mercoledì 2 maggio 2012

La carretta dei moribondi – Beata Madre Teresa di Calcutta -

Appena arrivò l'alba, madre Teresa tornò a uscire per le strade di Calcutta, con due suore. La più giovane tirava il carretto. Le strade della «città nera» hanno i marciapiedi abitati. Uomini e donne di ogni età, quando la fame o la febbre li abbatte, si distendono sul marciapiede. Attendono la morte. I passanti non se ne preoccupano. È una cosa nor­male, di sempre.
I bambini piccolissimi si affannano attorno alla madre morta, gemono per un po' di tempo. Poi si fanno quieti e tranquilli anche loro. La morte passa per tutti. Le suore di madre Teresa caricano sul carretto i moribondi e li portano alla loro casa «Nirmal Hriday», che in sanscrito significa: «Cuore Immacolato».  Li adagiano su pagliericci puliti, lavano le piaghe, liberano i corpi dagli insetti, li co­prono con un lenzuolo pulito.

Madre Teresa passa per le lunghe file dei pagliericci accarezzando mani, dicendo parole di speranza. È una donna piccola e minuta, ha un volto fuori del tempo, vecchio e insieme luminoso, bello come è bella una roccia corrugata dal vento e dalla pioggia.

Il  povero e il Papa

Il 5 dicembre 1964, Paolo VI terminava il suo viaggio in India, e all'aeroporto di Bombay salutava la folla. Anche madre Teresa era venuta da Calcutta per ricevere la bene­dizione del Papa.
Aveva preso abitazione nel «centro assi­stenziale» che le sue suore tengono aperto in uno dei punti più squallidi della periferia.
Il giorno prima, recandosi al grande Oval dove il Papa concludeva il Congresso Eucaristico Internazionale, era stata attirata da un forte gracchiare di corvi oltre una fila di barac­che. Aveva trovato un vecchio morente, appoggiato a un albero. Braccia sottili come canne di bambù, volto raggrinzito e immobile. Con l'aiuto di un ragazzo l'aveva portato al cen­tro assistenziale.
Ora, mentre Paolo VI salutava la folla, il vecchio stava morendo, e Teresa era accanto a lui. Scrive Curtis Pepper: «Lo chiamava per nome, Onil, e gli sussurrava in bengali parole di conforto. Nessun ospedale aveva voluto ricoverarlo. Nessuno, in quella città di cinque milioni di abitanti, dove sono censiti ufficialmente tremila quartieri poveri, aveva il tempo di stringergli la mano mentre stava per spirare. "Co­me ti senti. Onil?” chiese madre Teresa. Per il vecchio non c'era più speranza: la denutrizione lo aveva ormai sospinto al di là del punto dal quale si può ancora tornare indietro. Niente, né il cibo, né la scienza, poteva più salvarlo. Clinica­mente Onil era già morto, anche se riusciva a parlare ancora: "Sono vissuto come un animale ed ora muoio come un es­sere umano... Subito dopo spirò tra le braccia della suora che pregava su di lui in bengali».
Madre Teresa non sapeva che in quello stesso momento il Papa parlava di lei all'aeroporto di Bombay. Diceva alla folla: «Prima di lasciare l'India, desideriamo offrire la no­stra automobile a madre Teresa, superiora delle Missionarie della Carità, perché se ne serva nella sua universale missione d'amore».

 Fonte: “Madre Teresa di Calcutta”, Teresio Bosco,pagg. 3, 4 e 5 - Ed. Elledici 1991



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