lunedì 3 dicembre 2012

La gamba di Miguel Juan - Enrico Salomi -

Nel 1617, a Calanda, nell’Aragona spagnola, nasce un certo Miguel Juan Pellicer, figlio di contadini e contadino lui stesso, analfabeta, dotato di una fede solida ed essenziale, devoto alla Vergine del Pilar di Saragozza.
Lasciata la famiglia per non pesare sul magro bilancio dei genitori, verso la fine di luglio del 1637, mentre lavora tra i campi, un carro di frumento gli transita su una gamba, proprio sotto il ginocchio, procurandogli la frattura della tibia nella parte centrale.
Tra dolori inenarrabili, vuole andare a Saragozza per mettersi sotto la protezione della Vergine del Pilar.
Cinquanta giorni di viaggio e trecento chilometri sotto la canicola estiva, raccattando passaggi qua e là.
Quando arriva in città, praticamente moribondo, si trascina sui gomiti fin nel santuario e qui si affida alla Vergine:

“pensaci Tu perché sto per morire”.

Con sega e scalpello – gli strumenti del tempo – gli viene amputata la gamba, unica soluzione per salvargli la vita.
Passa un anno prima di uscire dall’ospedale con una gamba di legno, due stampelle e una specie di patentino che gli dava la possibilità di esercitare la “professione” del mendicante.
Tutti i giorni, per due anni e mezzo, davanti alla porta del santuario del Pilar, l’intera Saragozza gli passa accanto, lo vede, si commuove, qualcuno lo aiuta; alla sera, quando il santuario chiude, Miguel Juan si cosparge il moncone della gamba con un po’ di olio consumato dalle lampade del santuario, nonostante che i medici, da cui è visitato periodicamente, lo ammoniscano inutilmente.

Quando lo riconoscono alcuni compaesani che sono a Saragozza per un pellegrinaggio, non potendo più tenere nascosta la sua situazione, Miguel Juan decide di tornare dai genitori a Calanda, circa 100 chilometri a sud di Saragozza. E qui, altro non può fare che riprendere a mendicare.
Il momento fatidico giunge alla sera del 29 marzo del 1640.
E` giovedì. Siamo tra le dieci e le undici di sera.
Miguel Juan cena con i genitori, due vicini di casa e un soldato di cavalleria dell’Esercito Reale, che è di passaggio e a cui era stata data ospitalità.
Miguel Juan, dopo la povera cena, si congeda dalla compagnia e decide di andare a coricarsi. Ripone la protesi di legno e le stampelle, va a dormire nella camera da letto di mamma e papà, perché aveva lasciato il suo giaciglio abituale al soldato. Qualche tempo dopo, la madre entra nella camera e, sentendo un profumo intenso “come di Paradiso”, si accorge che da quel mantello troppo corto che ricopre il figlio addormentato spuntano due piedi.

Giunge il padre, richiamato dalla donna. In principio pensano che si tratti del soldato che ha sbagliato stanza, ma, sollevando la coperta e guardando meglio, scoprono che quella persona è proprio il loro figlio.
Miguel Juan, il mutilato, dorme profondamente, ma ha riattaccata quella gamba che, due anni e cinque mesi prima, gli era stata amputata. E non si tratta di una gamba qualsiasi, ma proprio della sua, con tutte le caratteristiche e le cicatrici del suo arto e con un circolino rosso nel punto in cui era avvenuta l’amputazione. Svegliano il figlio. Stava sognando – dirà Miguel Juan – di essere a Saragozza nella cappella della Vergine del Pilar e che si ungeva la gamba segata con l’olio di una lampada, come era uso fare quando era in quel santuario.

Un miracolo straordinario, quello di un arto amputato improvvisamente riattaccato, che solo Dio, l’autore e il padrone delle leggi della natura può compiere. Se il fatto è vero, allora la conclusione si impone: Dio esiste.
Ma ci vogliono le prove. Le prove ci sono, eccome. E sono tante, tutte concordi, ben fondate, ottimamente documentate, al punto che Messori si spinge a dire: “dovrebbe dubitare di tutta quanta la storia umana, compresi i fatti più certi perché più attestati, chi rifiutasse la verità di quanto successo a Calanda quella sera di marzo della settimana di Passione del 1640”.
Vediamole in sintesi.

II miracolo viene attestato solo sessanta ore dopo da tutte le autorità locali: il vicario parrocchiale don Jusepe Herrero, il justicia (il giudice e insieme il responsabile dell’ordine pubblico) Martin Corellano, il sindaco Miguel Escobedo, il suo vice Martin Galindo e, soprattutto, il notaio reale Lazaro Macario Gomez.
In pochissimi giorni viene istituito un processo pubblico in cui sfilano decine e decine di testimoni oculari, nel frattempo, viene visitato il luogo dove era stata sepolta dai medici la gamba amputata, ma viene trovato vuoto (come riportato da un Aviso Historico, un giornale del tempo).
Dopo quasi undici mesi di lavoro e con quattordici sedute pubbliche e plenarie, si pronuncia la sentenza del processo di Saragozza in data 27 aprile 1641: “Perciò affermiamo e dichiariamo che a Miguel Juan Pellicer, contadino di Calanda, fu restituita la gamba che gli era stata amputata due anni e cinque mesi prima; e che non fu un fatto di natura, ma opera mirabile e miracolosa, ottenuta per intercessione della Vergine del Pilar”.
I ventiquattro testimoni oculari, scelti dal tribunale di Saragozza tra innumerevoli possibili, possono essere suddivisi in cinque gruppi.

Cinque sono medici ed infermieri, e tra loro il chirurgo che amputò la gamba e i due sanitari di Calanda che procedettero alla visita immediatamente dopo l’evento. Cinque tra familiari e i vicini di casa. Quattro sono autorità locali di Calanda, sopra ricordate. Quattro sono ecclesiastici, sia di Saragozza che di Calanda. Sei ”vari”, tra cui l’oste, nella cui bettola vicino al Pilar Miguel Juan, storpio, passava la notte quando rimediava quattro soldi di elemosina e un altro oste, di Samper, dal quale aveva alloggiato sulla strada del ritorno a casa.
I testimoni sono scelti per dar conto, sotto giuramento, delle differenti tappe della storia di Miguel Juan Pellicer: la frattura, l’amputazione, la mendicità al Pilar, il ritorno al paese natale, l’evento miracoloso del 29 marzo e i fatti dei giorni successivi. E` così straordinario quanto è accaduto a Calanda, che il giovane contadino Miguel Juan venne ricevuto addirittura dal re Filippo IV, il più orgoglioso sovrano del mondo, il monarca dell’impero dove ”non tramontava mai il sole”.
Il sovrano, dopo aver sentito la sua testimonianza e 1’inequivocabile sequenza di eventi da parte delle più importanti autorità spagnole, si inginocchia davanti al contadino, gli bacia con devozione la cicatrice, rimasta là dove l’arto era stato amputato e poi riattaccato.

Che cosa dire di questa storia, così minuziosamente investigata da Vittorio Messori nel suo libro “Il Miracolo”?
Forse le parole migliori sono quelle che 1’autore adopera, da storico e da giornalista, per concludere la sua opera indagatrice: ”In quelle ”notti oscure” di cui parlano proprio i mistici spagnoli, in quei momenti (inevitabili, fisiologici nella strutture della fede) in cui il dubbio sembra rodere, malgrado ogni accumulo di ”ragioni per credere”; ebbene proprio allora soccorre il ricordo di un campanile che si leva, vigoroso, sul Desierto de Calanda, nella Bassa Aragona.
Una torre che ha l’aspetto di un punto esclamativo: segnala, infatti, almeno un luogo nel mondo dove ”la scommessa sul Vangelo” si scioglie in quella certezza che solo un fatto oggettivo, constatabile, sicuro può garantire.
Lì la cronaca, la storia, sembrano davvero spalancare, all’improvviso, una finestra verso 1’Eterno.” Sì, Dio esiste e a Calanda ha dimostrato che nulla Gli è impossibile. Lì ha deciso intervenire nella ”carnalità” dell’esistenza del giovane contadino Miguel Juan Pellicer, di annullare ciò che era avvenuto per mezzo dell’uomo, di sospendere tutte le leggi della natura, di riparare ciò che era irreparabile.

A Calanda, Dio, attraverso l’intercessione di Maria Vergine, ha voluto lasciare un segno concreto, tangibile, indubitabile.
Per usare le parole dell’arcivescovo di Saragozza ”com’è stato dimostrato con certezza nel processo, il detto Miguel Juan fu visto prima senza una gamba e poi con questa. Quindi non si vede come si possa dubitare di ciò”. Nessun dubbio, dunque: questa gamba riattaccata può essere un grimaldello per fare breccia nello scetticismo dell’uomo postmoderno.

Ma Calanda dice molto anche a certi cattolici, soprattutto a quella intelligenzia la cui fede si vuole adulta e che bolla i miracoli e altre forme di religiosità popolare come favolette superstiziose, adatte per vecchiette e per bigotti.

[Tratto dal mensile Il Timone, articolo di Enrico Salomi]



 Buona giornata a tutti :-)



 

Nessun commento: