il rispetto dei volti, il rispetto delle persone, il rispetto… La bellezza… la cura della bellezza, che non è qualcosa di effimero… è la bellezza che salverà il mondo. Coltivate la bellezza del vostro corpo, la bellezza del vostro vestire, cioè l’eleganza non fatta di abiti firmati… non quella… l’eleganza, la semplicità. La bellezza del vostro sguardo: non potete immaginare quanta luce dà a chi è triste… non sono un romantico, ma non potete immaginare quanta voglia di vivere produce uno sguardo generoso che voi date su di una persona che è triste, su di un passante. 
Non c’è ricchezza al mondo, non c’è denaro che ti ripaghi… 
La scoperta di Dio, ragazzi, anche a voi che probabilmente siete molto scettici… la scoperta di Dio nelle cose belle che Lui ci dà… nella natura… e l’intuire la presenza di questo essere più grande di noi… che fa i miracoli ogni giorno e noi magari non li sappiamo cogliere. 
La vita è dura per tutti quanti, è difficile per tutti quanti, però io voglio indicarvi oggi una fontana a cui potersi abbeverare e trovare non la felicità piena, ma trovare soprattutto la forza per camminare, per andare avanti e trovare la felicità nell’ascolto della Parola del Signore, il Vangelo. 
Devo rispettare la laicità della scuola, non sono venuto a farvi una catechesi oggi, però vi dico soltanto: “Tu sei felice?” 
I miei problemi il Signore non me li risolve, li devo risolvere io. Però mi dà il significato di questi problemi, cioè il senso, l’orientamento… 
Dà senso ai miei problemi, al mio tormento, alle mie lacrime, al mio pianto… ma anche alla mia gioia, al mio andare avanti, al mio camminare… 
Dà senso… Non sono spezzoni slegati! 
Molte volte la nostra vita è fatta di spezzoni, di cose “sbullonate” tra di loro, messe nella coppetta della ruota, come fa il meccanico… e noi non sappiamo più decifrare l’ingranaggio, l’avvitamento giusto, e andiamo inseguendo gli spezzoni. 
Anche voi ragazzi, alla vostra età, provate momenti di felicità, ce ne sono… tu vorresti fermarli per sempre... Macché! 
Passano, passano… questa è l’ingiustizia!
Perché momenti di ebbrezza, di felicità, di luce ce li abbiamo tutti! Per un momento ti sembra di possedere il mondo... però è tutto fugace. ....

- don Tonino Bello -





«Cosa vuole da te il Signore? Egli vuole che dovunque vada, ovunque tu esprima fatica, ovunque metta in atto la tua esistenza, possa sentirsi il buon profumo di Cristo, e che ti lasci scavare l'anima dalle lacrime dei poveri, di coloro che soffrono, e interpreti la vita come dono e non come peso».